Articolo Tre di Ernesto Maria Ruffini

Bersanomics vs. Renzinomics: 5. Le Cayman, la finanza e i banditi

Il mondo della finanza non è un argomento che Bersani e Renzi hanno affrontato espressamente nei loro programmi. Eppure, da qualche giorno, i rapporti con gli esponenti dell’alta finanza è diventato uno degli argomenti maggiormente gettonati. Non tanto e non solo dai candidati per le prossime primarie per il centrosinistra, ma dai loro sostenitori, i quali si divertono a rinfacciarsi vicendevolmente presunti rapporti con quei grigi signori che calcano il mondo delle banche, il mondo della finanza.

Così di accusa in accusa, i paradisi fiscali, al di là del nome apertamente evocativo ed invitante, sembrano essere diventati il male assoluto. Ma cosa sono?

Proviamo ad andare con ordine e a fare un po’ di chiarezza.

Nella banca dati dell’International Bureau of Fiscal Documentation, uno dei maggiori (se non il maggiore) centro di ricerca sulla fiscalità mondiale, sono riportate 246 schede che attestano l’esistenza di 246 ordinamenti fiscali diversi in giro per il mondo.

Ordinamenti diversi e, quindi, leggi e regolamentazioni differenti che spesso entrano in contatto o in conflitto tra loro.

Nell’epoca di internet, dei viaggi low cost e dei cittadini de mondo, i contatti e i conflitti tra i diversi sistemi tributari sono sempre più frequenti. Provo a spiegarmi meglio. Cosa succede se un cittadino di un paese che ha un particolare sistema fiscale lavora in un altro paese dove esiste un sistema fiscale differente?  Cosa succede se un cittadino di un paese apre un conto in una banca di un paese diverso dal proprio? Quale legge tributaria si applica? E così via.

La maggior parte di questi potenziali conflitti vengono risolti con lo strumento più semplice, quello dei trattati internazionali.

Infatti, alla voce “Trattati fiscali” della stessa banca dati figurano ben 8.547 voci!

E potrebbero essere anche molti di più, visto che stiamo parlando di 246 diversi ordinamenti tributari: se tutti sottoscrivessero solo trattati bilaterali, potremmo arrivare a qualche decina di migliaia di combinazioni.

Queste cifre dovrebbero far capire che, per districarsi in questa babele, etichette, anatemi e scomuniche possono andar bene per la chiacchiera da bar, ma non se si vuole affrontare seriamente la questione. Per questo, prima di parlare, basterebbe informarsi per conoscere meglio la realtà.

Nel caso di specie si parla delle Isole Cayman (il nome, convengo, già aiuta poco) e della tassazione dei cittadini stranieri in Gran Bretagna.

Le Cayman sono un territorio d’oltremare del Regno Unito; dispongono di una costituzione, di un governo e di un’assemblea eletta (18 membri per 50.000 abitanti; un consiglio comunale, di fatto) che legifera in piena autonomia anche in materia fiscale; al riguardo, le imposte sui redditi non esistono e la finanza pubblica si basa sui dazi doganali (per importare un prodotto da quelle parti, bisogna pagare e tanto).

Non fanno parte dell’UE, ma in base al trattato UE sono a essa associate. Se il governo inglese lo dispone espressamente, infatti, anche le direttive e i regolamenti comunitari sono estesi alle Isole Cayman; mentre la direttiva UE sul risparmio del 2003 è già applicata dalle isole Cayman e così se  un cittadino residente nell’Unione Europea incassa interessi o proventi da alcuni tipi di fondi delle Cayman, il governo di queste ultime deve fornire alle autorità fiscali del paese di quel cittadino tutte le relative informazioni.

Inoltre le Cayman hanno concluso accordi con vari stati per comunicare alle loro autorità fiscali informazioni in caso di reati di evasione fiscale. Dal 1995, le Cayman  aderiscono alla Convenzione di Vienna contro il riciclaggio e le istituzioni finanziarie devono rispettare le regole della Bank of England che impongono di indagare su ogni deposito superiore a 10.000 dollari.

Cosa ne concludiamo?

Le Cayman sono un’entità sovrana; può far ridere, ma ciò significa che nessuno può impedire loro di legiferare a proprio piacimento in materia fiscale, finché questo non si traduce in un vero e proprio crimine. Ed entro questi limiti, hanno deciso di azzerare le imposte sui redditi.

Quanto a riciclaggio, non sono più esposte della Gran Bretagna, di cui applicano le regole; e quanto ad evasione fiscale sono disponibili a fornire informazioni in caso di reati e, per i proventi di attività finanziarie (interessi e fondi), anche in assenza di fattispecie criminose.

Pertanto, a meno che qualcuno non pensi di spedirvi una cannoniera o Vendola non le voglia invadere con le sue “narrazioni”, il problema del regime fiscale delle Cayman deve essere affrontato con gli strumenti delle relazioni e del diritto internazionale: cooperazione (come il recente accordo di luglio USA, Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Spagna per lo scambio di informazioni), pressioni politiche e accordi bilaterali. Tutti mezzi destinati non tanto ad obbligare le Cayman a far pagare le tasse sui redditi, ma a impedire che i nostri concittadini diventino invisibili al fisco italiano.

Accanto ai mezzi internazionali, inoltre, ci sono strumenti nazionali per far pagare le tasse a questi nostri concittadini. L’Italia ha per questo inserito le Cayman in tutte le black list di paradisi fiscali: il cittadino italiano che vi va a risiedere continua a essere considerato residente in Italia e deve pagare le tasse in Italia, anche quelle relative a redditi prodotti alle isole Cayman; le società italiane che vi costituiscono delle società controllate devono imputarsi il reddito delle stesse e pagare le relative tasse in Italia; i pagamenti fatti a soggetti residenti nelle Cayman da imprese italiane sono indeducibili (salva prova contraria).

In aggiunta a tutto questo, potremmo anche sottoscrivere  un accordo bilaterale per i casi di reati di evasione fiscale come hanno fatto molti paesi (USA, Gran Bretagna, Svezia, Sud Africa, Portogallo, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Messico, Giappone, Canada, Australia, Cina, Danimarca, Finlandia, Francia e Germania) e magari ottenere, come il fisco USA, che i funzionari delle Cayman non siano tenuti al segreto d’ufficio nei confronti delle autorità fiscali; e quant’altro ci può venire in mente, per contrastare questo e altri paradisi fiscali. Ma anatemi ed esorcismi, alla Bersani o alla Vendola, lasciano esattamente il tempo che trovano: quelli fanno sì tanta bella figura, tanta bella retorica, ma nessun effetto pratico.

Un discorso analogo, inoltre, dovremmo farlo anche per il trattamento fiscale dei cittadini stranieri residenti in Gran Bretagna. Si tratta di una norma di diritto interno (il cosiddetto regime degli expatriates) che si appoggia a una regola base del diritto internazionale (chi risiede per più di metà anno in un paese è tassato in quel paese). Può non piacere; e a me non piace. Ma, di nuovo, strilli d’indignazione e discorsoni servono a poco; meglio cercare di avere un sistema fiscale europeo più armonizzato.

Tutto questo, sia chiaro, se si vuole affrontare serenamente la questione dei paradisi fiscali e non si vuole fare facile ed inutile populismo.

  • Bersanomics vs Renzinomics: 1. Anteprima
  • Bersanomics vs Renzinomics: 2. L’evasione fiscale
  • Bersanomics vs Renzinomics: 3. La pressione fiscale
  • Bersanomics vs Renzinomicis: 4 L’imposta patrimoniale
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