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DOSSIER
21/11/2008 (7:19) - IERI LA PRESENTAZIONE
Juve, lo stadio dei sogni
DOSSIER Qui Juve
L'architetto buddhista l'ha progettato senza barriere: «Abbiamo abolito l'arroganza». Pronto nel 2011, l'orgoglio di Blanc: «Solo due anni fa era un'opera impensabile»
MASSIMILIANO NEROZZI
TORINO
Il primo stadio «non violento» d’Italia apre fra tre anni a Torino, domicilio Juve. L’hanno disegnato, e pensato, un architetto colombiano che lavora a Roma, Hernando Suarez, e il collega torinese Gino Zavanella, devoto a due religioni: quella bianconera e quella buddhista. Le barriere tra prato e gradinate sono state quasi azzerate, portando le prime file a teatro, mica a vedere il pallone. Un campo di battaglia finalmente diventato luogo di pace. Quel basso parapetto ai contorni del verde, ben visibile nella simulazione presentata ieri all’auditorium Agnelli del Lingotto, faceva tanto stadio inglese, con tanto di ristoranti e fan shop: era il futuro, invece, per una volta in Italia.

«È venuto come ho l’ho sempre voluto e come l’ho sempre sognato - dice l’architetto Zavanella - uno stadio senza arroganza, senza autocelebrazione. Una di quelle costruzioni che invece si piazzano nel paesaggio e sembrano dire: “Qui ci sono io, e delle altre cose non m’importa». Se l’assemblano come l’hanno progettato, è davvero lo stadio dei sogni: mica solo della Juve, certo per ragioni di proprietà, ma di tutto il calcio italiano. «Volevo uno stadio non violento - racconta ancora l’architetto - facilmente assimilabile a ciò che aveva intorno. Senza barriere. Che comunicasse traquillità, accogliente». È una vita che Zavanella porta avanti l’idea che già trasformò l’Inghilterra degli anni ‘80 e che s’è infilata quasi ovunque, in Europa, tranne che in Italia: «La violenza si combatte anche facendo impianti belli e funzionali, da vivere sette giorni su sette».

Da queste parti, siamo al Giurassico: «Abbiamo degli stadi orrendi, i più brutti»: detto da uno che, per dare una forma a quello della Juve ne ha visti «73, in tutto il mondo. E questo sarà il più bello». Ai padri si perdonano anche le esagerazioni. Tante cose colpiscono, della rappresentazione a tre dimensioni proiettata, la più rivoluzionaria è la semi sparizione delle palizzate tra campo e pubblico. Peccato che nessuno, durante la presentazione, ne faccia cenno. Dal pelo dell’erba, la divisione misura 2,60 metri, come prescritto, ma lo spettatore se ne trova davanti poco più di un metro, poiché il pavimento dell’impianto è già innalzato di un metro e mezzo sul livello del campo. Visuale perfetta, insomma, a meno di nove metri dai giocatori, stando in prima fila. «È essenziale, leggerissimo - continua l’architetto Suarez - fino alla copertura che diventa pelle».

Pure lui parla di pace, calma, tranquillità, parole ormai espulse dal contorno del pallone: «Abbiamo sfruttato le pendenze del terreno già esistenti - dice - calandolo in una piazza aperta. Lasciando alle persone un facilissimo senso dell’orientamento, anche con gli altissimi pennoni (90 metri, ndr) a nord e a sud: un particolare che trasmette sempre molta calma». Pensare che quasi era abortito, confessano il presidente bianconero Giovanni Cobolli Gigli e l’ad Jean-Claude Blanc, colui che più l’ha voluto, quando fu bocciata la candidatura dell’Italia agli Europei 2012. Invece, «in 60 giorni», fu inventato l’accordo con Sportfive, colosso del marketing sportivo: la commercializzazione del nome dello stadio (a uno sponsor) in cambio di 75 milioni di euro in 12 anni. Lo finanzieranno, insieme ai 20-30 ricavati dalle zone commerciali e ai circa 50 del mutuo che verrà acceso.

«Solo due anni fa era impensabile, ma noi volevamo essere innovativi - attacca Blanc - e sviluppare un business sostenibile». Una scelta «lungimirante», per il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. Adesso, l’ammirano tutti, il progetto che dal marzo prossimo verrà assemblato sui resti del vecchio Delle Alpi. Compreso il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete e quello della Lega, Antonio Matarrese, che prima o poi dovrebbe essere scritturato da Zelig: «Le prime volte arrivava Blanc, con queste carte e neppure parlava bene l’italiano, e io pensavo: “Ma questo che vuole?”. E poi Cobolli Gigli: mi faceva tenerezza». Per fortuna, c’è pure il capitano di oggi, Alex Del Piero, sul palco, e quello di ieri, Giampiero Boniperti. E l’azionista di maggioranza, John Elkann, pensa a loro, tirando fuori il pallone di antico cuoio con cui la Juve vince il campionato 1950: «C’era lei - dice indicando Boniperti - e ora l’affido a Del Piero. Perché questo stadio sia il simbolo del passato e lo stimolo per il futuro». Costerà 105 milioni di euro: ben spesi, per una nuova casa, senza più violenza.
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