Ipse dixit. Fabrizio parla di sé.



Penso che chi fa la mia conoscenza rimanga sicuramente deluso. Perché non sono un atleta della parola, del dialogo, non sono allenato in tal senso, non faccio il politico né l'avvocato e quindi ho bisogno di riflettere per non dire delle sciocchezze. Se non rifletto, facilmente mi escono fuori dalla bocca dei luoghi comuni.
[In D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 37]

Ai concerti io sono quasi sempre ubriaco, non essendo mai riuscito a vincere definitivamente la paura di andare in pubblico, di essere criticato. D'altronde io sono il primo a criticarmi, in fondo ho anche paura di me stesso, sono sempre seduto in prima fila a dirmi"ma guarda che stai assumendo degli atteggiamenti cretini" o "cosa stai a fare ancora lì alla tua età"... Quindi sono sempre al limite della vergogna, se devo esprimermi in termini molto terra terra.
Magari chi non mi conosce mi reputa probabilmente diverso da quello che sono.
[In D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 38-39]

Mi riesce un po' difficile convincermi che tutti possano aderire al mio punto di vista, che si trovino tutti sulla mia lunghezza d'onda, con tanta compattezza, senza che qualcuno dissenta.
[In D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 70]

S'è detto, s'è cercato di capire il motivo di certe mie asperità di carattere, di un mio scappare dalla gente, di una selvatichezza che mi rendeva antipatico e inavvicinabile. La verità è molto banale. Fin da piccolo avevo paura degli altri a causa del mio occhio sinistro. La mia palpebra soffriva di una forma di paresi, per cui mi pendeva sull'occhio chiudendolo più della metà. Questa imperfezione mi faceva sentire brutto, diverso, impresentabile. Ero arrivato al punto di credere che, se qualcuno mi guardava, lo faceva soltanto perché era stato colpito dal mio difetto. Un difetto che ha rovinato la mia vita fino all'età di trentacinque anni. Fino a quando, cioè, con una semplice operazione, ho rimediato a tutto. E' stato, quello dell'occhio, un complesso gigantesco e terrificante, dal quale sono derivati quasi tutti gli altri che, più o meno, ancora oggi mi affliggono.
[In E. Ferri, Il poeta è tornato, "Anna", 16 ottobre 1990]

Ho sempre impostato la mia vita in modo da morire con trecentomila rimorsi e nemmeno un rimpianto.
[In La mosca bianca della piccola musica, "Rossana", 11 dicembre 1967]

Io, se non vivo di emozioni, mi sento inutile.
[In C.G. Romana, Fabrizio De André. Amico fragile, p. 116]

Cosa odio e cosa amo in me stesso? Ce ne sono molte di cose che odio in me stesso, ma in particolar modo l'arrendevolezza, soprattutto dal punto di vista sentimentale: le donne fanno di me ciò che vogliono. Con loro, ecco, manco di volontà. La cosa che in me stesso amo di più? L'arrendevolezza. Sono affezionato alle qualità negative che mi caratterizzano".
[In L. Viva, Vita di Fabrizio De André, p. 86]


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