Chi?


  • GoogleTalk + emailbabsijones[at]gmail.com

Cosa?


  • "Una vera storia di guerra non è mai morale. Non è istruttiva, non incoraggia la virtù, non suggerisce modelli di comportamento né impedisce che gli uomini facciano le cose che hanno sempre fatto. Se una storia di guerra sembra morale, non credeteci." [*]

    Questo è un weblog. Io mi chiamo Babsi Jones, e non escludo che vogliate conoscermi meglio. Il weblog e il gatto sono le uniche cose che riesco a non trascurare: non perdete la pazienza se rispondo alle email con giorni settimane mesi di ritardo. Questo weblog è organizzato: ha degli archivi, e un elenco di tutti i post pubblicati premurosamente sistemati in ordine alfabetico. Le mie fotografie sono in stream su Flickr. Quello che trovo in rete e mi interessa è in social bookmarking via Del.icio.us, aggiornato in tempo reale. Leggo sempre parecchi weblog che ho elencato con mini-recensione qui. Se apprezzate così tanto quello che scrivo da voler lasciare un commento, qui c'è un prontuario. Tutto quello che scrivo ha alcuni diritti riservati: ridiffondete con giudizio. Se volete tenere d'occhio i miei post, usate il feed. Tutto questo si compone magicamente con l'ausilio di Typepad. Se volete navigare meglio, qui o altrove, cambiate browser. Per tutto il resto, provate col Lexotan™.

    [...And if you don't speak Italian?]

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08/10/05

Diario #9 [Tags: Islamabad, Babsi, Kurtz, Boy George]

Ieri rispondevo ad alcune mail arretrate (ne ho valanghe: qualcuno si offre come ghost writer?); in una delle lettere raccontavo delle ragioni per cui io scelsi di chiamarmi Babsi Jones. Copioincollo uno stralcio:

"Babsi è la versione tedesca di un nome molto più banale, Barbara, che è il mio nome di battesimo. Babsi è piuttosto frequente anche in Ungheria e in Polonia, e il diminutivo Babs è molto in uso negli Stati Uniti. Cominciai a firmarmi Babsi nel 1981, quando vidi "Wir Kinder Vom Bahnhof Zoo": una delle protagoniste, Babette Döge, era soprannominata Babsi. Se deve ripescare nell'archivio delle mie primissime collisioni emotive con il cinema, riesco a individuare tre film che hanno segnato la mia adolescenza: "Ultimo Tango a Parigi", "The Wall", e "Noi i ragazzi dello Zoo di Berlino".
"Wir Kinder Vom Bahnhof Zoo", però, aveva qualcosa in più: l'apparizione, quasi mistica, di uno degli dei del mio Olimpo personale: un androgino e gelido David Bowie, che presentava al mondo il suo breve manifesto riassunto in una strofa di "Station to station" (una stralunata, interminabile canzone che parla di kabbalah e di guerra nucleare) che recita: "It's too late to be rageful, it's too late to be late again; it's to late to be grateful, it's too late to be late again..."
Quel "it's too late to be late again", è troppo tardi per essere ancora in ritardo, riassumeva a perfezione lo stato d'animo di una adolescente nel 1981. Preferendo Bowie (il cui nome all'anagrafe è David Robert Jones) alle altre icone del mio santuario personale, scelsi come cognome Jones. Babsi Jones suonava splendido, ed era formato dallo stesso numero di lettere di Patti Smith e Frida Kahlo, le mie due "grandi madri". Mi autobattezzai Babsi Jones: erano gli anni in cui rinnegare il proprio nome anagrafico significava fare ingresso nell'età adulta, chiamarsi nel mondo. Sono cresciuta con il punk, non con la letteratura dell'800. Sono cresciuta convinta che un nome si scelga come si sceglie di interpretare un personaggio a teatro (e si finisce per esserlo, direbbe Kurt Vonnegut); sono cresciuta convinta che un nome si possa uccidere simbolicamente, come fece Bowie con Ziggy Stardust e Alladin Sane.
Prima o poi, Babsi Jones verrà immolato e sostituito, come una maschera che ha fatto il suo tempo, e verrà un altro nome. Nessuno dei compagni di strada e di guerriglia urbana con cui ho vissuto ha mai adoprato un nome e un cognome anagrafico: la mia rubrica è un'accozzaglia di Lady Moon, Strawberry Fields, Sol Baruc e Blue Jean. Ho ritrovato questa abitudine in rete: i nicknames, per me, sono un'ovvietà. Tendo a dare per scontato che chiunque abbia un nickname. A dire il vero, mi pare bizzarro, piuttosto, che esistano persone che non hanno mai mutato nome: come se si fossero adattati a un'identità imposta dalla sorte, senza fratture né ricostruzioni, senza un immaginario..."

Quando ho finito di sbrigare parte della corrispondenza arretrata, mi sono stesa e ho riletto, tutto di un fiato, Cuore di tenebra. Sarà la quarta volta in due anni che vado a ripescare Kurtz, quello che ispirò Coppola: mi pare che quell’orrore e quel terrore morale possano dirmi qualcosa di utile per quello che sto scrivendo. Non cerco l’origine delle tenebre: cerco il modo per comprendere l’ipocrisia che continua a fare di Kurtz un “colpevole”: accusare un uomo di omicidio quaggiù è come fare contravvenzioni per eccesso di velocità alla 500 Miglia di Indianapolis, per chi ha visto il film (chi non l'avesse visto, può leggerlo). Sembra che io abbia bisogno di sapere di sapere chi è Kurtz, quanto Kurtz c’è in me, come si avvia, dentro una testa, il meccanismo-Kurtz. Leggendo Conrad, che ha una prosa densa, tenevo accesa la televisione su Rai News 24. Da settimane ho una febbre leggera che va e viene, e da qualche giorno ho il cuore – toh, è vivo? – che lancia sistole e diastole come cazzo gli pare; il dottore mi prova la pressione come se giocassimo: non hai niente, dichiara, tensione nervosa a parte. Non morirò d’infarto né di collasso, in barba all'impegno che ci metto alternando benzodiazepine, caffeina, codeina e nicotina a ritmo continuato. Dà un po’ fastidio, questo persistente scuotersi cardiaco, questo sussulto dietro l’esofago, questo sfarfallio agitato e questa vibrazione interna, tutto lì. Comunque, erano le cinque, forse le sei: e devo essermi assopita con il libro fra le dita a due pagine dalla fine: dalla fine di Kurtz e dalla postfazione di Baricco che ho saltato sempre senza molti rimpianti. Mi ha svegliata, di soprassalto, una sirena. Una qualsiasi sirena: qualcuno che agonizza dentro un’ambulanza, o qualche rapina in periferia. Ho aperto gli occhi, che si erano lordati di liquido organico incollandosi come nastri di carta, e grattandomi ho guardato l’orologio sul muro di fronte: le undici. Nella stanza si schiattava per il freddo e la polvere nell’aria pareva triplicata. Il gatto, a pancia in su, statico, il respiro tenue, la testolina poggiata sull'ultimo saggio che mi sono sorbita. Ho messo a fuoco quello che scorreva sullo schermo: cadaveri ammucchiati. Ho acceso una Gauloise: il cuore mi ha restituito nuovamente uno frastuono lento, come un piccione che cerca di liberarsi da una custodia di cartone. Buongiorno, mondo: c'è persino un raggio di sole. Uscire a farsi una passeggiata fra non molto vorrà dire scavalcare i morti, gli stivali di gomma andranno a ruba. Mi sono seduta al tavolaccio da imbianchino sul quale poggia il mio PC, ho salvato le immagini del Pakistan in un folder apposito, pigramente. Credo di aver collezionato (Jugo-macellerie a parte) un paio di giga di ritratti di salme, in questi anni: americani e palestinesi, iracheni e ceceni, russi e sudanesi: denti digrignati, ossa sradicate, muscoli squarciati. La mia è diventata un'ossessione, a metà strada fra la testimonianza e la necrofilia. La porzione di rivista - forse estirpata da un Venerdì di Repubblica? - che tiene ferma la tastiera quasi orfana di un piedino lascia intravedere un riquadro che ieri non avevo notato: Costa Crociere, la nuova destinazione delle vostre vacanze non è più solo un sogno. No, difatti: è un incubo. Ho intenzione di cercare Kurtz, a costo di andare in ferie a Nu Mung Ba. A costo di andare all'inferno. Se riesco a capire che differenza c'è fra "inferno" e "mondo" e "testa di Babsi".

Poi ho cliccato il resto delle notizie e ho scoperto che hanno arrestato Boy George, ormai sfatto e tossico. E mi sono detta che c'è qualcosa che devo scrivere, pogrom in Kosovo a parte: quegli anni '80 della mia adolescenza, così lontani dall'impegno dei 70's, così lontani dal rinascimento-rave dei 90's, così coglioni, devastanti, devastati, stupidamente, spaventosamente identici a questi primi anni del millennio.   

Commenti

Ciao Babsi, ogni volta che ti leggo mi sento meglio, e contemporaneamente peggio. Grazie

Anch'io, scrivendomi, non so bene se mi sento meglio o peggio :-)

anche io mi son fermata più volte a ricercare tra vecchie piaghe quegli anni ottanta della mia adolescenza. c'è lì qualcosa che puzza, e temo mi si sia incollato un poco addosso. e credo sia ora di disfarsene. sì, somigliano a questo inizio millennio, e ciò mi insospettisce e non mi piace. neanche un po'.

Le ultime sei righe del tuo post sono un impegno che hai preso con noi. Non dimenticarlo, perché noi ci contiamo.

Riccardo: ogni volta che parlo dei due progetti che ho in ballo (romanzo non-romanzo sul pogrom in Kosovo, e ricostruzione dei miei anni, diciamo 79-99), tutti sembrano interessati al secondo. Parecchi appunti sono quelli che si possono leggere qui nella categoria "In formalina"; mi rendo conto che ci arriverò. E' solo che ho un debito più urgente, quello di una guerra e di un'esperienza di guerra, e me ne devo liberare, o non scriverei liberamente.
Ale: Sono d'accordo. Non sono certa che mi piaccia o meno: a volte mi dico, con grande cinismo, che l'adolescenza negli anni '80, quegli anni di merda, di individualismo "a vuoto", di illusioni triviali è stata fondamentale per essere libera. A differenza della generazione che è stata adolescente negli anni '70 degli "ideali" (...), e di quella successiva, che ha preteso di ripescare degli "ideali" già poco solidi in partenza, noi siamo cresciuti affacciati sull'abisso. Non avevamo niente: potevamo solo "fare meglio".

@tutti: le mie lettere arrivano, eh. Sono lenta ma fedele :-)

Babsi, io mi accodo a Ferrazzi nell'attesa...

Per quanto riguarda gli anni 80 ero talmente incasinato col rientro in Italia, la ricerca di un lavoro, una casa e tutto il resto che, quando ho alzato la testa e detto "Eccomi!", erano già finiti. E per questi anni di inizio secolo boh, avrei preferito un po' di vuoto in più e meno casini, come racconti per gli 80's; per citarli alla tua maniera :-))

Buon fine settimana. Trespolo.

Se continuate ad accodarvi dovrò mettere il distributore di biglietti a strappo col numerino, come dal salumiere :-)

io lo farei volentieri il ghost writer, ho già pronto un lenzuolo da mettere in testa

Eddie, com'è che ti aspettavo? :D

Cara Barbara,
riguardo a Heart of Darkness, l'unico altro libro che mi ha posto di fronte ad analoghi interrogativi morali senza alcun punto di riferimento è di Von Kleist e si intitola Michael Kolhaas.
Lettura da cui si esce tanto disorientati quanto rigenerati, e che ti consiglio.
Non c'è retorica in quello che scrivi e nelle tue immagini; dote davvero rara, nei confronti della quale si prova una naturale riconoscenza.
Un caro saluto, A.

se ti servo come referenza di nomi, date e avvenimenti vari (google-me!) sono qua :)

Andrea, grazie per il consiglio. Conosco Von Kleist solo attraverso Fassbinder, il che la dice lunga... ;P

Sol: ecco fatto, si parla del diavolo e spunta un suo emissario. Cara mia, quando e se scriverò 'sta cosa tu sarai consultata con frequenta trisettimanale. Del resto, tu sei uno dei personaggi, e credimi: non c'è niente di più esaltante e di più pericoloso, per uno scribacchino, di doversi confrontare con personaggi che interagiscono in tempo reale :D

Allora saprei che film proporti per un ipotetico invito invito da me... Fitzcarraldo di Werner Herzog! (ce l'ho in dvd) il Kleist di Fassbinder rivive in Klaus Kinski folle per l'opera...
Uffa... Perché non sei la mia dirimpettaia?
Notte Barbara, A.

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