La vittoria strategica
Vittoria a Vegas de Jibacoa
(Capitolo 21)
Fidel Castro Ruz
Nel messaggio già citato, che avevo inviato al
Che il 20 luglio, poche ore prima della resa del
Battaglione 18 a Jigüe, gli avevo annunciato
che avremmo intrapreso due operazioni simultanee
contro le forze nemiche, a Santo Domingo e a
Vegas de Jibacoa, e gli avevo anticipato che
lui sarebbe stato al fronte di quella seconda
missione. Il Che mi aveva risposto con una breve
nota in cui mi chiedeva di conversare
personalmente con me, perchè i “progetti doppi”
gli sembravano “troppo rischiosi”, alla fine si
convinse che non solo erano raccomandabili, ma
anche fattibili, quando seppe del bottino
catturato a Jigüe e a Purialón, e della
possibilità reale di contare, a partire da quel
momento con più di 300 uomini armati.
Io avevo deciso di dare priorità all’operazione
contro le truppe di Santo Domingo, prima di
tutto, perchè continuava ad essere la più
pericolosa e perchè la sua liquidazione avrebbe
rappresentato un colpo molto serio, quasi
mortale al nemico, da una piano materiale come
morale. Ma inoltre era a Vegas de Jibacoa dove
avevamo stabilito con la Croce Rossa
d’effettuare il 22 luglio la consegna delle
guardie prigioniere a Jigüe.
A proposito dei preparativi di quella consegna,
il Che mi inviò, il 21 luglio, un messaggio nel
quale, tra le altre cose mi diceva le cose
seguenti:
“Ricorda che devi tracciare un piano per
domattina, dato che la Croce Rossa mandò a
chiedere l’ora. Dobbiamo portare tutti i feriti
laggiù e mandare un messaggero a Vegas. Il
piano è il seguente: comunicare al comandante di
Vegas, per mezzo di una messaggera femmina,
l’ora in cui inizierà la consegna, annunciando
che avverrà nella casa di Bismark;
precedentemente occupare le alture di Bismark e
la cima di fronte con un paio di squadre;
avvertire che se l’aviazione continua tanto
attiva non potremo fare la consegna a quell’ora
e dovevamo aspettare la notte; accettare che
nelle casa di Bismark ci fosse il
rappresentante della Croce Rossa con le
autorità, senza fare ostentazione di forza e
dire il numero approssimato dei feriti avvisando
che nelle prossime consegne avremmo consegnato
un maggior numero di prigionieri feriti”.
Comunque in quel messaggio il Che si lamentava
della mancanza di mie notizie : "[...] sta già
diventando quasi nero il tuo silenzio”. Quasi di
sfuggita m’informava che Minas de Frío era senza
novità e concludeva con queste parole, che erano
il riflesso eloquente del nostro stato d’animo
per gli avvenimenti vittoriosi di Jigüe:
"Manca un brindisi per festeggiare questo".
La messaggera femmina a cui si riferiva il Che
era Teté Puebla, efficaze collaboratrice di
Celia, che ebbe una partecipazione notevole in
questo episodio e più avanti divenne la seconda
capo del plotone femminile Mariana Grajales. La
casa in questione era la tenda del collaboratore
contadino Bismark Galán Reina, che durante
molto tempo ci servì come posto di comando di
Celia, nei suoi compiti di rifornimento del
nostro sforzo guerrigliero, sino a che dovemmo
evacuarla per via dell’imminenza dell’entrata
del nemico a Vegas de Jibacoa.
Quello stesso giorno, Radio Rebelde informò:
Domani martedì 22 luglio alle 14.00, nel
pomeriggio, speriamo di consegnare alla Croce
Rossa Internazionale i militari feriti
prigionieri dell’Esercito Ribelle da vari
giorni.
Accettato dal capo delle operazioni nemiche che
la consegna dei prigionieri si effettui nella
zona di Vegas de Jibacoa, dove possono giungere
i veicoli motorizzati, il Delegato
Internazionale della Croce Rossa, il Signor
Peirre Jecqier [Pierre Jacquier] ed i suoi
accompagnatori, è cominciato il trasferimento
dal territorio libero di Cuba verso questa zona
dei detti feriti.
Resta solo che il capo delle operazioni ordini
agli aerei nemici di sospendere i mitragliamenti
ed i bombardamenti, mentre si effettua la
consegna dei feriti al delegato della Croce
Rossa Internazionale.
Questa è esattamente una delle regioni più
colpite dal napalm e dalle bombe esplosive in
questi giorni.
Immediatamente al termine del processo di
consegna dei feriti, gli aeree della tirannia
possono riannodare i loro mitragliamenti ed i
bombardamenti, perchè a noi ribelli questi raids
aerei non fanno impressione e ci già siamo già
più che abituati.
La nostra protesta contro i bombardamenti si
riferisce solamente a quelli che si effettuano
criminalmente contro l’indifesa popolazione
contadina.
I medici ribelli hanno fatto sforzi incredibili
per salvare ed assistere questi soldati
feriti, riuscendo a guarirli in molti casi,
nonostante la carenza di risorse mediche e la
quantità di feriti.
Speriamo che stamattina staranno tra le mani
umanitarie e protettrici della Croce Rossa
Internazionale questi prigionieri feriti”.
La mattina del giorno 22, il Che ricevette il
seguente messaggio del capitano Carlos Durán
Batista, capo della truppa ubicata a Vegas, con
il quale già il Che aveva stabilito una
comunicazione mutuamente rispettosa:
“Comandante della Colonna 8 - Sierra Maestra
Signore: Rispondendo al suo scritto, la devo
informare che ho ricevuto ordini dal Generale
Capo della Zona delle Operazioni perchè la
garanzia, sia per i feriti, come per qualsiasi
altra persona che giunga in questo Posto.
L’accordo della Croce Rossa Internazionale,
così come qualsiasi atro tre cavalieri ed
esseri umani sarà sempre rispettato da me e
dalle truppe che comando.
Devo informarla anche che
la Croce Rossa
a quest’ora non è ancora arrivata in questo
Posto, ma sappiamo che giungerà a momenti.
Nonostante, se Lei lo stima, può evacuare i
feriti che desidera e che saranno assistiti dal
nostro Dipartimento della Sanità, con tutto
quello che si può e con le stesse garanzie della
Croce Rossa.
Mi creda che da parte nostra abbiamo ben
considerato la sua lettera ed abbiamo informato
i superiori perchè anche le altre unità lo
facciano.
Con il rispetto e la considerazione che Lei
merita, le reitero i miei saluti”.
Si noti il tono di questo messaggio ed il
riconoscimento implicito da parte del capo
nemico nell’affrontare, non i capoccia di una
banda di banditi, come faceva vedere la
propaganda dell’Esercito, ma un vero avversario
degno e organizzato. Vale la pena segnalare che
il capitano Durán Batista non commise crimini
nè abusi durante la sua presenza a Vegas e, dopo
la sua cattura eseguita dal Che, chiese di
restare tra di noi e mantenne un atteggiamento
decoroso e di cooperazione sino alla fine della
guerra.
A quel messaggio il Che rispose immediatamente
con un’estesa comunicazione che fu portata
personalmente da Teté Puebla al posto di comando
nemico a Vegas. Per il suo significato, vale la
pena di riprodurlo in forma integra in queste
pagine:
“Stimato Capitano: rispondo urgentemente alla
sua comunicazione con questa stessa data, con
il fine di chiarire alcuni concetti della sua
lettera e annunciarle inoltre che, data la
sicurezza da lei offerta, invierò i feriti più
gravi senza aspettare l’arrivo della Croce Rossa
Internazionale.
Questi feriti si trovano un poco distanti dal
posto stabilito e, dati i pessimi cammini della
Sierra, non posso annunciare un’ora fissa per
l’arrivo. Dovete aspettarli da questa notte e
vedremo se potremo farli arrivare durante la
stessa. Le reitero la sicurezza della tregua,
che sarà strettamente rispettata da tutti noi.
Nonostante questo vorremmo sapere sino a quando
durerà la tregua, per astenerci dal fare
movimenti militari in questa zona, evitando così
scontri che potrebbero danneggiare questa bella
azione di fraternità nel dolore. Per noi sono
necessarie 48 ore a partire dall’arrivo del
delegato della Croce Rossa Internazionale,
annunciato dalla radio per le 14.00 del
pomeriggio di domani. A partire da
quell’istante saranno automaticamente rotte le
ostilità, salvo indicazioni espresse del
contrario. Devo chiarirle anche che per noi la
tregua esiste strettamente nella zona di Vegas,
pregandola di comunicarmi prima delle 6.00 di
domattina la durata della tregua data dal suo
Stato Maggiore.
Ovviando le responsabilità devo comunicarle che
i feriti si muoveranno nella zona compresa tra i
seguenti vertici: Vegas, Mina del Frío e alture
di Jigüe; se si ripetono i bombardamento e i
mitragliamenti effettuati oggi su questa zona,
potrebbero accadere altre lamentabili disgrazie.
Non è una mia esagerazione avvisarla di tutto
questo, dato che per ordine diretto del nostro
Comandante Capo Fidel Castro, consegneremo,
oltre ai feriti, tutti i sopravvissuti del
Battaglione 18 di fanteria, guidato dal
comandante Quevedo, arresi alle nostre forze.
Prendiamo questa decisione basata in ragioni
umanitarie, per il grado di denutrizione a cui è
giunta questa truppa, dopo aver resistito per
dieci giorni all’accerchiamento in un eroico
quanto sterile sacrificio.
[...]
Desiderando stringere la sua mano in più felici
circostanze per Cuba e in un gruppo di compagni,
la saluta cordialmente, Che.
Comandante della Colonna No. 8 "Ciro Redondo".
Il generale Eulogio Cantillo, capo della zona
d’operazioni, firmava il 22 luglio, nel posto di
comando di Bayamo, una direttiva per
l’evacuazione dei feriti e dei prigionieri, in
cui stabiliva che l’operazione sarebbe avvenuta
il giorno seguente alle q4:00 del pomeriggio.
La Croce Rossa si sarebbe mossa da Manzanillo o
da Bayamo sino a Yara e ad Estrada Palma, e
avrebbe formato un convoglio di camion e
fuoristrada per giungere a Vegas quello stesso
giorno e la mattina del giorno dopo.
Nella direttiva il generale Cantillo chiariva
quanto segue:
“Il trattamento dei ribelli, nel caso in cui
accompagnino i feriti, dev’essere cortese ma
fermo, e non si lasceranno avanzare al di là
degli avamposti dell’Unità, nè fraternizzare con
la truppa e si chiederà il loro ritorno appena
avranno consegnato feriti e prigionieri”
Il 23 luglio, durante la mattina, Faustino Pérez
e Carlos Franqui giunsero con un gruppo di
feriti a Vegas e firmarono, a nome dell’Esercito
Ribelle, il documento di consegna delle prime
15 guardie ferite, le più gravi. Nel corso della
giornata, dopo l’arrivo del convoglio della
Croce Rossa, guidato dal suo delegato Pierre
Jacquier, cominciò ad apparire dal monte e ad
entrare nell’ accampamento nemico
l’impressionante carovana di 238 prigionieri,
includendo altri 42 feriti, per un totale di 253
guardie consegnate quel giorno. È importante
dire che la consegna si svolse normalmente e che
la tregua accordata fu rispettata dalle due
parti.
Se fu sorprendente la presenza di una donna
guerrigliera, Teté Puebla, tra le guardie,
provocò una maggiore sorpresa l’arrivo
improvviso del Che, che scese su un mulo da
Mompié e condivise un buon tratto di tempo
nella casa di Bismark con i rappresentanti
della Croce Rossa e con i capi della compagnia
assediata. Bevettero insieme anche dei buoni
bicchierini di cognac, con il Che e
unilateralmente fu offerto di celebrare le più
recenti vittorie. Il Che stava già diventando
una leggenda e le guardie non tralasciarono
l’opportunità di poter vedere il comandante
guerrigliero argentino.
Non è necessario insistere su quello che
significò quella consegna dei feriti e dei
prigionieri che, ovviamente fu censurato dalla
propaganda nemica. Indubbiamente e
immediatamente corse tra la fila di tutte le
unità che partecipavano all’offensiva, la
testimonianza viva di queste guardie, sia per il
trattamento unitario ricevuto che per la
potenzialità effettiva del forze ribelli, capaci
di sconfiggere e far arrendere un battaglione
completo, di distruggere i suoi rinforzi e
catturare in combattimento una così numerosa
quantità di prigionieri.
Da parte nostra si trattava di un’eloquente
dimostrazione dell’etica con cui si sviluppava
la lotta dell’Esercito Ribelle. Non ho dubbi che
quella prima consegna di prigionieri a Vegas de
Jibacoa ebbe un’ influenza importante nel corso
successivo degli avvenimenti.
Compiuto quell’interludio, eravamo in condizione
di iniziare di nuovo le operazioni per ottenere
la resa della truppa nemica accerchiata a Vegas
de Jibacoa, l’unica che a quell’altezza restava
all’interno della montagna, dopo la ritirata
verso Las Mercedes, del 27 luglio, delle forze
che avevano occupato Minas de Frío, ed anche,
quelle stabilite a San Lorenzo, a compimento
del nuovo piano d’operazioni del nemico a cui ho
fatto riferimento nel capitolo precedente.
Già il 25 luglio, il Che aveva distrutto tutte
le forze nelle alture che circondavano l’
accampamento nemico, concentrato nella piccola
pianura tra le case di Bismark e di Santiago
Torres. In quel settore operavano le squadre
di Joel Iglesias, José Ramón Silva e Luis
Crespo. Il Che e le altre squadre ribelli si
erano situate nel pendio della collina El
Desayuno, direttamente al disopra del solo
cammino che avrebbero dovuto percorrere le
guardie della Compagnia 92 se volevano scappare.
Da quelle posizioni, il Che controllava in
maniera totale qualsiasi movimento, ed era
disposto non solo a fermare a El Desayuno ogni
tentativo di fuga, ma anche sino e colpire il
nemico in ritirata dalla retroguardia.
Seguendo la nostra già provata strategia, da
parte sua, Camilo e i suoi uomini si erano
collocato nel pendio inferiore della collina La
Llorosa,
preparati a respingere qualsiasi tentativo di
rinforzo alla truppa assediata, tanto dal
Battaglione 17 da Las Mercedes come dal
Battaglione 23, da Arroyón.
Va ricordato che l’unico accesso a Vegas dal
piano era attraverso lo stretto cammino che
passava per la collina El Mango e attraversava
poi la collina El Desayuno, dove si snodava
lungo un passo tra il ripido pendio di questa
collina e la gola del fiume Jibacoa, che in
questa regione fluiva tra enormi pietre e grandi
pozze, alcune tra le più spettacolari di tutta
la Sierra.
In quel tratto del cammino, che appena
permetteva il passaggio di un veicolo, fu dove
avremmo potuto montare una resistenza efficace
in occasione dell’entrata del nemico a Vegas.
Non ci riuscimmo allora come vedemmo nel suo
momento, ma io ero deciso a far sì che in questa
occasione il terreno lo avremmo utilizzato al
massimo con le nostre forze e che lì avremmo
realizzato una nuova vittoria. Inoltre coloro
che dirigevano l’operazione erano nientemeno che
il Che e Camilo ed io sapevo bene che non
conoscevano la parola indecisione.
L’importante era che se quel cammino costituiva
l’unica rotta d’accesso a Vegas, ugualmente era
l’unica rotta di fuga della truppa assediata in
quel luogo. Risultava impensabile che l’Esercito
prendesse un altro cammino, dato che qualsiasi
variante lo avrebbe condotto all’interno della
montagna, e a quell’altezza, nelle condizioni
fisiche e morali in cui s’incontrava la truppa
nemica a Vegas, non esistevano in assoluto altre
possibilità oltre al tentativo di fuga. D’altra
parte, non prendere il cammino presentava
l’impresa, quasi impossibile, di scalare
l’impressionante mole di
La Llorosa
o il non meno ripido pendio El Desayuno. Il
capo Della Compagnia 92 non poteva imitare
Sánchez Mosquera e sorprenderci con un movimento
al di fuori del cammino esistente.
Il 26 luglio, lo stesso giorno in cui cominciò
la ritirata del Battaglione 11 di Santo Domingo,
il Che m’informò con un messaggio che la truppa
a Vegas era completamente circondata, e
proponeva anche di sferrarle contro un attacco
in regola quella notte, sicuro che si sarebbero
arresi in un paio d’ore. Ma cambiò idea e
decise d’aspettare, poichè ricevette la notizia
che il capitano Durán Batista, che si era reso
conto che la sua situazione era disperata, era
disposto a negoziare.
A mezzogiorno del 28 luglio, il Che mi chiese
l’autorizzazione per accordare con il capitano
nemico la partenza delle truppe assediate, dopo
la consegna di tutte le loro armi e munizioni.
In quello stesso giorno, il Che ricevette una
comunicazione del comandante Armando González
Finalé, capo del Battaglione 23, ubicato ad
Arroyón, nella quale gli proponeva un incontro.
Immediatamente il Che inviò un messaggero con la
seguente nota al capitano
Durán:
“Ho tra le mani una comunicazione del comandante
Fifnale [Finalé] con la quale m’invita ad un
incontro. Lei sa che domattina sarà tardi per
questo e che io cerco di risparmiare sangue.
[...]
Deve sapere anche che è circondato e che non si
può aspettare aiuti dall’esterno, perchè questo
provocherà maggiori perdite di sangue alle due
parti, ma soprattutto a voi.
Se realmente non accetta questo incontro,
corrispondendo alla mia cortesia, le devo
consigliare rilasciare le case e proteggersi
nelle trincee.
Tutte le alture sono nostre.
Io lo offro di uscire da lì con tutti i suoi
uomini e conservando le armi corte, senza farli
prigionieri, e questo è il massimo che posso
fare, dato il numero di uomini che ho sopra
questo punto e la certezza assoluta che voi
siete perduti.
Mi richiamo ai suoi sentimenti patriottici, per
far sì che non anteponga falsi orgogli ed eviti
un massacro inutile”.
Durán rispose al Che che il giorno dopo gli
avrebbe inviato la sua risposta o sarebbe andato
personalmente all’incontro con lui, ma che prima
doveva informare dell’offerta il suo capo
immediato e che inoltre stava aspettando un
convoglio di rifornimenti, per cui era
impossibile muoversi in quel momento.
Ma gli avvenimenti precipitarono. L’alto comando
della tirannia aveva deciso d’inviare il
Battaglione 23 in
aiuto della compagnia assediata a Vegas. Quello
era il “convoglio di rifornimenti” a cui si
riferiva Durán Batista, e che si scontrò
inevitabilmente con le imboscate di Camilo a El
Mango.
Lo stesso giorno 28, prima del combattimento
contro il rinforzo, Camilo m’inviò
il seguente messaggio:
“Sono nella posizione che mi ha indicato il Che,
ho ben esplorato tutto e sto pregando perchè un
Dio ignoto ci mandi una truppa da questa parte.
Ho preparato l’esca per pescarne almeno 25 o 30,
come ieri, quando per il fuoco grande a S.
Domingo, quelli di Arroyones sono corsi come
pazzi e il panico ha conquistato le truppe
nemiche; le notizie corrono veloci e pare [che]
sanno già delle ultime bastonate che gli abbiamo
inflitto”.
Quel giorno diversi camion con le guardie ed i
rifornimenti partirono dall’accampamento di
Arroyón. Il convoglio di rinforzo, composto da
tre compagnie di fanteria, era appoggiato da due
carri armati leggeri T-17 e da una batteria di
obici da 75 millimetri che si piazzarono
sul’altura di
La Güira. Il
dispositivo era agli ordini del tenente
colonnello Ferrer da Silva. Uno dei carri
leggeri T-17 precedeva la carovana, al comando
della
quale viaggiava il capitano Victorino Gómez
Oquendo, capo della compagnia dei carri armati
del posto di comando di Bayamo. I veicoli si
mossero senza novità sino all’incrocio del
cammino che va da Las Mercedes, e proseguirono
la loro attenta marcia in direzione di Los
Isleños e, più in là verso la collina di El
Mango.
Dalle sue posizioni sul pendio di La Llorosa,
gli uomini di Camino videro avvicinarsi il
nemico. Dall’alto, l’aviazione bombardava e
mitragliava le posizioni dove presumeva che si
trovavano i combattenti ribelli. Al di sotto,
direttamente sul cammino preparato con le mine e
gli scavi per impedire il passaggio ai veicoli,
c’erano le squadre dei capitani Orestes Guerra
e Lázaro Soltura. Quando il convoglio penetrò
nel tratto dove il cammino si stringeva, tra il
faraglione della collina e la gola del fiume
Jibacoa, i ribelli apersero il fuoco. I camion
si fermarono e le guardie saltarono a terra e
cercarono protezione. Il carro armato continuò
ad avanzare, mentre i suoi occupanti restavano
fiduciosi dentro il blindato. Ma dall’altra
parte del fiume, dalle posizioni occupate sulla
collina El Desayuno dalla squadra di César
Suárez, delle truppa del Che, giunse il sordo
suono caratteristico di uno sparo di bazooka.
Con sorpresa di tutti, indubbiamente il carro
leggero non fece marcia indietro. In cambio,
dopo alcuni secondi nei quali sembrò che il
blindato avrebbe fatto una retromarcia, il carro
accelerò la marcia, scese fino al fiume, lo
attraversò e cominciò a risalire il cammino si
El Desayuno.
Due o tre altri colpi di bazooka non lo
colpirono e rapidamente il la T-17
superò la fucileria ribelle e riuscì a penetrare
a Vegas con una gran chiasso dell’avanzata
dell’accampamento nemico.
Gli uomini di Camilo si erano lanciati sul
resto del convoglio paralizzato. Alcune
guardie optarono per disperdersi verso il fiume
e riuscirono a scappare. In definitiva, il
grosso del rinforzo fu detenuto e catturato,
come i rifornimenti. Le guardie soffersero 16
morti e numerosi, tra i quali lo stesso tenente
colonnello Ferrer da Silva.
Dopo la ritirata del nemico, i ribelli diedero
fuoco ad un fuoristrada, a un trattore e ad un
camion del comando; inoltre presero fucili,
casse di razioni da campagna, granate di fucili
e pallottole.
A proposito del carro armato che riuscì a
infiltrarsi sino a Vegas de Jibacoa c’è un
aneddoto che vale la pena registrare in queste
pagine.
Il capitano Gómez Oquendo fu ricevuto dai suoi
compagni d’armi con affettuose espressioni di
riconoscimento per il suo coraggio e la sua
decisione.
Oquendo, uomo di campagna e modesto, che dopo la
sua cattura chiese di restare nelle nostre fila,
tagliò corto con i complimenti e spiegò quanto
segue, come mi raccontarono dopo e mi confermò
lo stesso Gómez Oquendo:
“No, no, aspettate, non è stato coraggio! È
successo che, sentendo il primo colpo di
bazooka, dato che non potevamo ubicare la
provenienza dello sparo per rispondere con il
nostro cannone, io avevo dato l’ordine di
retrocedere, ma marcia indietro si era bloccata
e non ci fu modo di riuscire a muoverla. In
quelle circostanze eravamo un bersaglio facile
per un altro colpo di bazooka e così diedi
l’ordine d’avanzare a tutta macchina, ed abbiamo
avuto la fortuna di riuscire a passare.
In pratica è stata una fuga in avanti!”
Il giorno dopo il combattimento sulla collina di
El Mango e il blocco imposto alle truppe di
rinforzo per la truppa assediata a Vegas, il Che
ricevette due ufficiali della Compagnia 92
inviati a parlare col capitano Durán. La
risposta che trasmisero fu che il capo della
truppa ringraziava la proposta del Che, ma non
la accettava, perchè l’onore militare non gli
permetteva di consegnare le sue armi senza
combattere. In vista di questo, il Che dichiarò
riaperte le ostilità.
Quello stesso pomeriggio, dopo aver bruciato
tutte le loro provviste e parte delle munizioni,
la Compagnia
92 cominciò il suo tentativo di fuga;
immediatamente il Che ordinò a tutte le sue
squadre d’iniziare la persecuzione e
l’inseguimento delle truppe in fuga, mentre le
forze ribelli sulla collina di El Desayuno
tentavano di chiudere la via di fuga del nemico
con l’appoggio delle forze di Camilo da El
Mango.
Alla persecuzione delle guardie parteciparono,
tra le altre, le squadre dei capitani Joel
Iglesias, José Ramón Silva e Luis Crespo; da El
Desayuno e El Mango chiusero l’uscita le squadre
dei capitani César Suárez, Orestes Guerra e
Lázaro Soltura. Camilo e il resto dei suoi
uomini fermarono e respinsero i tentativi del
Battaglione 23 da Arroyón, che voleva aiutare le
truppe di Vegas.
Il combattimento si prolungò con intensità sino
alla notte. Un bilancio preliminare realizzato
quella stessa notte dal Che, e il rapporto che
m’inviarono, riferiva che 40 guardie erano
prigioniere, otto erano morte e cinque ferite.
In definitiva, il totale dei prigionieri fu 98,
praticamente la compagnia completa. Fu catturato
il carro armato T-17 quasi intatto, con un
cannone da 57 millimetri, un mortaio con 80
obici, due Mitragliatrici a tripode calibro 30,
vari fucili automatici Browning, 20 carabine San
Cristóbal, 40 fucili Springfield e 20.000
pallottole, tra le varie munizioni. Nell’azione
fu fatto prigioniero il capitano Gómez Oquendo,
e tra le nostre fila fu ferito un solo
Combattente, Angelito Frías.
All’ora di redigere il rapporto, il capitano
Durán non era stato catturato, ma avevamo
l’informazione che era ferito. Lo catturammo la
mattina dopo. Quel coraggioso e
cavalleresco ufficiale decise a sua volta di
restare con noi sulla Sierra e sia lui che Gómez
Oquendo, assieme al comandante Quevedo,
prestarono importanti servizi durante i mesi
finali della guerra, nei contatti e nei
negoziati con i capi nemici.
Con questa azione, Vegas de Jibacoa era
definitivamente liberata, e una nuova unità
nemica, in questo caso,
la Compagnia
92, fu distrutta e annullata come entità
combattente. Era un’altra chiara e assoluta
vittoria.
Ora restavano solamente nelle vicinanze della
montagna le forze nemiche del Battaglione 23 del
comandante Finalé, accampato ad Arroyón, e del
17, del comandante Corzo, stazionato dall’inizio
dell’offensiva a Las Mercedes.
Fu in quest’ordine che decidemmo d’agire
immediatamente, con la vittoria definitiva già
davanti a noi.
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