Assedio di Costantinopoli (1453)

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Assedio di Costantinopoli
Philippe de Mazerolles, L'assedio di Costantinopoli, dalla Chronique de Charles VII di Jean Chartier, 1470 ca.
Philippe de Mazerolles, L'assedio di Costantinopoli, dalla Chronique de Charles VII di Jean Chartier, 1470 ca.
Data dal 6 aprile al 29 maggio 1453
Luogo Costantinopoli
Esito Gli Ottomani conquistano Costantinopoli, dopo 1058 anni cade definitivamente l'Impero Bizantino.
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
4.973 bizantini e 2.000 latini, 26 navi. tra i 160.000 e i 400.000 uomini circa, 200 navi, più numerose bombarde e armi da fuoco.
Perdite
4.000 soldati circa, 30.000 civili schiavizzati o deportati e 2 navi[1][2] Sconosciute, ma molto elevate
260 prigionieri, poi uccisi[3]
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L'ultimo assedio di Costantinopoli, capitale dell'Impero Romano d'Oriente, avvenne nel 1453. I Turchi Ottomani, guidati dal sultano Maometto II, conquistarono la città il 29 maggio, dopo circa due mesi di combattimenti.

Anche se Costantinopoli possedeva la cerchia di mura più sicura ed impenetrabile d'Europa, gli ottomani disponevano di uno strumento bellico all'avanguardia: il cannone, in grado di sgretolare le medioevali Mura teodosiane. Nonostante l'avanzata tecnologia turca, che non fu però del tutto efficace nel distruggere i possenti bastioni bizantini, gli ottomani avevano dalla loro parte i numeri: il rapporto tra bizantini e ottomani era di uno contro undici. 

Con la caduta della capitale e la morte in battaglia dell'imperatore Costantino XI Paleologo (1449-1453), l'Impero Romano d'Oriente, dopo 1058 anni, cessò di esistere.

Secondo alcuni storici questa data è da intendere come la fine del Medioevo e l'inizio dell'era moderna.

Stato dell'impero bizantino[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso della storia dell'Impero Bizantino, Costantinopoli subì numerosi assedi ma fu solo durante la Quarta crociata nel 1204 che eserciti stranieri riuscirono a conquistarla. I crociati tuttavia, che non avevano come obiettivo la conquista dell'Impero, furono cacciati dalla città nel 1261. Nei due secoli seguenti le dimensioni dell'impero furono gradualmente ridotte dalle forze ottomane. Quando nel 1453 Costantinopoli cadde, l'Impero Bizantino altro non era che la città di Costantinopoli stessa e una porzione del Peloponneso.

La capitale Costantinopoli all'epoca era quindi isolata e poteva essere rifornita solo via mare. Lo storico Fernand Braudel la definì "una città isolata, un cuore, rimasto miracolosamente vivo, di un corpo enorme da lungo tempo cadavere"[4]. Per avere un'idea di quanto fosse grave e inesorabile il declino della città all'inizio del XV secolo basta prendere come esempio i dati relativi ai proventi delle dogane sui Dardanelli: le dogane genovesi fruttavano alla città ligure 200.000 monete d'oro, Costantinopoli dalle sue dogane imperiali ne ricavava appena 30.000.[senza fonte] La città durante il XV secolo perse abitanti e prosperità economica: l'antico splendore degli edifici andò in rovina e la sua moneta perse il suo valore di un tempo.

Preparativi[modifica | modifica wikitesto]

Mappa che mostra Costantinopoli e le sue mura.

Il sultano ottomano Mehmet II, da poco salito al trono, giovane e ambiziosissimo, organizzò l'assedio con grandiosi preparativi. Anzitutto nel 1452 fece costruire la fortezza di Rumeli-Hissan (Rumeli Hisar) di fronte alla fortezza di Anadolu Hisar nel Bosforo, in modo che la sua potente artiglieria fosse in grado di impedire i rifornimenti a Costantinopoli, rendendo particolarmente rischiosa la navigazione. Pose inoltre grande attenzione alla preparazione dei pezzi di artiglieria circondandosi di esperti europei e arabi, riuscendo a creare alcune tra le più potenti bocche da fuoco dell'epoca. La loro prima vittima fu la nave veneziana condotta dal mercante Antonio Rizzo.

L'imperatore bizantino Costantino XI chiese aiuto alle altre potenze cristiane per la difesa della città, ma ottenne magri risultati: il Papa chiese come contropartita la riunificazione della Chiesa d'Oriente con quella d'Occidente (che venne proclamata il 12 dicembre 1452, ma non fu accettata dalla popolazione bizantina), la Repubblica di Venezia mantenne, dopo l'episodio dell'affondamento dell'imbarcazione di Antonio Rizzo, la flotta ormeggiata a Negroponte, lasciando tuttavia ai propri mercanti piena libertà di decidere se rimanere neutrali o schierarsi a favore dei bizantini; anche la Repubblica di Genova mantenne un comportamento ambiguo consentendo ai propri mercanti di stringere accordi commerciali con la capitale.

Mehmet II mandò un dispaccio a Costantino XI dicendo che, se si fosse arreso, avrebbe risparmiato la vita dei suoi sudditi e lo avrebbe nominato governatore: in caso contrario la lotta sarebbe stata fino all'ultimo sangue. L'imperatore rispose con questo celebre messaggio:

« Darti la città, non è decisione mia né di alcuno dei suoi abitanti; abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere, e non risparmieremo la vita. »
(Costantino XI Paleologo)

L'assedio[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Costantino XI Paleologo e Cronologia della caduta di Costantinopoli.
L'assedio di Costantinopoli.
La bandiera dell'Impero bizantino in uso dal XIII secolo fino alla caduta della Morea nel 1460.

L'assedio iniziò nell'aprile 1453. Mehmet II attaccò la città sia dalla terra che dal mare con un esercito di 160.000 uomini mentre i difensori erano meno di 7.000 uomini. Nel porto della città erano all'ancora 26 navi da guerra bizantine, la flotta ottomana ne contava 200. Al disperato grido di aiuto della gloriosa Costantinopoli risposero solo 600 veneziani, 700 genovesi guidati dal celebre soldato di ventura Giovanni Giustiniani Longo e una squadra di catalani.

Mehmet II progettava di attaccare le mura di Teodosio, che proteggevano il lato della città non bagnato dall'acqua. Procedendo dall'esterno verso la città si trovava dapprima un fossato largo 18 metri e profondo 7, seguito da un parapetto. Poi, intervallato da un ampio terreno, si incontrava un muro, detto Muro Esterno. Era alto 7 metri e spesso circa 3, e vi si trovavano numerose torri. Ancora uno spazio, e si arrivava al Muro Interno, alto 12 metri e spesso un po' meno di 5 metri, munito di torri alte 16-18 metri.

Il sultano disponeva dei più grandi cannoni esistenti al mondo a quel tempo, progettati per lui da Maestro Urban, un geniale costruttore di campane di origine ungherese, e con essi tentò di aprire una breccia nelle mura. Ma non ci riuscì perché le mura erano troppo spesse e anche perché i grandi cannoni potevano sparare pochi proiettili al giorno (le notevoli dimensioni e i lunghi tempi di ricarica ne limitavano l'efficacia, inoltre necessitavano di tempo per raffreddarsi, per non rischiare cedimenti del metallo) e quindi i Bizantini avevano il tempo di riparare i danni; a questo compito si dedicavano anche i cittadini estranei alle armi, come anziani, donne e bambini.

Nel tentativo di aprirsi la strada nelle fortificazioni teodosiane, Mehmet II inviò anche una squadra di artificieri in un passaggio allestito sotto le mura, per farle saltare con dell'esplosivo; il tentativo venne però frustrato dall'accortezza delle sentinelle di fazione, che si accorsero delle manovre e riuscirono a sventarle causando un gran numero di vittime tra i sabotatori.

Mappa di Costantinopoli con la disposizione delle forze bizantine di difesa (rosso) e le forze assedianti ottomane (verde)

Anche i tentativi della flotta turca di entrare nel Corno d'Oro, l'insenatura in cui si trovava il porto della città, furono frustrati da una gigantesca catena che ne chiudeva l'ingresso. Allora il sultano impose ai suoi uomini un'impresa colossale: per aggirare la catena, fu costruita una passerella di legno lunga due chilometri, sopra la quale gli schiavi spinsero a forza di braccia le navi per raggiungere le acque dall'altra parte. Gli assediati, al vedere l'impresa, furono colti dal panico: pare che un'antica profezia annunciasse che Costantinopoli sarebbe caduta solo "quando le navi avessero navigato sulla terra". Anche un'eclissi lunare che si verificò la notte del 22 maggio fu interpretata come un cattivo auspicio dai difensori della città.

Nonostante la coraggiosa resistenza, alimentata dall'arrivo delle navi veneziane promesse dal Papa, appariva chiaro che i difensori sarebbero riusciti soltanto a prolungare di qualche giorno la difesa della città.

A questo punto il sultano progettò di assaltare e distruggere le mura direttamente con la forza, sapendo che i difensori bizantini si sarebbero stancati prima delle sue truppe - che erano state rimpolpate ancora da ulteriori 60.000 uomini di rinforzo. L'attacco finale sarebbe stato sferrato il 29 maggio, in quanto degli astrologi gli avevano predetto che quel giorno sarebbe stato fortunato per lui. La sera del 27 maggio Maometto II fece la seguente orazione ai suoi uomini, promettendo loro una doppia paga:[5]

« La città e gli edifici sono miei, ma i prigionieri e il bottino, i tesori d'oro e di bellezza li lascio al vostro valore: siate ricchi e siate felici. Molte sono le province del mio impero: l'intrepido soldato che arriverà per primo sulle mura di Costantinopoli sarà ricompensato con il governo di quella più bella e più ricca, e la mia gratitudine accumulerà i suoi onori e i suoi beni oltre la misura delle sue stesse speranze. »
(Maometto II)

Il discorso diede slancio e ulteriori motivazioni alle truppe turche.

La notte del 28 maggio fu celebrata nella basilica di Santa Sofia l'ultima messa cristiana, a cui assistettero sia i greci che i latini. I Bizantini erano disperati, e si abbandonarono alle lacrime. In quei giorni fecero sfilare in processione l'immagine della Vergine, sperando invano che Ella li avrebbe salvati dalla capitolazione. Le mura delle città erano ormai in cattivo stato per i continui cannoneggiamenti, e il basileus, per pagare le sue truppe, fu costretto dalla carenza di denaro a spogliare le chiese della città.

Il giorno dopo i Turchi concentrarono gli attacchi verso la Porta d'Oro, nel settore più vulnerabile delle mura, il Mesoteichion, che fu presa d'assalto tre volte. Attorno all'una di notte fu inviata la prima schiera di Ottomani, composta dalla bassa fanteria. I difensori si difesero con accanimento e attorno alle quattro del mattino ricacciarono indietro le truppe nemiche arrecando loro ingenti perdite. Il sultano ordinò allora l'attacco dei reparti con maggiore abilità e muniti di equipaggiamento migliore, i quali riuscirono dopo aspri combattimenti ad aprire un varco nella linea di difesa bizantina; esso fu prontamente richiuso da Costantino, che accorse alla testa delle sue guardie scelte massacrando i nemici. Oramai, però, i difensori erano logorati dalle molte ore di combattimenti ininterrotti e Maometto scagliò al mattino l'attacco finale inviando le truppe d'élite in assoluto più temibili dell'Impero: i giannizzeri. Dopo aspri combattimenti Giustiniani fu ferito, e nonostante le esortazioni di Costantino a restare, si ritirò in città attraverso una porta del muro interno. Privi di guida, veneziani e genovesi prima indietreggiarono e poi fuggirono verso il porto. Sembra che Giustiniani sia riuscito a fuggire a Chio, dove morì due giorni dopo. La sua fuga suscitò sospetti di tradimento, non si sa quanto fondati. L'imperatore Costantino tentò di guidare un contrattacco, alla testa dei suoi uomini e degli spagnoli di don Francisco di Toledo, ma scomparve nella mischia: secondo la maggior parte delle fonti morì combattendo valorosamente uccidendo 800 turchi, secondo alcune, poco accreditate, mentre tentava di scappare. Il suo cadavere non fu mai ritrovato. La chiesa Ortodossa lo considerò in seguito santo e martire.

La popolazione fu decimata dai vincitori. Le principesse della famiglia imperiale riuscirono a fuggire a bordo di una nave e si rifugiarono in Occidente. La basilica di Santa Sofia, chiesa madre di tutta la chiesa ortodossa, fu trasformata in una moschea e i magnifici mosaici dorati che rappresentavano Cristo Pantocratore vennero coperti da uno strato d'intonaco.

Secondo una leggenda quando i Turchi entrarono nella basilica, una parete si aprì e si richiuse dopo che vi era entrato il sacerdote che celebrava la messa con il calice: questi sarebbe tornato a terminare la messa attraverso la parete riaperta quando la chiesa fosse ridivenuta cristiana.

La fine[modifica | modifica wikitesto]

In mattinata i bizantini furono definitivamente sconfitti e gli ottomani iniziarono con le razzie. Le mura di Costantinopoli erano piene di morti e di morenti, di quelli che avevano difeso le mura, non era quasi rimasto più nessuno vivo. I bizantini erano tornati nelle loro case, per difendere la famiglia dalle razzie. I veneziani erano andati al porto, e i genovesi si erano imbarcati verso l'ancora sicura colonia di Galata. Il Corno d'oro era quasi deserto, i marinai turchi stavano pensando a razziare, il comandante Girolamo Minotto prese il rimanente della marina, e cioè otto navi veneziane, sette genovesi, e sei bizantine, e portò i profughi in salvo, le navi erano stracolme di bizantini.

A mezzogiorno le strade di Costantinopoli erano ingombre di cadaveri, le case erano vuote, visto che gli ottomani stavano uccidendo e catturando donne e bambini, che le cronache cristiane diranno essere stati stuprati e poi impalati. Le medesime cronache affermano anche che le chiese furono distrutte, le icone tagliate, i libri bruciati. Il palazzo Imperiale bizantino, palazzo delle Blacherne era deserto, e l'icona più venerata dai bizantini, la Vergine Odigitria ("condottiera"), fu tagliata in quattro pezzi.

A Santa Sofia i preti stavano celebrando la messa mattutina; quando sentirono gli Ottomani arrivare, allora sbarrarono la grande porta di bronzo, ma gli ottomani la ruppero a colpi d'ascia, i preti furono uccisi mentre celebravano la messa, e sgozzati anche sopra l'altare. In chiesa vi era una grande massa di gente che, venuta a sapere che i Turchi stavano per arrivare si era raccolta in chiesa nell'attesa, di un angelo che, secondo una tradizione, avrebbe cacciato i Turchi da Costantinopoli quando l'avrebbero espugnata.[6] Ma una diceria popolana racconta che due preti presero i calici e le patere e si volatilizzarono, per riprendere la messa dal punto in cui l'avevano interrotta solo quando Costantinopoli fosse tornata in mano cristiana.

I saccheggi durarono solamente un giorno, visto che Mehmet II si accorse che se avesse lasciato la città in mano dei suoi uomini per i tre giorni che aveva promesso, Costantinopoli sarebbe stata rasa al suolo; quella sera stessa Santa Sofia divenne una moschea.

L'affidabilità delle cronache di parte è - come evidente - abbastanza scarsa. Pur in un quadro di ampie e incontestabili distruzioni, di violenze di ogni genere, di razzie, numerose chiese in realtà sfuggirono però alla furia delle truppe vincitrici e alla trasformazione in moschee.[7]
La grande chiesa dei Santi Apostoli - seconda solo a Santa Sofia - fu riconsegnata poco tempo dopo al Patriarca Gennadius, con le sue reliquie intatte[senza fonte], e divenne la nuova sede del patriarcato. Pochi anni dopo fu abbandonata a causa della sua fatiscenza e dell'insediamento di numerosi Turchi nelle vicinanze, ed infine distrutta nel 1462 per la costruzione della moschea di Fatih.[8] Non subì danni la chiesa del Pammacaristos, che fungeva da monastero e divenne sede del Patriarcato dopo i S. Apostoli.[9] Altrettanto può dirsi della chiesa di S. Demetrio Kanavou, presso le Blachernae, tuttora esistente - seppure ricostruita - ed aperta al culto.[10] La chiesa della Peribleptos a Psamathia rimase in funzione fino al metà del XVII secolo, quando fu assegnata dal Sultano ai cristiani Armeni. È tuttora aperta al culto.[11] La piccola chiesa di S. Giorgio dei Cipressi non ebbe fastidi,[12] come la chiesa di S. Andrea a Krisei,[13] convertita in moschea alcuni decenni dopo. La chiesa-convento del Myrelaeon rimase funzionante fino alla fine del XV secolo.[14]

Un tentativo di Bayezid II di requisire le proprietà ecclesiastiche fu bloccato dal Patriarca Dionysius I che riuscì a dimostrare che Mehmet II Fatih aveva concesso alla Chiesa greca di rimanere proprietaria dei beni ecclesiastici della città, e anche un decreto del sultano Selim I di convertire con la forza tutti i suoi sudditi cristiani di Costantinopoli non fu realizzato grazie alle difficoltà frapposte dai dignitari musulmani. La rinnovata volontà di requisizione di ogni chiesa fu vanificata dall'intervento di tre centenari giannizzeri che giurarono che il Conquistatore aveva concesso che le proprietà della Chiesa non fossero ulteriormente espropriate nel momento in cui il Patriarcato aveva riconosciuto, arrendendosi, la nuova realtà verificatasi con la conquista della "Seconda Roma".[15]

Nella cultura[modifica | modifica wikitesto]

  • In Turchia il musicista turco Can Atilla ha realizzato nel 2006 il concept album "1453 Sultanlar Aşkına" ispirato all'assedio di Costantinopoli.
  • In Grecia l'assedio e la caduta della città ha alimentato innumerevoli leggende e canti della tradizione popolare e l'impatto nella cultura neogreca fu tale che tutt'oggi come giorno sfortunato è considerato il martedì, giorno della caduta di Costantinopoli, e non il venerdì.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Nicolle, David (2007). The Fall of Constantinople: The Ottoman Conquest of Byzantium. New York: Osprey Publishing. pp. 237, 238.
  2. ^ Ruth Tenzel Fieldman, The Fall of Constantinople, Twenty-First Century Books, 2008, p. 99
  3. ^ The Fall of Constantinople 1453,Steven Runciman, page 108, 1990
  4. ^ AA.VV., Storia d'Italia Einaudi, vol. II, 1972 (p. 2103).
  5. ^ Gibbon e Saunders, Declino e caduta dell'Impero romano, p. 486
  6. ^ Gibbon e Saunders, Declino e caduta dell'Impero romano, pp. 490-491. Secondo la leggenda l'angelo avrebbe consegnato una spada a un povero seduto sulla colonna di Costantino dicendogli «Prendi questa spada e vendica il popolo del Signore». A questo punto i Turchi sarebbero fuggiti e i Bizantini li avrebbero cacciati dall'Europa e dall'Anatolia.
  7. ^ Müller-Wiener (1977), passim
  8. ^ Müller-Wiener (1977), p. 406
  9. ^ Müller-Wiener (1977), p. 132
  10. ^ Müller-Wiener (1977), p. 110
  11. ^ Müller-Wiener (1977), p. 187
  12. ^ Essa è aperta al culto tuttora. Müller-Wiener (1977), p. 32
  13. ^ Müller-Wiener (1977), p. 172
  14. ^ Sir Steven Runciman, The Fall of Constantinople - 1453, Cambridge, Cambridge University Press, 1965, pp. 199-200.
  15. ^ Sir Steven Runciman, op. cit., pp. 200-201.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Georg Ostrogorsky. Storia dell'Impero bizantino. Torino, Einaudi 1968.
  • Agostino Pertusi (a cura di). La caduta di Costantinopoli. L'eco nel mondo. Mondadori (Fondazione Valla), Milano 1976.
  • Agostino Pertusi (a cura di), La caduta di Costantinopoli. Le testimonianze dei contemporanei. Mondadori (Fondazione Valla), Milano 1976. ISBN 88-04-13431-3
  • (DE) Wolfgang Müller-Wiener, Bildlexikon zur Topographie Istanbuls: Byzantion, Konstantinupolis, Istanbul bis zum Beginn d. 17 Jh, Tübingen, Wasmuth, 1977, ISBN 978-3-8030-1022-3.
  • Alexander P. Kazhdan, Bisanzio e la sua civiltà, Laterza, Roma-Bari 1994.
  • Andrea Frediani, Costantinopoli 1453, 1999.
  • John Julius Norwich, Bisanzio, Mondadori, Milano, 2000.
  • Steven Runciman, La caduta di Costantinopoli Feltrinelli, 1968 e Piemme, 2001.
  • Silvia Ronchey, Lo stato bizantino, Einaudi, Torino 2002.
  • Alain Ducellier e Michel Kaplan, Bisanzio, San Paolo, Milano 2002.
  • Giorgio Ravegnani, La storia di Bisanzio, Jouvence, Roma 2004.
  • R. J. Lilie, Bisanzio la seconda Roma, Newton & Compton, Roma 2005. ISBN 88-541-0286-5.
  • Giorgio Ravegnani, Bisanzio e Venezia, il Mulino, Bologna 2006.
  • Giorgio Sfranze, Paleologo. Grandezza e caduta di Bisanzio, Sellerio, Palermo 2008, ISBN 88-389-2226-8
  • Ducas, Historia turco-bizantina 1341-1462, a cura di Michele Puglia, il Cerchio, Rimini 2008, ISBN 88-8474-164-5
  • Roger Crowley, 1453. La caduta di Costantinopoli, Bruno Mondadori, Milano 2008, ISBN 978-88-6159-068-7
  • Gibbon (a cura di Saunders), Declino e caduta dell'Impero romano, Cap. XVI, pp. 478–494.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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