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Al Visconti cominciò la Resistenza
Franco Lefèvre*

 

Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo questo intervento che descrive un'esperienza studentesca di resistenza e attività antifascista durante l'occupazione tedesca all'interno del Liceo Visconti di Roma. L'articolo è stato pubblicato nel catalogo della mostra 'Roma sotto le stelle del '44 - Storia, arte e cultura dalla Guerra alla Liberazione' (Follonica, Zefiro, 1994) che si è tenuta presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 16 dicembre 1994 al 28 febbraio 1995. L'autore Franco Lefèvre ha curato la documentazione fotografica della mostra.

Il 'magazzino liberi' (ci era piaciuto chiamarlo così, per un ambiguo quasi festoso gioco di parole) avevamo deciso, tutti insieme, fin dall'ottobre del '43, di nasconderlo dietro alle assi polverose e agli armadi pericolanti sparpagliati nelle soffitte del nostro liceo, il Visconti di Piazza del Collegio Romano. Una o due volte la settimana, via via che i nostri partiti, il cattolico-comunista, il repubblicano, quello d'azione e il comunista, ci rifornivamo dei nuovi giornali e dei volantini stampati alla macchia, ci arrampicavamo a turno lassù, ad arricchire la riserva del 'magazzino'. Poche ore dopo, a lezioni concluse e a liceo assolutamente deserto, quegli stampati sarebbero stati collocati a pioggia, ma da uno solo del gruppo, sotto i banchi, nei bagni, addirittura sulle cattedre, come fossero registri delle presenze. Le cautele, però, dovevano essere infinite, occhio soprattutto al professore di educazione fisica, un mussoliniano a tutto volume, e anche a quella pattuglietta (non più di sette-otto) di nostri compagni di classe così infatuati dell'alleanza col fratello tedesco che si dichiaravano sempre pronti a bastonare chi osava beffeggiare il nuovo fascio travestito da repubblicano. E così, per non insospettire i 'neri', fingevamo di andare all'ultimo piano del Visconti per chiedere informazioni al professor Guzzanti, nostro insegnante di scienze, (nonno di Paolo e bisnonno di Sabina e Corrado), la cui aula era situata proprio sotto le soffitte.

Una militanza clandestina accanto agli insegnanti antifascisti
Guzzanti, come altri professori del liceo, Vannutelli, Berardi, Maria Maggi, Ivella, Durante (un sacerdote siciliano, professore di storia e filosofia, al quale, il mattino del 26 luglio avevamo fatto improvvisare un comizio contro la dittatura fascista su una bancarella del mercato di piazza San Cosimato) aveva preso la bella abitudine di spiegare, si può dire quasi ogni giorno, agli studenti 'fidati' com'era nata in Italia la 'disgrazia fascista', chi l'aveva appoggiata, Savoia in testa, e come sarebbe inevitabilmente finita.
Gli infami avvoltoi, li definiva così i minuscoli personaggi in orbace che spadroneggiavano in un istituto di così alte tradizioni come il Visconti, dall'ispettore della federazione dei fasci al comandante della 57ma legione di balilla e avanguardisti, Viola, al suo vice, un poveraccio che portava con molta coerenza un nome farsesco, da 'spalla' d'avanspettacolo, Tupputi.
Il nostro insegnante di scienze, in quei drammatici mesi che seguirono l'8 settembre, non trascurava occasione per ricordarci l'azione antifascista condotta per anni da un suo grande amico, Raffaele Persichetti, nostro professore di storia dell'arte, che il pomeriggio del 9 settembre, alla Piramide di Caio Cestio, aveva sacrificato la vita per difendere Roma dall'assalto dei reparti tedeschi. Persichetti era stato uno dei dirigenti del Partito d'Azione che operavano nell'Italia centrale.
Anche per lui il Visconti rappresentava una base importantissima per la propaganda contro il fascismo, sia che i contatti fossero con gli insegnanti sia con gli studenti. A me e a qualche altro compagno del primo liceo, più di una volta, aveva consegnato le copie del giornale del suo partito, «L'Italia libera», perché le facessimo circolare dovunque, possibilmente fuori dall'ambiente scolastico. Aggiungeva, con la sua aria sempre sorridente: "Questi banditi, ricordatevelo, hanno i giorni contati. Voi studenti avete un grande compito, dovete spiegare al popolo che la libertà non gliela regalerà mai il cielo, bisogna lottare ogni giorno di più con grande coraggio per meritarsela".

Fiduciosi in una prossima Liberazione usciamo allo scoperto
Lo sbarco degli alleati ad Anzio, la mattina del 22 gennaio '44, produce naturalmente l'effetto di una benefica carica esplosiva fra i gruppi della Resistenza romana. Alle 10, durante la pausa della ricreazione, decidiamo di uscire allo scoperto. Dal primo piano del Visconti lanciamo in cortile, tra gli studenti che si affannano dietro alla solita palla di carta e spago, tutti i volantini che ci erano rimasti nel 'magazzino liberi'.
Passano un paio di minuti ed eccoci circondati dal professore di educazione fisica e dai suoi studenti fascisti, uno dei quali addirittura in divisa da brigatista nero e la pistola in pugno.
Pugni, calci, spintoni, un colpo di pistola in aria, mentre la massa degli studenti, quelli che si compiacevano di definirsi 'agnostici', osservava sbalordita. Il cancello del liceo è aperto e noi quattro del volantinaggio ce la battiamo a gran velocità. Siamo disarmati, è inutile continuare la lotta, e poi domani arriveranno i carri armati americani. passano le settimane, uno, due mesi, i soldati della V Armata di Clark sono impantanati fra Anzio e Cisterna, e noi siamo costretti ad agire lontano dal nostro Visconti (i fascisti del liceo sono intanto sicuri che noi abbiamo raggiunto i partigiani). Chi - come i cattolici-comunisti - a preparare nuove edizioni di «Voce operaia», chi - come i comunisti e gli azionisti - a organizzare comizi volanti, chi - come me e gli altri due repubblicani - a scrivere, accanto ad Alberto Ronchey per «L'Alba Repubblicana», organo clandestino dei giovani del partito, o a lavorare all'organizzazione sotto la guida del segretario nazionale, Giovanni Conti, in via Campo Marzio. Intanto, l'azione repressiva delle brigate nere al servizio della Gestapo si diffonde come una gigantesca piovra in tutti i quartieri della città, aiutata spesso da un gran numero di delatori prezzolati. Da Testaccio a Ponte San Lorenzo, all'Esquilino i nazi-fascisti colpiscono ogni giorno con una metodicità scientifica, sempre più rapidi, sempre più violenti.

Lontani dal nostro liceo con la paura delle delazioni
Anche nel nostro movimento studentesco di resistenza siamo ossessionati dall'incubo delle delazioni, occorre evitare a ogni costo di scambiarci messaggi per telefono, saltare i nostri appuntamenti abituali, al bar, al cinema, al biliardo. Soprattutto non farsi vedere dagli studenti che continuano a frequentare la scuola del Collegio Romano. Perché è proprio lì che i 'neri' puntano per avere qualche buona confidenza. Per fortuna, hanno puntato male, hanno puntato su miei amici fraterni. Uno di questi riesce un giorno ad avvertirmi che i 'brigatisti' del liceo cercano me e gli altri tre amici del volantinaggio anche a Roma. Qualcuno di loro non è proprio del tutto convinto che siamo scappati in montagna. Un altro fascista ha perfino minacciato il preside, di cui si conoscono i sentimenti democratici. Il mio amico è stato sottoposto al terzo grado in una stanzetta della federazione fascista di Via Venato, ma non ha aperto bocca.
Con gli altri studenti che vivono in clandestinità ci si ritrova ormai tutti i giorni, ora davanti a una scuola ora davanti a un'altra. Come un rito, che si ripete ogni volta alla stessa ora, alle 8 del mattino, quando gli studenti entrano nei loro istituti e noi cerchiamo di convincerli a 'scioperare', l'unico strumento che possiamo quotidianamente utilizzare contro i nazi-fascisti. Noi siamo organizzati in gruppi di otto-dieci al massimo, provenienti da vari licei, qualcuno anche dall'università, come Maurizio Ferrara, per esempio, tra i più attivi del movimento.

L'assassinio del giovane studente Massimo Gizio
L'assassinio di uno dei nostri studenti è stato commesso proprio in una di quelle mattine, mentre cercavamo di organizzare lo sciopero dei liceali del Dante Alighieri.
Quel giorno ci imbattemmo in un preside, certo Landogna, che dopo averci spintonato ci urlò: «Ora avete la lezione che meritate, solo pochi minuti e vedrete!». Arrivarono infatti gli addetti alla 'lezione'. Scesero da una macchina a pochi metri da noi e ci piombarono addosso con le pistole in pugno. Non erano più di quattro o cinque, ma capirono subito che avrebbero avuto la meglio, visto che nessuno di noi aveva mostrato un'arma. E subito cominciarono a sparare contro quelli che correvano in cerca di un portone dentro il quale ripararsi. Massimo Gizio fu colpito alle spalle, a nemmeno duecento metri dal Dante, in piazza della Libertà, il 1° febbraio '44. Morì poche ore dopo in una corsia del Santo Spirito. Non aveva ancora 19 anni.


*Giornalista e studioso di storia della fotografia, ha partecipato alla Resistenza a Roma nel Partito Repubblicano. Subito dopo la Liberazione ha fatto parte della redazione della "Voce Repubblicana" e successivamente ha lavorato per "L'Espresso" ed è stato caporedattore di "Panorama e di "Il Venerdì" di Repubblica.


[I paragrafi e i titoli sono a cura della redazione]

Il professor Raffaele Persichetti a Porta San Paolo con i suoi granatieri, Roma 9 settembre 1943 (fot. Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea)


 

 

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