In tutti i libri, riviste, siti internet, blog sull’italiano a stranieri che ho letto, e nei corsi di formazione e conferenze a cui ho assistito, la teoria e la pratica la fanno da padroni e animano la festa. Non c’è da stupirsi, dato che la glottodidattica è per definizione una disciplina teorico-pratica.

C’è però un grande ignorato, quello che alle feste non lo invitano: il trattino tra le due parole. Il trattino non discetta di didattica dell’italiano in prospettiva interculturale, né propone dadaverbi per fissare il congiuntivo, eppure se qualcuno lo cagasse un po’ e gli chiedesse qualcosa, ne avrebbe da dire. Potrebbe per esempio spiegare come fare quando gli studenti arrivano un po’ alla volta e l’insegnante non sa se iniziare la lezione o aspettare, o quando uno studente crea problemi in classe, o come organizzare lo spazio della lavagna. E la lista potrebbe continuare con: come didattizzare un testo scritto/orale; come fare con persone poco alfabetizzate; come fare con chi ha incapacità fisiche o non vedenti; come migliorare l’acustica della classe; come sfruttare al meglio lo spazio della lavagna.

Sono tutti problemi concreti che gli insegnanti vivono tutti i giorni, ma che nessuno aiuta loro a risolvere: non abbastanza teorici da suscitare interesse accademico, non abbastanza pratici da essere attività didattiche.

ParallelePrendete per esempio questo numero del bollettino ITALS dedicato alle tecniche didattiche. Nell’introduzione si dice: “La natura teorico-pratica del bollettino ci stimola a favorire la diffusione di (buone) pratiche e non solo di saperi.” E giù attività per fissare il fissabile. Del resto è questo che vogliono gli insegnanti: attività didattiche. O no? Qui l’opposizione non è nemmeno troppo velata: da un lato le pratiche, dall’altro i saperi, indipendenti tra di loro e inutili gli uni alle altre.

L’area grigia del trattino parlerebbe invece di pratiche generali e saperi pratici, di cui gli insegnanti hanno una gran fame. A riprova di questo c’è il fatto che il post più cliccato di questo blog è “Come didattizzare un testo scritto?” Che poi chi lo legge lo trovi utile, è ovviamente un altro paio di maniche, ma è il segnale secondo me del bisogno di questo tipo di indicazioni.

Va da sé che non ce l’ho con il bollettino ITALS, lo cito solo come esempio illuminante di una situazione che, oltre a vedere navigando in rete, ho vissuto personalmente durante un memorabile corso di formazione con una professoressa di un’università per stranieri. Il tema del corso era di quelli che gli insegnanti non vedono l’ora di trattare: le dinamiche all’interno della classe. Dopo uno sciorinamento di lucidi su varie teorie sociologiche e interpersonali, una collega pone un problema concreto che aveva avuto con uno studente (adulto), il quale ad ogni errore degli altri rideva a voce alta in segno di scherno. Come fare? chiede l’insegnante. Risposta della professoressa: al primo errore che questo studente fa devi ridergli in faccia tu, di fronte a tutti, e poi dirgli: hai visto? E’ bello quando qualcuno ride dei tuoi errori, eh?

Gelo in sala, tonfi sordi di braccia e palle che cadono. La goffaggine e la totale inutilità della risposta della prof stonavano pesantemente non solo con la sicurezza esibita al proiettore dei lucidi, ma anche con i ripetuti e compiaciuti accenni ai suoi “vent’anni di esperienza.”

Se poi aggiungiamo anche l’esperienza del Master, spero si capisca perché nutro quasi zero fiducia nella capacità del mondo accademico di aiutare gli insegnanti a risolvere questi problemi. Credo piuttosto che un aiuto possa venire da quegli insegnanti con molti anni di esperienza e che hanno letto molti libri senza però mai smettere di entrare in classe. Segnalo un blog (in inglese) come esempio. Se c’è qualcun’altro, batta un colpo.

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