Diritto

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Il termine diritto è usato con accezioni differenti:

  • l'insieme e il complesso (in genere sistematico) delle norme che regolano la vita dei membri della comunità di riferimento;
  • la scienza del giurista, che studia i suscritti sistemi;
  • una facoltà garantita dall'ordinamento a ciascuna persona od organizzazione;
  • il giudizio sulla legalità e legittimità delle azioni proprie dello Stato e delle personalità fisiche e giuridiche con cui si rapporta;
  • un contributo economico legato a un tipo di tributo od onere fiscale, oppure a una controprestazione della Pubblica Amministrazione (ad esempio il "diritto di copia" corrisponde al rimborso forfettario del costo della copia di un atto in possesso dell'amministrazione).

Altri significati ancora possono derivare da fraseologie di dettaglio.

Nozione[modifica | modifica wikitesto]

Il termine diritto (nella prima accezione di insieme e complesso norme che regolano la vita dei membri della comunità di riferimento) è l'insieme di regole che sono in vigore in uno Stato in un determinato momento e che rispondono al bisogno dei cittadini di vivere in una società il più possibile ordinata e tranquilla; in questo caso si parla di diritto oggettivo. A volte, invece, il termine diritto assume un significato diverso,in quanto corrisponde al concetto di "potere, facoltà"; in questo caso si parla di diritto soggettivo. La domanda "che cos'è il diritto" ha però impegnato gli studiosi di tutte le epoche, e costituisce ancora un problema aperto, la cui soluzione dipende in gran parte dal quadro filosofico cui ogni studioso fa riferimento e attraverso il quale affronta la questione. Una risposta che possa definirsi esatta in assoluto non esiste anche perché il diritto ha differenti manifestazioni a seconda del modello preso in esame (ad esempio basti pensare alla distinzione tra il civil law "legge civile" dei paesi dell'Europa continentale e quelli a essi legati e il common law "legge comune" anglosassone, statunitense e degli altri paesi legati alla cultura anglosassone).

Il diritto può essere semplicisticamente definito come il complesso delle norme di legge e consuetudini che ordinano la vita di una collettività in un determinato momento storico. Con una definizione più complessa si può definire il diritto come il regolamento dei rapporti tra gli individui che fanno parte di una collettività statale, assistito dalla garanzia della sua osservanza dal potere dell'autorità dello Stato, che sanziona le violazioni delle regole stabilite e "codificate" (diritto penale) dallo Stato tramite il processo penale (diritto processuale penale), fissa le regole che i privati devo osservare nei rapporti tra loro (diritto civile), decide con imparzialità sulle controversie tra privati tramite il processo civile (diritto processuale civile), organizza i servizi pubblici e la Pubblica amministrazione (diritto amministrativo) con facoltà dei cittadini di far rispettare le regole fissate per l'attività della Pubblica amministrazione e dei servizi pubblici tramite il processo amministrativo e con l'obbligo dei cittadini di contribuire secondo regole certe (diritto tributario) alle risorse necessarie al funzionamento dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione, con facoltà per i cittadini di far verificare da un giudice la correttezza anche del contributo loro richiesto (processo tributario). Il diritto internazionale regola i rapporti tra stati (diritto internazionale pubblico), cittadini di stati diversi (diritto internazionale privato) e le organizzazioni internazionali (diritto delle organizzazioni internazionali).

Le differenti idee sulla concezione del significato del diritto[modifica | modifica wikitesto]

Se da un lato il diritto si è sempre storicamente fondato sulla decisione imperativa di un sovrano di far rispettare delle regole che egli stesso individua come le migliori per la convivenza sociale dei suoi sottoposti e per la garanzia della sua permanenza al potere, tuttavia i giuristi hanno sempre cercato di temperare le prerogative sovrane con costruzioni filosofico-teoriche, sino a quando l'avvento di sistemi democratici hanno consentito alla volontà popolare, mediata da rappresentanti eletti, di porre e modificare le norme di convivenza civile e di funzionamento delle organizzazioni pubbliche, fermo restando che anche oggi il diritto sussiste solo in quanto vi sia la forza di farlo osservare coattivamente anche a coloro che vorrebbero sottrarvisi tramite Autorità e organizzazioni a ciò deputate.

Una delle concezioni più risalenti è la cosiddetta teoria del diritto naturale, o giusnaturalismo. Tale teoria postula l'esistenza di una serie di princìpi eterni e immutabili, inscritti nella natura umana, cui si dà il nome di diritto naturale. Il diritto positivo (cioè il diritto effettivamente vigente) non sarebbe altro che la traduzione in norme di quei princìpi. Il metodo adottato dal legislatore è dunque un metodo deduttivo: da princìpi universali si ricavano (per deduzione) le norme particolari. Il problema è che non sempre vi è pieno accordo su quali siano i princìpi universali ispiratori delle norme giuridiche. Le Chiese, principali assertrici del diritto naturale, tendono a identificarlo con i princìpi dettati dai loro testi sacri (la Bibbia, il Corano, ecc.); gli studiosi laici con princìpi diversi (di giustizia, equità, il popolo, lo stato etc.). Non essendoci accordo sui princìpi-base (a meno che essi non siano imposti da un potere autoritario), viene a cadere il fondamento stesso della teoria del diritto naturale.

Verso la fine dell'Ottocento, sull'onda delle teorie filosofiche positiviste, si afferma (e rimane a lungo predominante) il cosiddetto positivismo giuridico o giuspositivismo che, contrapponendosi al giusnaturalismo, asserisce tutto al contrario che il diritto è solo ed esclusivamente diritto positivo, cioè diritto effettivamente posto, e non c'è alcuno spazio per alcun diritto naturale trascendente il diritto positivo. Secondo la gran parte degli studiosi giuspositivisti (specie in Italia) il diritto si identifica con la norma giuridica (giuspositivismo normativistico). Il diritto dunque non sarebbe altro che una serie di norme che regolano la vita dei membri di una società, allo scopo di assicurarne la pacifica convivenza. Il diritto (e i princìpi che ne stanno alla base) si sposta così dal campo del trascendente a quello dell'immanente, dal dominio della natura a quello della cultura. Il metodo adottato dai giuspositivisti è, al contrario di quello dei giusnaturalisti, un metodo induttivo: non esistendo princìpi universali ed eterni, i princìpi su cui si basa il diritto vengono ricavati per induzione (cioè per astrazione) dalle norme giuridiche particolari e contingenti.

I fautori del giuspositivismo hanno però qualcosa in comune con quelli del giusnaturalismo: essi rientrano tutti nella categoria filosofica dei "realisti", ossia di coloro che pensano alla realtà come a un "dato" oggettivo, esterno, e come tale indipendente dall'osservatore. Anche il diritto sarebbe, come tutta la realtà, un dato oggettivo, che lo studioso si limita a indagare e il giudice ad applicare, senza modificarlo in alcun modo. Una concezione statica del diritto, insomma.

Le tesi "realiste" sono contestate dai teorici che possono ascriversi alla corrente filosofica del relativismo o scetticismo. Al contrario dei "realisti", gli "scettici" pensano (sulla scia delle moderne teorie scientifiche e filosofiche del Novecento) che un'osservazione "oggettiva" e "distaccata" della realtà non sia possibile, e che l'osservatore, interpretando la realtà, la influenzi necessariamente. Ogni analisi dovrà per forza essere "soggettiva", poiché ineliminabile è la componente del soggetto nell'analisi della realtà. Il soggetto non si limita a "osservare", bensì "(ri)crea" la realtà. Per chi abbraccia le tesi scettiche, il diritto non può dunque essere un mero "dato", un insieme fisso e immutabile di norme (giuspositivismo) o di princìpi eterni (giusnaturalismo). I teorici che studiano il diritto (i giuristi, il cui insieme di scritti costituisce la cosiddetta "dottrina") e i pratici che lo applicano (i giudici, il cui insieme di sentenze costituisce la cosiddetta giurisprudenza) non sono "indagatori" o "applicatori" di una realtà già data ma, nello stesso momento in cui la interpretano, ne diventano veri e propri "creatori". Il teorico, disquisendo sul diritto, "crea" diritto; il giudice, emanando una sentenza, "crea" diritto. La concezione del diritto propria dello scetticismo è dunque dinamica, e non statica.

Una concezione teorica più moderna, che vuole superare le contraddizioni di quelle testé citate, è il costruttivismo giuridico. Esso si è imposto alla fine del XX secolo, soprattutto tra i teorici anglosassoni. Secondo il costruttivismo noi, contemporaneamente, osserviamo e modifichiamo, influenziamo e veniamo influenzati, interpretiamo e creiamo; la realtà è allo stesso tempo scoperta e inventata, osservata e costruita; noi non siamo completamente liberi, ma non siamo neanche completamente vincolati; subiamo pesanti interferenze dalla realtà, ma interveniamo pesantemente a modificarla.

Per il costruttivismo, dunque, da una parte l'interprete (giurista o giudice) è ancorato alle norme esistenti, in quanto non può prescindere da esse: egli non può essere interamente creativo, come pretenderebbero gli scettici. D'altra parte è anche vero che egli, interpretando le norme giuridiche a scopo teorico ovvero per applicarle al caso concreto, vi immette sempre qualcosa di suo: influisce su di esse in quanto influisce sulla loro futura interpretazione e applicazione. Il ruolo dell'interprete non è pertanto interamente notarile e passivo, come pretenderebbero i realisti.

Il giurista (o il giudice) non si limita solo a interpretare, né solo a creare. Egli interpreta e crea: crea mentre interpreta. E fa entrambe le cose non in maniera arbitraria, ma sempre fortemente vincolato dall'ambiente storico, culturale e giuridico in cui si pone.

Il diritto, secondo il costruttivismo, è in conclusione un fatto dinamico, un processo (Roberto Zaccaria), una pratica sociale di carattere interpretativo (Ronald Dworkin), in cui norma giuridica e sua interpretazione interagiscono costantemente.

Per estensione si intende per diritto anche la scienza che studia le norme giuridiche e le fonti giuridiche.

Diritto oggettivo e diritti soggettivi[modifica | modifica wikitesto]

Per diritto oggettivo s'intende il diritto tutto, ossia l'insieme delle norme concepite in un concetto unico, unitariamente; norme queste ultime che se prese una a una possono concernere diritti soggettivi (es.: il codice civile e altre leggi in materia civile sono il diritto oggettivo, il diritto di proprietà è un diritto soggettivo e sta nel contesto del codice civile, e quindi nel contesto del diritto oggettivo). Nel linguaggio quotidiano e in quello tecnico-giuridico spesso si afferma: "Ho il diritto di..., ho il diritto a..., è stato leso un mio diritto..."; in tutte queste espressioni noi usiamo il termine "diritto" non nel senso oggettivo (come insieme di norme), ma nel senso soggettivo, cioè come un "potere di agire per soddisfare un interesse tutelato dalle norme giuridiche". Molteplici sono i diritti soggettivi di cui sono titolari i soggetti del diritto (persone fisiche e persone giuridiche). Tutti i diritti soggettivi si possono classificare in due grandi categorie:

  • diritti soggettivi assoluti
  • diritti soggettivi relativi

Diritti soggettivi assoluti[modifica | modifica wikitesto]

I diritti soggettivi assoluti si distinguono a loro volta in due sub-categorie:

  1. diritti della personalità o diritti fondamentali dell'uomo, tutti di natura non patrimoniale (diritto alla vita, all'integrità fisica, alla salute, all'immagine, all'onore, alla privacy, diritti di libertà personale, di pensiero, di religione, di associazione, di riunione, ecc. riconosciuti e garantiti dalla Costituzione e dai principali strumenti convenzionali internazionali);
  2. diritti patrimoniali, i quali hanno per oggetto i beni; al loro interno, i diritti reali (dal latino res, cosa) sono diritti sulle cose e il principale fra questi diritti è il diritto di proprietà che garantisce al soggetto il potere pieno ed esclusivo di godere delle utilità ricavabili da un bene entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge.

I diritti soggettivi assoluti sono sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che afferma che tali diritti sono innati in ogni persona.

Si dice tradizionalmente che i diritti assoluti sono efficaci erga omnes, cioè verso tutti: io posso far valere, per esempio, il mio diritto di proprietà nei confronti di chiunque, anche se i diritti soggettivi possono esser oggetto nei casi stabiliti dalla legge di gravi limitazioni (ad esempio il diritto di proprietà mi può essere espropriato o confiscato in determinati casi stabiliti dalla legge così come lo stesso diritto di libertà personale può essere limitato: ad esempio posso essere imprigionato od obbligato a dimorare in un determinato luogo oppure mi può essere vietato di svolgere determinate attività). Poiché i diritti soggettivi sono tali solo in quanto lo Stato li garantisca verso altri, lo Stato può anche togliermi certe garanzie e limitare miei diritti soggettivi assoluti nel superiore interesse della collettività, seguendo procedure stabilite dalla legge.

Diritti soggettivi relativi[modifica | modifica wikitesto]

I diritti soggettivi relativi sono diritti patrimoniali che coincidono con la categoria dei diritti di credito. Il diritto di credito è la pretesa di un soggetto (creditore) nei confronti di un altro soggetto (debitore) a che quest'ultimo esegua una determinata prestazione (di dare – esempio: una somma di denaro –, o fare – esempio: un lavoro –, o non fare – esempio: non innalzare un edificio o non commercializzare un prodotto in una determinata zona -).

I diritti di credito si dicono relativi, perché la pretesa si rivolge in via principale verso uno o più soggetti determinati (infatti, se ho un credito il mio interesse può essere soddisfatto solo dal mio debitore). La "relatività" dei diritti all'esame è però oggi attenuata dalla ormai riconosciuta cd. "tutela esterna del credito". Laddove un soggetto, con la sua condotta, precluda a un creditore di soddisfare il suo interesse rendendo impossibile, in modo assoluto e obiettivo, la prestazione cui il debitore era tenuto, sarà chiamato a risarcire il danno, non diversamente da come accade tutte le volte in cui viene leso, ad esempio, il diritto di proprietà. Se è vero, dunque, che nei diritti di credito il bene può essere fornito solo da un soggetto determinato, è altrettanto vero che tutti i consociati sono tenuti ad astenersi dal compimento di atti che possano pregiudicare il conseguimento del bene da parte del creditore.

V'è da notare che, in modo simmetrico, alcuni diritti assoluti presentano dei caratteri comuni ai diritti di credito. Una servitù di passaggio è sì un diritto reale, ma la pretesa al transito sul fondo altrui si rivolge in via principale verso il proprietario del fondo servente (il fondo da attraversare). Sebbene, dunque, la struttura dinamica del diritto lo renda ben più simile a un diritto di credito (il medesimo risultato pratico può essere assicurato da un diritto di credito), l'assolutezza del diritto in questione rimane confermata dalla presenza di alcuni caratteri propri dei diritti assoluti: tra questi, ad esempio, la sua opponibilità a chiunque acquisti il fondo gravato (cosiddetta ius sequelae. L'opponibilità è però subordinata all'assolvimento di determinati oneri).

Allo stato, dunque la distinzione tra diritti assoluti e diritti relativi non è più così netta e non sembra possibile attribuire alcun carattere proprio ed esclusivo a ognuna delle categorie. Del resto, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, la stessa proprietà non è più un diritto assoluto, ma è tutelata solo "nell'ambito delle leggi che regolano" questo diritto.

Interesse legittimo[modifica | modifica wikitesto]

La dottrina giuridica italiana e poi anche il diritto amministrativo italiano hanno elaborato anche il concetto di interesse legittimo, concetto che non è condiviso in tutte le legislazioni. Interesse legittimo è l'interesse di un singolo (persona fisica o persona giuridica) a che l'operatività dello stato e delle altre amministrazioni pubbliche avvenga nel rispetto della legge e dei regolamenti posti per il loro funzionamento. L'interesse legittimo ha una forza superiore a quella del diritto oggettivo e viene ovviamente eccepito quando l'attività dell'ente pubblico venga a ledere l'interesse del singolo non applicando correttamente le norme che disciplinano il procedimento amministrativo, cioè le norme che regolano l'attività della pubblica amministrazione. Questo vuol dire che per la violazione delle norme procedimentali imposte all'agire della pubblica amministrazione il privato, che abbia un interesse (definito appunto legittimo) all'osservanza puntuale di queste norme, può impugnare l'atto della pubblica amministrazione, che ritenga non assunto con il rispetto di tutte le norme, avanti gli organi di Giustizia amministrativa per ottenere l'annullamento totale o parziale dell'atto amministrativo che risultasse illegittimamente assunto.

Principali partizioni[modifica | modifica wikitesto]

Come per le altre scienze sociali, si suole ripartire il diritto in una serie di discipline differenti, sebbene tale partizione non sia da intendersi in senso assoluto, ma sia semplicemente operata a scopo didattico o pratico.

Le branche del diritto e il loro rapporto nel tempo[modifica | modifica wikitesto]

Il confine tra diritto privato e diritto pubblico era già presente anche se in forma embrionale all'epoca dei primi giuristi romani. Diventa poi una distinzione teorica solo a partire dal XIX secolo come sistema di divisione tra parte civile e parte politica della società. Il primo sistema ovvero quello privatistico si occupava del civile mentre il pubblicistico del politico. All'inizio perciò erano concepiti come sistemi staccati e a sé stanti anche se solo mettendoli in confronto si potevano capire le differenze.

Una delle principali distinzioni del diritto è tra:

  • il diritto privato, che è la parte del diritto che regola i rapporti tra soggetti privati, o tra soggetti privati e soggetti pubblici quando questi ultimi agiscono "'jure privatorum'", cioè come se fossero soggetti privati, non facendo ricorso ai loro poteri pubblici per la tutela di un pubblico interesse;
  • il diritto pubblico, che si occupa dei rapporti tra Stato o altri enti pubblici e soggetti, privati o pubblici, quando lo Stato o gli altri enti pubblici agiscono "'jus iuris'" e dunque utilizzando un potere o pubbliche potestà per la tutela di un interesse pubblico e seguendo un procedimento stabilito per legge o per regolamento. Lo Stato (e talvolta gli altri enti pubblici) possono però agire anche "'jure imperii", cioè utilizzando la forza pubblica per far sì che un principio giuridico, un provvedimento o un ordine sia concretamente rispettato dai privati;
  • il diritto internazionale, la branca del diritto che regola fenomeni giuridici relativi a soggetti di ordinamenti diversi, ciascuno dei quali si considera sovrano. Esso viene a sua volta suddiviso nelle discipline del diritto internazionale pubblico, che regola i rapporti tra stati, del diritto internazionale privato, che regola i rapporti tra cittadini di nazionalità diverse e tra cittadini stranieri e diritto privato dello stato di cui sono ospiti, e diritto delle organizzazioni internazionali che agiscono come soggetti propri sulla base dei trattati internazionali che ne regolano l'esistenza, le competenze e le modalità di intervento (ovviamente i trattati internazionali vincolano solo gli stati che gli hanno sottoscritti, ma le organizzazioni internazionali tentano di imporre a tutti gli stati la loro autorità anche grazie all'appoggio degli stati più potenti e influenti). Negli ultimi anni si è anche affermato, nell'ambito del diritto internazionale pubblico, anche il diritto penale internazionale, volto a punire reati particolarmente gravi contro i diritti umani fondamentali (ad esempio il genocidio) e quindi, di conseguenza, anche un diritto processuale penale internazionale.

Le principali partizioni del diritto oggetto di studio autonomo sono:

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Uberto Scarpelli, Paolo Di Lucia, Mario Jori (a cura di), Il linguaggio del diritto, Milano, LED Edizioni Universitarie, 1994. ISBN 88-7916-050-8

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  • Diritto in Tesauro del Nuovo soggettario, BNCF, marzo 2013.
  • AA. VV., «Diritto» la voce nella Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931.
  • Bruno Paradisi, «Diritto» la voce nella Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1977.
  • Giovanni Pugliese, «Diritto» la voce nella Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1993.
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