David Hume

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David Hume in un ritratto di Allan Ramsay del 1766

David Hume (Edimburgo, 7 maggio 1711[1]Edimburgo, 25 agosto 1776) è stato un filosofo e storico scozzese. È considerato il terzo e forse il più radicale dei British Empiricists ("empiristi britannici"), dopo l'inglese John Locke e l'anglo-irlandese George Berkeley.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

David Hume, figlio dell'avvocato Joseph Home di Chirnside e di Katherine Falconer, figlia del presidente del collegio di giustizia, nacque terzogenito in un palazzo sul lato nord del Lawnmarket a Edimburgo. Pur se di origini nobili la sua famiglia non era molto ricca, e a lui venne affidata una porzione esigua del loro patrimonio. Modificò il suo cognome da Home a Hume nel 1734, per mantenere meglio la pronuncia scozzese anche in Inghilterra.

Istruzione[modifica | modifica wikitesto]

Hume frequentò dal 1721 l'Università di Edimburgo. Sebbene inizialmente avesse preso in considerazione una carriera nell'ambito della giurisprudenza come auspicato dai suoi genitori, si ritrovò ad avere, secondo le sue parole, «un'insormontabile avversione a ogni cosa fuorché alle ricerche della Filosofia e della Cultura generale»[2][3]. Decise quindi di coltivare studi classici. Nutrì scarso rispetto per i professori ed era molto insoddisfatto delle dottrine filosofiche del suo tempo, nel 1735 diceva a un amico: «da un professore non c'è da imparare nulla che non si possa trovare nei libri»[4][5].

Hume fece una scoperta filosofica che gli aprì «... un nuovo contesto del pensiero»[6], che lo ispirò «... a rigettare ogni altro piacere o affare per applicarsi completamente ad esso»[7][8]. Il filosofo non rivelò cosa fosse questo "contesto" e i commentatori hanno proposto una serie di congetture al riguardo[9]. A causa di questa ispirazione, Hume si avviò a dedicare almeno dieci anni a leggere e a scrivere.

Carriera[modifica | modifica wikitesto]

I suoi debutti come avvocato a Bristol non andarono a buon fine e ben presto scelse di trasferirsi in Francia, a La Flèche, dove restò tre anni, dal 1734 al 1737, e dove scrisse la sua opera più importante, il Trattato sulla natura umana, che verrà pubblicato dopo il suo ritorno a Londra, ma senza successo.

Ritornato in Inghilterra, pubblicò nel 1742 la prima parte dei suoi Saggi morali e politici. Quest'opera ricevette un'accoglienza più favorevole sia tra il pubblico sia tra gli intellettuali, ma non fu sufficiente per ottenere una cattedra di filosofia presso l'università di Edimburgo e nemmeno presso quella di Glasgow: probabilmente la sua nomea di ateo e la strenua opposizione del suo più forte critico Thomas Reid furono all'origine di questa mancata nomina. Ritornò quindi sul continente e, tra il 1745 e 1748, ottenne vari incarichi politici, recandosi fra l'altro alle corti di Vienna e Torino.

Nel 1748 pubblicò a Londra la Ricerca sull'intelletto umano. Nel 1752 ebbe un posto di bibliotecario alla facoltà di diritto di Edimburgo, impiego che gli lasciò molto tempo a disposizione per riflettere, indagare e scrivere: sono di questi anni la Storia d'Inghilterra, da Giulio Cesare fino all'ascesa di Enrico VII, e la Ricerca sui princìpi della morale. Nel 1757 pubblicò la Storia naturale della religione; un altro scritto su questo stesso tema, per molti il suo capolavoro stilistico, è Dialoghi sulla religione naturale, pubblicato postumo nel 1779. In quest'ultima opera, scritta tra il 1749 e il 1751, pone sotto accusa tutte quelle teorie che giustificano l'esistenza di Dio.

Nel 1763 divenne segretario dell'ambasciatore d'Inghilterra a Parigi, città nella quale rimase fino al 1766. Qui ebbe l'opportunità di frequentare gli ambienti illuministi e conoscere il filosofo Jean-Jacques Rousseau, nonché essere ospite del barone Paul Henri Thiry d'Holbach all'epoca impegnato nella sua accanita battaglia antireligiosa. Tornato in Inghilterra, decise di ospitare Rousseau, frequentazione che però finì con una clamorosa rottura per incompatibilità di carattere e per il patologico delirio di persecuzione da cui era afflitto l'autore dell'Emilio. Oramai ricco, terminò la sua esistenza a Edimburgo il 25 agosto 1776, morendo per un tumore intestinale.

Il pensiero[modifica | modifica wikitesto]

Statua di David Hume a Edimburgo

La filosofia di Hume è spesso definita come uno scetticismo radicale dal punto di vista teoretico e moderato dal punto di vista pratico. Il suo pensiero può inoltre essere inscritto all'interno del naturalismo. Gli studi su Hume hanno spesso oscillato nel dare più importanza alla componente scettica (evidenziata dai positivisti logici) e coloro che hanno dato risalto al lato naturalista. Quel che è certo è che ebbe una decisiva influenza sullo sviluppo della scienza e della filosofia moderna.[10]

Il suo pensiero nato sotto la luce delle correnti illuministiche del XVIII secolo, mirava a realizzare una "scienza della natura umana", dotata di quella stessa certezza e organizzazione matematica che Newton aveva utilizzato per la fisica, in cui compie un'analisi sistematica delle varie dimensioni della natura umana, considerata la base delle altre scienze. Con Hume la revisione critica dei sistemi di idee della tradizione giunge ad una svolta radicale. Egli delinea un "modello empirista di conoscenza" che si rivelerà critico verso l'illuministica fede nella ragione. Ne discende che Hume sia oggi considerato il più grande teorico del liberalismo moderno.

I limiti del pensiero umano[modifica | modifica wikitesto]

Ci sono, per Hume, due tipi di filosofia, una facile e ovvia, l'altra difficile e astrusa. Quella ovvia è esortativa, precettista, consolatoria e alla fine risulta fin troppo banale, l'altra è astratta, decisamente inservibile per la vita, perché orientata all'esaltazione di dispute interminabili; e spesso scade in una forma di "malattia metafisica" o sapere astratto perché pretende di conoscere l'inconoscibile. Hume raccomanda di superare ambedue queste forme del filosofare. Appare a lui evidente, come in una forma di intuizione, la possibilità di una "nuova strada" del sapere: fondare una "scienza esatta della natura umana".

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Impressione (filosofia).

La straordinaria intuizione lo sprona a scrivere la sua opera principale Trattato sulla natura umana con il significativo sottotitolo Un tentativo di introdurre il metodo sperimentale di ragionamento negli argomenti morali. È evidente che Hume è seguace di quel sapere baconiano inglese a cui si erano ispirati Locke e Newton e che non era stato del tutto estraneo alle grandi rivoluzioni politiche ed economiche che l'Inghilterra stava attuando. Bisogna che il metodo sperimentale non si adoperi solo per studiare i cieli o la realtà fisica, ma serva per comprendere meglio l'essere umano e la sua natura. Si amplia così quel gruppo di giovani inglesi che ormai credono ad "una nuova filosofia" (Locke, Shaftesbury, Mandeville, Hutcheson, lo stesso Berkeley), che, pur nella diversità di impostazione, vogliono fondare il loro sapere sull'esperienza e non sulle idee innate (aprioristiche deduzioni cartesiane). Tutto lo studio dell'uomo dovrà partire dall'osservazione concreta della sua natura, dall'analisi del sentimento più che della ragione e anche le valutazioni morali dovranno essere fondate su motivazioni naturalistiche più che su astratte idealità giusnaturaliste o religiose. Hume è in disaccordo dunque, con alcune teorie di Locke.

La critica del concetto di causalità[modifica | modifica wikitesto]

Ogni qualvolta si assiste a due eventi in rapida successione, è logico pensare che ci sia una qualche connessione fra i due eventi, e in particolar modo, che l'evento che viene cronologicamente per primo "produca" il successivo e che quindi l'evento A sia la causa dell'evento B. Hume rifiuta però questo punto di vista: infatti egli si domanda con quale procedimento e su quali basi si può desumere B dato l'evento A.

Sul principio di causalità si basavano tutti quei procedimenti di "previsione" con cui ad un evento se ne fa seguire un altro teoricamente collegato al precedente. L'esempio famoso di Hume è quello della palla da biliardo lanciata contro un'altra: per qualunque osservatore apparirà sempre prima una palla che si scontra con un'altra e poi il mettersi in moto di quest'ultima. Così facendo tutti gli osservatori, dopo qualche lancio, potranno affermare che la seconda palla si muoverà vedendo soltanto la prima palla che viene lanciata verso di essa.

Hume tentò di capire quale fosse il ragionamento che ci fa prevedere il moto di B conoscendo soltanto quello di A. Escluse subito un ragionamento a priori, ovvero un'inferenza necessaria che ad A fa seguire necessariamente B, in quanto fra due eventi è impossibile ricavare una qualsiasi relazione necessaria. Ma non si può pensare nemmeno ad un discorso empiristico, in quanto, come ragionamento a posteriori, può essere effettuato solo successivamente ai due eventi. E anche in questo caso non ci possono essere prove che confermino che B sia la conseguenza di A in quanto il rapporto fra A e B è di consequenzialità e non di produzione, cioè si può affermare in base all'esperienza solo che A precede B e che A è molto vicino a B ma non si può dedurre niente che leghi indiscutibilmente l'evento A a quello B. Con Hume la ragione scopre di non poter dimostrare con necessità la connessione delle cose ma di poterla soltanto asserire per mezzo dell'immaginazione.

Il fatto insomma che ad un evento A segua da milioni di anni un evento B non può darci la certezza assoluta che ad A segua sempre B e nulla ci impedisce di pensare che un giorno le cose andranno diversamente e, per esempio, a B segua A. Per ovviare a ciò ci vorrebbe un principio di uniformità della natura che si incarichi di mantenere costanti in eterno le leggi della natura, cosa che per Hume non è né intuibile né dimostrabile.

La critica dell'abito o credenza[modifica | modifica wikitesto]

L'uomo è portato a pensare agli eventi passati come a una guida per fare previsioni sugli eventi futuri. Per esempio, le leggi fisiche che guidano il moto dei pianeti lungo le loro orbite funzionano ottimamente per descrivere i comportamenti passati e così pensiamo che prevedano altrettanto bene anche quelli futuri. Hume mostra che è problematico trovare un fondamento per questo tipo di credenze; vi erano due posizioni principali al riguardo:

  1. la prima proponeva una necessità logica: il futuro deve necessariamente ricalcare il passato, altrimenti tutta la scienza e la fisica perderebbero di valore. Ma Hume dimostrò che è altrettanto logicamente corretto presupporre un universo in cui le leggi fisiche passate non coincidano con quelle presenti e che non siano uniformi in ogni zona dello spazio. Non c'era nulla che rendesse questo principio logicamente necessario;
  2. la seconda giustificazione, più modestamente, si agganciava solamente all'uniformità con il passato: una legge che funzionava nel passato continua a funzionare ancora oggi. Hume però usando un ragionamento ricorsivo dimostrò che questa giustificazione necessitava di ricorrere a sé stessa per essere dimostrata. Ancora una volta la tesi crollava.

Il problema è ancora aperto tutt'oggi. Hume credeva che questa idea fosse radicata nell'istinto umano e che sarebbe stato impossibile eliminarla dalla mente umana. Questo abito mentale è però necessario perché le scienze (e in particolar modo la fisica) continuino ad evolversi.

La critica della sostanza corporea e psichica[modifica | modifica wikitesto]

Per Hume la sostanza non era altro che una "collezione di qualità particolari" ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall'esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un'idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l'impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo.

Nel suo iter filosofico Hume fece rientrare in questo ragionamento anche l'"io". Egli cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno.
Ne concluse che anche la sostanza dell'"io" era soltanto un amalgama di sensazioni. Infatti, ogni volta che ci addentriamo nel nostro io, incontriamo sempre una qualche particolare sensazione (piacere, dolore, caldo, freddo) e se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla.

Grazie a questo ragionamento Hume affermò anche l'inutilità del tentare di dimostrare l'immortalità dell'anima, in quanto del nostro io possiamo parlare soltanto in presenza di sensazioni.

Lo scetticismo di Hume[modifica | modifica wikitesto]

Hume stesso si definiva scettico ma non pirroniano. Ma è uno scetticismo diverso rispetto a quello tradizionale: è assente infatti la sospensione del giudizio. Quella di Hume è più un'analisi razionale di ciò che la ragione può sapere, dei limiti in cui le pretese della ragione devono confinarsi: la ragione quindi diventa allo stesso tempo imputato, giudice e giuria. Lo scetticismo di Hume consiste nel considerare la conoscenza come un qualcosa di soltanto probabile e non certo, benché provenga dall'esperienza, che il filosofo riteneva essere l'unica fonte della conoscenza.

Così, sebbene gran parte della conoscenza fenomenica si riduca soltanto ad una conoscenza probabile, Hume inserisce anche un campo di conoscenze certe, ovvero quelle matematiche, che sono indipendenti da ciò che realmente esiste e frutto soltanto di processi mentali.

Hume solca quindi soltanto dei confini alle pretese della ragione, sebbene molto drastici: il principio di causalità, l'esistenza del mondo esterno a noi, l'io e molti altri aspetti del mondo che fino a quel momento parevano ovvi e scontati vengono declassati a semplici "abitudini" e "credenze". Abitudini necessarie però alla vita umana.

Queste teorie verranno da lì a breve riprese e sviluppate dal filosofo tedesco Immanuel Kant. Va comunque notato che, secondo l'opinione di Bertrand Russell, Kant non ha assimilato gli argomenti di Hume, e la filosofia di Kant rappresenta un tipo di razionalismo pre-humiano (questa opinione, dichiaratamente controcorrente, è stata espressa da Russell nella sua Storia della filosofia occidentale nel capitolo su Hume).

Morale e motivazione[modifica | modifica wikitesto]

In linea con il suo attacco al ruolo che la ragione si era creata negli ultimi anni, Hume asserisce che anche la morale esce al di fuori del campo di giudizio della ragione. La morale è, come dirà lui stesso, una "questione di fatto, non di scienza astratta" e quindi inconoscibile nella sua essenza dalla ragione e, inoltre, segue percorsi autonomi dalla ragione.

La critica più alta che muove alla morale è quella di essere condizionata da eventi esterni che cercherebbero di dire aprioristicamente cosa sia giusto e cosa sia sbagliato (la religione è una di queste influenze): la bontà di un'azione è (e deve essere) del tutto indipendente dalla promessa di un premio e dal timore di una pena.

La morale si sviluppa grazie ad un altro sentimento, quello della simpatia, grazie al quale ci sentiamo vicini ai nostri simili e ne condividiamo felicità e infelicità.

Libero arbitrio e determinismo[modifica | modifica wikitesto]

Come tutti, anche Hume notò l'evidente conflitto fra determinismo e libero arbitrio, ovvero: se le tue azioni sono determinate già da miliardi di anni come è possibile poter essere liberi di scegliere? Ma non si fermò qui, Hume trovò un altro conflitto che avrebbe portato il problema ad uno sbocco paradossale: il libero arbitrio è incompatibile con l'indeterminismo.

Se le tue azioni non fossero determinate dagli eventi passati, allora esse sarebbero completamente casuali e quindi scollegate dal tuo carattere, i tuoi desideri, preferenze, valori, ecc. E allora come si potrebbe essere responsabili di azioni che non dipendono dal nostro carattere? E come si potrebbe ritenere qualcuno responsabile delle proprie azioni che, come abbiamo già detto, sono aleatorie?

Il libero arbitrio, quindi, è inconsistente sia con il determinismo sia con l'indeterminismo.

Il conflitto fra essere e dover essere[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Legge di Hume.

Hume notò, in un piccolo paragrafo del Trattato sulla natura umana, che molti scrittori parlavano spesso di cosa dovrebbe essere al posto di cosa è. Ma fra la proposizione descrittiva essere e quella prescrittiva dover essere esiste una sostanziale differenza strutturale che pone un problema di metodo. Hume concluse l'impossibilità di tale derivazione, mettendo in guardia gli scrittori da tali facili sostituzioni.

Filosofia della religione[modifica | modifica wikitesto]

Hume scrisse la Storia naturale della religione dal 1749 al 1755. Nell'Introduzione, l'autore spiega che il fine dell'opera è trovare i fondamenti della religione nella natura umana. Hume ritiene che il problema dell'origine del sentimento religioso sia più difficile da risolvere visto che a suo dire esistono popoli atei. La religione avrebbe la sua genesi nel sentimento del timore e quindi conseguentemente in una speranza di salvezza dopo la morte, pensata come fenomeno ineluttabile e drammatico, e di esorcizzazione della potenza naturale attraverso l'affidamento al Dio, la cui devozione garantisce che la Natura risulti "benigna" per l'uomo e non più nemica incontrollabile senza un ordine che la razionalizzi.

La forma di religione più primitiva è il politeismo che nasce dall'immaginazione dell'uomo primitivo, che “divinizza” le varie forze della natura, spesso dall'origine ignota, da cui dipende la sua vita e la sua morte. Le sue divinità sono in tutto e per tutto simili agli esseri umani, tranne per l'onnipotenza, limitata però dall'ambito circoscritto su cui la divinità esercita il proprio potere.

Con il progredire della civiltà si afferma il monoteismo. La sua affermazione è diversa nel popolo e nei filosofi: il primo, sconvolto dall'estrema instabilità della sua condizione esistenziale, accorda ad una divinità fra le tante tutte le perfezioni, elevando a sommo e unico Dio, mentre i secondi giungono ad elaborare il concetto di Dio tramite riflessioni filosofiche. Tuttavia questa divinità appare troppo lontana dall'uomo e per ovviare a questo inconveniente vengono create “divinità intermedie” fra l'uomo e Dio.

Hume loda poi la tolleranza delle religioni pagane contrapposta al fanatismo e all'intolleranza violenta dei monoteismi, pur riconoscendo una maggiore solidità dottrinale di quest'ultimo. Inoltre afferma che i monoteismi umiliano l'uomo nella sua dimensione terrena mentre i politeismi esaltano l'aspetto terreno e naturale dell'uomo. Vengono criticate le tesi che vedono ridicolo il paganesimo e si deride il dogma cattolico della presenza reale dell'Eucarestia, ritenuto non meno assurdo delle religioni politeiste.

Per Hume la fede è un sentimento irrazionale ed emotivo e non insegna all'uomo a migliorarsi dal punto di vista morale, anzi spesso lo peggiora. L'opera si chiude con queste parole: "Tutto è ignoto: un enigma, un inesplicabile mistero. Dubbio, incertezza, sospensione del giudizio appaiono l'unico risultato della nostra più accurata indagine in proposito. Ma tale è la fragilità della ragione umana, e tale il contagio irresistibile delle opinioni, che non è facile tener fede neppure a questa posizione scettica, se non guardando più lontano e opponendo superstizione a superstizione, in singolar tenzone; intanto, mentre infuria il duello, ripariamoci felicemente nelle regioni della filosofia, oscure ma tranquille".

Estetica[modifica | modifica wikitesto]

L'estetica di Hume è fondata sul sentimento che permette l'universalizzazione del giudizio estetico, non perché a priori ma a causa della particolare conformazione della natura umana che, in stato di salute, fa sì che le cose che piacciono e quelle che non piacciono siano le stesse per tutti, pur dietro l'apparente discordanza dei gusti.

Opere di Hume[modifica | modifica wikitesto]

  • 1739 e 1740 - Trattato sulla natura umana. Titolo originale completo: A Treatise of Human Nature: Being an Attempt to introduce the experimental Method of Reasoning into Moral Subjects
    • libro primo: Of the Understanding (1739)
    • libro secondo: Of the Passions (1739)
    • libro terzo: Of Morals (1740)
  • 1741 e 1742 - Essays Moral and Political
  • 1748 - Ricerca sull'intelletto umano. Titolo originale: An Enquiry Concerning Human Understanding
  • 1751 - Ricerca sui principi della morale. Titolo originale: An Enquiry Concerning the Principles of Morals
  • dal 1754 al 1761 - History of England
  • 1779 (postumo) - Dialoghi sulla religione naturale. Titolo originale: Dialogues Concerning Natural Religion

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ La data è espressa secondo il calendario gregoriano; secondo quello giuliano, ancora vigente a quel tempo in Scozia, la data era il 26 aprile
  2. ^ David Hume, My Own Life, in D. F. Norton (a cura di), The Cambridge Companion to Hume, Cambridge University Press, 1993, p. 351
  3. ^ In inglese: «an insurmountable aversion to everything but the pursuits of Philosophy and general Learning; and while [my family] fanceyed I was poring over Voet and Vinnius, Cicero andVirgil were the Authors which I was secretly devouring.»
  4. ^ In una lettera a 'Jemmy' Birch, citata in E. C. Mossner, The life of David Hume, Oxford University Press, 2001, p. 626
  5. ^ In inglese: «there is nothing to be learnt from a Professor, which is not to be met with in Books.»
  6. ^ In inglese: «...a new Scene of Thought»
  7. ^ David Hume, A Kind of History of My Life, in D. F. Norton (a cura di), The Cambridge Companion to Hume, 1993, p. 346
  8. ^ In inglese: «...to throw up every other Pleasure or Business to apply entirely to it.»
  9. ^ Vedi a questo proposito Oliver A. Johnson, The Mind of David Hume, University of Illinois Press, 1995, pp 8-9
  10. ^ Fabio Cioffi, Giorgio Luppi e Amedeo Vigorelli, Dialogos 2, Bruno Mondadori, pp. 282-297.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Deleuze, Gilles. Empirismo e soggettività. Saggio sulla natura umana secondo Hume, Napoli, Cronopio, 2000.
  • Foglia, Gianluca. Immaginazione e natura umana. Studio sulla teoria della conoscenza di David Hume, Bologna, Il Mulino, 1998.
  • Graziano, Alba (a cura di). La Religione Naturale dal titolo originale: "The Natural History of Religion", Roma, Editori Riuniti, 1995
  • Greco, Lorenzo. L'io morale. David Hume e l'etica contemporanea, Napoli, Liguori, 2008.
  • Laudisa, Federico. Hume, Roma, Carocci, 2009.
  • Paganini, Gianni. Scepsi moderna. Interpretazioni dello scetticismo da Charron a Hume, Cosenza, Busento, 1991.
  • Santucci, Antonio. Introduzione a Hume, Bari, Laterza, 1999. ISBN 88-420-0201-1
  • Dal Pra, Mario. Hume e la scienza della natura umana, Roma-Bari, Laterza, 1973

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