Divina Commedia

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Divina Commedia
Titolo originale Comedìa
Altri titoli Commedia
Dante03.jpg
Agnolo Bronzino (1530): Dante rivolto verso il Purgatorio.
Autore Dante Alighieri
1ª ed. originale 13041321
Genere poema
Sottogenere allegorico
Lingua originale volgare fiorentino
Protagonisti Dante Alighieri
Altri personaggi Virgilio, Beatrice, san Bernardo, Stazio, santa Lucia, Lucifero
Dante e Beatrice sulle rive del Lete (1889), opera del pittore venezuelano Cristóbal Rojas

La Comedìa, conosciuta soprattutto come Commedia o Divina Commedia[1] è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra il 1304 e il 1321, anni del suo esilio in Lunigiana e Romagna,[2] la Commedia è l'opera più celebre di Dante, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale; conosciuta e studiata in tutto il mondo, è ritenuta da alcuni il più grande capolavoro della letteratura di tutti i tempi.[3]

Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Il poeta narra di un viaggio immaginario, ovvero di un Itinerarium Mentis in Deum[4], attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medievale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica.

L'opera ebbe subito uno straordinario successo, e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione, e fino all'avvento della stampa, in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo, dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta; si parla così di secolare commento. La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato una oggettiva difficoltà nella definizione del testo critico. Oggi si dispone di un'edizione di riferimento realizzata da Giorgio Petrocchi.[5] Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza[6] e Federico Sanguineti.[7]

La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa, poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà. È una delle letture obbligate del sistema scolastico italiano.

Curioso notare come tutte le tre cantiche terminino con la parola "stelle". ("E quindi uscimmo a riveder le stelle" - Inferno; "Puro e disposto a salir a le stelle" - Purgatorio e "L'amor che move il sole e l'altre stelle" - Paradiso). Curiosa anche la creazione da parte del Poeta di neologismi come "insusarsi", "inluiarsi", "inleiarsi"[8]

Titolo[modifica | modifica sorgente]

Probabilmente il titolo originale dell'opera fu Commedia, o Comedìa, dal greco κωμωδία (komodìa, composto di kòme, villaggio, e odé, canto; letteralmente canto del villaggio). È infatti così che Dante stesso chiama la sua opera [Inferno XVI, 128] (Inferno XXI, 2). In seguito il titolo di "divina" le venne dato da Boccaccio. Nell'Epistola (la cui paternità dantesca non è del tutto certa) indirizzata a Cangrande della Scala, Dante ribadisce il titolo latino dell'opera: Incipit Comedia Dantis Alagherii, Florentini natione, non moribus.[9] In essa vengono introdotti due motivi per spiegare il titolo conferito: uno di carattere letterario, secondo cui col nome di commedia era usanza definire un genere letterario che, da un inizio difficoltoso per il protagonista, si conclude con un lieto fine, e uno stilistico. Infatti lo stile nonostante sia sublime, tratta anche tematiche turpi tipiche di uno stile umile, secondo l'ottica cristiana di accogliere anche gli aspetti più bassi del reale, pur di raggiungere il cuore di tutta l'umanità. Nel poema, infatti, si ritrovano entrambi questi aspetti: dalla "selva oscura", allegoria dello smarrimento del poeta, si passa alla redenzione finale, alla visione di Dio nel Paradiso; e in secondo luogo, i versi sono scritti in volgare e non in latino che, sebbene esistesse già una ricca tradizione letteraria in lingua del sì, continuava ad essere considerata la lingua per eccellenza della cultura.

L'aggettivo divina fu usato per la prima volta da Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante del 1373, circa 70 anni dopo il periodo in cui si pensa sia stato cominciato il poema. La dizione Divina Commedia, però, divenne comune solo dalla metà del Cinquecento in poi, quando Ludovico Dolce, nella sua edizione veneziana del 1555, stampata da Gabriele Giolito de' Ferrari, riprese il titolo boccacciano.

Il nome "Commedia" (nella forma comedìa) appare solo due volte all'interno del poema, mentre nel Paradiso Dante lo definisce "poema sacro". Dante non rinnega il titolo Commedia, anche perché, data la lunghezza dell'opera, le cantiche o i singoli canti vennero pubblicati volta per volta, e l'autore non aveva la possibilità di revisionare ciò che già era stato reso pubblico. Il termine "Commedia" dovette sembrare riduttivo a Dante nel momento in cui componeva il Paradiso, in cui lo stile, ma anche la sintassi, sono profondamente cambiati rispetto ai canti che compongono l'Inferno; infatti nell'ultimo canto, il sostantivo Commedia viene sostituito da poema sacro. Il discorso sulle palinodie, ovvero le correzioni che Dante fa all'interno della sua opera, contraddicendo se stesso ma anche le sue fonti, è molto più vasto ed esteso.

Argomento[modifica | modifica sorgente]

« Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita
.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!

Tant'è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
tant'era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Dante Alighieri, Inferno I, vv. 1-12 »

Il racconto dell'Inferno, la prima delle tre cantiche, si apre con un Canto introduttivo (che serve da proemio all'intero poema), nel quale il poeta Dante Alighieri racconta in prima persona del suo smarrimento spirituale; si ritrae, infatti, "in una selva oscura", allegoria del peccato, nella quale era giunto poiché aveva smarrito la "retta via", quella della virtù (si ritiene che Dante si senta colpevole, più degli altri, del peccato di lussuria, che infatti nell'Inferno e nel Purgatorio è posto sempre come il meno grave tra i peccati puniti). Tentando di trovarne l'uscita, il poeta scorge un colle illuminato dalla luce del sole; tentando di salirvi per avere più ampia visuale, però, viene ostacolato da tre belve: una lonza (lince), allegoria della lussuria, un leone, simbolo della superbia, e una lupa, che rappresenta l'avidità, i tre vizi che stanno alla base di ogni male. Tanta è la paura che il trio incute, che Dante cade all'indietro, lungo il pendio.

Risollevandosi, scorge l'anima del grande poeta Virgilio, a cui chiede aiuto. Virgilio rivela che per arrivare alla cima del colle ed evitare le tre bestie feroci, bisognerà intraprendere una strada diversa, più lunga e penosa, attraverso il bene e il male, profetizza che il trio sarà fatto morire da un alquanto misterioso Veltro,[10] si presenta come l'inviato di Beatrice, la donna amata da Dante (morta a soli ventiquattro anni), la quale aveva interceduto presso Dio affinché il poeta fosse redento dai peccati; Virgilio e Beatrice sono in realtà due allegorie rispettivamente della ragione e della teologia: il primo in quanto considerato il poeta più sapiente della classicità, la seconda in quanto scala al fattore, secondo la visione elaborata da Dante nella Vita Nuova.

Dalla collina di Gerusalemme su cui si trova la selva, Virgilio condurrà Dante attraverso l'Inferno e il Purgatorio perché attraverso questo viaggio la sua anima possa risollevarsi dal male in cui era caduta. Poi Beatrice prenderà il posto di Virgilio, sarà lei la guida di Dante nel Paradiso. Virgilio, nel racconto allegorico, rappresenta la ragione, ma la ragione non basta per giungere fino a Dio; è necessaria la fede, e Beatrice rappresenta questa virtù. Virgilio inoltre, non ha conosciuto Cristo, non è battezzato e perciò non gli è consentito di avvicinarsi al seggio dell'Onnipotente.

Inferno[modifica | modifica sorgente]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Inferno (Divina Commedia).
Mappa dell'Inferno di Sandro Botticelli

Il vero e proprio viaggio attraverso l'Inferno ha inizio nel Canto III (nel precedente Dante esprime i suoi dubbi e le sue paure a Virgilio riguardo al viaggio che stanno per compiere). Dante e Virgilio si trovano sotto la città di Gerusalemme, davanti alla grande porta su cui sono impressi i versi celeberrimi che aprono questo canto. L'ultimo di quei versi: "Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate", incute nuovi dubbi e nuovo timore in Dante, ma il suo maestro e guida gli sorride e lo prende per mano perché ormai bisogna andare avanti. In questo luogo senza tempo e senza luce, l'Antinferno, stazionano per sempre gli ignavi, ossia quelli che in vita non vollero prendere posizioni, ed ora sono ritenuti indegni sia di premio (Paradiso) che di castigo (Inferno) perché il primo sarebbe macchiato della loro presenza e nel secondo sarebbero un motivo di possibile vanto. La loro punizione consiste nel correre nudi dietro ad una bandiera senza stemma ed essere perennemente punti da vespe e da mosconi; poco più in là sulla riva dell'Acheronte (il primo fiume infernale), stanno provvisoriamente le anime che devono raggiungere l'altra riva, in attesa che Caronte, il primo guardiano infernale, le spinga nella sua barca e le traghetti di là.

Giovanni Stradano (1523-1605): Inferno, Mappa

L'inferno dantesco è immaginato come una serie di anelli numerati, sempre più stretti che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono rovesciato; l'estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro della Terra ed è interamente occupata da Lucifero che, movendo le sue enormi ali, produce un vento gelido: è il ghiaccio la massima pena. In questo Inferno, ad ogni peccato, corrisponde un cerchio, ed ogni cerchio successivo è più profondo del precedente e più vicino a Lucifero; più grave è il peccato, maggiore sarà il numero del cerchio.

Al di là dell'Acheronte si trova il primo cerchio, il Limbo. Qui stanno le anime dei puri che non ricevettero il battesimo e che però vissero nel bene; vi si trovano anche - in un luogo a parte dominato da un "nobile castello" - gli antichi "spiriti magni" che compirono grandi opere a vantaggio del genere umano (Virgilio stesso è tra loro). Oltre il Limbo, Dante e il suo maestro entrano nell'Inferno vero e proprio. All'ingresso sta Minosse, il secondo guardiano infernale che, da giudice giusto quale fu, indica in quale cerchio infernale ogni anima dovrà scontare la sua pena, avvolgendo la coda tante volte quanti cerchi l'anima dovrà scendere. Superato Minosse, i due si ritrovano nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi: tra essi le anime di Semiramide, Cleopatra, Elena di Troia ed Achille. Celebri i versi del quinto canto su Paolo e Francesca[11] che raccontano la loro storia e passione amorosa. Ai lussuriosi, travolti dal vento, succedono nel terzo cerchio, i golosi; questi sono immersi in un fango puzzolente, sotto una pioggia senza tregua, e vengono morsi e graffiati da Cerbero, terzo guardiano infernale; dopo di loro, nel quarto cerchio, presidiato da Plutone, stanno gli avari e i prodighi, divisi in due schiere destinate a scontrarsi per l'eternità mentre fanno rotolare massi di pietra lungo la circonferenza del cerchio.

Dante e Virgilio giungono poi al quinto cerchio, davanti allo Stige, nelle fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi, e qui i protagonisti hanno un alterco con Filippo Argenti; i due Poeti vengono traghettati sulla riva opposta dalla barca di Flegias, quinto guardiano infernale. Lì, sull'altra sponda, sorge la Città di Dite, in cui sono puniti i peccatori consapevoli del loro peccare. Davanti alla porta chiusa della città, i due sono bloccati dai demoni e dalle Erinni; entreranno solo grazie all'intervento dell'Arcangelo Michele, e vedranno come sono puniti coloro "che l'anima col corpo morta fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: essi si trovano all'interno di grandi sarcofaghi infuocati; tra gli eretici incontrano il ghibellino Farinata degli Uberti, uno dei più famosi personaggi dell'Inferno dantesco. Assieme a lui è presente Cavalcante dei Cavalcanti, padre di Guido, amico di Dante.

Oltre la città, il poeta e la sua guida scendono verso il settimo cerchio lungo uno scosceso burrone (l'alta ripa), alla fine del quale si trova il terzo fiume infernale, il Flegetonte, un fiume di sangue bollente presidiato dai Centauri. Questo fiume costituisce il primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio. Vi sono puniti i violenti contro il prossimo; tra essi il Minotauro, ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna. Oltre il fiume, sull'altra sponda è il secondo girone, (che Dante e Virgilio raggiungono grazie all'aiuto del centauro Nesso); qui stanno i violenti contro sé stessi, i suicidi trasformati in arbusti secchi, feriti e straziati per l'eternità dalle Arpie; tra loro troviamo Pier della Vigna); nel secondo girone stanno anche gli scialacquatori, inseguiti e sbranati da cagne. L'ultimo girone, il terzo, è una landa infuocata, ed ospita i violenti contro Dio nella Parola, nella Natura e nell'Arte, ossia i bestemmiatori (Capaneo), i sodomiti (tra cui Brunetto Latini, maestro di Dante, quando il poeta era giovane) e gli usurai. A quest'ultimo girone Dante dedicherà molti versi dal Canto XIV al Canto XVII.

Alla fine del VII cerchio, Dante e Virgilio, scendono per un burrato (burrone) in groppa a Gerione, il mostro infernale dal volto umano, zampe leonine, corpo di serpente e coda di scorpione. Così raggiungono l'VIII cerchio chiamato Malebolge, dove sono puniti i traditori in chi non si fida. L'ottavo cerchio è diviso in dieci bolge; ogni bolgia è un fossato a forma di cerchio. I cerchi sono concentrici, scavati nella roccia e digradanti verso il basso, alla base di essi si apre il Pozzo dei Giganti. Nelle bolge sono puniti, nell'ordine, ruffiani e seduttori, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti - tra cui Ulisse e Diomede, i seminatori di discordia (Maometto) e i falsari.

Ulisse racconta ai due viandanti il suo ultimo viaggio; qui si vede che Dante non era a conoscenza della predizione di Tiresia sulla morte di Ulisse e perciò ne inventa la fine in un gorgo marino al di là delle Colonne d'Ercole, simbolo per Dante della ragione e dei limiti del mondo. Tra i falsari, nella decima bolgia, troviamo il "folletto" Gianni Schicchi; infine i due accedono al IX ed ultimo cerchio, dove sono puniti i traditori in chi si fida.

Questo cerchio è diviso in quattro zone, coperte dalle acque gelate della ghiaccia di Cocito. Nella prima zona, chiamata Caina (dal nome di Caino, che uccise il fratello Abele), sono puniti i traditori dei parenti; nella seconda, Antenora (dal nome Antenore, il troiano che consegnò il Palladio ai nemici greci), stanno i peccatori come lui, traditori della patria; nella terza, Tolomea (dal nome del re Tolomeo XIII, che al tempo di Cesare fece uccidere il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli ospiti; infine nella quarta, Giudecca (dal nome di Giuda Iscariota, che tradì Gesù), sono puniti i traditori dei benefattori. Nell'Antenora Dante incontra il Conte Ugolino della Gherardesca che narra della sua segregazione nella Torre della Muda con i figli e la loro morte per fame, segregazione e morte volute dall'Arcivescovo Ruggieri. Ugolino appare nell'Inferno sia come un dannato che come un demone vendicatore, che rode per l'eternità il capo del suo aguzzino. Nell'ultima zona si trovano i tre grandi traditori: Cassio, Bruto (che complottarono contro Cesare) e Giuda Iscariota; la loro pena consiste nell'essere maciullati dalle tre bocche di Lucifero, che qui ha la sua dimora. Giuda si trova nella bocca centrale, a suggello della maggiore gravità del proprio tradimento.

Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono una grotta e scendono alcune scale. Dante è stupito: non vede più la schiena di Lucifero e Virgilio gli spiega che ora si trovano nell'Emisfero Australe. Attraversano quindi la natural burella, il canale che li condurrà alla spiaggia del Purgatorio, alla base della quale usciranno poco dopo "a riveder le stelle".

Purgatorio[modifica | modifica sorgente]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Purgatorio (Divina Commedia).
Il primo canto del Purgatorio illustrato da Gustave Doré

Usciti dall'Inferno attraverso la natural burella, Dante e Virgilio si ritrovano nell'emisfero australe terrestre (che si credeva interamente ricoperto d'acqua), dove, in mezzo al mare, s'innalza la montagna del Purgatorio, creata con la terra che servì a scavare il baratro dell'Inferno, quando Lucifero fu buttato fuori dal Paradiso dopo la rivolta contro Dio. Usciti dal cunicolo, i due giungono su una spiaggia, dove incontrano Catone Uticense, che svolge il compito di guardiano del Purgatorio. Dovendo cominciare a salire la ripida montagna, che si dimostra impossibile da scalare, tanto è ripida, Dante chiede ad alcune anime quale sia il varco più vicino; sono questi la prima schiera dei negligenti, i morti scomunicati, che hanno dimora nell'antipurgatorio. Nella I schiera di negligenti dell'antipurgatorio Dante incontra Manfredi di Sicilia. Assieme a coloro che tardarono a pentirsi per pigrizia, ai morti per violenza e ai principi negligenti, infatti, essi attendono il tempo di purificazione necessario a permettere loro di accedere al Purgatorio vero e proprio. All'ingresso della valletta dove si trovano i principi negligenti, Dante, su indicazione di Virgilio, chiede indicazioni ad un'anima che si rivela essere una sorta di guardiano della valletta, il concittadino di Virgilio Sordello, che sarà la guida dei due fino alla porta del Purgatorio.

Giunti alla fine dell'Antipurgatorio, superata una valletta fiorita, i due varcano la porta del Purgatorio; questa è custodita da un angelo recante in mano una spada fiammeggiante, che sembra avere vita propria, e preceduto da tre gradini, il primo di marmo bianco, il secondo di una pietra scura e il terzo in porfido rosso. L'angelo, seduto sulla soglia di diamante e appoggiando i piedi sul gradino rosso, incide sette "P" sulla fronte di Dante, poi apre loro la porta tramite due chiavi (una d'argento e una d'oro) che aveva ricevuto da San Pietro; quindi i due poeti si addentrano nel secondo regno.

Il Purgatorio è diviso in sette 'cornici', dove le anime scontano la loro inclinazione al peccato per purificarsi prima di accedere al Paradiso. Al contrario dell'Inferno, dove i peccati si aggravavano maggiore era il numero del cerchio, qui alla base della montagna, nella prima cornice, stanno coloro che si sono macchiati delle colpe più gravi, mentre alla sommità, vicino al Paradiso terrestre, i peccatori più lievi. Le anime non vengono punite in eterno, e per una sola colpa, come nel primo regno, ma scontano una pena pari ai peccati commessi durante la vita.

Nella prima cornice, Dante e Virgilio incontrano i superbi, nella seconda gli invidiosi, nella terza gli iracondi, nella quarta gli accidiosi, nella quinta gli avari e i prodighi. In questa cornice ai due viaggiatori si unisce l'anima di Stazio dopo un terremoto e un canto Gloria in excelsis Deo (Dante riteneva Stazio convertito al cristianesimo); questi si era macchiato in vita di eccessiva prodigalità: proprio in quel momento egli, che dopo cinquecento anni di espiazione in quella cornice aveva sentito il desiderio di assurgere al Paradiso, si offre di accompagnare i due fino alla sommità del monte, attraverso le cornici sesta, dove espiano le loro colpe i golosi che appaiono magrissimi, e settima, dove stanno i lussuriosi avvolti dalle fiamme. Dante ritiene che Stazio si sia convertito grazie a Virgilio e alle sue opere, che hanno aperto gli occhi al poeta latino: egli, infatti, grazie all'Eneide e alle Bucoliche ha capito l'importanza della fede cristiana e l'errore del vizio della prodigalità: come un lampadoforo, Virgilio ha fatto luce a Stazio rimanendo però al buio; fuor di metafora, Virgilio è stato un profeta inconsapevole: ha portato Stazio alla fede ma lui, avendo fatto in tempo solo ad intravederla, non ha potuto salvarsi, ed è costretto a soggiornare per l'eternità nel Limbo. Ascesi alla settima cornice, i tre devono attraversare un muro di fuoco, oltre il quale si diparte una scala, che dà accesso al Paradiso terrestre. Paura di Dante e conforto da parte di Virgilio. Giunti qui, il luogo dove per poco dimorarono Adamo ed Eva prima del peccato, Virgilio e Dante si devono congedare, poiché il poeta latino non è degno di guidare il toscano fin nel Paradiso, e sarà Beatrice a farlo.

Quindi Dante s'imbatte in Matelda, la personificazione della felicità perfetta, precedente al peccato originale, che gli mostra i due fiumi Lete, che fa dimenticare i peccati, ed Eunoè, che restituisce la memoria del bene compiuto, e si offre di condurlo all'incontro con Beatrice, che avverrà poco dopo. Beatrice rimprovera duramente Dante e dopo si offre di farsi vedere senza il velo: Dante durante i rimproveri cerca di scorgere il suo vecchio maestro Virgilio che ormai non c'è più. Dopo avere bevuto prima le acque del Lete e poi dell'Eunoè, infine, Dante segue Beatrice verso il terzo ed ultimo regno: il Paradiso.

Paradiso[modifica | modifica sorgente]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Paradiso (Divina Commedia) e Cieli del Paradiso.

Libero da tutti i peccati, adesso Dante può ascendere al Paradiso e, accanto a Beatrice, vi accede volando ad altissima velocità. Egli sente tutta la difficoltà di raccontare questo trasumanare, andare cioè al di là delle proprie condizioni terrene, ma confida nell'aiuto dello Spirito Santo (il buon Apollo) e nel fatto che il suo sforzo descrittivo sarà continuato da altri nel tempo (Poca favilla gran fiamma seconda... canto I, 34).

Il Paradiso è composto da nove cerchi concentrici, al cui centro sta la Terra; in ognuno di questi cieli, dove risiede un pianeta diverso, stanno i beati, più vicini a Dio a seconda del loro grado di beatitudine. Ma le anime del Paradiso non stanno meglio o peggio, e nessuno desidera una condizione migliore di quella che ha, poiché la carità non permette di desiderare altro se non quello che si ha; Dio, al momento della nascita, ha donato secondo criteri inconoscibili ad ogni anima una certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa che essi godono diversi livelli di beatitudine. Prima di raggiungere il primo cielo i due attraversano la Sfera di Fuoco.

Nel primo cielo, quello della Luna, stanno coloro che mancarono ai voti fatti (Angeli); nel secondo, il cielo di Mercurio, risiedono coloro che in Terra fecero del bene per ottenere gloria e fama, non indirizzandosi al bene divino (Arcangeli); nel terzo cielo, quello di Venere, stanno le anime degli spiriti amanti (Principati); nel quarto, il cielo del Sole, gli spiriti sapienti (Potestà); nel quinto, il cielo di Marte, gli spiriti militanti dei combattenti per la fede (Virtù); e nel sesto, il cielo di Giove, gli spiriti governanti giusti (Dominazioni)

Dante e Beatrice rivolti verso l'Empireo (Gustave Doré)

Giunti al settimo cielo, quello di Saturno dove risiedono gli "spiriti contemplativi" (Troni), Beatrice non sorride più, come invece aveva fatto finora; il suo sorriso, infatti, da qui in poi, a causa della vicinanza a Dio, sarebbe per Dante insopportabile alla vista, tanto luminoso risulterebbe. In questo cielo risiedono gli spiriti contemplativi, e da qui Beatrice innalza Dante fino al cielo delle Stelle fisse, dove non sono più ripartiti i beati, ma nel quale si trovano le anime trionfanti, che cantano le lodi di Cristo e della Vergine Maria, che qui Dante riesce a vedere; da questo cielo, inoltre, il poeta osserva il mondo sotto di sé, i sette pianeti e i loro moti e la Terra, piccola e misera in confronto alla grandezza di Dio (Cherubini). Prima di proseguire Dante deve sostenere una sorta di "esame" in Fede, Speranza, Carità, da parte di tre esaminatori particolari: San Pietro, San Giacomo e San Giovanni. Quindi, dopo un ultimo sguardo al pianeta, Dante e Beatrice assurgono al nono cielo, il Primo Mobile o Cristallino, il cielo più esterno, origine del movimento e del tempo universale (Serafini).

In questo luogo, sollevato lo sguardo, Dante vede un punto luminosissimo, contornato da nove cerchi di fuoco, vorticanti attorno ad esso; il punto, spiega Beatrice, è Dio, e attorno a lui stanno i nove cori angelici, divisi per quantità di virtù. Superato l'ultimo cielo, i due accedono all'Empireo, dove si trova la rosa dei beati, una struttura a forma di anfiteatro, sul gradino più alto della quale sta la Vergine Maria. Qui, nell'immensa moltitudine dei beati, risiedono i più grandi santi e le più importanti figure delle Sacre Scritture, come Sant'Agostino, San Benedetto, San Francesco, e inoltre Eva, Rachele, Sara e Rebecca.

Da qui Dante osserva finalmente la luce di Dio, grazie all'intercessione di Maria alla quale San Bernardo (guida di Dante per l'ultima parte del viaggio) aveva chiesto aiuto perché Dante potesse vedere Dio e sostenere la visione del divino, penetrandola con lo sguardo fino a congiungersi con Lui, e vedendo così la perfetta unione di tutte le realtà, la spiegazione del tutto nella sua grandezza. Nel punto più centrale di questa grande luce, Dante vede tre cerchi, le tre persone della Trinità, il secondo del quale ha immagine umana, segno della natura umana, e divina allo stesso tempo, di Cristo. Quando egli tenta di penetrare ancor più quel mistero il suo intelletto viene meno, ma in un excessus mentis[12] la sua anima è presa da un'illuminazione e si placa, realizzata dall'armonia che gli dona la visione di Dio, dell'amor che move il sole e l'altre stelle.

Data di composizione[modifica | modifica sorgente]

Non conosciamo con esattezza in che periodo Dante scrisse ciascuna delle cantiche della Commedia e gli studiosi hanno formulato ipotesi anche contrastanti in base a prove e indizi talvolta discordanti. In linea di massima la critica odierna colloca:

  • L'inizio della stesura dell'Inferno nel biennio 1304-1305 oppure in quello 1306-1307, in ogni caso dopo l'esilio (1302) mentre il poeta si trovava in Lunigiana. Salvo l'eccezione del riferimento al papato di Clemente V (1305-1314), spesso indicato come un possibile ritocco post-conclusione, non vi si trovano accenni a fatti successi dopo il 1309. Al 1317 risale la prima menzione in un documento (un registro di atti bolognese, sulla cui copertina era trascritta un'intera terzina dell'Inferno, i versi 95-96 del Canto III, con il celebre "Vuolsi così colà dove si puote..."), mentre i manoscritti più antichi che ci sono pervenuti risalgono al 1330 circa, una decina di anni dopo la morte di Dante.
  • La scrittura del Purgatorio secondo alcuni si accavallò con l'ultima parte dell'Inferno e in ogni caso non contiene riferimenti a fatti accaduti dopo il 1313. Tracce della sua diffusione si riscontrano già nel 1315-1316.
  • Il Paradiso viene collocato tra il 1316 e il 1321, data della morte del poeta.

Non ci è pervenuta nessuna firma autografa di Dante, ma sono conservati tre manoscritti della Commedia copiati integralmente da Giovanni Boccaccio, il quale non si servì di una fonte originaria, ma di manoscritti a loro volta copiati. Si deve anche immaginare che Dante si spostò molto in vita per via dell'esilio, quindi non potendo portarsi dietro molte carte è probabile che i manoscritti originali si disperdessero sin dalle prime diffusioni.

Struttura[modifica | modifica sorgente]

La Divina Commedia è composta da tre cantiche che comprendono un totale di cento canti: la prima cantica (Inferno) è di 34 canti (33 hanno argomento l'Inferno; uno, il primo, è proemio all'opera intera), le altre due cantiche, Purgatorio e Paradiso, sono di 33 canti ciascuna. Il primo canto dell'Inferno viene considerato un prologo a tutta l'opera: in questo modo si ha un canto iniziale più 33 canti per ciascuna cantica, con un chiaro riferimento numerico alla Trinità.

Tutti i canti sono scritti in terzine incatenate[13] di versi endecasillabi. La lunghezza di ogni canto va da un minimo di 115 versi ad un massimo di 160; l'intera opera conta complessivamente 14.233 versi. La Divina Commedia è dunque superiore in lunghezza sia all'Eneide virgiliana (9.896 esametri), sia all'Odissea omerica (12.100 esametri), ma più breve dell'Iliade omerica (15.683 esametri). In ogni caso, se altre opere, anche molto più lunghe, sono state composte dalla tradizione e dai vari poeti che nel tempo le hanno ampliate ed arricchite, la Divina Commedia è un'opera straordinaria perché frutto dell'intelletto di un solo uomo, autore di tutti e 14.233 i versi.

La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia cristiana medievale, arricchita da una straordinaria creatività immaginativa.

Struttura cosmologica[modifica | modifica sorgente]

La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la rappresentazione cosmologica dell'immaginario medievale.[14] Il viaggio all'Inferno e nel monte del Purgatorio rappresentano infatti l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito come una sfera, dalle sue profondità alle regioni più elevate; mentre il Paradiso è una rappresentazione simbolico-visuale del cosmo tolemaico.

L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma conica interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno di terre e l'altro di acque. La caverna infernale era nata dal ritrarsi delle terre inorridite al contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue schiere, cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale aveva il suo ingresso esattamente sotto Gerusalemme, collocata al centro della semisfera occupata dalle terre emerse, ovvero dal continente euroasiatico. Agli antipodi di Gerusalemme, e quindi al centro della semisfera acquea, si ergeva l'isola montagnosa del Purgatorio, composta appunto dalle terre fuoriuscite dal cuore del mondo all'epoca della ribellione degli angeli. In cima al Purgatorio, Dante colloca il Paradiso terrestre del racconto biblico, il luogo terrestre più vicino al cielo. Come si vede, Dante riprende dalla concezione tolemaica l'idea di una Terra sferica, ma le sovrappone un universo sostanzialmente pre-tolemaico, privo di simmetria sferica. Alla sfericità della Terra, infatti, non corrisponde una simmetria generale nella distribuzione delle terre emerse e della presenza umana; le direzioni passanti per il centro della Terra non sono equivalenti: quella che passa per Gerusalemme e per la montagna del Purgatorio ha un ruolo privilegiato, il che richiama le concezioni della Grecia arcaica, ad esempio di Anassimandro.

Il Paradiso è strutturato secondo la rappresentazione cosmologica nata all'epoca ellenistica con gli scritti di Tolomeo, e risistemata dai teologici cristiani secondo le esigenze della nuova religione. Nel suo rapimento celeste dietro l'anima di Beatrice, Dante attraversa dunque i nove cieli del cosmo astronomico-teologico, al di sopra dei quali si distende il Pleroma infinito (Empireo) in cui ha sede la Rosa dei Beati, posti a diretto contatto con la visione di Dio. Ai nove cieli corrispondono nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro movimento circolare intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è preposto - questo secondo la dottrina dell'Atto Puro o Primo Mobile desunta dalla Metafisica di Aristotele.

La struttura cosmologica della Commedia è strettamente connessa alla struttura dottrinale del poema, per cui la collocazione dei tre regni, e, al loro interno, l'ordine delle anime (ovvero delle pene e delle grazie), corrisponde a precisi intendimenti di ordine morale e teologico.

Dante e Virgilio nell'Inferno, dipinto di William-Adolphe Bouguereau (1850)

In particolare, la topografia dell'Inferno comprende i seguenti luoghi:

  • Un ampio vestibolo o Antinferno, dove vengono puniti coloro che nessuno vuole, né Dio né il demonio: gli ignavi.
  • Il fiume Acheronte, che separa il vestibolo dall'inferno vero e proprio.
  • Una prima sezione costituita dal Limbo, immerso in una tenebra perenne.
  • Una serie di cerchi meno scoscesi in cui patiscono i peccatori incontinenti.
  • La città infuocata di Dite, le cui mura circondano la voragine finale.
  • Il cerchio dei violenti in cui scorre il fiume sanguigno del Flegetonte.
  • Un burrone scosceso, che dà all'ottavo cerchio, chiamato Malebolge: il cerchio dei fraudolenti.
  • Il pozzo dei Giganti.
  • Il lago ghiacciato di Cocito, dove sono immersi i traditori.

La topografia del Purgatorio è invece così strutturata: un Antipurgatorio, costituito da una spiaggia, su cui vengono traghettate le anime dall'angelo nocchiero che le preleva alla foce del Tevere, e da una valletta fiorita; specularmente all'Inferno, in essa attendono di iniziare la loro purificazione i negligenti, i tardi cioè a pentirsi. Il purgatorio vero e proprio è un monte scosceso, formato da ampi dirupi e cerchi rocciosi, a ciascuno dei quali è preposto un angelo guardiano. Sulla cima del monte c'è il Paradiso terrestre, che ha l'aspetto di una foresta rigogliosa, popolata di figure allegoriche.

I nove cieli del Paradiso sono i sette del sistema tolemaico - Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno - più il cielo delle Stelle fisse e del Primo Mobile.

Struttura dottrinale[modifica | modifica sorgente]

La struttura dottrinale coincide con l'impianto teologico-filosofico proprio della poetica di Dante. La complessità degli schemi adottati dal poeta richiede che la materia venga trattata in apposite voci di approfondimento.

Cronologia[modifica | modifica sorgente]

Le date in cui Dante fa svolgere l'azione della Commedia si ricavano dalle indicazioni disseminate in diversi passi del poema.

Il riferimento principale è Inferno XXI, 112-114: in quel momento sono le sette del mattino del Sabato Santo del 1300, 9 aprile[15] o, secondo altri commentatori, del 26 marzo del 1300.[16] L'anno è confermato da Purgatorio II, 98-99, che fa riferimento al Giubileo in corso. Tenendo questo punto fermo, in base agli altri riferimenti si ottiene che:

  • alla mattina dell'8 aprile (Venerdì Santo) o del 25 marzo, Dante esce dalla "selva oscura" e inizia la salita del colle, ma viene messo in fuga dalle tre fiere e incontra Virgilio.
  • al tramonto, Dante e Virgilio iniziano la visita dell'Inferno, che dura circa 24 ore[17] e termina quindi al tramonto del 9 aprile o del 26 marzo. Nel superare il centro della Terra, però, i due poeti passano al "fuso orario" del Purgatorio (12 ore di differenza da Gerusalemme[18] e 9 ore dall'Italia), per cui è mattina quando essi intraprendono la risalita, che occupa tutto il giorno successivo.
  • all'alba del 10 aprile (domenica di Pasqua) o del 27 marzo, Dante e Virgilio iniziano la visita del Purgatorio, che dura tre giorni e tre notti:[19] all'alba del quarto giorno, 13 aprile o 30 marzo, Dante entra nel Paradiso Terrestre e vi trascorre la mattina, durante la quale lo raggiunge Beatrice.
  • a mezzogiorno, Dante e Beatrice salgono in cielo. Da qui in avanti non vi sono più indicazioni di tempo, salvo che nel cielo delle stelle fisse trascorrono circa sei ore (Paradiso XXVII, 79-81). Considerando un tempo simile anche per gli altri cieli, si ottiene che la visita del Paradiso duri due-tre giorni. L'azione terminerebbe quindi il 15 aprile o il 1º aprile.

Quindi con un tempo totale stimato in sette giorni di viaggio.

Tematiche e contenuti[modifica | modifica sorgente]

  • Personale universale (redenzione dell'umanità)
  • Autobiografico: redenzione dell'anima del poeta dopo il periodo di traviamento (selva oscura)
  • Redenzione politica: l'umanità con la guida della ragione (Virgilio) e dell'impero raggiunge la felicità naturale (Paradiso terrestre = giustizia e pace)
  • Redenzione religiosa: con la guida della Teologia (Beatrice), e della fede (San Bernardo) si arriva alla felicità ultraterrena (Paradiso)

Nella Divina Commedia, Dante si prefigge il ruolo di poeta vate in quanto universalizza il proprio viaggio verso la purificazione, per tutti gli uomini. Leggendo, infatti, la Divina Commedia ogni uomo ripercorre il viaggio dantesco purificandosi anch'esso dai sette vizi capitali.
Dante rappresenta cielo e terra, ma la terra trova nel poema una rappresentazione nuova, una profonda comprensione della realtà umana. In Dante è presente un modo nuovo e disincantato di percepire la storia: il racconto storico abbraccia il corso dei secoli con la storia dell'Impero romano e cristiano, delle lotte fiorentine tra guelfi bianchi e neri, una larga considerazione prospettica della storia della Chiesa e della storia contemporanea del Papato.
L'osservazione della natura è accurata e armoniosa, accentuata nel suo valore prospettico, ricca e determinata. Le note geografiche e visive si succedono.
Il paragone è lo strumento con cui il poeta ritrae il reale mediante un intreccio di notazioni varie e reali. La natura dantesca scaturisce sempre da un riferimento personale ed è, non di rado, attratta nell'orbita drammatica della rappresentazione. Tutto in Dante ha un valore soggettivo, il poema non è solo la storia dell'anima cristiana che si volge a Dio, ma anche la vicenda personale di Dante, inestricabilmente intrecciata agli avvenimenti che narra. Dante è sempre attore e giudice.
Il poeta ci presenta l'uomo nella sua complessità e ne mostra il rapporto con Dio, alla luce della tradizione ebraico-cristiana la quale si innestava su quella classica, greca e latina.[20]

La profezia religiosa e politica si sviluppa su un terreno di esperienze personali, dichiaratamente espresse, e di aspirazioni precise. Dante sovrappone la profezia ai fatti concreti e non li dimentica, né insegue sogni vaghi e irrealizzabili di rinnovamento come i profeti medievali, infatti il suo vagheggiamento di un rinnovamento religioso, morale e politico ha obiettivi ben precisi: una ritrovata moralità della Chiesa, la restaurazione dell'Impero, la fine delle lotte civili nelle città.
L'allegoria e la concezione figurale sono il fondamento del poema ed il segno più scoperto del suo medievalismo; il mondo è raffigurato suddiviso: da un lato la realtà storica e concreta, dall'altro il sopramondo, ossia il significato della realtà storica trasferita sul piano morale e su quello ultraterreno. Il costante riferimento al sopramondo attesta la subordinazione medievale di ogni realtà a un fine morale e religioso. Siffatta subordinazione è rigida e imperante e nell'assoluto valore dell'allegoria, nella fedeltà ai modi e allo stile ereditati dalla letteratura precedente è il medievalismo di Dante.

I sesti canti del poema sono di contenuto politico, secondo una visione che si amplia da Firenze (Ciacco, Inferno), all'Italia (Sordello da Goito, Purgatorio), all'impero (Giustiniano, Paradiso). Nell'Inferno è presente un dialogo fra Dante e Ciacco in cui viene condannata la decadenza morale e civile di Firenze ("superbia, invidia e avarizia sono/ le tre faville c'hanno i cuori accesi"; Inf. VI, vv.74-75). Nel Purgatorio è Dante stesso che affronta la tematica politica. Il poeta, in veste di autore, in una digressione deplora gli imperatori germanici suoi contemporanei poiché non si occupano più del "giardino dell'impero" ("giardin de lo imperio"; Purg. VI, v. 105), cioè dell'Italia ("Che val perché ti racconciasse il freno / Iustinïano, se la sella è vòta?"; Purg. VI, vv.88-89). Nel Paradiso la tematica è quella della legittimità dell'impero universale, istituzione voluta dalla Provvidenza, garante di pace e di giustizia, ed è affidata all'imperatore bizantino Giustiniano, personaggio fondamentale della storia antica, colui che aveva riordinato le leggi romane (Corpus iuris civilis) consentendo la loro trasmissione alle epoche successive. Quindi sia i guelfi, simpatizzanti per la monarchia francese (i gigli gialli; Par. VI, v. 100), opponendosi all'impero, sia i ghibellini, che strumentalizzano il pubblico segno per interessi privati e particolari, sono in errore ed ostacolano i disegni della Provvidenza. Il pensiero politico del poeta ruota perciò attorno alle istituzioni del Papato e dell'Impero e alle loro funzioni, motivi già trattati nel Convivio e nel De Monarchia.[21]

Dal punto di vista filosofico Aristotele è "il maestro di color che sanno" (Inferno, IV,131), il cui pensiero, ripreso e interpretato in chiave cristiana da Alberto Magno e Tommaso d'Aquino, è fondamentale nella filosofia dantesca. "Un peso maggiore sulla base dottrinale della Commedia lo assume il neoplatonismo, soprattutto perché in esso, soprattutto ad opera dei Padri della Chiesa alessandrini (per esempio Origene, III secolo) e dello stesso Pseudo-Dionigi l'Areopagita (V secolo) si fusero concezioni cristiane e platoniche sulla base di un criterio sincretistico. A questo proposito va notato che la disposizione e la struttura stessa di Inferno e Paradiso risentono in modo determinante delle dottrine neoplatoniche: Satana è collocato nel punto del cosmo più lontano da Dio ed è caratterizzato dalla brutalità meccanica tipica delle creature che costituiscono l'ultimo gradino della scala degli esseri, in cui prevale la materia.
Quanto al criterio complementare, fatto proprio da figure fondamentali come sant'Agostino che considera l'influsso divino in termini di irradiazione di luce, esso è assunto da Dante come grande sistema di collegamento della terza cantica, accogliendo le suggestioni che erano venute dalla metafisica della luce, elaborata in particolare dalla Scuola di Chartres (XII secolo) e dal teologo inglese Roberto Grossatesta (XIII secolo) nonché da san Tommaso e san Bonaventura. Quanto all'ordine delle gerarchie angeliche, Dante abbandona la proposta di Gregorio Magno (VI secolo), le cui dottrine aveva utilizzato nella sistemazione delle pene purgatoriali, per passare alla Gerarchia celeste dello Pseudo-Dionigi, a conferma della importanza strutturale della cultura neoplatonica della Commedia".[22]
[23][24]

Un tema ricorrente nella Commedia è la profezia.[25][26] Il profetismo era largamente diffuso ai tempi del poeta, come del resto lo fu durante tutto il Medioevo ed era caratterizzato da un'attesa escatologica. Inoltre nel 1300 papa Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo, segno di una volontà di rinnovamento spirituale. Nel XII secolo, in un clima di rinnovamento spirituale, il profetismo si sviluppò in due principali direzioni: una, legata ad un diretto contatto con Dio da ricondurre alla monaca benedettina Ildegarda di Bingen ed alle sue "visioni"; l'altra, che ebbe il suo maggior esponente in san Bernardo di Chiaravalle, avente come base l'esame della complessa realtà del proprio tempo con il fine di apportarvi miglioramenti dettati dalla carità.[27] "Ad alimentare questo clima di attesa e di speranze contribuì inoltre il commento all'Apocalisse del francescano Pietro di Giovanni Olivi (Pierre Olieu, 1248-1298), le cui idee Dante conobbe frequentando a Firenze la scuola conventuale francescana di Santa Croce, dove conobbe anche uno dei suoi più ferventi discepoli, Ubertino da Casale (1259 - 1330 circa). Proprio nel 1300 Dante colloca il suo viaggio nell'oltretomba, non a caso strutturato in forma di visione, attraverso cui denunciare agli uomini i mali del mondo e della Chiesa e indicandone allo stesso tempo i correttivi, mostrando a tutti gli uomini quale fosse la giusta strada da percorrere per il rinnovamento dello spirito. Il profetismo della Commedia, oltre che richiamarsi in generale alla Bibbia ha radici nel gioachimismo, col quale condivide la visione di una profonda decadenza dei valori e della corruzione della Chiesa, identificata con la prostituta dell'Apocalisse (Purg. XXXII, 160), e l'esigenza di combatterle nella speranza di un rinnovamento. Garanzia di tale speranza sono la gravità del dolore sopportato da coloro che sono rimasti fedeli a Cristo e la promessa di Cristo stesso di non abbandonarli, nonché la certezza, basata sull'Apocalisse, della sconfitta finale dei malvagi. Dante ritiene infatti non lontana la fine dei tempi, se gli scanni della candida rosa sono sì ripieni, / che poca gente più ci si disira (Par. XXX 131 - 132). Come Gioacchino da Fiore e la linea spirituale del francescanesimo, anche a Dante, nel suo messaggio profetico, prospetta l'ideale di una Chiesa povera e aderente ai princìpi evangelici, che dopo Cristo è stato sostenuto solo da San Francesco, ritenuto per questo da Dante un secondo Cristo (v. Paradiso XI), iniziatore di una svolta decisiva nella storia cristiana. Mentre però il gioachimismo identificava nell'Ordine francescano l'artefice del processo di redenzione, Dante se ne distacca, escludendo che il rinnovamento potesse scaturire dall'interno della Chiesa. Egli basa invece il proprio messaggio profetico sul veltro (Inferno I, 101), ossia un riformatore laico voluto da Dio (identificabile con l'imperatore), unica forza in grado di realizzare il piano provvidenziale svelato a Dante nell'oltretomba".[28]
In varie occasioni alcuni personaggi incontrati da Dante durante il suo viaggio oltremondano, grazie alla loro capacità di prevedere il futuro, preannunciano al poeta il suo esilio. Il primo che pronuncia contro Dante "parole gravi" è Farinata degli Uberti (Inferno X, 79 e ss.); seguono Brunetto Latini (Inferno XV, 61 e ss.), Vanni Fucci (Inferno XXIV, 133-151), Corrado Malaspina (Purgatorio VIII, 133 e ss.), Oderisi da Gubbio (Purgatorio XI, 139 e ss.) e infine Cacciaguida nel Paradiso (canto XVII).
Il ricorso alla profezia consente a Dante-personaggio (agens) anche di anticipare narrativamente la drammatica evoluzione che il Dante scrittore (auctor) vede dispiegarsi sotto i suoi occhi. Nella Commedia sono dunque disseminate molte profezie post-eventum, che riguardano fatti della biografia dell'autore (l'esilio) o collettivi (per esempio il trasferimento della sede papale ad Avignone ad opera di Papa Clemente V sotto la pressione dei sovrani di Francia. Tuttavia il messaggio di Dante riguarda anche un misterioso piano provvidenziale, personificato dall'enigmatico veltro, che interverrebbe a punire i responsabili della corruzione morale, come la curia papale e il re di Francia.[29][30] I vari commenti sull'Apocalisse fioriti nel Medioevo influirono notevolmente sull'atteggiamento profetico di Dante nel suo poema. La prima linea di sviluppo di tali commenti è molto attenta all'interpretazione letterale del testo e mira ad una interpretazione in senso morale (san Girolamo, Beda il Venerabile, Riccardo di San Vittore, Alberto Magno). La seconda linea si basa su un'interpretazione allegorica e tende a vedere rappresentata nel testo apocalittico una successione storica delle vicende della Chiesa. Questa linea interpretativa ha i suoi maggiori esponenti in Gioacchino da Fiore e Pietro di Giovanni Olivi, i cui commenti probabilmente influenzarono molto Dante. Dante si riferisce a san Giovanni e all'Apocalisse nell'Inferno (XIX, 106-111) e nel Paradiso (XXXII, 127-128). Nella processione mistica del Paradiso terrestre (Purgatorio, XXIX) vari elementi sono ripresi dal testo di san Giovanni (i sette candelabri, i ventiquattro seniori, i quattro animali, il drago, ecc.) ed il libro dell'Apocalisse viene rappresentato simbolicamente come un vecchio solo, che avanza dormendo, con la faccia arguta (Purgatorio, XXIX, 143-144).[31]

Un'altra tematica frequentemente rintracciabile nel poema è il valore-simbolo del numero. Secondo la Bibbia, Dio ha organizzato il cosmo secondo criteri armonici: "tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso" (Sapienza 11, 21). I Padri della Chiesa avevano dedicato grande attenzione alla numerologia, come attestano le opere Libro dei numeri di Isidoro di Siviglia e il libro XV (De Numero) dell'enciclopedia di Rabano Mauro. Dante aveva già sperimentato il simbolismo del nove, multiplo del tre simbolo della Trinità, nella Vita Nuova, dove lo applica a Beatrice: i due si incontrano la prima volta a nove anni, Beatrice rivolgerà il suo primo saluto all'ora nona, ecc.
Nella Commedia i canti sono 100 numero perfetto poiché rappresenta il 10 (moltiplicato per se stesso) denotante compiutezza. Dieci sono Le zone dell'Inferno (nove più l'antinferno); dieci le zone del Purgatorio (antipurgatorio, formato da spiaggia più primi due balzi, poi le sette cornici ed infine il paradiso terrestre); dieci sono le zone del Paradiso (sette cieli planetari, cielo delle stelle fisse, Primo Mobile, Empireo). Il numero simbolico trinitario 3 si trova nel numero delle cantiche, nei versi in terzine, nelle tre guide (Publio Virgilio Marone, Beatrice, San Bernardo) oltre che nelle tre facce di Lucifero, nelle tre fiere del primo canto dell'Inferno, nei tre gradini della porta del Purgatorio. Tre sono i gruppi di peccatori nell'Inferno (incontinenti, violenti, fraudolenti); nel Purgatorio le anime sono divise fra coloro che indirizzarono il loro amore su un oggetto sbagliato, quelli che furono poco solleciti al bene e quelli che amarono troppo i beni mondani; nel Paradiso i beati sono divisi fra gli spiriti che furono dediti alla ricerca della gloria terrena, gli spiriti attivi e gli spiriti contemplativi. Per quanto concerne il 9, i cerchi dell'Inferno sono nove, le cornici del Purgatorio 7, a cui si devono aggiungere Antipurgatorio e Paradiso Terrestre, 9 sono le sfere dei cieli (il decimo, l'Empireo, non è un luogo fisico).

La musica è un altro motivo ricorrente nel poema ed è quindi una presenza frequente nella Commedia. Nel Medioevo le teorie musicali furono influenzate dal trattato De Musica di Severino Boezio che si rifaceva alla dottrina di Pitagora e al principio di proporzione basato sul numero. L'atmosfera terrifica e dolente dell'Inferno è caratterizzata dalla disarmonia (III, 22-28; V, 46; XX, 8-9; XXXII, 36). Nel Purgatorio il canto delle anime ha effetto catartico (purificatorio), creando effetti di rasserenamento ed i riferimenti musicali hanno valore etico. Lo si vede in vari canti: la canzone intonata dal musico Casella (II, 107-108); poi in II, 47; V, 24; VIII, 13-18; X, 58-60; XII, 110-111; XXIII, 11-12. Nel Paradiso Terrestre la musica è frequente con le sue melodie (lo stormire delle foglie XXVIII, 13-18; l'apparizione di Matelda XXVIII 40-42; XXVIII 85; la melodia XXIX, 22-23; XXXI, 97-99; XXXII, 61-63). Il Paradiso è la cantica in cui la musica, intrecciandosi con le immagini luminose, costituisce la sostanza della cantica stessa. Numerosi sono gli esempi di una celeste musica polifonica: XXVII, 1-6, VI, 124-126; VIII, 16-20; X, 139-148; XIV, 28-32 e 118-123; XVII, 43-44; XXVIII, 118-120; XXIII, 97-102 e 109-111; XXVIII, 118-120; XXXII, 95-98; XXXIII, 68-75.[32][33]

La rappresentazione della luce è frequente nel poema e ad essa si contrappongono le tenebre. Tutte le divinità dell'antichità si identificavano con la luce ed il Bene: il Bel semitico, il Ra egizio, l'Ahura Mazdā iranico, il Bene di Platone. Attraverso il neoplatonismo la luce entra nella tradizione cristiana soprattutto grazie a Sant'Agostino e a Dionigi l'Areopagita in cui sono frequenti le immagini di Dio come luce, fuoco, fontana luminosa. Nella filosofia Scolastica fu elaborata la "teologia della luce" da Roberto Grossatesta e san Bonaventura da Bagnoregio nel XIII secolo. L'Inferno è invece il regno delle tenebre. Dante si smarrisce nella selva oscura (I, 2) e cerca di salire su un colle illuminato dal sole (I, 13-18, 37-43). La prima cantica è il regno che scaturisce dalla privazione di Dio e quindi è senza luce. L'Inferno è cieco mondo (IV, 13; XXVII, 25), cieco / carcere (X, 58-59; XXII, 103), valle buia (XII, 86), "loco d'ogne luce muto" (V, 28). I cerchi infernali sono scuri (XXV, 13), l'aria è morta (I, 17), nera (V, 51), sanza tempo tinta (III, 29); l'acqua dell'Acheronte è bruna (III, 118) e quella dello Stige "buia assai più che persa" (VII, 103); la vegetazione della selva dei suicidi è di color fosco (XIII, 4). Attraverso la scura natural burella (Inf. XXXIV, 98) Dante e Virgilio giungono nel Purgatorio dove la luce riconquista lo spazio. Il sole è simbolo di Dio, l'alto Sol (Purg. VII, 26), l'alto lume (Purg. XIII, 85). Dante giunge sull'Antipurgatorio alle prime ore del mattino (I, 13-30; 107, 115), l'ascesa alla montagna avviene al sorgere del sole (II, 1) e l'arrivo sul Paradiso Terrestre al momento dello splendere della luce (XXVII, 112, 133). Il sole concede ai due poeti di vedere l'accesso alla montagna (I, 107-108). La luce solare è presente in vari passi (XIII, 16-18; XVII, 70-75). Ovviamente è il Paradiso il regno della luce che è la sostanza stessa del regno celeste. Dante guidato da Beatrice, allegoria della grazia e della teologia, sale per lo ciel di lume in lume (XVII, 115) attraverso al materia eterea dei cieli: Luna (II, 34-36), Mercurio (V, 94-96), Venere (VIII, 13-15), Sole (X, 41), Marte (XIV, 85-86), Giove (XVIII; 68-69), Saturno (XXI, 13). I cieli sono fatti di materia eterea e pertanto riflettono all'esterno la luce che ricevono dal sole (III, 109-111; VIII, 19; X, 40-42). Gli angeli vengono rappresentati come fuochi (IX, 77), facelle (XXIII, 94), scintille (XXVIII, 91), splendori (XXIX, 138). I beati hanno un corpo etereo e sono luci, lumi, faville (VIII, 8; XVIII, 101), stelle cadenti (XV, 16), rubini (XIX, 4-6), gioie (IX, 37), lapilli (XX, 16), fuochi (XX, 34; XXII, 119), fiammelle (XXI, 136), lucerne (VIII, 19; XXIII, 28), lampe (XVII, 5). Dio è etterna luce (V, 7-8), viva luce (XIII, 55-57). Dio è definito "lume" (XXXIII, 43, 110), "Sol dei beati" (IX, 8; XV, 76; XVIII, 105; XXX, 126) e nell'Empireo appare a Dante come "stella", punto luminoso molto acuto (XXVIII, 16-18; XXX, 11), "favilla pura" che illumina i cori angelici (XXVIII, 37-39). Nell'Empireo Dante può contemplarlo come "trina luce....'n unica stella" (XXXI, 28). La Candida rosa dei beati è fatta di luci e fiamme splendenti (XXXI, 1-24) e, alla fine del poema, all'arcobaleno è associata la sostanza stessa della luce divina (XXXIII, 116-120).[34]

Le tre guide[modifica | modifica sorgente]

Il viaggio ultraterreno di Dante richiede l'appoggio di una guida, in quanto il protagonista rappresenta l'uomo smarrito in conseguenza del peccato e pertanto incapace di recuperare da solo la retta via. Per l'intero cammino che si svolge attraverso il baratro dell'Inferno e su per la montagna del Purgatorio la guida prescelta è Virgilio, l'antico poeta latino autore dell'Eneide. Egli, sebbene pagano, per l'alto valore morale della sua poesia, rappresenta la saggezza naturale, la ragione della cui luce l'uomo ha bisogno per riscattarsi e rendersi disponibile a comprendere la Rivelazione. Comunque la figura di Virgilio non rimane chiusa in una schematica funzione allegorica; essa, in virtù della capacità poetica di Dante, assume il ruolo di un personaggio di grande rilievo: ora egli si anima di sollecitudine paterna e riesce a rassicurare con la sua rasserenante protezione Dante sbigottito dagli orrori dell'Inferno, ora, specialmente nel Purgatorio, resta soggetto all'incertezza, al timore e vive un suo dramma personale, in quanto diversamente da Dante egli è escluso dalla salvezza. Il suo compito si conclude nel Paradiso terrestre in quanto Virgilio, estraneo al mondo della fede, non può guidare Dante a comprendere il mistero divino che gli si svelerà nel Paradiso. Per questo occorre l'intervento della Grazia, della scienza teologica, che viene rappresentata dalla nuova guida, Beatrice, la quale condurrà Dante dalla cima del Purgatorio alle soglie dell'Empireo.

Anche nel caso di Beatrice il significato allegorico si arricchisce di componenti che fanno della sua figura un personaggio altamente poetico. Beatrice è pur sempre la donna angelica che ha illuminato la giovinezza del poeta: adesso, divenuta beata, risplende di una luce che si esprime nel suo sguardo e nel suo sorriso, rendendola bella in modo indicibile. Beatrice spiega al poeta con un linguaggio dotto ardui problemi teologici, ma lo fa salire attraverso i cieli con la forza del suo sorriso, cioè con la forza di un amore che è il riflesso di quello divino.

Dopo aver condotto Dante all'interno dell'anfiteatro occupato dai beati, Beatrice ritorna al suo seggio da dove appare al poeta cinta di un'aureola luminosa e il ruolo di guida viene assunto nel momento conclusivo del viaggio da San Bernardo, il quale per la sua vita dedita, già in Terra, alla contemplazione, appare singolarmente adatto a sostenere Dante nel momento in cui, con l'aiuto della preghiera di tutti i beati, e in particolare della Vergine, riuscirà ad entrare in diretta comunione con la viva presenza di Dio.

Modelli e fonti[modifica | modifica sorgente]

Lingua[modifica | modifica sorgente]

Uno dei problemi più ardui della filologia italiana è lo studio della lingua dei principali autori della nostra tradizione letteraria. Tale problema è connesso strettamente allo studio della tradizione manoscritta delle opere. Nel caso di Dante, la questione è molto più complessa e delicata in quanto nel poema dantesco si è tradizionalmente identificata l'origine stessa della lingua italiana. La definizione di "padre della lingua italiana", spesso utilizzata per Dante, non è solo una teoria della critica contemporanea; generazioni di lettori, a partire dai primi commentatori fino ai moderni esegeti, non hanno potuto fare a meno di confrontarsi, anche quando hanno anteposto alla Commedia altri modelli linguistici e letterari, con il poema sacro. Ad esempio, la teorizzazione del Bembo nelle Prose della volgar lingua, in quanto fondamentalmente normativa, tendeva a canonizzare un modello linguistico più vicino a Petrarca che a Dante. Ciononostante, nelle Prose, il poema è comunque il testo più importante cui fare riferimento, anche e soprattutto in prospettiva critica, per la sua ricchezza linguistica e lessicale.
Tuttavia, l'importanza irrinunciabile della Commedia è dimostrata dal peso attribuito al poema dantesco nella compilazione del primo Vocabolario degli Accademici della Crusca. Poiché il numero di citazioni della Commedia supera di gran lunga quello di qualsiasi altra opera e poiché è evidente che l'influenza di un vocabolario sullo sviluppo storico di una lingua è senz'altro superiore a quello di ciascuna singola opera, ne risulta dimostrata la centralità del poema per la coscienza linguistica e letteraria italiana.
La storia della tradizione manoscritta dimostra d'altronde quanto il processo di copia del poema abbia contribuito fin dalle origini alla formazione di un volgare letterario italiano. Tuttavia, l'esatta forma della lingua dantesca è ancora oggetto di studio e di dibattito, così come accade per le maggiori opere della letteratura antica. Solitamente, viene considerata una soluzione efficace basarsi sulla lingua del testimone più antico di un'opera.
Nel caso della Commedia, si tratta del manoscritto Trivulziano 1080.[35]

Tra gli studi sulla linguistica dell'opera di Dante, va segnalato il filosofo del linguaggio Antonino Pagliaro.

Stile[modifica | modifica sorgente]

Dante non si può scindere dalla tradizione poetica provenzale, come dalla poesia provenzale non si può separare lo Stil Novo di cui Dante fu insigne rappresentante. Stile e linguaggio danteschi derivano da modi caratteristici della letteratura latina medievale: giustapposizione sintattica (brevi elementi successivi) cesure, stacchi, uno stile che non conosce la fluidità e il modo mediato e legato dei moderni. Dante ama l'espressione concentrata, il rilievo visivo e rifugge dai legami logici, il suo linguaggio è essenziale.

A differenza di Petrarca che utilizzava un linguaggio semplice e puro, caratterizzato da un ristrettissimo numero di parole, secondo un criterio unilinguistico, Dante nella Commedia adotta una grande ampiezza di lessico e di registri stilistici, dal più basso e "comico" nel senso medioevale del termine, al più alto e "sublime". Si parla dunque di plurilinguismo dantesco.

Studi e fonti[modifica | modifica sorgente]

Sull'istruzione di Dante la ricerca è tuttora aperta; quasi sicuramente non frequentò regolarmente un'istituzione di studi superiori, e tuttavia la sua opera dimostra perfetta conoscenza delle discipline delle Arti, insegnate come base comune a tutte le facoltà universitarie. È stata avanzata l'ipotesi di suoi contatti con un gruppo di filosofi averroisti bolognesi. Quasi sicuramente studiò la poesia toscana, nel momento in cui la Scuola poetica siciliana, un gruppo culturale originario della Sicilia, stava cominciando ad essere conosciuta in Toscana. I suoi interessi lo portarono a scoprire i menestrelli ed i poeti provenzali e la cultura latina. Scritta in toscano volgare.

Evidente è la sua devozione per Virgilio (Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, / tu se' solo colui da cu'io tolsi / lo bello stilo che m'ha fatto onore, Inferno v. 85 canto I)) anche se la Divina Commedia mette in gioco una complessa tradizione classica e cristiana esaltando la cultura del Nostro; volendo ricordare alcune fonti si può iniziare dal verso 32 dell'Inferno "Io non Enea, io non Paulo sono" in cui sono presentati i due testi chiave sui quali si basa la sua opera: l'Eneide, (in particolare il canto VI) e la Seconda lettera ai Corinzi di san Paolo, là dove racconta del suo rapimento estatico.

Numerosi altri testi agiscono sulla fantasia di Dante, dal Commentario di Macrobio al Somnium Scipionis (su una parte del libro VI della Repubblica di Cicerone), in cui viene narrata la visione delle sfere celesti e la dimora delle grandi anime, all'Apocalisse di S. Giovanni, come la meno nota Apocalisse apocrifa di s. Paolo (condannata da sant'Agostino, ma molto diffusa nel basso Medioevo) che contiene alcune descrizioni delle pene infernali e la prima generica definizione dell'esistenza del Purgatorio. Il tema della visione ebbe grande fortuna nel Medioevo, e molti di questi racconti d'esperienze mistiche erano noti a Dante, come la Navigatio sancti Brendani, la Visio Tnugdali, il Purgatorio di san Patrizio e i Dialoghi di san Gregorio Magno. Vanno pure menzionate le seguenti "visioni" medievali: la Visione di Ansello (secolo XII) e la Visione di Eynsham (secolo XII). Bisogna ricordare altresì il viaggio oltremondano (catabasi) di Drythelm nella Storia ecclesiastica d'Inghilterra scritta da Beda il Venerabile nel secolo VIII. In essa l'anima del protagonista, guidata da uno spirito luminoso, visita i luoghi infernali dei dannati dove teme di essere presa dai diavoli ma viene salvata dallo spirito-guida e condotta ad ammirare i prati luminosi e profumati delle anime elette che cantano cori celestiali. Dopo questa esperienza oltremondana l'anima rientra nel corpo e il protagonista vive una vita santa per meritarsi la beatitudine celeste.[36][37] Nella Leggenda del viaggio di tre santi monaci al Paradiso terrestre (X secolo) si racconta invece di tre monaci di enorme bontà che dal fiume di Sion arrivano al Paradiso terrestre la cui porta è custodita da un cherubino. All'interno incontrano i profeti Enoch ed Elia. Poi ripartono credendo di essere vissuti all'interno del Paradiso terrestre tre giorni mentre in realtà vi hanno trascorso tre anni.[38]

Anche la coeva escatologia ebraica e musulmana sembra essere stata presente a Dante: in particolare, si pensa abbia potuto leggere le opere di Hillel da Verona, che trascorse gli ultimi anni della sua vita a Forlì, morendovi poco prima dell'arrivo di Dante in quella città. Per quanto riguarda elementi della cultura islamica che potevano essere presenti al mondo di Dante, sono stati molto rilevanti gli studi di Miguel Asín Palacios, di Enrico Cerulli, di Bruno Nardi e di Louis Massignon. Sull'influenza dell'Islam sul Poeta si incentrano numerosi studi della celebre dantista Maria Corti secondo la quale si ispirerebbe in particolare la configurazione del Paradiso dantesco al Paradiso arabo soprattutto per la "metafisica della luce".

Molto spesso è Dante, presentando i vari autori nella sua opera, a lasciare una visione superficiale della sua biblioteca; ad esempio, nel cielo del Sole (canti X e XII) del Paradiso incontra due corone di spiriti sapienti, e tra questi mistici, teologi, canonisti, filosofi vi si ritrova Ugo di San Vittore, Graziano, Pietro Lombardo, Gioacchino da Fiore ecc.

Altre fonti più recenti e di più superficiale incidenza nella Divina vanno considerati i rozzi poemetti di Giacomino da Verona (De Ierusalem coelesti e De Babilonia civitate infernali) il Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva, con la descrizione dei regni dell'Aldilà, e la Visione del monaco cassinese Alberico. Da ricordare anche il poemetto allegorico-didascalico Detto del Gatto lupesco (XII secolo), viaggio allegorico di un cavaliere-eroe che deve superare tre ostacoli, simbolo del male, per raggiungere la beatitudine eterna.[39]

Sulla biblioteca classica di Dante ci si deve accontentare di deduzioni interne ai suoi testi, delle citazioni dirette e indirette che essi contengono; si può affermare che accanto al nome di Virgilio compaiono Ovidio, Stazio e Lucano, cui seguono i nomi di Tito Livio, Plinio, Frontino, Paolo Orosio, che già erano presenti, con l'aggiunta di Orazio e l'esclusione di Stazio, nella Vita Nuova (XXV, 9-10), così ci si accorge che questi erano i poeti più diffusi e più letti nelle scholae medievali lasciando aperta l'ipotesi di una loro frequentazione da parte di Dante.

Storia della critica[modifica | modifica sorgente]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Storia della critica della Divina Commedia, su Wikibooks.

L'opera ebbe grande fortuna già nei primi anni in cui venne diffusa: a parte il fiorire di manoscritti e citazioni, alcune ancora precedenti alla morte di Dante, già nel XIV secolo vengono composti commenti all'intera opera o solo all'Inferno. Fra i primi commentatori annoveriamo anche i figli di Dante, Jacopo e Pietro Alighieri, ma anche Giovanni Boccaccio che negli ultimi anni della sua vita tenne delle letture pubbliche, le Esposizioni sopra la Comedia.

Tradizione manoscritta[modifica | modifica sorgente]

Dal punto di vista filologico, il caso della Commedia è tra i più complessi nel panorama delle lingue romanze per la vastità delle testimonianze e per la conseguente difficoltà di stabilire con certezza i rapporti tra i manoscritti. I manoscritti oggi noti sono infatti circa ottocento (un registro è consultabile sul sito www.danteonline.it a cura della Società Dantesca Italiana, dove è possibile inoltre visionare direttamente un ampio numero di codici). Per i manoscritti più antichi del poema (1330-1350) si possono quindi distinguere, secondo lo stemma codicum approntato da Giorgio Petrocchi per la sua edizione del 1966-7: una tradizione fiorentina molto antica (rappresentata sostanzialmente dal manoscritto Trivulziano 1080, datato 1337 e dalle postille collazionate dall'umanista Luca Martini su una stampa cinquecentesca, da un codice approntato da un pievano, Forese Donati, databile al 1322), un tradizione toscana occidentale, una tradizione emiliana e infine una ulteriore tradizione fiorentina, alla quale si può ricondurre la maggioranza dei manoscritti trecenteschi e quattrocenteschi.[40] È probabile che la Commedia sia stata inizialmente diffusa per cantiche o gruppi di canti; non sarebbe quindi mai esistito un originale esplicitamente pubblicato dall'autore.

Edizioni[modifica | modifica sorgente]

Edizioni critiche[modifica | modifica sorgente]

Prima di Petrocchi[modifica | modifica sorgente]

Una prima edizione completa della Commedia potrebbe essere stata allestita da uno dei figli di Dante, Iacopo, dopo la morte del poeta, attorno al 1322. A partire da tale ipotetico testo della Commedia, si sarebbero determinate diverse edizioni del poema. Il grande numero di testimoni che tramandano il testo della Commedia rendono l'elaborazione di una edizione critica un lavoro molto oneroso. La prima edizione critica condotta attraverso metodi lachmaniani fu curata nell'Ottocento da Karl Witte, che, però, si basò solo su quattro testimoni. D'altronde portare a termine la recensio di tutta la tradizione è uno dei problemi maggiori per un editore critico della Commedia: cercò di risolverlo Michele Barbi proponendo una serie di loci critici, ossia di passi significativi in cui la tradizione si differenzia, su cui collazionare tutti i testimoni. Si servirono di questo espediente gli editori critici Parodi e Pellegrini, i quali approntarono il testo per il seicentenario della morte di Dante nel 1921.

L'edizione Petrocchi[modifica | modifica sorgente]

L'edizione critica ancor oggi di riferimento è quella di Giorgio Petrocchi,[41] tale edizione non segue precipuamente i canoni lachmaniani: Petrocchi ritiene impossibile tracciare uno stemma codicum viste la diffusa contaminazione, già frequente in testimoni molto alti, e la perdita di tutta la prima tradizione manoscritta, dalla morte di Dante (1321) al primo testimone rimastoci, Triv, datato 1337. Pertanto Petrocchi, dopo aver eliminato tutti i codici successivi al 1355 come codices descripti nonché corrotti dall'intervento destabilizzante di Giovanni Boccaccio come copista, ritiene di poter risalire non tanto al testo originale, quanto alla vulgata, ossia al testo conosciuto all'altezza di quel periodo.

Le ultime edizioni[modifica | modifica sorgente]

Di recente, gli editori hanno effettuato scelte molto diverse. Oltre l'edizione critica a cura di Giorgio Petrocchi, esiste un'edizione a cura di Antonio Lanza,[42] di tipo bédieriano, basata sostanzialmente sul manoscritto Trivulziano, scelto in base allo stemma disegnato da Petrocchi stesso. Successivamente è apparsa l'edizione di Federico Sanguineti,[43] che invece si basa su un impianto di tipo lachmanniano, ovvero su un procedimento teso all'esame esaustivo della tradizione manoscritta e alla decifrazione dei rapporti tra i codici. In pratica, come è stato sottolineato da più parti,[44] l'edizione giunge essenzialmente alla pubblicazione di un unico manoscritto (l'Urbinate lat. 366). Infatti Sanguineti, dopo aver scartato i testimoni recentiores in base ad errori comuni, senza tuttavia averne scientificamente dimostrato l'apografia, traccia uno stemma bipartito, di cui il ramo beta è rappresentato praticamente solo dal manoscritto Urbinate Urb, che pertanto conta da solo per il 50% per l'accertamento della lezione da mettere a testo. Più recente è l'edizione del solo testo di Giorgio Inglese,[45] che ha sostenuto l'impossibilità di un'edizione bedieriana per la Commedia, vista la precoce contaminazione, ed ha pertanto concentrato la propria attenzione sulla revisione dello stemma Petrocchi, di cui risulta, a parte alcune modifiche (quali l'ipotesi di una contaminazione extrastemmatica) la sostanziale validità, pur nella maggiore attenzione dedicata alla famiglia settentrionale. Su criteri analoghi ma sostanzialmente col testo di Petrocchi, l'edizione bilingue di Jean-Charles Vegliante, La Comédie - Poème sacré, per i tipi di Gallimard (poésie), 2012.

Traduzioni[modifica | modifica sorgente]

La Divina Commedia ha avuto molteplici traduzioni in lingue e epoche diverse: qui se ne ricordano alcune. Antoine Rivaroli (1753-1801) e Félicité de Lamennais (1782 - 1854) sono autori di due diverse traduzioni in francese.[46][47] Henry Wadsworth Longfellow (1807 - 1882) è stato il primo statunitense a tradurla in inglese, completando il lavoro nel 1867.[48] Giovanni Peterlongo (1856 – 1941) l'ha tradotta in esperanto.[49] Mons. Pádraig de Brún (1889-1960) ne ha fatto una traduzione in gaelico irlandese, che venne pubblicata postuma.[50] In spagnolo è stata tradotta da Ángel Crespo.

La prima traduzione in latino è stata quella di Giovanni Bertoldi da Serravalle, francescano di origine sammarinese, vescovo di Fermo e di Fano, durante il Concilio di Costanza su richiesta di alcuni prelati o addirittura dall'allora Re Sigismundo di Lussemburgo. La traduzione con commento fu portata a termine nel 1417 e la prima edizione a stampa nel 1891.[51]

Molte sono le versioni in spagnolo:

  • il politico argentino Bartolomé Mitre ha tradotto la Divina Commedia,[52]
  • il filologo spagnolo Ángel Chiclana, ne ha curato una versione in prosa,[53]
  • il filologo argentino Ángel J. Battistessa la ha anche tradotta,
  • il poeta cileno Raúl Zurita sta preparando una traduzione.[53]

La Divina Commedia nell'arte[modifica | modifica sorgente]

Trasposizioni cinematografiche (lista parziale)[modifica | modifica sorgente]

Musica[modifica | modifica sorgente]

  • From Hell to Heaven (2008) è un'opera rock-sinfonica ispirata alla Divina Commedia. Composta da Andrea Bezzon con gli arrangiamenti di Andrea 'Urpilo' Guarnieri e le orchestrazioni di Fabrizio Castania
  • La Divina Commedia-l'opera (2007) è un'opera musicale ideata e composta da Monsignor Marco Frisina, con la collaborazione di grandi firme internazionali ed un ricco cast di cantanti, attori ed acrobati. Dante è interpretato da Vittorio Matteucci, già interprete eccezionale in musical come Notre Dame de Paris, Tosca Amore Disperato e Dracula. Quest'opera musicale ha vinto il "Premio Miglior Spettacolo del 2008" della rassegna "Fatti di Musica" ideata ed organizzata da Ruggero Pegna.
  • Francesca da Rimini (1876) fantasia sinfonica di Pëtr Il'ič Čajkovskij
  • Francesca da Rimini (1906) opera lirica di Sergej Vasil'evič Rachmaninov
  • Inferno (1973), album dei Metamorfosi
  • Paradiso (2004), album dei Metamorfosi
  • La canzone Dante's Inferno del gruppo heavy metal americano Iced Earth è chiaramente ispirata alla divina commedia. La canzone è presente nell'album Burnt Offerings, la cui copertina è un'incisione di Gustave Doré, tratta dall'edizione da lui illustrata della Commedia nel 1857.
  • Le canzoni Inferno - The Divine Comedy e Acheron's Way del gruppo svizzero hard rock Shakra, presenti sull'album Infected.
  • "Après une Lecture de Dante: Fantasia quasi Sonata" di Franz Liszt
  • "Francesca da Rimini" (1914), opera in quattro atti di R. Zandonai su libretto di T. Ricordi. Il riferimento è ovviamente al notissimo personaggio dell'Inferno dantesco e l'opera è un libero adattamento dell'omonima tragedia di Gabriele D'Annunzio.
  • Il gruppo industrial-gothic italiano Deuxvolt ha realizzato un brano in 100 versi tributo all'inferno dantesco.[54]
  • "Sonora Commedia" (2009), triplo CD ("Inferno", "Purgatorio" e "Paradiso") edito da Kipple Officina Libraria, in cui trentatré musicisti italiani si sono cimentati nella composizione di tre brani (ognuno dei quali ispirato a un canto) fino a comporre 99 brani a cui è aggiunto un ultimo brano ottenuto mixando parte degli altri.

Teatro, televisione e videogiochi[modifica | modifica sorgente]

  • Tutto Dante; è una tournée teatrale curata dal Premio Oscar Roberto Benigni, iniziata nel 2006 con letture e commenti dei canti più famosi della Divina Commedia. Per questa opera di divulgazione della Commedia, Benigni è stato candidato nel 2007 al Premio Nobel per la Letteratura. La tournée è stata riadattata per la televisione: la serie "Tutto Dante-La Divina Commedia in tv" ha debuttato su Rai 1 il 29 novembre 2007 con la lettura del Quinto Canto dell'Inferno con un share di oltre dieci milioni di telespettatori. Le altre letture si sono tenute invece in seconda serata sempre su Rai Uno.
  • La Divina Commedia: l'Opera: il 23 novembre 2007, debuttando a Roma al "Teatro Divina Commedia" costruito appositamente per lo spettacolo, la Commedia si trasforma in sontuosa Opera destinata al grande pubblico, traghettato da armonie musicali e incredibili effetti scenici dall'Inferno al Paradiso. Oltre cento artisti tra musicisti, attori, cantanti, ballerini e acrobati che hanno dato vita alle musiche di Marco Frisina, accompagnate dalla suggestione delle creature fantastiche create dal premio Oscar Carlo Rambaldi (creò King Kong, E.T e il mostro di Alien).
  • Dante Inferno - l'Opera in Musical: il 7 aprile 2008 è andata in scena, al Teatro Politeama di Viareggio, la prima del musical ideato e scritto da Francesco Ricci e musicato dal compositore Tiziano Puritani, che attraverso una stesura fedele all’opera originale, ma riletta in chiave musicale, ha voluto avvicinare al poema il grande pubblico con un linguaggio nuovo e suggestivo. Lo spettacolo ha portato in scena oltre venti elementi tra cantanti, ballerini e attori, una successione di 114 abiti realizzati da Alessandra Dini, oltre 30 realizzazioni in cartapesta create dal carrista viareggino Jacopo Allegrucci e le scenografie di Giacomo Callari realizzate dal laboratorio scenografico del Teatro Verdi di Pisa. Le coreografie dello spettacolo sono state curate da Paola Caldarazzo Jenco.
  • "La Divina Commedia mostrata con la lanterna magica". Il Museo del Precinema Collezione Minici Zotti di Padova ha ideato una proiezione con la lanterna magica dell'800 e vetri originali dell'epoca, accompagnata da relative letture. Le 75 immagini raffiguranti la Divina Commedia sono, per la maggior parte, tratte dalle incisioni del Dorè. Si effettuano proiezioni dal vivo, oppure i visitatori del Museo, a richiesta, possono assistere a una video proiezione.[55]
  • Dante's Inferno (Beyond). Videogioco di tipo arcade-adventure, basato sulla prima cantica dell'opera. È uscito nel 1986 per il sistema Commodore 64, le uscite previste per i sistemi Sinclair ZX Spectrum e Amstrad CPC non furono mai realizzate.
  • Dante's Inferno (Electronic Arts). Riguarda la versione videoludica della prima cantica della Divina Commedia. Il genere di questo videogioco è Action-Adventure. L'uscita è avvenuta il 12 febbraio 2010 in Nord America e in Europa.
  • "La Divina Commedia - La Serie". Si tratta del primo caso in assoluto di Produzione di una Serie Televisiva in tre stagioni (Inferno - Purgatorio - Paradiso) sulla Divina Commedia. Prodotto da FreeStageFilms per la regia di Claudio Cicconetti, scritto da Claudio Cicconetti e Mizio Curcio con la produzione esecutiva di Ivan Villa, la serie tratta in una chiave ultra moderna con contaminazioni fantasy e mistery, il tortuoso viaggio di un giovane Dante attraverso universi paralleli e gironi infernali. Il trailer, pubblicato sulla rete, ha stabilito il più alto record di visualizzazioni in 48 ore su youtube, creando il caso mediatico dell'anno 2013. http://www.youtube.com/watch?v=yGcrCxSVL5o

Pittura[modifica | modifica sorgente]

La barca di Dante (E. Delacroix) (1798-1863). Iracondi e accidiosi nella palude stigia

La Divina Commedia nella Valle delle Pietre dipinte è un'opera pittorica di Silvio Benedetto, realizzata negli anni novanta su 110 massi in travertino di 1,50 per 2,50 metri, dipinti in più facciate, sulla grande opera di Dante. Pur privilegiando il lato frontale, la pittura si sviluppa su tutti i lati della pietra. Tuttavia nessun lato dei poliedri dovrebbe essere letto autonomamente. Si trova a Campobello di Licata[56]

  • Ispirato da Dante: Viaggio di un Artista nella Divina Comedia. Disegni di Jennifer Strange[senza fonte]

Scultura[modifica | modifica sorgente]

Filmografia[modifica | modifica sorgente]

Dante nel fumetto[modifica | modifica sorgente]

L'Inferno è stato oggetto di due parodie disneyane.

  • La prima, probabilmente la più fedele all'originale, è uscita in sei puntate su Topolino nº 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 dell'ottobre, novembre e dicembre 1949, gennaio, febbraio e marzo 1950. La storia, ad opera completa, di Guido Martina, si intitola L'Inferno di Topolino. È anche famosa poiché si tratta della prima storia di Topolino interamente scritta e disegnata da un autore italiano.
  • L'inferno di Paperino, testo e disegni di Giulio Chierchini originariamente pubblicato su Topolino numero 1654 del 9 agosto 1987 è una libera trasposizione di parte dell'Inferno dantesco in cui l'autore nonché disegnatore traspone nei vari gironi figure di peccatori quali: burocrati, persone che hanno inquinato l'ambiente, automobilisti non rispettosi delle norme, piromani, disturbatori della quiete altrui ecc. Il protagonista è Paperino che impersona un ipotetico Dante Alighieri accompagnato nel suo percorso da Arkimedio Poeta, trasposizione di Virgilio. Parte del testo è scritto richiamando lo stile Dantesco delle terzine incatenate di versi endecasillabi, proposte in simil lingua volgare fiorentina. Pur essendo gran parte dei personaggi di pura fantasia, l'autore cita alcune figure chiave quali Caron Dimonio, le Erinni, e la figura di Lucifero che però viene rinominato Belzebù. Così come la frase lasciate ogni speranza o voi che entrate... diventa scordatevi del tempo o voi ch'entrate posta all'ingresso del girone dove scontano la pena coloro hanno abusato di timbri e carte bollate a danno altrui. L'aspetto forse più curioso e interessante è che probabilmente si tratta di una delle pochissime storie a fumetti di casa Disney in cui si cita l'Aldilà e vengono rappresentati personaggi trapassati.

L'autore giapponese Gō Nagai, per il suo capolavoro Devilman, ha dichiarato più volte di essere stato ispirato dalla Divina Commedia di Dante. Non a caso, Go Nagai chiamò Mao Dante il manga che divenne poi il prototipo di Devilman. Inoltre, in Devilman vengono esplicitamente citati il Sommo Poeta e il suo immortale capolavoro.

Marcello Toninelli, che iniziò la sua esperienza fumettistica con una sua versione di Dante, ha realizzato negli anni'90 una parodia della Commedia.

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. ^ Nel Medioevo le opere spesso non avevano un vero e proprio "titolo", ma nei manoscritti erano indicate, per esempio, dal loro incipit. Uno degli incipit più conosciuti dell'opera di Dante era: «Qui comincia la commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita ma non di costumi» (Incipit Comoedia Dantis Alagherii, florentini natione, non moribus). Dante volle designare il suo poeta come "Comedia" (probabilmente letta con accento tonico sulla i) per il fatto che in esso vi è una progressione "dal male al bene": l'opera inizia in un contesto segnato da negatività e con linguaggio e contenuti "bassi" (l'Inferno) e termina con linguaggio e contenuti "alti" e con la soluzione del dramma iniziale dell'autore (nel Paradiso). L'aggettivo Divina, attribuito da Boccaccio, si ritrova solo a partire dalle edizioni a stampa del 1555 a cura di Ludovico Dolce.
  2. ^ sulla discussa cronologia della composizione si veda: E. Cecchi, N. Sapegno, Storia della Letteratura italiana, vol. II, Il Trecento, Garzanti, Milano, 1965, p. 69
  3. ^ v. Harold Bloom,Il canone occidentale, Bompiani, Milano, 1996; Erich Auerbach, Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1964; ecc. È inclusa ad esempio fra i Grandi Libri del Mondo Occidentale e nel 2002 è stata inserita nella lista de I 100 libri migliori di sempre secondo Norwegian Book Club.
  4. ^ Secondo il teologo francescano Bonaventura da Bagnoregio, nella sua opera più famosa L'itinerario della mente verso Dio (1259), il «viaggio» spirituale verso Dio è frutto di una illuminazione divina, che proviene dalla «ragione suprema» di Dio stesso. Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve passare attraverso tre gradi, che, tuttavia, devono essere preceduti dall'intensa ed umile preghiera.
  5. ^ La Commedia secondo l'antica vulgata, Milano, A. Mondadori, 4 voll., 1966-67
  6. ^ La Commedìa. Testo critico secondo i più antichi manoscritti fiorentini, De Rubeis Editore, 1995
  7. ^ Dantis Alagherii Comedia, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001
  8. ^ Neologismi in "Enciclopedia dantesca, Treccani.it
  9. ^ Le Epistulae di Dante su Liber Liber. URL consultato il 3 aprile 2008.
  10. ^ A proposito di questi versi, sono state notate le somiglianze con l'anonimo Serventese romagnolo del 1277, certamente noto a Forlì, quando Dante vi giunse. Si veda: A. E. Mecca, "Dante e il Serventese romagnolo del 1277", in Nuova rivista di letteratura italiana, 2005, 1-2, pp. 9-18. Si veda anche: A. F. Massera, Il serventese romagnolo del 1277.
  11. ^ Paolo Malatesta e Francesca da Rimini
  12. ^ «...estasi per cui la mente esce di sé e perviene a un potenziamento di sé» (T. Di Salvo, Paradiso, Zanichelli, 1988, p. 622)
  13. ^ Per un approfondimento sulla rima dantesca risulta utile il "Rimario" di Luigi Polacco ne " La Divina Commedia" della Società Dantesca Italiana col commento scartazziniano, Ed. Ulrico Hoepli, Milano.
  14. ^ Sulla cosmologia di Dante, si veda l'intervista video a Giorgio Stabile, nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche.
  15. ^ Natalino Sapegno (a cura di), La Divina Commedia - Vol. I. Inferno, Firenze, La Nuova Italia, p.4, ISBN non esistente.
  16. ^ Vittorio Sermonti (a cura di), La Divina Commedia - Inferno,, Milano, Bruno Mondadori, 1996, ISBN 88-424-3077-3. e Manfredi Porena (commentata da), Canto I, nota finale 1 in La Divina Commedia di Dante Alighieri - Vol. I. Inferno, Nuova edizione riveduta e ampliata, Bologna, Zanichelli, ristampa maggio 1968, pp. 14-16, ISBN non esistente.
  17. ^ Si desume da Inferno XXXIV, vv. 68-69, cfr. M. Porena, op. cit., Inferno Canto XXXIV, nota al v. 68, p.312
  18. ^ Le date successive sono riferite alle 12 ore di fuso orario contate all'indietro; se si contano in avanti si deve passare al giorno successivo.
  19. ^ Purgatorio, canto IX, vv.1-12; Canto XIX, vv.1-9; canto XXVII, vv.88-93
  20. ^ Dio e l'uomo nella Divina Commedia - Treccani Portale
  21. ^ Il pensiero politico di Dante nei versi della Commedia - Treccani Portale
  22. ^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, ed. La Scuola, p. 21.
  23. ^ Bruno Nardi, Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza, 1985
  24. ^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medio Evo, Firenze, La Nuova Italia, 1983
  25. ^ Bruno Nardi, Dante profeta, in «Dante e la cultura medievale», Bari, Laterza, 1983.
  26. ^ N.Mineo, Profetismo e Apocalittica in «Dante», Catania, Facoltà Lettere e Filosofia, 1968
  27. ^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, pag.189, Editrice La Scuola, 1997.
  28. ^ Da Percorsi danteschi, cit., p. 190.
  29. ^ Corrado Bologna, Paola Rocchi, Rosa fresca aulentissima, Antologia della Commedia, edizione rossa, ed. Loescher, pag. 15
  30. ^ Le profezie dell'esilio
  31. ^ Riccardo Merlante, Stefano Prandi, Percorsi danteschi, pag. 20, Editrice La Scuola, 1997.
  32. ^ R. Monterosso, Musica, in Enciclopedia dantesca
  33. ^ Bruno Nardi, "La novità del suono e 'l grande lume", in "Saggi di filosofia dantesca", Firenze, La Nuova Italia, 1967
  34. ^ Percorsi danteschi, Riccardo Merlante, Stefano Prandi, ed. La Scuola, 1997, pagg. 235-246.
  35. ^ La Lingua della Commedia - Treccani Portale
  36. ^ The Incredible Vision of St. Drythelm — Classical Christianity
  37. ^ Regina Mundi - Il Purgatorio nel Magistero
  38. ^ Il Viaggio Dei Tre Monaci Al Paradiso Terrestre
  39. ^ Gatto Lupesco - Biblioteca Classica Uroboro
  40. ^ Dante Alighieri, Commedia. Inferno, a cura di G. Inglese, Carocci, Roma, 2007, pp. 385-396
  41. ^ La Commedia secondo l'antica vulgata, Milano, A. Mondadori, 4 voll., 1966-67)
  42. ^ Dante Alighieri, La Commedìa. Nuovo testo critico secondo i più antichi manoscritti fiorentini, a cura di A. Lanza, Anzio, De Rubeis, 1995
  43. ^ Dantis Alagherii Comedia, edizione critica per cura di F. Sanguineti, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2001. L'autore ha apportato correzioni al testo critico in Dantis Alagherii Comedia. Appendice bibliografica 1988-2000, per cura di F. Sanguineti, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2005
  44. ^ Cfr. ad esempio M. Veglia, Sul testo della Commedia (da Casella a Sanguineti), in «Studi e problemi di critica testuale», a. LXVI 2003, pp. 65-119; P. V. Mengaldo, Una nuova edizione della Commedia, in «La parola del testo», a. V 2001, fasc. 2 pp. 279-289.
  45. ^ Commedia: Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio Inglese, Roma, Carocci, 2007; Commedia: Purgatorio, revisione del testo e commento di Giorgio Inglese, Roma, Carocci, 2011.
  46. ^ Dante Alighieri, La Divine Comédie, (traduzione di Lamennais), Wikisource. URL consultato il 27 ottobre 2008.
  47. ^ Dante Alighieri, La Divine Comédie, (traduzione di Antoine Rivaroli), Wikisource. URL consultato il 27 ottobre 2008.
  48. ^ Dante Alighieri, The Divine Comedy, (traduzione di Henry Wadsworth Longfellow), Wikisource. URL consultato il 27 ottobre 2008.
  49. ^ Dante Alighieri, La Divina Commedia-La dia komedio. Testo esperanto a fronte (traduzione di Giovanni Peterlongo), SIEI, 1980.
  50. ^ (GA) Dainté Ailígiéiri, An Choiméide Dhiaga, trad. di Pádraig de Brún, Dublino, An Clóchomhar, 1997, pp. 380 p..
  51. ^ Fratris Johannis de Serravalle translatio et comentum totius libri Dantis Aldigherii cum textu italico fratris Bartholomæi a Colle eiusdem ordinis nunc primum edita, a cura di Marcellino da Civezza M.O. e Teofilo Domenichelli M.O., Prato, Giachetti, 1891, 3 volumi.
  52. ^ La Divina Comedia traducida por Mitre (ES)
  53. ^ a b Tradurre La Divina Commedia, EL PAIS Cultural, Montevideo, 14 giugno 2013. (ES)
  54. ^ The Descent
  55. ^ Museo del PRECINEMA - Collezione Minici Zotti
  56. ^ “...Un luogo, La Valle delle Pietre Dipinte, dove il pittore, scultore e uomo di teatro Silvio Benedetto, argentino che vive in Italia da molto tempo, ha realizzato dal 1992 ad oggi un progetto straordinario, coraggioso e apparentemente impossibile: illustrare su centodieci blocchi di marmo, ciascuno con due facce spianate e un peso di parecchie tonnellate, tutta la Divina Commedia nell'ordine in cui l'ha scritta Dante Alighieri. Dopo sette anni l'opera è finita, s'inaugura oggi e manca solo l'ultimo tocco che verrà completato in agosto: un tunnel che segnerà la fine del viaggio e nel quale i visitatori entreranno per poi riaffiorare sulla superficie davanti all'ultima grande pietra con il famoso distico... " e quindi uscimmo a riveder le stelle". L'itinerario comincia dall'Inferno, continua con il Purgatorio e finisce con il Paradiso, lungo una strada in cui cambia anche il terreno sul quale il viaggiatore cammina: prima è una distesa di lava nera sbriciolata, poi diventa ciottoli, quindi ghiaia e infine erba, con lo sfondo della campagna siciliana, fra campi di grano e macchie di fichi d'India...”
    Fabrizio Zampa, Il Messaggero/Cultura & spettacoli, 31 luglio 1999.

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