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Genocidio armeni. Matteo Renzi spiazzato dal Papa, sconfessa Gozi e corregge il tiro: proteste turche ingiustificate

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RENZI POPE
ASSOCIATED PRESS

Da una parte un Papa forte e determinato a “parlare con franchezza”. Dall’altro una politica timida, dalla Ue allo stesso Matteo Renzi, premier pur solito ad un linguaggio diretto. E’ quel che resta sul tappeto di una giornata che conosce di ora in ora picchi sempre più alti di crisi tra il Vaticano e la Turchia per le parole pronunciate ieri dal Pontefice sul “genocidio degli armeni, il primo genocidio del XX secolo”.

A Palazzo Chigi la speranza mattutina è che la tempesta si sgonfi. Renzi non vuole aprire fronti diplomatici con la Turchia sul genocidio degli armeni. Per questo al palazzo del governo le parole di Papa Francesco sul “genocidio” armeno non passano, piuttosto rimbalzano su una cortina di silenzi. Ma l’ostinazione di un Papa determinato a non usare mezzi termini è più forte. Travolgente e consapevole dell’azzardo. Tutto calcolato. E quindi, indipendentemente dalla volontà del governo, la crisi tra la Chiesa di Papa Francesco e il governo filo-islamico di Recep Tayyip Erdogan aperta ieri si sviluppa oggi. Pericolosa. Nel corso della giornata, tutte le autorità laiche e religiose di Ankara, una dopo l’altra, si esercitano in attacchi all’indirizzo del Pontefice. Nemmeno Palazzo Chigi può tirarsi fuori ormai. Per questo, a metà giornata, il governo è costretto a correggere il tiro, sconfessando di fatto il sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi. La linea diventa: "Sono ingiustificate le proteste dei turchi", come dice nel pomeriggio il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. "Stiamo con Gentiloni e con il Papa", dirà poco dopo Lia Quartapelle, giovane Democratica in commissione Esteri alla Camera che Renzi avrebbe voluto al governo già da un pezzo.

“Credo che non sia mai opportuno per un governo prendere delle posizioni ufficiali su questo tema, per me, ma è la mia posizione personale, lo è stato. Ma un governo non deve utilizzare la parola genocidio”, aveva detto Gozi su La7. “Con il governo di Ankara siamo impegnati a parlare di democrazia, diritti umani e di minoranze. Riteniamo che il dialogo e il negoziato servono a risolvere questi problemi e non il muro contro muro", continua Gozi. "Ricordo che quando i rapporti erano migliori abbiamo risolto il problema della minoranza curda e anche le minoranze cristiane che vivono a Istanbul. Le parole del Papa irritano moltissimo Ankara, è la solita e importante questione della lettura della storia, non esiste una lettura storica assoluta e la lettura della storia crea forti divisioni. Per noi che facciamo politica è meglio guardare ai problemi di oggi della politica. Nessun governo si esprime in maniera ufficiale: questo è compito degli storici".

Detta così, suonava come una sconfessione del Papa e della linea del Vaticano. Troppo. Nonostante che il gelo che ha avvolto Palazzo Chigi dopo le parole sul genocidio del 1915 sia pari soltanto al gelo che è calato sul Palazzo del governo quando a sorpresa Bergoglio ha annunciato il suo ‘Giubileo della misericordia’: a sorpresa, senza avvisare le autorità dello Stato italiano, né i politici più vicini alla Chiesa, né il Campidoglio. Gelo dunque col Papa, perché i suoi toni diretti, qualora condivisi e cavalcati anche da Palazzo Chigi, aprirebbero una pericolosissima crisi diplomatica che Renzi non vuole assolutamente permettersi con la Turchia, paese che il premier non a caso ha già visitato in questo primo anno di governo. Ma indipendentemente dalla volontà del governo, il polverone infuria a livello internazionale.

Il Gran Mufti Mehmet Gormez, la principale autorità religiosa islamica sunnita turca, si allinea col governo di Ankara criticando a sua volta il Papa per le dichiarazioni sul genocidio armeno a suo parere "senza fondamento" e ispirate da "lobby politiche e ditte di relazioni pubbliche". "Se le società iniziano a interrogarsi sugli errori passati, lo stesso Vaticano soffrirà più di chiunque altro", dice in un discorso pronunciato ad Antiochia. Parlare di genocidio è una “calunnia”, scrive in una nota l’ambasciata turca presso la Santa Sede. Critiche al Papa arrivano anche dal presidente del parlamento turco Cemil Cicek, del partito islamico Akp al governo, che accusa Bergoglio di "calunnie" e "discriminazione”. Non basta: il ministro per gli affari europei Volkan Bozkir dice che il pontefice ha parlato così perché viene dall'Argentina, un paese "che ha accolto i nazisti" e nel quale "la diaspora armena è dominante nel mondo della stampa e degli affari".

Ce n’è abbastanza per costringere il governo italiano ad una delicatissima manovra di correzione di rotta. Ed è per questo che, nonostante resti confermata l’intenzione di non aprire fronti di ostilità con Erdogan, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni condanna “la durezza dei toni turchi”. “Non mi pare giustificata – dice il titolare della Farnesina dalla conferenza Ue-Mediterraneo di Barcellona - anche tenendo conto del fatto che 15 anni fa Giovanni Paolo II si era espresso in modo analogo. L'Italia ha più volte espresso solidarietà e vicinanza al popolo e governo armeno per le vittime e le sofferenze inflitte 100 anni fa” e "sul riconoscimento giuridico" del genocidio "abbiamo sempre invitato i due paesi amici Armenia e Turchia a dialogare per evitare che questa situazione ostacoli" un rasserenamento delle relazioni.

Lia Quartapelle, giovane deputata del Pd in commissione Esteri alla Camera, sintetizza benissimo la linea mediana assunta dal Pd di Renzi: "Noi siamo con il ministro Gentiloni che ha fatto bene a sottolineare la durezza non giustificata dei toni turchi dopo le giuste frasi di papa Francesco sul genocidio armeno. E' nostro dovere ringraziare Bergoglio per le sue parole che ricordano l'orrore del genocidio". Dal Pd si schierano subito con il Papa Vannino Chiti e la prodiana Sandra Zampa, della minoranza Dem.

Renzi non commenta, non si espone. Ma è attivissimo nei contatti diplomatici per scongiurare la crisi. Nemmeno Federica Mogherini, l’Alto Rappresentante Ue per la politica estera, interviene in prima persona. Lo fa la sua portavoce e i toni sono estremamente prudenti, niente a che fare col fare diretto di Papa Bergoglio: “E' fondamentale che, nello spirito di riconciliazione, i paesi partner della Ue sappiano affrontare il passato attraverso dibattiti sereni ed aperti. E’ felice di notare che la società turca si è aperta a tali dibattiti" e che le condoglianze espresse lo scorso anno dall'allora premier Erdogan "furono un passo benvenuto". E Bruxelles "incoraggia a considerare significativi passi aggiuntive che aprano la via alla riconciliazione". Mercoledì, in occasione delle celebrazioni per il centenario del genocidio armeno, il Parlamento di Strasburgo tornerà a discutere e votare una risoluzione sul tema, dopo quella approvata nel 2005 che avviò i negoziati per l’ingresso di Ankara in Ue a patto che riconoscesse il genocidio degli armeni, prima comunità cristiana perseguitata in Oriente perché considerata troppo vicina alla Russia dall’Impero Ottomano. Ankara non ha mai riconosciuto alcun genocidio, anzi ha perseguito penalmente chi tra i suoi cittadini abbia osato farlo, come il premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk.

Sul campo resta la determinazione di un Papa che oggi torna a difendere il “coraggio di parlare con franchezza”, pur senza tornare sul tema armeno, e la politica prigioniera della propria timidezza, dalla Ue fino a Renzi, premier pur avvezzo ad un linguaggio secco e diretto, di solito ma non in questo caso.

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