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Ultimo giorno Ultimo sabato [va bene così?] d'estate, ultimo post. Giusto per chiudere il blog delle vacanze.
Domani ci si vede di là.

l'ha scritto marquant | 17:31 | commenti (7)


 
Questo blog sta per chiudere. Domande?
l'ha scritto marquant | 12:35 | commenti (8)


 
Tutti pazzi per Gonio. [scontato, lo so]
l'ha scritto marquant | 12:50 | commenti (14)


 

[Difficilmente mi ricordo i sogni che faccio. Questo è di un’oretta fa, mentre ero immerso in un microsonno più profondo del solito.]

Una sala da concerto. Non molta gente. Mi siedo in una delle prime file, sul lato sinistro della sala. So che dovrebbe arrivare un mio amico (che nel sogno non associo a nessuna persona che conosco realmente). Al mio fianco ci sono diversi posti liberi, quindi non mi preoccupo più di tanto. Inserisco la vibrazione del cellulare, non vorrei disturbare (lo spegnerei, ma magari la persona che aspetto mi chiama per dirmi se sta arrivando). Intanto sale sul palco il concertista e comincia a provare, non ricordo quale strumento. In sala si sparge la voce che nel pubblico ci sarà Nanni Moretti: tutti sanno che è intimo amico del concertista. Mi chiedo dove si siederà, e noto che alla mia destra, poco distante, ci sono un po’ di posti liberi. Quindi mi dico che magari si siederà proprio lì, così riuscirò a vederlo da vicino. Intanto, alla mia sinistra, tutti i posti sono stati occupati, tranne quello di fianco al mio. Penso che dovrò tenerlo d’occhio, per il mio amico. Intanto controllo di nuovo il cellulare, per vedere se la vibrazione è davvero inserita, non vorrei che squillasse all’improvviso durante il concerto. Poi succede tutto in un attimo. Il concertista scende dal palco ed esce dal lato destro della sala: sta andando incontro a Nanni Moretti, che è in arrivo. L’atmosfera è concitata, e mi chiedo perché. Mi giro verso sinistra e vedo un tipo, piuttosto giovane, sedersi al mio fianco: non faccio in tempo a dirgli che quel posto è occupato perché in quel momento suona il mio cellulare. Non vibra, suona. Uno squillo fortissimo. Non capisco: eppure ero sicuro di aver inserito la vibrazione, ho anche controllato, e comunque il volume della mia suoneria non è così alto.

[Mi sveglio di soprassalto, perché il mio cellulare sta davvero suonando: è sul comodino, proprio all’altezza della testa. Ecco perché era così forte.

Non so se preoccuparmi di più per l'inquietante presenza di Nanni Moretti nei miei sogni, o per il fatto di essere qui a raccontarli.]

l'ha scritto marquant | 22:01 | commenti (6)
 
Dovesse interessare/4, poi basta. Ieri sera mi hanno fatto assaggiare la birra al lampone. Detto così fa schifo, e invece non è per niente male.
l'ha scritto marquant | 13:58 | commenti (9)
 
Dovesse interessare/3. Settembre e ottobre all'Oberdan.
l'ha scritto marquant | 13:49 | commenti (4)
 

Dovesse interessare/2. Tra i film in sala vorrei/potrei/dovrei vedere, in ordine vario:

- Buongiorno notte
- Confidence [sicuro ???]
- Il miracolo
- Il ritorno di Cagliostro
- L'altro lato del letto
- Roger Dodger
- Son frère
- Il pianista [ebbene sì, me lo persi]

l'ha scritto marquant | 13:44 | commenti (10)
 
Dovesse interessare/1. Rassegna Marco Tullio Giordana allo Gnomo, da oggi a domenica.
l'ha scritto marquant | 13:33 | commenti (1)


 

[Magari qualcuno si aspettava il quarto segreto di Fatima, ma era solo un post scritto e cancellato perché non mi piaceva. Poi ho pensato che in fondo ho pubblicato di peggio. Una pettinatina, l'aggiunta di una foto che ho scattato io, et voilà.]

Ci pensavo prima del concerto di ieri sera. Il primo album dei La Crus è di un po’ di anni fa, ma io li ho scoperti solo da due mesi (e grazie a lei). Ma va bene così. Perché è così che funziona: scopri un gruppo o un cantante, ti piacciono, e da quel momento non ne puoi più fare a meno. E però rimangono legati a quel periodo, e quando ti capita di riascoltarli è a quei momenti che inevitabilmente pensi. Oppure non è che ti capita, è proprio che ti viene di andare a cercare quella musica perché hai voglia di tornare a certi pensieri o, perché no, a certe malinconie.

Bene, io sono felice di aver trovato la musica dei La Crus, e di averla trovata adesso. Perché è un territorio vergine dai ricordi e dal passato. È una voce forte, profonda, distinta. È un ritmo calmo ma incessante, un suono di cui ho bisogno. Quella dei La Crus per me resterà per sempre la musica di adesso, e va bene così.

l'ha scritto marquant | 23:54 | commenti (5)
 







Work in progress

Ieri sera: concerto dei La Crus.
Stanotte: scritto un post.
Stamattina: cancellato il post.
Adesso: illogica allegria.

l'ha scritto marquant | 10:34 | commenti (7)


 

La meglio televisione

 

Ovvero: auto-intervista su La meglio gioventù, frutto di un fine settimana narcolettico-lavorativo al termine del quale altro sfogo non v’era che scribacchiare d’istinto.

 

Domanda – Gentile marquant, è poi riuscito a vedere La meglio gioventù?

Risposta Sì, e devo dire che mi è piaciuto. Intendiamoci: non lo considero un’opera imprescindibile, ma ho passato due serate piacevoli, molto piacevoli. La storia mi ha parecchio coinvolto, anche emozionato, a tratti. E questa è la prima cosa che chiedo ad un film, prima di qualsiasi pregio formale.

 

D. – Mi sembra che dietro questa sua affermazione si celi una polemica con alcune critiche...

R. – Mah, devo essere sincero. Ho sentito e letto molte critiche negative su questo film basate essenzialmente sulla sua natura “televisiva”. A me sembra che la questione sia del tutto ininfluente. E comunque, se devo pensare a La meglio gioventù come a un prodotto televisivo, mi viene in mente una televisione che in realtà non c’è più: quella della fine degli anni Settanta, con cui sono cresciuto, quella degli sceneggiati di Daniele D’Anza e dei film del lunedì sera sul primo canale. Era la televisione con cui ho imparato a essere “spettatore” nel significato migliore del termine, cioè di persona che decide di vedere un programma e lo fa dall’inizio alla fine, senza telecomando e senza interruzioni. Un po’ come al cinema, insomma. Per questo sorrido quando di un film si dice che è brutto perché “televisivo”: di quale tv state parlando?

 

D. – Ha trovato differenze tra le due parti?

R. Sinceramente no, mi sembra che nell’insieme la storia scorra in modo fluido, e che nella seconda parte si chiudano bene molti meccanismi avviati nella prima.

 

D. – "Meccanismi che si chiudono", lei dice: eppure qualcuno ha lamentato un eccesso di coincidenze, di incontri fortuiti che segnano altrettante svolte nel racconto. Lei cosa ne pensa?

R. – Che la sceneggiatura di un film non è un trattato di statistica, e che qualche libertà è concessa se serve a rendere più avvincente l’intreccio. Mi sembra comunque che si resti quasi sempre nell’ambito del plausibile. E poi, detto sinceramente, chissenefrega. È un feuilleton, mica un documentario storico.

 

D. – A proposito di storia. Molti accusano il regista e gli sceneggiatori di aver voluto riassumere in sei ore diversi decenni di storia d’Italia.

R. – Anche qui mi sembra che sia nato un grosso equivoco, come al solito amplificato dal “sentito dire” che diventa opinione pret-à-porter. A me sembra che i fatti storici rimangano quasi sempre sullo sfondo, e che non vi sia la pretesa di esprimere giudizi o versioni dei fatti. Siamo piuttosto lontani, insomma, dal cinema di denuncia o di ricostruzione storica, né mi sembra che si intraveda un’intenzione in questo senso da parte degli autori. Credo invece che l’intenzione fosse quella di raccontare una storia che dura quarant’anni, che si svolge prevalentemente in Italia e che ha come necessario sottofondo gli eventi più importanti di quegli anni.

 

D. – Una lettura piuttosto intimista, dunque. In alcune scene ha quasi pianto. Non si vergogna?

R. – Assolutamente no, anzi. Come sempre mi sarebbe piaciuto che quel velo di commozione si fosse trasformato in un pianto liberatorio, ma neanche stavolta ci sono riuscito. Ad ogni modo, ci sono alcune scene che toccano davvero la sensibilità dello spettatore, pur senza scadere nel facile melodramma. E secondo me molto del merito è anche degli attori. Luigi Lo Cascio è semplicemente spettacolare, ha un’intensità espressiva eccezionale, trasmette un calore e un’umanità da grandissimo interprete: ha insomma quella capacità di entrare in contatto con lo spettatore e di farlo entrare dentro la storia e dentro le emozioni dei suoi personaggi.

 

D. – Non le sembra di esagerare?

R. – No. Be’ si, forse un pochino. Ma pensi anche agli altri interpreti. Alessio Boni, nonostante la capigliatura delle prime scene e qualche posa da fotoromanzo, riesce a dare alla sua parte quasi la stessa carica di umanità di Lo Cascio. Mi ha sorpreso. E poi tutti gli altri, a cominciare da Adriana Asti, semplicemente perfetta. Per non parlare dei tantissimi ruoli secondari, tutti ben caratterizzati e impersonati da attori spesso sconosciuti ma davvero sorprendenti.

 

D. – Cosa l’ha colpita nei due personaggi principali?

R. – Matteo e Nicola sono due figure splendide e, secondo me, più complesse di quanto sembri. Intendo dire: i due personaggi non sono solo i i fili conduttori della vicenda, ma a mio parere personificano due idee portanti: Nicola rappresenta la libertà, Matteo l’amore.

 

D. – L’ha detta grossa, si rende conto?

R. – Sì, sì, certo. Ma ormai l’ho detta, e mi tocca motivarla, suppongo. A meno che lei non voglia...

 

D. – Cosa?

R. – A meno che lei non voglia tagl...a meno che lei non voglia tagliare questa cazz...

 

D. – Non se ne parla! Come si permette!?! Ormai l’ha detta e me la spiega.

R. – Va bene, va bene, non si alteri. Allora, dicevo, volevo dire: Nicola rappresenta l’idea di libertà, ed è lui stesso a parlarne a un certo punto. Partiamo da un fatto evidente: lui fa lo psichiatra, e il suo impegno è quello di curare i malati dando loro, appunto, la possibilità di essere liberi, non più reclusi in istituzioni simili ai carceri. Questo atteggiamento, questa sensibilità, è dimostrata da Nicola anche nella sua vita privata e nei rapporti familiari: lui è quello che viaggia da solo, che non fa mai nulla per impedire alle persone più care di compiere le proprie scelte, anche le più imprevedibili o sbagliate. Alla fine sembra quasi fare autocritica, su questo punto, proprio perché riconosce in se stesso questa tendenza a non saper impedire che le persone che gli stanno intorno seguano le proprie inclinazioni. Il che, mi sembra, è l’essenza stessa del concetto di libertà e autodeterminazione!

 

D. – D’accordo, non s’infervori, non mi sembra il caso. E Matteo?

R. – Matteo rappresenta l’amore, e lo fa portandosi dietro una contraddizione simmetrica a quella di suo fratello Nicola. Nicola ama la libertà al punto di non concepirne la privazione, Matteo vive l’amore a un livello così alto da non riuscire a esprimerlo, o da non riuscire a viverlo e riconoscerlo nella vita di tutti i giorni.

 

D. – Bum! Mi faccia un esempio, per favore.

R. – Mi spiace, ma dovrei fare riferimento a scene ben precise, e magari tra i lettori c’è qualcuno che non ha ancora visto il film.

 

D. – Bella scusa...

R. – Cosa vuole che le dica. Si vada a rivedere il film, poi ne riparliamo.

l'ha scritto marquant | 00:07 | commenti (22)


 

Adesso ci siamo proprio tutti.
(Quanto sopra in sostituzione dell'altrettanto breve "Ma la Pizia?" che, più o meno esplicitamente, aleggiava ormai da qualche giorno e che mi accingevo a postare. Meglio così.)

l'ha scritto marquant | 13:37 | commenti (4)
 

Mi segno pure questo: musica e film su Fuori Orario. Tanto poi mi dimentico di programmare il videoregistratore, ma forse a qualcuno interessa.

l'ha scritto marquant | 13:22 | commenti (5)
 
13 piani di voyeurismo. Elevatormoods.com (segnalato dal Venerdì di Repubblica).
l'ha scritto marquant | 13:10 | commenti


 

Cose che vorrei avere il tempo di scrivere meglio

 

Degli auguri per Auro che oggi compie 30 anni, nella sua nuova casa.

 

Che ho visto l’altra sera La meglio gioventù – Atto II. Come l'altra volta, nessun commento prima di vedere la terza parte (perché c’è una terza parte, vero? La esigo, ne sono dipendente, qualcuno faccia qualcosa, un sequel ambientato su Marte, un prequel che comincia nel mesozoico, qualsiasi cosa purché ci siano Matteo e Nicola).

 

Che ho visto e sentito ieri sera il quartetto di MacUbu. Adesso se ne parlo bene sembra che sia uno scambio di favori. Quindi ne parlo male, malissimo: sono stonati, sgraziati e puzzano anche un po’.

(E poi quel palco così spoglio, quegli abiti così sobri, la cornice stantia di un vecchio chiostro: come si fa a pretendere di riempire e scaldare un ambiente così solo con quattro voci, per giunta così poco affiatate tra loro? Ci vuole una bella faccia tosta! E il repertorio? Ne vogliamo parlare? Trattano la musica rinascimentale come se fosse un giochetto da ragazzi, si diveeeertono loro, si divertono. E il pubblico che li sta pure a sentire, zitti come spie, e poi li applaude pure e chiede il bis. Bah, inaudito. Non fatemi dire nient’altro che mi viene di nuovo la pelle d’oca.)

l'ha scritto marquant | 14:07 | commenti (5)


 

Matrimonio in famiglia. Corso base di sopravvivenza

 

Avvertenza. Il destinatario ideale del Corso risponde al seguente profilo: uomo, bianco, 35 anni, gay, vive da solo, in un appartamento in affitto, in una città diversa da quella dei genitori; lavora in campo editoriale e, all’occorrenza, pubblicitario; spiccato (eppur pigro) interesse per il cinema e la lettura; possiede almeno un blog, e ciononostante riesce a condurre una vita sociale conforme agli standard sudeuropei; si caratterizza infine per una naturale propensione allo sviluppo di dipendenze di qualsivoglia natura, alla indolente perdita di tempo e all’alternanza degli umori.

E’ possibile, tuttavia, che il Corso possa offrire utili spunti anche a chi non rientra in tutti i suddetti parametri.

 

Prima unità. I preparativi per la partenza.

Mancano 3 giorni al matrimonio di vostro fratello. Già da tempo avete scelto l’abito adatto per l’occasione, provveduto all’acquisto del regalo più opportuno per gli sposi, preso i biglietti per il viaggio. E’ quasi tutto pronto. Quasi.

Problema. All’ultimo momento, poche ore prima della partenza, vi sentite a disagio. Come se vi mancasse qualcosa. Proprio come se foste in procinto di partire per il Messico senza l’antidiarroico, o per l’Africa nera senza aver fatto la profilassi antimalarica.

Soluzione. Lasciate stare la farmacia. Non state andando in un paese esotico, ma semplicemente a trovare la vostra famiglia. Correte dunque in libreria, e dotatevi di un paio di buoni titoli di sana narrativa gay. Potremmo consigliare, ad esempio, Solitudini imperfette di Andrea Mancinelli e Camere separate di Pier Vittorio Tondelli. Leggeteli tutti d’un fiato, durante il viaggio e nel primo giorno di permanenza in famiglia: la piacevolissima scrittura dei due autori dispiegherà rapidamente tutto il suo potenziale antivirale, proteggendovi dall’attacco dei virus più diffusi quali il Quandotitroviunamoglie coriaceus, il Perchénonparliamounpo’ ferox, il Perchénontifermiancoraunpaiodigiorni insistens, ecc.). Subito evidenti saranno inoltre i meravigliosi e benefici effetti collaterali: sincera partecipazione emotiva, immedesimazione, rinnovata voglia di altre letture, desiderio di scrivere e di indulgere in riflessioni personali, astrazione dal contesto familiare.

 

Seconda unità. L’approccio con la mamma.

Siete appena arrivati a casa dei vostri anziani genitori. Saluti, baci. Vostro padre e vostra madre vi aspettavano con ansia, ciascuno a suo modo: nel senso che ciascuno dei due non aspetta altro che appartarsi da solo con voi per parlar male del coniuge. Assistete dunque ad una virtuale lotteria dei calci di rigore: vostro padre vi offre una sigaretta, vostra madre vi dice che ha appena fatto il caffè. Voi decidete di dare alle cose le giuste priorità: prima il caffè, poi la sigaretta.

Problema. Vi ritrovate dunque in cucina, con vostra madre in pieno reading del consueto cahier de doleances (“E sì insomma, questo matrimonio così e cosà, e la sposa così e cosà, e i parenti della sposa così e cosà, e il rinfresco così e cosà, e tuo padre così e cosà, mentre io avrei fatto così e cosà, del resto non mi hanno interpellato per niente così e cosà...”). Mentre la vostra mente vaga, per assonanza, verso i Cahiers du cinema, una frase ferma la vostra attenzione: “E poi, pensa, tra gli invitati ci saranno persino dei ghei!”. Splendida notizia, penserete voi, al di là del fatto che vostra madre dice “ghei” proprio così, come si pronuncia. Ma come reagire?

Soluzione. Andate cauti e rimanete con i piedi per terra. Primo: scordatevi che vostra madre vi stia gettando un amo per portarvi al coming out. Secondo: ella non sa cos’è un coming out. Terzo: per lei voi siete suo figlio, il che esclude ai suoi occhi ogni possibile difetto di fabbrica.

In concreto, quindi: non fate facce, fissate il vuoto e pensate intensamente a Buster Keaton, adottatene la totale inespressività e, soprattutto, il completo mutismo. Contate fino a tre, il tempo necessario a vostra madre di completare con sdegno il suo pensiero: “E già, tanto ormai quelli là sono dappertutto!”. Convinti adesso? Potreste mai pensare che vostra madre abbia mai lontanamente sfiorato l’ipotesi che voi siate uno di quelli là? Finite il caffè e andate di là, vostro padre vi aspetta.

 

Terza unità. L’approccio con papà.

Sfuggiti alla (finta) trappola materna, è il momento di concedersi una distensiva, sincera e variegata conversazione con vostro padre.

Problema. La conversazione potrebbe andare così:

Padre – Ciao, come stai? Tuo fratello si sposa, e tu?

Figlio – Io no. Tu come stai?

P. – Tiro avanti. Certo che se tu ti sposassi sarei più tranquillo...

F. – Ho detto no. Stavi guardando la tivvu’?

P. – Sì, ma devo far sistemare l’antenna. A proposito, tu quando ti sistemi?

F. – Mai. E’ rinfrescato anche qui, eh?

P. – Sì, le previsioni dicono pioggia. A proposito, quando prevedi di sposarti?

F. – Mai. Ci sarà tanta gente alla cerimonia?

P. – Sì, insomma, certo che se ci fosse stata anche la tua fidanzata...

F. – Non ce l’ho una fidanzata. Dove si fa la cena?

P. – Appunto, chi te la prepara a te la cena? Se ti trovassi una brava ragazza...

F. – Faccio da me, papà. Come sta la zia?

P. – L’ho sentita ieri sera, mi ha chiesto quando ti sposi.

F. – Oggesù, è una malattia... Senti, parliamo di politica?

P. – Sì, abbasso la sinistra, viva i valori tradizionali. Ad esempio, il matrimonio...

F. – Papà, basta, ti prego. Sport? Calcio, piuttosto parliamo di calcio, che non me ne può fregare di meno però magari ti distrai...

P. – Calcio, sì, un bel calcio alla vita da scapolo, ecco cosa devi fare...

F. – Niente, non funziona. Un bel cruciverba? Lo facciamo insieme, ti va?

P. – Sì dai, aiutami a finire questo. Otto verticale, dieci lettere. “Un’allegra cerimonia di famiglia”, la seconda è una A, la quarta è una R, finisce per IO....

F. – P-A-R-R-I-C-I-D-I-O!

P. – Ma sì, che scemo, MATRIMONIO! Che hai detto, scusa?

Soluzione. Non fate gli spiritosi e risparmiatevi le battute a sfondo edipico. Ricordatevi che vostro padre, a suo tempo, ha commentato la notizia della presenza di invitati omosessuali all’imminente cerimonia esclamando: “Non voglio gay al matrimonio di mio figlio!”. Sorvolate sulle paradossali sfumature che tale affermazione comporta, e subite! Subite passivamente finché la vostra sopportazione avrà raggiunto il livello "MAGDA". Potrete allora chiudervi in bagno e rivolgere alle piastrelle il consueto, liberatorio grido di dolore: “No-oon ce la fa-a-ccio pi-u-ù!”.

 

Quarta unità. Al matrimonio: approccio con i parenti.

Molti di loro vi ricordano bambino. Non li vedete da allora: quando passavate interi pomeriggi a giocare a nascondino, a nascondino o, qualche volta, a nascondino. Sono loro, sono tanti, sono tutti più grandi di voi: sono i cuggini. Hanno professioni rispettabili e, alle spalle, matrimoni, divorzi o inconfessabili segreti. Ma di tutto questo non si parla, perché sono cose risapute. E perché al centro dell’attenzione ci siete voi: il cuggino di Milano. E di voi vorranno sapere tre cose: che lavoro fate, quanto guadagnate, con chi scopate. Sulle ultime due questioni sapranno essere sufficientemente discreti: poche domande saranno loro sufficienti per dedurre le peggio cose. Quanto al lavoro, è un problema.

Problema“Che lavoro fai?”. Se non svolgete un mestiere o professione riassumibile in una sola parola (ad esempio: “bancario”, “insegnante”, “usuraio”), preparatevi al peggio. Non pensiate che rispondere “faccio il redattore in uno studio editoriale” significhi per loro alcunché. Vi guarderanno male, faranno facce stranite ma non avranno il coraggio di chiedere chiarimenti. Toccherà quindi a voi spiegare: “Sì, cioè, praticamente, scrivo, revisiono testi, traduco, correggo, insomma, hai capito no?”. No, non hanno capito. A voi stessi verrà il dubbio di non aver mai capito che lavoro fate. Solo molte ore dopo, lo sguardo di uno dei cuggini si illuminerà, e vi dirà: “Ah, sì, adesso mi ricordo, tu lavori alla Mondadori!”.

Soluzione. Fatevene una ragione. E’ già qualcosa che abbiano capito che il vostro lavoro ha a che fare con l’editoria. Siate dunque indulgenti di fronte alle semplicistiche associazioni su cui si basa il loro ragionamento (Milano + editoria = Mondadori), assecondateli e, soprattutto, evitate di complicare la situazione con illazioni del tipo “Sì, poi faccio anche delle collaborazioni come copywriter... pubblicità... hai capito, no?”. No, non capiranno, e si chiederanno quale disgrazia vi ha costretto a vendere copri-water per i cessi della Mondadori.

 

Quinta unità. Il giorno dopo.

E’ andata. Gli sposi hanno detto sì, il rinfresco si è svolto senza incidenti diplomatici e voi avete resistito alla tentazione di gareggiare per il bouquet della sposa. I cuggini sono partiti: vi siete scambiati i numeri di cellulare, promettendovi reciprocamente di mantenervi in contatto. Sì, come no.

Vostra madre e vostro padre sono ancora annebbiati dalla commozione e, per qualche ora, allenteranno la morsa. Non esitate: allontanatevi, fuggite, partite subito. Tra poco entreranno in crisi di astinenza da celebrazioni familiari, e vi saluteranno dicendo: “Allora ci vediamo a Natale. Vieni con la fidanzata, sì?”.

l'ha scritto marquant | 02:21 | commenti (49)


 

(In giro per le vie del centro. Il set svuotato di un film già visto. La passeggiata, la piazza, la scuola, l’altra scuola, il lungomare. La casa di allora. Ovunque, la sensazione di vivere davvero in un eterno presente, come dice la vecchia zia de Il fiore del male: ovunque mi rivedo, e con me rivedo facce, persone, stati d’animo. E possibilità: ogni singolo ricordo è così nitido, così vivo e tridimensionale da lasciarsi attraversare, toccare, soppesare. Al punto da mostrarmi non solo ciò che realmente è stato, ma anche quello che sarebbe potuto accadere se invece di una parola ne avessi detta un’altra, se invece di un gesto ne avessi fatto un altro. Se invece.

Ma poi mi chiedo se, alla fine, sarebbe cambiato anche il punto d’arrivo. Se una battuta detta diversamente può davvero cambiare il corso di una storia,  o se può solo renderla più leggera, più scorrevole, più divertente, o tutto il contrario. Mi chiedo quante mani servano a scrivere un copione decente, e se alla fine il contributo di ognuno non si limiti a dargli uno stile, un tono, senza che nulla si possa fare per incidere sulla sostanza, che forse è già decisa, forse è già scritta a caratteri talmente grandi da passare inosservati.

Riprendo un pensiero di qualche giorno fa, e torno a chiedermi: che succede ai personaggi di un film, dopo i titoli di coda? Di loro ci viene spesso raccontato un frammento di vita, una giornata particolare, un mese o un anno esemplari del loro modo di vivere e pensare. E poi? Qualcuno muore, molti altri no. Cosa fanno? Dove sono oggi?)

l'ha scritto marquant | 16:27 | commenti (6)


 

Annunciazione. Nei prossimi giorni questo blog verrà aggiornato poco, e probabilmente male. Fino a domenica il proprietario è in trasferta nella città in cui ha vissuto per molti anni, una città bella e spaventosa, dicono.

(L'ultima volta era Pasqua, ed è andata così. Stavolta si sposa mio fratello. Probabile leit motif, il coro del parentame: "E adesso tocca a teeeee!". Aiuto.)

l'ha scritto marquant | 17:47 | commenti (8)
 

Milano spara? No, taglia le gomme

 

Visto ieri sera La meglio gioventù – Atto I. Nessun commento prima di vedere la seconda parte, settimana prossima.

 

Nota di colore 1 (trattasi di un consiglio). Se decidete di andare al cinema Anteo, siete in ritardo, non trovate posto nelle strisce blu e comunque non potreste pagare perché non avete con voi i gratta&sosta, lasciate pure la macchina nelle strisce gialle, quelle dei residenti. Niente paura: non vi daranno la multa né vi metteranno le ganasce. Avrete invece la straordinaria opportunità di sperimentare una folkloristica usanza degli abitanti del centralissimo e civilissimo quartiere Garibaldi: “tu occupare nostro spazio, noi bucare te le gomme così tu non fare più”. A me ne hanno tagliate due, più quella di scorta. Ma l’ho presa bene.

 

Nota di colore 2 (trattasi di un avvertimento). Se decidete di venire a fare la spesa all’Esselunga di via Washington, vi prego di non utilizzare l’apposito parcheggio del supermercato ma di lasciare la macchina in strada, in seconda o terza fila, possibilmente bloccando la mia. Ho appena comprato un fucile a pompa e muoio dalla voglia di esercitarmi dall’alto del mio balcone.

l'ha scritto marquant | 11:59 | commenti (16)


 
Soundbreak

combattere la propria dipendenza
riuscire in qualche modo a fare senza
capire dove sta la differenza
fra il vizio e l'esigenza (ecc.)

l'ha scritto marquant | 13:44 | commenti (13)

 

 

 




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