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LEGGENDESECTION
Storie e Leggende sulla Folgore
 In questa pagina sono raccolte una serie di storie e leggende sulla Brigata Paracadutisti Folgore e su i suoi più recenti operatori. Parlando con i miei superiori ho cercato di indagare sulla veridicità di queste storie, alcune sono state smentite, di altre sono stato testimone oculare.... Diffidate comunque di chi chiacchera tanto, generalmente chi le spara grosse a suo tempo era un "CANE MORTO" (uno che non sottostava al cameratismo della Folgore), ma una volta diventato anziano avanzava pretese sugli scaglioni inferiori....
 
Leggenda N° 1
  Si narra che quando dal CAR in fanteria si vuole andare nei Parà, a Pisa l'accoglienza non è delle migliori. Per prima cosa viene fatto letteralmente mangiare il basco nero. Superata questa prova il più grosso della Compagnia si avvicina, ti appoggia lo stemma del basco sulla fronte e con il palmo della mano aperto lo spinge con il massimo della forza. Il segno ti rimarrà per almeno un mese.
 
Leggenda N° 2
  Si dice che negli anni '80 il 3° Btg. par. "Poggio Rusco" avesse come mascotte un cane azzoppato di nome Rusco, che era stato brevettato con tre lanci regolamentari, e che ogni mattina, all'alzabandiera, passava in rassegna i reparti schierati precedendo il Colonnello Comandante, e mentre la bandiera saliva sull'asta, sostava in posizione eretta ed assorta ai piedi del pennone.
 
Leggenda N° 3
  Si racconta che negli anni '80 si andava a terra mettendosi in piedi sugli armadietti e lanciandosi ad almeno due metri di distanza.
 
Leggenda N° 4
  Le camerate della "Grifi" (fu "Veleno")di Pisa erano dipinte totalmente di nero ed i vetri erano oscurati.
 
Leggenda N° 5
  Nella "Vampiri" e nella "Pipistrelli" il contrappello viene fatto sempre e rigorosamente a testa in giù, appesi alla sbarra del letto a castello. Le persiane delle compagnie non vengono mai tirate su, rimangono sempre al buio e sui sostegni dei letti a castello vengono posti dei ceri accesi.
 
Leggenda N° 6
  A Pisa c'era (c'è ?) un Maresciallo che viveva in una "casetta" vicino alle torri. Di lui si diceva: 1.Che era stato nella Legione Straniera.
2.Che aveva fatto la guerra del Vietnam ed avesse una fotografia che lo ritraeva con due teste di vietcong in mano e il macete in bocca.
3.Che aveva organizzato la famosa "marcia su Pisa".
4.Che di notte assaltava e disarmava a mani nude le guardie.
5.Che aveva minato la zona circostante la sua "casa".
6.Che sfidò un maggiore americano a chi ritardava il più possibile l'apertura. Alla fine l'americano vinse, ma si schiantò.
7.Che prima di un lancio (e privo del paracadute da DL), affacciato al portellone del "G" in volo su Lucca, avesse platealmente orinato dalla pedana, inveendo sardonico contro una donna cola' residente, che lo aveva a suo dire tradito.

 
Leggenda N° 7
  Si dice che negli anni '80 gli A.G.I. della SMIPAR non andassero in libera uscita per 70 giorni, e la notte venivano fatti strisciare sul piazzale El Alamein al passo del leopardo con i gomiti nudi (sull'asfalto...).
 
Leggenda N° 8
  Un Paracadutista degli anni '80 narra che al suo arrivo alla S.MI.PAR. non è stato dei più accoglienti. Lui proveniva da una caserma di fanteria, come si presentò in compagnia, un Caporale lo chiamò e lo fece andare nel cortile. Come arrivo vi trovo un enorme escremento, il Caporale gli disse: "PULISCI !!!" e lui rispose: "Come devo pulire?", il Caporale "Come vuoi...". Allora lui rientrò in compagnia e prese della carta igienica e pulì. Da quel giorno più nessuno gli fece niente.
 
Leggenda N° 9
  Un' altro Paracadutista sempre degli anni '80 narra che il primo giorno di addestramento un suo camerata siciliano non eseguiva la presentazione a modo. Si non urlava, il Caporale gli diceva: "Nome?" e lui rispondeva calmo,calmo. Il Caporale lo fece allontanare 20 metri, poi 50 metri, poi 100 metri fino al reticolato. Nel mentre ogni volta che si allontanava gli chiedeva sempre il nome. Ma questo ragazzo niente, non voleva urlare. Allora il Caporale gli disse: "Metti le mani attaccate al reticolato", poi dinuovo "Nome?", e niente..... allora il Caporale urlò: "ATTACCA LA CORRENTE !!!" non finì di urlarlo che il Paracadutista siciliano si presentò con un tono di voce da far invidia a Pavarotti (ovviamente il reticolato non era elettrificato, ma la recluta non lo sapeva).
 
Leggenda N° 10
  Si narra che la 5° Cp. Pipistrelli al primo campo di addestramento faccia riempire gli zaini tattici di pietre, li bagni dentro un fiumiciattolo, e poi faccia eseguire il percorso d'addestramento....... tutti quelli che arrivano con le pietre ancora bagnate ripetono il percorso...... perchè sono andati troppo lenti, le pietre hanno preso poca aria e non si sono asciugate !!!
 
Leggenda N° 11
  Si dice che a Siena quelli della 13° Cp. Condor debbano lanciarsi dal tetto della compagnia su un telo da pompiere. EH! EH! Il Condor Plana !!!
 
Leggenda N° 12
  Appena uno sten fresco di nomina del 99° corso AUC arrivò in Xª CP, un suo predecessore, sempre della Xª ma del 98° lo mandò a terra a pompare con il salto, apertura ad X e battuta di mani dietro la schiena. Lo sventurato, che evidentemente alla scuola di Roma non era stato “svezzato”, cadde sbattendo i denti sul pavimento. Gli si ruppe un incisivo, che il tenente del 98° prontamente ricuperò e ci fece un ciondolo che portò gelosamente al collo fino al congedo (seppi da un suo parigrado che pagò poi la ceramica allo sventurato).
 
La Marcia su Pisa
  Premessa del C.M. della Xª Canguri, 9-3-80

I fatti qui narrati di cui sono stato coprotagonista e testimone sono veri e senza “arricchimenti” anche se qualche dettaglio potrebbe essere affetto dal fatto che son passati 23 anni. Inoltre, paventando la possibilità che qualche magistrato “nemico” possa anche solo pensare di procedere penalmente, manterrò l’anonimato dei protagonisti usando delle sigle al posto dei nomi.

I fatti:
Poco prima dell’epifania del 1981, con la maggior parte degli ufficiali, sottoufficiali e graduati ancora in licenza si sparse la voce che due allievi del 12-4-80 la sera prima erano stati selvaggiamente picchiati, nei pressi di un famoso e malfamato bar di Pisa. Al pomeriggio il sottotenente P1 della Xª mi confermò l’accaduto dicendomi che a uno dei due allievi avevano dovuto asportare entrambi i testicoli in quanto completamente tumefatti. Alla sera lo stesso sten P1 mi chiese di radunare 7-8 parà fidati, con la massima discrezione, per effettuare, la sera dopo, una spedizione “punitiva” nei confronti dei frequentatori del famigerato bar ( è un dettaglio importante: la spedizione avrebbe dovuto essere mirata). Per quel che mi disse, l’idea della spedizione era nata nel loro gruppetto (P1, P2, F: la triade dei milanesi) di ufficiali di complemento e nessuno degli ufficiali effettivi ne sapeva nulla. Purtroppo i miei fratelli stretti, gli istruttori della Xª, erano tutti in licenza eccettuato il carissimo G che ovviamente avvertii (venendo a sapere con grande meraviglia che già sapeva tutto). Mi diedi molto da fare quel giorno, troppo da fare, e avvertii non meno di 10 parà del 9-3-80, raccomandando (parole al vento) la massima discrezione. Il punto di raduno prestabilito era nella piazzetta antistante Ephos (il fotografo) verso le 20, ovviamente in borghese.

Alle 19 eravamo già qualche centinaio (i giornali poi han detto 400, ma penso fossimo circa la metà) tutti in borghese ma tutti con i cinturoni sotto il giubbotto. A quel punto, vista l’incredibile massa, l’unico ufficiale presente, P2, da tutti riconosciuto come il nostro leader in quel contesto, decise, molto responsabilmente, che la spedizione non poteva più essere effettuata essendoci il rischio di fare un macello. Cominciò quindi a girare “l’ordine” di rompere l’assembramento e tornarsene in caserma, ma era troppo tardi, la miccia era innescata e alcuni di noi decisero di proseguire.

Ancora una volta il tenente P2 dimostrò la sua stoffa e per limitare i danni decise che avremmo sfilato per il corso pacificamente cantando. Ovviamente le sfilate eran roba per morfine e dopo 20 metri eravamo tutti lì a marciare in file compatte perfettamente (ma naturalmente) ordinate tallonando a più non posso e cantando a squarciagola. Il repertorio delle canzoni della folgore finì ben presto e allora, per iniziativa di qualche ignoto si partì con “giovinezza” e altro, ma soprattutto scandendo continuamente il “boia chi molla …” seguito da “Folgore!” che lì nella strettezza del corso tra le case aveva un effetto paurosamente eccitante. Eravamo diretti verso la stazione, e il tallonare all’unisono, assieme al “passo” e al boia chi molla era impressionante (per me, figuriamoci per quei disgraziati dei Pisani che assistevano allibiti). Noi marciavamo e davanti a noi s’era formato un gruppo di giovani Pisani con vespini e motorette che di tanto in tanto ci urlavano “fascisti” e “bastardi” mantenendo un congruo numero di metri dal fronte dello schieramento. Via via che s’andava avanti però, questi minicentauri prendevano coraggio, puntavano il fronte in velocità, frenavano e facevano dietro front. In prima fila, abbastanza centralmente c’eravamo io, P2 ed il carissimo G il quale dei 3 era il più scalmanato. Oltretutto G era l’unico pratico di assembramenti in quanto ultrà del toro di quelli non proprio tranquilli (a sentir lui almeno, ma fino a quel giorno pensavo fossero chiacchere). Tutto procedeva abbastanza civilmente, finchè un Pisano idiota ed incosciente impennò la vespa a non più di una decina di metri. Io guardando l’impennata percepii con la coda dell’occhio la velocissima corsa di G verso il vespino ed un attimo dopo vidi il corpo del Pisano cadere all’indietro ed il vespino rotolare malamente verso di noi con G che urlava forsennatamente vicino al corpo a terra del pisano. Gli altri pisani in motoretta ed anche quelli a piedi fecero quello che non avrebbero dovuto mai fare, cominciarono a correre e a scappare. Le prime file dell’inquadramento (ovviamente le teste più calde tra noi) si ruppero istantaneamente, tutti a correre dietro a qualcuno che scappava. E allora anche li pisani pacifici cominciarono a correre e di conseguenza anche i più pacifici di noi (le terze quarte ,…, file) dietro a loro. Durò forse una decina di minuti (veramente non lo so, persi la cognizione del tempo), decine di civili in fuga furono rincorsi, agguantati, stesi e menati, senza mai infierire, tantevero che a parte lo sfigato della motoretta nessuno finì al pronto soccorso (per quanto si seppe dopo). La caccià proseguì per tutti i vicoli laterali del corso senza troppi danni a parte le insegne di una casa del popolo.

La vespa del pisano finì sul corrimano di un famoso ponte sull’arno, io la vidi, ma non so se poi finì per sempre nell’arno.

Finita la parapiglia, ci ritrovammo nuovamente uniti nel corso, solo che adesso avevamo 4 o 5 macchine dei carabinieri dietro e forse di più ma della PS davanti. Un ufficiale di PS, affiancato da un ufficiale dei CC, con il megafono in mano ci intimarono di tornare in caserma. Noi ci ricompattammo e ricominciammo a marciare felici e tranquilli verso la stazione; le macchine dei PS ci precedevano in retromarcia ed i soliti due ufficiali urlavano stronzate nel megafono sempre più perentoriamente in quanto stavano continuamente arrivando agenti e cc di rinforzo. Ad un certo punto minacciarono una carica, e tutti noi ridemmo che ci sentirono fino a Lucca (noi eravamo qualche centinaio, loro forse 40-50). Cinturoni in mano simulammo noi una carica e bastò solo la mossa per per farli scappare tutti e a zittire i megafoni. Arrivati in stazione con le sirene che urlavano davanti e di dietro, trovammo Ephos il fotografo amico, che preso il megafono dei due ufficiali ci chiese gentilmente di tornare in caserma. Il tenente P2 ordinò il dietro front e tornammo a casa nostra, la SMIPAR, perfettamente inquadrati.

Il giorno dopo fummo tutti consegnati in caserma a tempo indeterminato. I camerati rientravano dalle licenze (invidiosi) portando i ritagli dei quotidiani nazionali che parlavano di noi. Il comandante della SMIPAR ci fece un Cazziottone colossale avvisandoci che stava arrivando da Roma l’ispettore delle armi di Fanteria e Cavalleria, il generale di C.A. Alvaro Rubeo..

Quando arrivo Rubeo adunata generale, un’ora di cazziottone ancora più grande, che concluse con le seguenti parole:
“Ragazzi, se avessi avuto vent’anni, sarei stato con voi. Folgore!”

Ci fù allora il “folgore” spontaneo di tutta la truppa, spontaneamente gli AIP presero Rubeo sulle spalle (insomma gli fecero il seggiolino) e gli fecero fare un giro d’onore. (cose da non credersi!!!!)

La consegna finì, ci furono delle indagini di polizia e alla fine furono presi provvedimenti solo per il carissimo G, (propaganda punitiva per 3 mesi) che era stato l’unico ad essere stato riconosciuto da Z, un infame che stava tra noi.

Nei giorni successivi la giunta comunale chiese il nostro trasferimento altrove. Subito i commercianti di pisa, pizzaioli, osti e ristoratori chiesero al sindaco di ritirare la richiesta e così fu.

Al tenente P2 (riconosciuto successivamente dalle foto) fu rifiutata la domanda di entrare in servizio permanente effettivo. Ancora oggi, con la mente serena e pacata di un adulto, credo che sia stato uno sbaglio non dare la possibilità a P2 di fare carriera nella Folgore, sarebbe potuto diventare un magnifico ufficiale. Quella famosa sera gli sono stato sempre vicino e ritengo che solo grazie a lui, la “marcia su Pisa”, non si sia trasformata in un macello.

Vi chiederete coma mai gli altri due sten, P1 ed F, organizzatori della spedizione siano completamente scomparsi dalla scena. Non pensate male di loro. Hanno svolto un ruolo fondamentale che non vi posso dire, altrimenti cercando tra gli ordini di servizio di quel giorno, ammesso che esistano ancora, sarebbero inequivocabilmente individuabili.

 
Quasi vent'anni fa - di Alessandro Bartolini
  Livorno, Febbraio 1979. 2° BTG. Tarquinia VI CP GRIFI. Comandante Cap. Roberto Martinelli. "Il Grifo" alias Cap. Martinelli, convoca me e gli altri comandanti di squadra del 1° plotone per comunicarci che un'aliquota della compagnia avrebbe partecipato all'esercitazione denominata "Muflone 79". Le unità interessate sarebbero state 4: 1° plotone della VI CP GRIFI , aliquota di incursori del 9° BTG. Col Moschin, la C.E.PAR. (Compagnia Esplorante Paracadutisti) che al tempo era comandata dal Cap. Celentano, attuale comandante della Brigata ed in ultimo un A-Team delle U.S.S.F, i Berretti Verdi americani. Il "canovaccio" dell'esercitazione consisteva nell'ipotesi, spesso praticata all'epoca, della guerriglia con relativa controguerriglia. La C.E.PAR. simboleggiava l'esercito regolare e si occupava di controguerriglia. Noi della Sesta, quelli del 9° e gli americani, riuniti in un unico gruppo eravamo i guerriglieri. La zona delle operazioni era l'Appennino Pistoiese e più precisamente il covo di noi guerriglieri era base Alpha, un edificio destinato a colonia estiva in località Macchia Antonini vicino Prunetta. Il primo plotone della Sesta raggiunse la colonia e vi si installò. Nella notte gli elementi degli altri due reparti si aviolanciarono da un C130 americano e guidati dal c.m. Atzeni della Sesta ( che si guadagnò così, invidiatissimo, il brevetto U.S.A.) raggiunsero la colonia. Da lì partivano le "sortite". Una squadra della VI, alcuni Incursori alcuni Berretti Verdi e via a preparare imboscate alla C.E.PAR. Io ed il mio amico Roberto, compagno di pazzie, scappammo dalla colonia con la copertura del STen. Falduzza e facendoci circa 35 Km. di corsa arrivammo alla stazione ferroviaria dove prendemmo il treno per Livorno. Aspettammo davanti alla Vannucci l'ora della libera uscita e non visti entrammo in compagnia a prendere le chiavi della mia auto. L'auto, una gloriosa A112 portante posteriormente un grosso adesivo raffigurante un paracadute sormontato dalla scritta "Arditi del Cielo" fù la nostra "tecnica" con la quale tornammo non visti alla colonia, base Alpha. Il blitz durò circa 4 ore. Un dettaglio, in questa esercitazione non c'erano gradi per rendere più verosimile la cosa. Ognuno si scelse un nome di battaglia, io mi chiamavo "Junio" in onore di Junio Valerio Borghese comandante della X. MAS. Mi sto meravigliando di come sono ancora vividi i ricordi. Feci sapere al ten. Fusari del 9°che comandava tutti noi che essendo io di Firenze avevo la possibilità procurarmi un automezzo civile facendomelo portare dalla mia ragazza. Due ignobili menzogne in quanto la "tecnica" era già lì ben mimetizzata e la mia ragazza in quel momento non esisteva proprio, in quanto in quell'anno breve, inteso ed indimenticabile non c'era posto per alcun rapporto amoroso tranne quello fra me e la Folgore del quale come vedi porto ancora i postumi. Non appena la "tecnica" venne presa in forze a base Alpha iniziò il vero divertimento devo ammettere che fummo dei privilegiati, io e Roberto che con la A.R. civile giravamo in borghese con i F.A.L. a fianco. Facemmo così delle ricognizioni a lungo raggio che ci permisero di localizzare i campi base della C.E.PAR. che uno per uno previa eliminazione delle sentinelle furono cancellati. Durante una di queste ricognizioni effettuate sempre rigorosamente in borghese vedemmo un carabiniere fermo cavanti alla caserma in località Le Piastre. Pestai sui freni a causa del lampo di genio di Roberto che mi disse: chi meglio dei carabinieri della zona può fornirci informazioni su movimenti di mezzi militari in zona. Bingo!!!!, fermai la macchina a circa 50 cm. Dal milite e gli chiesi se aveva visto paracadutisti e mezzi militari in zona. Al momento non capivamo come mai questi ci guardasse con gli occhi sbarrati non riuscendo a proferire parola. Solo in un momento successivo ci siamo accorti che il suo sguardo era fisso sui F.A.L. privi di tromboncino appoggiati sulle ginochhia mie e di Roberto il quale stava peraltro anche giocherellando con il dito sul grilletto con la canna rivolta in direzione del malcapitato (erano i tempi caldi delle B.R. 1979). Dopo le opportune spiegazioni e fatte le nostra scuse non ce la siamo sentita di replicare quando ci ha detto di andare a…….. noi e tutta la Folgore. Oltre che obbiettivi difesi dalla C.E.PAR. ve ne erano alcuni sotto il controllo del Genio, uno di questi era un ponte ferroviario dismesso che attaccammo e prendemmo con successo. Nell'azione furono usate la mia "tecnica " ed un camion . Il camion lo noleggiammo frugandoci in tasca e facendo la colletta. Nel cassone del camion presero posto circa venti parà, nella "tecnica" io armato di F.A.L. ed alla guida travestito da donna mediante una carinissima pezzuola sulla testa il Ten. Fusari. Per inciso mi ricordo che Fusari aveva un ascesso ad un dente ed erano circa 5 giorni che conviveva con un dolore lancinante che avrebbe tenuto a casa per un mese qualsiasi pubblico dipendente. Alle ore 23.00 il convoglio parte da base Alpha e si dirige verso l'obbiettivo, la tecnica precede il camion di circa 20 metri. L'azione si svolge in un attimo, io avevo tirato giù il ribaltabile ed ero sdraiato accanto alla "Signora Fusari" la quale in prossimità del nucleo a difesa del ponte ferma la tecnica e tirato giù il finestrino con voce suadente attira l'attenzione dell'incauto Tenente del Genio. Nel frattempo io scivolo giù dal lato destro dell'auto e mentre il Geniere sta per attraversare la strada per fornire informazioni ad una così bella signora gli lancio una castagnola e una raffica di F.A.L..A tale segnale convenuto il telone del camion che nel frattempo si era fermato dietro alla A112 come por miracolo vola via e 20 Folgorini urlanti cominciano un concerto fatto di raffiche di F.A.L. e castagnole. I poveri Genieri ammutoliti "fanno la cartella " e tornano a casa. Piccola nota di colore, sul ponte in oggetto erano solite soffermarsi le coppiette della zona in vena di effusioni e quella sera c'erano quattro macchine. Dopo l'inizio dell'attacco che durò neanche un minuto al posto delle quattro auto c'erano solo strisciate di pneumatici lunghe qualche decina di metri. In un altro attacco catturammo l'allora Ten. Teobaldi della C.E.PAR. che si vide uscire da una A112 due Grifi armati. Il Tenente e l'autista furono scortati a base Alpha ma durante il tragitto Teobaldi pur con le mani legate dietro la schiena fuggi unseguito da una raffica di F.A.L. che in caso reale avrebbe messo fine alla corsa. Devo precisare che comprendo bene l'atteggiamento del Tenente, meglio una fuga da Highlander che le ire del Cap. Celentano. A base Alpha erano giorni splendidi di puro divertimento finché il nostro addetto alla radio, solito coglione, ogni compagnia ha i suoi, rivelò ad un furbo radiotelegrafista della C.E.PAR. la posizione della base. Nel giro di 10 minuti base Alpha venne evacuata ed iniziò una precipitosa ritirata. Dulcis in fundo cominciò a piovere e durò ininterrottamente per quattro giorni. In tre giorni ci portammo da base Alpha non toccando strade per non essere visti fino all'aereoporto di Tassignano. La marcia forzata sotto la pioggia battente fù veramente dura era febbraio e faceva un freddo cane, la notte dormivamo abbracciati per riscaldarci l'un l'altro. Avendo inoltre dovuto lasciare praticamente tutto all'infuori di armi e munizione alla base l'unica cosa che riuscivamo a mangiare era qualche cesto di insalata strappato in qualche orto che trovavamo lungo il cammino colto e consumato senza smettere di camminare. Arrivati a Tassignano non ne potevamo veramente più e non vedevamo l'ora di tornare all'Hotel Vannucci in quel dell'Ardenza. Avevamo fatto però i conti senza la burocrazia da sempre nemica della logica. L'esercitazione era stata programmata per finire il giorno successivo e pur avendo conseguito tutti gli obbiettivi avevamo commesso l'errore di arrivare un giorno prima. Il ten Fusari si mise in contatto con il comando ( il suo ascesso aveva raggiunto le proporzioni di una mongolfiera). Dal Comando Brigata arrivò la risposta alla nostra richiesta di evacuazione : "Disponetevi per la notte a difesa zona lancio, sarete evacuati all'alba". Ti puoi immaginare che dopo 4 giorni sotto la pioggia ed il gelo sognando una doccia calda ho seriamente pensato al suicidio. Dopo circa un'ora eravamo comunque riusciti ad accendere un flebile fuoco nella palude dove eravamo e ci siamo riscaldati scherzando ed intonando i nostri canti per tutta la notte fino all'alba quando i camion della Sesta sono venuti a prenderci. Un 'altro episodio che ricordo con piacere è quello avvenuto in un paesino della Maremma del quale non ricordo il nome, in cui le parti erano invertite rispetto all'episodio precedente la Sesta faceva controguerriglia ed un'altra compagnia del 5° El Alamein faceva la parte dei guerriglieri. Durante queste esercitazioni si potevano usare i cosiddetti "partigiani" cioè parà in borghese che svolgevano compiti di "intelligence" un po' come facemmo io e Roberto nell'episodio antecedente. Stavo girando con l'A.R. con su alcuni elementi della mia squadra perlustrando paesini con un pugno di abitanti quando ci imbattiamo in un baldo giovane con i capelli a spazzola tuta ginnica celeste e libri sottobraccio. Questo studente podista era un po' fuori luogo in quei posti sperduti della Maremma e mi sembrò più plausibile l'ipotesi di un "partigiano" che non avesse usato molta "intelligence" nel travestimento. Detto fatto, legato il malcapitato sul cofano dell'A.R. ci accingemmo a portarlo alla D.E.(Direzione Esercitazioni). Durante il tragitto avvicinandoci al primo paesino che avevamo superato in senso inverso una mezz'ora prima mi venne in mente la sua chiesa con la scalinata antistante la facciata insieme all'immagine di un film che avevo visto. Dissi all'autista di frenare e mi accordai con i componenti della squadra e col prigioniero. Arrivammo sgommando davanti alla scalinata della chiesa, in tre tolsero il prigioniero dal cofano e lo portarono legato e bendato sulla sommità della scalinata. Solo allora scesi dall'A.R. e comandai l'improvvisato plotone di esecuzione. Nella piazza una signora sui 40 lasciò cadere la borsa della spesa e si mise a correre mentre un allibito nonnetto su una panchina a circa 20 m ci guardava con il toscano spento in bocca. Appena detti l'ordine di aprire il fuoco e partì una breve raffica (ovviamente a salve) ed il prigioniero con un urlo stramazzò al suolo. Da una finestra di un edificio antistante la chiesa una donna urlò "assassini" e richiuse sbattendo la finestra. Trenta secondi di assoluto silenzio che fu rotto solo dalle nostre irrefrenabili risate (non ho più riso come quella volta). Il fucilato si rialzò e tutto finì all'osteria del paese. Spero di non aver annoiato chi leggerà questi ricordi vecchi di vent'anni ma ancora freschi dentro di me. Da contatti che ho con alcuni camerati della Sesta che sono rimasti e prestano servizio attualmente nella Brigata so che episodi del genere sarebbero oggi irripetibili sia per situazioni contingenti che per carenza di motivazione sia degli ufficiali che dei singoli parà. Mi diceva questo mio amico che saluto (ciao Francesco) che adesso per fare una pattuglia di due o tre giorni a comandarla ci vuole quasi un generale. Per me come per ogni comandante di squadra era la norma uscire da solo con i suoi uomini in pattuglia anche per due o tre giorni. Per chi deve partire per la SMIPAR, un consiglio: cercate di vivere l'anno nella Brigata con entusiasmo, rimarrà il più bello della vostra vita e vi servirà anche nel futuro per superare gli ostacoli che immancabilmente vi troverete davanti. Nel mio lavoro sono continuamente in contatto con tante "piccinerie umane" ( sono architetto libero professionista ) con tante cose che nella "cosa pubblica non funzionano". Nel mio studio sulla scrivania ho il crest del Secondo Battaglione e non immaginate quante volte il guardarlo mi da la forza di andare avanti in situazioni in cui verrebbe la voglia di gettare la spugna. Questo è lo spirito della Folgore che ti guida sempre e ti aiuta a non arrenderti mai anche dove le armi non servono. Spero di trovare il tempo per scrivere ancora perché in un anno ne abbiamo combinate tante.
Cuori d'acciaio sempre all'erta!!!!!!!

Alessandro, un Grifo

 
Primo lancio di brevetto
di Catello Agostinese

  Vorrei che questo mio racconto venisse inserito nella sezione "Storie e Leggende sulla Folgore". La storia è vera e facilmente verificabile e vi fornisco i seguenti elementi:
Primo lancio di brevetto civile per gli allievi paracadutisti del 2° contingente 1969 - seconda compagnia - settembre 1969 - zona di lancio : Cecina. Lo scrivente al il brevetto N° 27230 (civile 06.09.69 - militare 29.10.69).
Era il nostro primo lancio di brevetto civile (quindi eravamo tutti freschi di "CORSO PALESTRA"). Già al punto di raccolta (avevamo effettuato il lancio a Cecina) correva voce di un incidente grave. La conferma e i particolari dell'incidente arrivò in caserma : incidente mortale per "MALFUNZIONAMENTO". La sorte volle che la vittima fosse un Caporale Istruttore. Provate ad immaginare lo stato d'animo di noi, allievi paracadutisti al primo lancio, che ci apprestavamo ad affrontare il secondo lancio il giorno successivo (all'epoca i tre lanci di brevetto civile avvenivano in tre giorni consecutivi). In serata la seconda compagnia fù adunata nel cortile della casermetta a parlarci fù il nostro comandante : il Capitano Botti. Pochissime parole che mi ritornano alla mente precise, come se vedessi un filmato. " Allievi - ci disse - qual'è il motto della seconda compagnia? " e tutti rispondemmo: "con la morte a paro a paro!!" e il Capitano Botti di rimando: "e allora domani tutti giù!!" il giorno dopo da parte nostra non vi fù una sola defezione. La seconda compagnia fù regolarmente aviolanciata. Al Caporale, morto durante l'adempimento del propio dovere va ancora il mio ricordo, al Capitano Botti il mio ringraziamento. Personalmente sono fiero ed orgoglioso di aver vissuto quel momento.

Artigliere Paracadutista Catello Agostinese

 




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