Agnosticismo

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Thomas Henry Huxley, che introdusse il termine agnosticismo nel senso moderno.

In generale il termine agnostico (dal greco antico ἀ- (a-), "senza", e γνῶσις (gnōsis), "sapere", "conoscenza") indica un atteggiamento concettuale con cui si sospende il giudizio rispetto a un problema, poiché non se ne ha, o non se ne può avere, sufficiente conoscenza. In senso stretto è l'astensione sul problema del divino.

L'agnostico afferma cioè di non sapere la risposta, oppure afferma che non è umanamente conoscibile una risposta e che per questo non può esprimersi in modo certo sul problema esposto. Nello specifico questa posizione è solitamente assunta rispetto al problema della conoscenza di Dio. In forme del tutto secondarie e in disuso può anche riguardare l'etica, la politica o la società.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il termine era stato utilizzato inizialmente da Sant'Agostino polemicamente, nella prima delle sue lettere (Epistolae), per indicare certi accademici della scuola Platonica che sostenevano che "alla natura umana è negata la conoscenza", allontanandosi dalla credenza dei Padri della Chiesa, gli esegeti cristiani, dove invece è supposta anche la conoscenza certa e vera, "per ricondurre gli uomini a ricercare la verità... Ognuno poi, distolto per quelle argomentazioni da ciò che di saldo e inconcusso aveva creduto di possedere..."[1]

Si vuole distinguere, riguardo ai noncredenti in alcuna religione, tra ateismo e agnosticismo. La differenza sta nel fatto che, mentre l'agnostico afferma semplicemente l'impossibilità di conoscere la verità sull'esistenza di Dio o di altre forze soprannaturali, l'ateo non crede nell'esistenza di alcun Dio o qualsiasi altro tipo di entità o forza superiore. La posizione "agnostica" deriva nell'antichità da Protagora e successivamente dallo scetticismo, che praticava una simile ma più radicale sospensione del giudizio nell'epistemologia, ritenendo tutta la conoscenza umana sempre dubitabile e perfettibile.

Gli agnostici non sono necessariamente indifferenti al problema della fede e all'attività spirituale o religiosa. Molti di coloro che stanno attivamente cercando una fede o sono in dubbio, hanno sostanzialmente una posizione agnostica, paragonabile al dubbio metodologico nella filosofia. Di converso, alcuni agnostici, pur essendo fondamentalmente scettici circa l'esistenza di una entità superiore, ritengono in via razionale che, così come l'esistenza di questa non si può dimostrare, non si possa neppure negare.

Il termine fu introdotto nella modernità nel 1869 dal naturalista britannico Thomas Henry Huxley, per descrivere la sua posizione rispetto alla credenza in Dio; il termine deriva come contrapposizione alle antiche dottrine cristiane gnostiche, che affermano che la conoscenza della realtà ultima (gnosi) è interiore a ogni uomo.

Posizioni agnostiche sono rinvenibili, nella cultura occidentale, sin dall'antichità, ma furono spesso oggetto di attacchi violenti. Diogene Laerzio riferisce che Protagora fu bandito dagli ateniesi e i suoi libri pubblicamente bruciati dopo che egli scrisse:

« Intorno agli dèi non ho alcuna possibilità di sapere né che sono né che non sono. Molti sono gli ostacoli che impediscono di sapere, sia l'oscurità dell'argomento sia la brevità della vita umana. »
(citato in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro IX, cap. VIII)

La posizione agnostica diviene permanente in vari filosofi post-kantiani. Come dimostrò Immanuel Kant, nella dialettica trascendentale della critica della ragion pura, la ragione che pretende di parlare dell'incondizionato, il noumeno, cade in contraddizione, tanto per dimostrarne l'esistenza quanto per negarla.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ 1a epist. Agostino d'Ippona.

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