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Socrate

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« Dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest'uomo ero più sapiente io: [...] costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere. »
(Platone, Apologia di Socrate, trad. di M. Valgimigli, 21d, in Id., Opere, vol. I, Laterza, Bari 1966, p. 39)
Testa di Socrate, scultura di epoca romana conservata al Museo del Louvre. Socrate fu il primo filosofo a essere ritratto. Tutte le altre immagini dei filosofi presocratici sono opere di fantasia[2]

Socrate, figlio di Sofronisco del demo di Alopece (in greco antico Σωκράτης, traslitterato in Sōkrátēs; Atene, 470 a.C./469 a.C.[1]Atene, 399 a.C.), è stato un filosofo greco antico, uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale.

Il contributo più importante che egli ha dato alla storia del pensiero filosofico consiste nel suo metodo d'indagine: il dialogo che utilizzava lo strumento critico dell'elenchos (ἔλεγχος, "confutazione") applicandolo prevalentemente all'esame in comune (ἐξετάζειν, exetάzein) di concetti morali fondamentali. Per questo Socrate è riconosciuto come padre fondatore dell'etica o filosofia morale.

Per le vicende della sua vita e della sua filosofia che lo condussero al processo e alla condanna a morte è stato considerato, dal filosofo e classicista austriaco Theodor Gomperz, il primo martire occidentale della libertà di pensiero.[3]

«[...] dall'antichità ci è pervenuto un quadro della figura di Socrate così complesso e così carico di allusioni che ogni epoca della storia umana vi ha trovato qualche cosa che le apparteneva. Già i primi scrittori cristiani videro in Socrate uno dei massimi esponenti di quella tradizione filosofica pagana che, pur ignorando il messaggio evangelico, più si era avvicinata ad alcune verità del Cristianesimo. L'Umanesimo e il Rinascimento videro in Socrate uno dei modelli più alti di quella umanità ideale che era stata riscoperta nel mondo antico. Erasmo da Rotterdam, profondo conoscitore dei testi platonici era solito dire: «Santo Socrate, prega per noi» (Sancte Socrates, ora pro nobis)[4]

Le fonti sulla vita[modifica | modifica wikitesto]

È ben noto il fatto che Socrate non abbia lasciato alcuno scritto. Ricaviamo quindi il pensiero di Socrate dalle opere dei suoi discepoli, tra cui spicca soprattutto il sopraccitato Platone che fu per lungo tempo uno di essi e che condivise, negli scritti giovanili, il pensiero del maestro, a tal punto che risulta difficile distinguere il pensiero socratico da quello platonico, che acquisì poi una maggiore originalità solo nella maturità e nella vecchiaia.[5][6]

Un'altra fonte della vita e del pensiero di Socrate è rappresentata dalle opere cosiddette socratiche Apologia di Socrate (Aπολογία Σωκράτους), Simposio (Συμπόσιον), Detti memorabili di Socrate (Άπομνευμονεύματα Σωκράτους) dello storico Senofonte discepolo di Socrate [7] che la storiografia ottocentesca ha apprezzato per le notizie sulla vita del maestro mentre quella novecentesca le ha considerate di scarso interesse soprattutto se confrontate alle opere platoniche.[8] Dalle opere di Senofonte dedicate al maestro complessivamente l’immagine di Socrate che emergerebbe sarebbe quella di un uomo virtuoso e morigerato, cittadino modello, timorato degli dei, instancabile nel predicare la virtù e nell’esortare i giovani all’obbedienza verso i genitori e alle leggi dello Stato.[9]«La critica più recente guarda tuttavia con maggiore equilibrio agli scritti senofontei, riconoscendogli chiarezza e coerenza; la figura di Socrate che se ne ricava spicca per il carattere morale e una certa forma di ascetismo. Molto spazio viene dedicato all’intellettualismo socratico e alle nozioni di bene e di virtù, nonché alla dialettica del maestro...» [10]

Socrate nella cesta nella commedia Le nuvole di Aristofane. Stampa del XVI secolo

Un'altra testimonianza la troviamo ne Le nuvole, commedia di Aristofane dove Socrate viene rappresentato come veniva visto da alcuni ad Atene e cioè come un pedante seccatore perso nelle sue discussioni astratte e campate in aria. Aristofane infatti mostra Socrate dentro una cesta che cala dalle nuvole mentre è tutto intento a delle ricerche strambe e ridicole, come calcolare quanto è lungo il salto della pulce, o quale sia l'origine del ronzio delle zanzare. Aristofane vuole evidentemente fare una caricatura di queste ricerche naturalistiche che egli impropriamente attribuisce a Socrate, e anche avvertire che chi si dedica allo studio della natura in genere è un ateo, che rigetta la religione tradizionale, nella sua commedia ridicolmente sostituita dal culto delle Nuvole.

Testimone del pensiero socratico è Aristotele che però risulta poco attendibile poiché egli tende a esporre il pensiero dei filosofi precedenti interpretandolo secondo il suo personale punto di vista, operando distorsioni e fraintendimenti sui concetti originali. Aristotele infatti, presenta la dottrina socratica come incentrata, in un primo tentativo fallito, nell'individuare la definizione del concetto. A questo, secondo Aristotele, mirava la ricerca che si esprimeva nel continuo interrogare (ti estì, "che cos'è?") che Socrate effettuava nel dialogo: la definizione precisa della cosa di cui si stava parlando. In particolare Aristotele attribuiva a Socrate la scoperta del metodo della definizione e induzione, che considerava l'essenza del metodo scientifico. Stranamente però, Aristotele affermava pure che tale metodo non fosse adatto all'etica. Socrate invece avrebbe erroneamente applicato questo suo metodo all'esame dei concetti morali fondamentali del tempo, come ad esempio le virtù di pietà, saggezza, temperanza, coraggio, e di giustizia.[11]

Probabilmente Socrate frequentò il gruppo degli amici di Pericle e conobbe le dottrine dei filosofi naturalisti Ionici di cui apprezzava in particolare Anassimandro, fattogli conoscere da Archelao. Nel 454 a.C. essendo presenti ad Atene Parmenide e Zenone di Elea, Socrate ebbe modo di conoscere la dottrina degli eleati come pure fu in rapporti con i sofisti Protagora, Gorgia e Prodico.

Si sa che fu molto interessato al pensiero di Anassagora ma se ne allontanò per la teoria del Nous ("Mente") che metteva ordine nel caos primigenio degli infiniti semi. Secondo alcuni interpreti Socrate pensava che questo principio ordinatore dovesse essere identificato con il sommo principio del Bene, un principio morale alla base dell'universo, ma quando invece si accorse che per Anassagora il Nous doveva invece rappresentare un principio fisico, una forza materiale, ne fu deluso e abbandonò la sua dottrina.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Socrate e Santippe: incisione di Otto van Veen, XVII secolo.

Il periodo storico in cui visse Socrate è caratterizzato da due date fondamentali: il 469 a.C. e il 404 a.C. La prima data, quella della sua nascita, segna la definitiva vittoria dei Greci sui Persiani (battaglia dell'Eurimedonte). La seconda si riferisce a quando all'età dell'oro di Pericle seguirà, dopo il 404 con la vittoria spartana, l'avvento del governo dei Trenta Tiranni. La vita di Socrate si svolge dunque nel periodo della maggiore potenza ateniese ma anche del suo declino.

Il padre di Socrate, Sofronisco, fu uno scultore del demo di Alopece, ed è possibile che abbia trasmesso tale mestiere al giovane figlio, anche se nessuna testimonianza gli attribuisce alcun mestiere:[12] in tal senso, secondo Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, II, 19)[13], opera di Socrate sarebbero state le Cariti,[14] vestite, sull'acropoli di Atene. Sua madre, Fenarete, che aveva già avuto un figlio di nome Patrocle da un precedente matrimonio[15] con Cheredemo,[16] sarebbe stata una levatrice.[17]

Probabilmente Socrate era di famiglia benestante, di origini aristocratiche: nei dialoghi platonici non risulta che egli esercitasse un qualsiasi lavoro e del resto sappiamo che egli combatté come oplita[18] nella battaglia di Potidea, e in quelle di Delio e di Anfipoli. È riportato nel dialogo Simposio di Platone che Socrate fu decorato per il suo coraggio. In un caso, si racconta, rimase al fianco di Alcibiade ferito, salvandogli probabilmente la vita. Durante queste campagne di guerra dimostrò di essere straordinariamente resistente, marciando in inverno senza scarpe né mantello.

Busto di Socrate conservato nei Musei Vaticani.

Nel 406 come membro del Consiglio dei Cinquecento (Bulé), Socrate fece parte della Pritania quando i generali della battaglia delle Arginuse furono accusati di non aver soccorso i feriti in mare e di non aver seppellito i morti per inseguire le navi spartane. Socrate ricopriva la carica di epistate e unico nell'assemblea si oppose alla richiesta illegale di un processo collettivo contro i generali. Nonostante pressioni e minacce bloccò il procedimento fino alla conclusione del suo mandato quando infine sei generali ritornati ad Atene furono condannati a morte.[19]

Nel 404, i Trenta Tiranni ordinarono a Socrate e ad altri quattro cittadini di arrestare il democratico Leone di Salamina affinché fosse mandato a morte.[20] Socrate si oppose all'ordine «preferendo – secondo quanto tramandato dalla platonica Lettera VII – correre qualunque rischio che farsi complice di empi misfatti».[21]

Socrate è descritto da Platone come un uomo avanti negli anni e piuttosto brutto, e aggiunge anche che era come quelle teche apribili, installate di solito ai quadrivi, raffiguranti spesso un satiro che custodivano all'interno la statuetta di un dio. Questo pare quindi fosse l'aspetto di Socrate, fisicamente simile a un satiro, e tuttavia sorprendentemente buono nell'animo, per chi si soffermava a discutere con lui.

Diogene Laerzio riferisce che, secondo alcuni antichi, Socrate avrebbe collaborato con Euripide alla composizione delle tragedie, ispirando in esse temi profondi di riflessione.[22]

Socrate fu sposato con Santippe, che gli diede tre figli: Lampsaco, Sofronisco e Menesseno.[23] Tuttavia, secondo Aristotele e Plutarco, due di questi li avrebbe avuti da una concubina di nome Mirto. Santippe ebbe fama di donna insopportabile e bisbetica (Diogene Laerzio in Vite dei filosofi, II, 36, narra che una volta Santippe, dopo aver ingiuriato il coniuge, «gli versò addosso l'acqua»). Socrate stesso attestò che avendo imparato a vivere con lei era divenuto ormai capace di adattarsi a qualsiasi altro essere umano, esattamente come un domatore che avesse imparato a domare cavalli selvaggi, si sarebbe trovato a suo agio con tutti (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, II, 36-37).[24] Egli d'altra parte era talmente preso dalle proprie ricerche filosofiche al punto da trascurare ogni altro aspetto pratico della vita, tra cui anche l'affetto della moglie, finendo per condurre un'esistenza quasi vagabonda. Socrate viene anche rappresentato come un assiduo partecipante a simposi, intento a bere e a discutere. Fu un bevitore leggendario, soprattutto per la capacità di tollerare bene l'alcool al punto che quando il resto della compagnia era ormai completamente ubriaca egli era l'unico a sembrare sobrio.[25]

L'Atene di Socrate[modifica | modifica wikitesto]

L'Acropoli con il Partenone, raffigurazione del nazionalismo greco al tempo di Pericle[26]

Socrate visse dunque durante un periodo di transizione, dall'apice del potere di Atene fino alla sua sconfitta per mano di Sparta e alla sua coalizione nella guerra del Peloponneso (404). Dopo la sconfitta s'insediò ad Atene un regime oligarchico e filospartano guidato da Crizia, un nobile sofista negatore della religione. Dopo appena un anno, il governo dei Trenta tiranni decadde e s'instaurò un governo democratico conservatore formato da esiliati politici, guidato da Trasibulo. Egli giudicò Socrate un nemico politico per i rapporti che aveva avuto con Alcibiade, suo scapestrato discepolo e presunto amante, accusato di avere tradito Atene per Sparta.

Il nuovo regime democratico[27] voleva riportare la città allo splendore dell'età di Pericle instaurando un clima di pacificazione generale: infatti non perseguitò, com'era abitudine, i nemici del partito avverso ma concesse un'amnistia. Si voleva tornare a creare in Atene una compattezza e solidarietà sociale riproponendo ai cittadini gli antichi ideali e i principi morali che avevano fatto grande Atene. Ma nella città si diffondeva l'insegnamento, seguito con entusiasmo da molti, specie giovani, dei sofisti i quali invece esercitavano una critica corrosiva di ogni principio e verità che si volesse dare per costituita dalla religione o dalla tradizione.

La dottrina socratica[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Pensiero di Socrate (interpretazioni).

Molti studiosi di storia della filosofia[28] concordano nell'attribuire a Socrate la nascita di quel peculiare modo di pensare che ha consentito l'origine e lo sviluppo della riflessione astratta e razionale, che sarà il fulcro portante di tutta la filosofia greca successiva. Il primo a sviluppare questa interpretazione della dottrina socratica fu Aristotele che attribuì a Socrate la scoperta del metodo della definizione e induzione, che egli considerava uno, ma non l'unico, degli assi portanti del metodo scientifico.

Sapere di non sapere[modifica | modifica wikitesto]

Paradossale fondamento del pensiero socratico è il "sapere di non sapere", un'ignoranza intesa come consapevolezza di non conoscenza definitiva, che diventa però movente fondamentale del desiderio di conoscere. La figura del filosofo secondo Socrate è completamente opposta a quella del saccente, ovvero del sofista che si ritiene e si presenta come sapiente, perlomeno di una sapienza tecnica come quella della retorica.

Le fonti storiche che ci sono pervenute descrivono Socrate come un personaggio animato da una grande sete di verità e di sapere, che però sembravano continuamente sfuggirgli. Egli diceva di essersi convinto così di non sapere, ma proprio per questo di essere più sapiente degli altri.[29]

Nell'Apologia di Socrate ci viene descritto come egli abbia preso coscienza di ciò a partire da un singolare episodio. Un suo amico, Cherefonte, aveva chiesto alla Pizia, la sacerdotessa dell'oracolo di Apollo a Delfi, chi fosse l'uomo più sapiente e questa aveva risposto che era Socrate. Egli sapeva di non essere il più sapiente e quindi volle dimostrare come l'oracolo si fosse sbagliato andando a dialogare con quelli che avevano fama di essere molto sapienti, in particolare i politici.

Ma alla fine del confronto, racconta Socrate, questi, messi di fronte alle proprie contraddizioni (l'aporia socratica) e inadeguatezze, provarono stupore e smarrimento, apparendo per quello che erano: dei presuntuosi ignoranti che non sapevano di essere tali. «Allora capii», dice Socrate, «che veramente io ero il più sapiente perché ero l'unico a sapere di non sapere, a sapere di essere ignorante. In seguito quegli uomini, che erano coloro che governavano la città, messi di fronte alla loro pochezza presero a odiare Socrate».

« Ecco perché ancora oggi io vo d'intorno investigando e ricercando...se ci sia alcuno...che io possa ritenere sapiente; e poiché sembrami che non ci sia nessuno, io vengo così in aiuto al dio dimostrando che sapiente non esiste nessuno[30] »

Egli quindi "investigando e ricercando" conferma l'oracolo del dio, mostrando così l'insufficienza della classe politica dirigente. Da qui le accuse dei suoi avversari: egli avrebbe suscitato la contestazione giovanile insegnando con l'uso critico della ragione a rifiutare tutto ciò che si vuole imporre per la forza della tradizione o per una valenza religiosa. Socrate in realtà (sempre secondo la testimonianza di Platone) non intendeva affatto contestare la religione tradizionale, né corrompere i giovani incitandoli alla sovversione.

La scoperta dell'anima umana[modifica | modifica wikitesto]

Secondo l'interpretazione data da John Burnet (1863-1928), Alfred Edward Taylor (1869-1945), Werner Jaeger[31], anche se non condivisa da tutti,[32] Socrate fu di fatto il primo filosofo occidentale a porre in risalto il carattere personale dell'anima umana.[33]

È l'anima, infatti, a costituire la vera essenza dell'uomo. Sebbene la tradizione orfica e pitagorica avessero già identificato l'uomo con la sua anima, in Socrate questa parola risuona in forma del tutto nuova e si carica di significati antropologici ed etici:[34]

« Tu, ottimo uomo, poiché sei ateniese, cittadino della Polis più grande e più famosa per sapienza e potenza, non ti vergogni di occuparti delle ricchezze, per guadagnarne il più possibile, e della fama e dell'onore, e invece non ti occupi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità, e della tua anima, perché diventi il più possibile buona? »
(Apologia di Socrate, traduzione di Giovanni Reale, Rusconi, 1993)

Mentre gli Orfici e i Pitagorici consideravano l'anima ancora alla stregua di un demone divino, Socrate la fa coincidere con l'io, con la coscienza pensante di ognuno, di cui egli si propone come maestro e curatore.[35] Non sono i sensi a esaurire l'identità di un essere umano, come insegnavano i sofisti, l'uomo non è corpo ma anche ragione, conoscenza intellettiva, che occorre rivolgere a indagare la propria essenza.[36] Non solo Platone in diversi passi dei suoi dialoghi, ma anche la cosiddetta tradizione "indiretta" testimoniano come Socrate, al contrario dei sofisti, riconducesse la cura dell'anima alla conoscenza dell'intima natura umana nel senso su indicato.[37]

In proposito è stato rilevato:

« È da notare che troviamo questa concezione dell'anima, come sede dell'intelligenza normale e del carattere, diffusa nella letteratura della generazione immediatamente posteriore alla morte di Socrate; essa è comune a Isocrate, Platone, Senofonte; non può quindi essere la scoperta di nessuno di loro. Ma è del tutto o quasi assente dalla letteratura delle epoche precedenti. Deve perciò avere avuto origine con qualche contemporaneo di Socrate, ma non conosciamo nessun pensatore contemporaneo al quale essa possa essere attribuita all'infuori di Socrate, il quale nelle pagine sia di Platone sia di Senofonte la professa costantemente. »
(Taylor, Socrate, cit. in F. Sarri, Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, Milano 1997)

Giannantoni ha contestato questi esiti, in particolare la dottrina dell'anima andrebbe riportata esclusivamente al pensiero platonico secondo la cosiddetta interpretazione "evolutiva" della filosofia platonica, che però è piuttosto antiquata e messa già in crisi dal nuovo paradigma interpretativo della scuola di Tubinga,[38] cioè l’idea che nel suo lungo itinerario filosofico Platone avesse sviluppato e mutato, anche profondamente, il suo pensiero, passando gradatamente da una fase giovanile di preponderante impegno apologetico nei confronti di Socrate, di difesa della sua memoria e di riflessione appassionata sulla sua eredità filosofica, a una fase di progressivo distacco dal maestro (la fase della cosiddetta "crisi del socratismo"), fino alla conquista della sua piena maturità e originalità, caratterizzata dalla dottrina delle idee, dalla dottrina della natura e del destino dell’anima umana e dalla costruzione del suo grande edificio filosofico ed etico-politico».[39]

Occorrerebbe cioè constatare «...il riconoscimento nell’attività di Platone, di una fase letteraria giovanile, alla quale venivano fatti risalire quei dialoghi (Ippia minore, Liside, Carmide, Lachete, Protagora, Eutifrone, Apologia e Critone) nei quali manca ogni riferimento alla dottrina delle idee, qualsiasi indagine di filosofia della natura e di antropologia, non compare la dottrina dell’immortalità dell’anima e ci si limita a indagini morali, considerate tradizionalmente più proprie del Socrate storico»[40]

L'Apologia di Socrate resta comunque, secondo Reale, la testimonianza più attendibile in favore della tesi che vede Socrate come lo scopritore del concetto occidentale di anima:

« Per sostenere questa tesi basterebbe il documento della sola Apologia di Socrate. E che l'Apologia sia non una invenzione di Platone, ma un documento con precisi fondamenti storici è facilmente dimostrabile.[...] Il messaggio che nell'Apologia viene presentato come specifico messaggio filosofico di Socrate è, appunto, quello del nuovo concetto di anima con la connessa esortazione alla «cura dell'anima». »
(G. Reale, introduzione a Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, Milano 1997, p. XVI.)

Il Dáimon (Δαίμων) socratico[modifica | modifica wikitesto]

Socrate affermava di credere, oltre agli dèi riconosciuti dalla polis, anche in una particolare divinità minore, appartenente alla mitologia tradizionale, che egli indicava con il nome di dáimōn. Il dáimon per Socrate non aveva il significato anche negativo che altri autori greci classici evidenzieranno[41] ma era un essere divino inferiore agli dèi ma superiore agli uomini che possiamo intendere anche con il termine genio.[42] Socrate si diceva tormentato da questa voce interiore che si faceva sentire non tanto per indicargli come pensare e agire, ma piuttosto per dissuaderlo dal compiere una certa azione. Socrate stesso dice di esser continuamente spinto da questa entità a discutere, confrontarsi, e ricercare la verità morale (Kant avrebbe successivamente paragonato questo principio "divino" all'imperativo categorico, alla coscienza morale dell'uomo).

Conosci te stesso[modifica | modifica wikitesto]

Il tempio di Apollo a Delfi
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Conosci te stesso.

Il motto "ΓNΩΘΙ ΣEΑΥΤΟN" ("Γνῶθι σεαυτόν" - Gnòthi seautòn, «Conosci te stesso»), risalente alla tradizione religiosa di Delfi, voleva significare, nella sua laconica brevità, la caratteristica dell'antica sapienza greca: quella dei sette sapienti. Il significato originario, dedotto da alcune formule a noi pervenute (Nulla di troppo, Ottima è la misura, Non desiderare l'impossibile), era quello di voler ammonire a conoscere i propri limiti, «conosci chi sei e non presumere di essere di più»; era dunque una esortazione a non cadere negli eccessi, a non offendere la divinità pretendendo di essere come il dio.[43] Del resto tutta la tradizione antica mostra come l'ideale del saggio, colui che possiede la sophrosyne ("saggezza"), sia quello di conseguire la moderazione e di rifuggire il suo opposto: la tracotanza e la superbia (ὕβρις, Hýbris).

La maieutica[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Metodo socratico.

Il termine maieutica viene dal greco maieutiké (sottinteso: téchne). Letteralmente, sta per "l'arte della levatrice" (o "dell'ostetrica"), ma l'espressione designa il metodo socratico così come è esposto da Platone nel Teeteto. L'arte dialettica, cioè, viene paragonata da Socrate a quella della levatrice, il mestiere di sua madre: come quest'ultima, il filosofo di Atene intendeva "tirar fuori" all'allievo pensieri assolutamente personali, al contrario di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri con la retorica e l'arte della parola come facevano i sofisti. Parte integrante di questo metodo è il ricorso a battute brevi (brachilogia) in opposizione ai lunghi discorsi (macrologia) del metodo retorico dei sofisti.

Nel Teeteto platonico Socrate afferma:

« La mia arte di maieutico in tutto è simile a quella delle levatrici, ma ne differisce in questo, che essa aiuta a far partorire uomini e non donne e provvede alle anime generanti e non ai corpi. Non solo, ma il significato più grande di questa mia arte è ch'io riesco, mediante di essa, a discernere, con la maggior sicurezza, se la mente del giovane partorisce fantasticheria e menzogna, oppure cosa vitale e vera. E proprio questo io ho in comune colle levatrici: anche io sono sterile, sterile in sapienza; e il rimprovero che già molti mi hanno fatto che io interrogo gli altri, ma non manifesto mai, su nulla, il mio pensiero, è verissimo rimprovero. Io stesso, dunque, non sono affatto sapiente né si è generata in me alcuna scoperta che sia frutto dell'anima mia. Quelli, invece, che entrano in relazione con me, anche se da principio alcuni d'essi si rivelano assolutamente ignoranti, tutti, poi, seguitando a vivere in intima relazione con me, purché il dio lo permetta loro, meravigliosamente progrediscono, com'essi stessi e gli altri ritengono. Ed è chiaro che da me non hanno mai appreso nulla, ma che essi, da sé, molte e belle cose hanno trovato e generato. »
(Platone, Teeteto, 151d)

Differenze con i sofisti[modifica | modifica wikitesto]

Socrate, a differenza dei sofisti, mirava a convincere l'interlocutore non ricorrendo ad argomenti retorici e suggestivi, ma sulla base di argomenti razionali. Socrate si presenta così come una persona anticonformista, che in opposizione alle convinzioni della folla rifugge il consenso e l'omologazione: garanzia di verità è per lui non la condivisione irriflessa, ma la ragione che porta alla reciproca persuasione. A differenza dei sofisti, che professavano la loro arte a scopo di lucro, Socrate che per questo li definì «prostituti della cultura» [44], filosofava per semplice amore del sapere.

Si è detto inoltre come egli non lasciò niente di scritto della sua filosofia perché pensava che la parola scritta fosse come il bronzo che percosso dà sempre lo stesso suono. Lo scritto non risponde alle domande e alle obiezioni dell'interlocutore, ma interrogato dà sempre la stessa risposta. Per questo i dialoghi socratici appaiono spesso "inconcludenti", nel senso non che girano a vuoto, ma piuttosto che non chiudono la discussione, perché la conclusione rimane sempre aperta, pronta a essere rimessa nuovamente in discussione.[45]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Comunicazione filosofica.

Come è stato evidenziato tuttavia, la filosofia stessa di Socrate segna il passaggio da un tipo di cultura orale, basata sulla tradizione mimetico-poetica, a una mentalità di tipo concettuale-dialettico, preludio di un'alfabetizzazione maggiormente diffusa. Socrate è ancora l'ultimo rappresentante della cultura orale, ma in lui già si avvertirebbe l'esigenza di un sapere astratto e definitivo, da esprimere in forma scritta, esigenza che sarà fatta propria da Platone che d'altra parte conserverà nello scritto filosofico la forma dialogica che svanirà nelle opere della vecchiaia dove il dialogo sarà semplicemente quello dell'anima con se stessa. Lo stesso Platone d'altronde affermava che la sua filosofia va ricercata altrove rispetto ai suoi scritti.[46]

Il fatto che Socrate preferisse il discorso orale a quello scritto è il motivo per cui egli era stato confuso con i sofisti. Secondo Platone è questa una delle colpe di Socrate: lui che era vero sapiente si dichiarava ignorante e i sofisti, veri ignoranti, facevano professione di sapienza. In questo modo il maestro contribuiva a confondere il vero ruolo della filosofia ed egli stesso al processo, pur avendo rifiutato l'aiuto di un celebre "avvocato" sofista, per l'abitudine di dialogare con chiunque in strada e nei più diversi luoghi, era stato ritenuto dagli ateniesi un sofista.

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Dialettica eristica.

Maestro della paideia[modifica | modifica wikitesto]

È pur vero che Socrate come i sofisti metteva in discussione un certo modo di intendere l'ideale educativo della paideia, ma con intenti del tutto opposti: i sofisti con lo scopo di dissolverlo, Socrate invece con lo scopo di tutelarlo.

La paideia esaltava lo spirito di cittadinanza e di appartenenza costituendolo come elemento fondamentale alla base dell'ordinamento politico-giuridico delle città greche. L'identità dell'individuo era pressoché inglobata da quell'insieme di norme e valori che costituivano l'identità del popolo stesso: per questo più che un procedimento educativo o di socializzazione potrebbe essere definito come processo di uniformazione all'ethos politico.

La dottrina dei sofisti si poneva contro questa omologazione della paideia, da essi giudicata "conservatrice" e prevaricatrice; essi miravano perciò a contestarne la verità, tramite l'arte della retorica e a far apparire vero ciò che a loro conveniva, prevalendo con la parola sull'altro e ad annullare qualsiasi valore di verità e giustizia sostituendovi il proprio egoistico interesse. Socrate invece voleva piuttosto verificare e smascherare se sotto quell'ideale educativo non vi fosse quello di addormentare le coscienze critiche a scopi di potere personale.

Ed è così che la scoperta socratica dell'anima umana assume toni decisamente educativi e morali.[47] Secondo Platone, infatti, Socrate è l'unico che intende correttamente il senso della politica, come capacità di rendere migliori i cittadini.[48] Socrate li esorta a occuparsi, più che delle cose della città, della città stessa.[49] In lui c'è pertanto uno stretto legame tra filosofia e politica, che in Platone diventerà esplicito, ma in Socrate già affiora come esigenza di anteporre sempre il bene della città e il rispetto delle leggi agli egoismi dei singoli.[50]

« Questo, vedete, è il comandamento che mi viene da Dio. E sono convinto che la mia patria debba annoverare fra i benefici più grandi questa mia dedizione al volere divino. Tutta la mia attività, lo sapete, è questa: vado in giro cercando di persuadere giovani e vecchi a non pensare al fisico, al denaro con tanto appassionato interesse. Oh! pensate piuttosto all'anima: cercate che l'anima possa divenir buona, perfetta. »
(Apologia di Socrate, 29 d - 30 b, trad. di E. Turolla, Milano-Roma 1953)

Brachilogia e ironia[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Brachilogia e Ironia socratica.

D'altra parte è vero che anche lui esaltava la parola, ma, al contrario dei sofisti che usavano il monologo e che praticamente parlavano da soli, il suo discorrere era un dià logos, una parola che attraversava i due interlocutori. Mentre i sofisti infatti miravano ad abbindolare l'interlocutore usando il macròs logos, il grande e lungo discorso che non dava spazio alle obiezioni, Socrate invece dialogava con brevi domande e risposte - la cosiddetta brachilogia (letteralmente "breve dialogare") socratica - proprio per dare la possibilità di intervenire e obiettare a un interlocutore che egli rispettava per le sue opinioni.

Un'altra caratteristica del dialogo socratico, che lo distingueva dal discorso torrentizio dei sofisti, era il continuo domandare di Socrate su quello che stava affermando l'interlocutore; sembrava quasi che egli andasse alla ricerca di una precisa definizione dell'oggetto del dialogo. «Ti estì» ,"che cos'è" [quello di cui parli]?

A tali interrogativi, per esempio alla domanda «che cos'è la viltà?», l'interlocutore rispondeva sempre con un elenco di casi vili: vile è chi danneggia gli altri, chi si comporta in modo disonorevole ... Socrate, tuttavia, non si accontentava di questo sterile catalogo, bensì ricercava la definizione della viltà in se stessa e non una serie di meri esempi.

È questa l'ironia di Socrate che, per non demotivare l'interlocutore e per fare in modo che egli senza imposizioni si convinca, finge di non sapere quale sarà la conclusione del dialogo, accetta le tesi dell'interlocutore e le prende in considerazione, portandola poi ai limiti dell'assurdo in modo che l'interlocutore stesso si renda conto che la propria tesi non è corretta. Chi dialoga con Socrate tenterà varie volte di dare una risposta precisa ma alla fine si arrenderà e sarà costretto a confessare la sua ignoranza. Proprio questo sin da principio sapeva e voleva Socrate: la sua non era fastidiosa pedanteria[51] ma il voler dimostrare che la presunta sapienza dell'interlocutore fosse in realtà ignoranza. Come scrive infatti Senofonte:

« Egli discorreva sempre di cose umane esaminando che cosa è santità, che cosa empietà, che cosa ingiustizia, che cosa saggezza, che cosa pazzia, che cosa coraggio, che cosa viltà, che cosa Stato, che cosa politica, che cosa governo, che cosa uomo di governo, e simili cose »
(Memorabili, I, 1, 11-16)

Le accuse politiche[modifica | modifica wikitesto]

« […] questo ha sotto scritto e giurato Meleto di Meleto, Pitteo, contro Socrate di Sofronisco, Alopecense. Socrate è colpevole di non riconoscere come Dei quelli tradizionali della città, ma di introdurre Divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani. Pena: la morte »
(lettera d'accusa contro Socrate presentata da Meleto in Diogene Laerzio, Vita e dottrine dei filosofi, II, 5, 40.)

Il continuo dialogare di Socrate, attorniato da giovani affascinati dalla sua dottrina e da importanti personaggi, nelle strade e piazze della città fece sì che egli venisse scambiato per un sofista dedito ad attaccare imprudentemente e direttamente i politici. Il filosofo, infatti, dialogando con loro dimostrò come la loro vantata sapienza in realtà non esistesse. Socrate venne quindi ritenuto un pericoloso nemico politico che contestava i tradizionali valori cittadini.

Per questo Socrate, che aveva attraversato indenne i regimi politici precedenti, che era rimasto sempre ad Atene e che non aveva mai accettato incarichi politici, fu accusato e messo sotto processo, dal quale poi sarebbe derivata la sua condanna a morte.

Causa materiale del processo furono due esponenti di rilievo del regime democratico, Anito e Licone, i quali, servendosi di un prestanome, Meleto, un giovane ambizioso, fallito letterato, accusarono il filosofo di:

  • corrompere i giovani insegnando dottrine che propugnavano il disordine sociale;
  • non credere negli dei della città e tentare di introdurne di nuovi.

L'accusa di "ateismo", che rientrava in quella di "empietà" (ἀσέβεια - asebia), condannato da un decreto di Diopeithes all'incirca nel 430 a.C., fu evidentemente un pretesto giuridico per un processo politico, poiché l'ateismo era sì ufficialmente riprovato e condannato ma tollerato e ignorato se affermato privatamente[52] Poiché la religione e la cittadinanza erano ritenute un tutt'uno, accusando Socrate di ateismo lo si incolpò di avere cospirato contro le istituzioni e l'ordine pubblico. D'altra parte Socrate non aveva mai negato l'esistenza degli dei della città ed eluse facilmente l'accusa sostenendo di credere in un dáimon, creatura minore figlia delle divinità tradizionali.

Lisia si offrì di difendere Socrate, ma egli rifiutò probabilmente perché non voleva confondersi con i sofisti e preferì difendersi da solo. Descritto da Platone nella celebre Apologia di Socrate, il processo evidenziò due elementi:

  • che da chi non lo conosce, Socrate è stato confuso con i sofisti considerati corruttori morali dei giovani e
  • che egli era odiato dai politici.

Riguardo all'accusa di corrompere i giovani essa va spiegata col fatto che Socrate era stato maestro di Crizia e di Alcibiade, due personaggi che nell'Atene della restaurazione democratica godevano di pessima fama. Crizia era stato il capo dei Trenta tiranni e Alcibiade, per sfuggire al processo che gli era stato intentato, aveva tradito Atene ed era passato a Sparta, combattendo contro la propria patria. Furono tali rapporti di educatore che ebbe con questi due personaggi a porre le basi dell'accusa di corrompere i giovani.[53]

Oggi la critica più attenta ha dimostrato che il processo e la morte di Socrate non furono un avvenimento incomprensibile rivolto contro un uomo, apparentemente trascurabile e non pericoloso per il regime democratico, che voleva ricostruire un'unità politica e spirituale all'interno della città. Uno studioso inglese scrive infatti che fu principalmente ...

« [...] la diffidenza suscitata dai rapporti di Socrate con i "traditori" che spinse i capi della restaurata democrazia a sottoporlo a processo nel 400-399. Alcibiade e Crizia erano morti entrambi, ma i democratici non si sentivano al sicuro finché l'uomo che s'immaginava avesse ispirato i loro tradimenti esercitava ancora influenza sulla vita pubblica. [54] »

Il processo[modifica | modifica wikitesto]

Il processo si tenne nel 399 a.C. innanzi a una giuria di 501 cittadini di Atene, e – com'era da aspettarsi per una figura come quella di Socrate - fu atipico: egli si difese contestando le basi del processo, anziché lanciarsi in una lunga e pregevole difesa o portando in tribunale la sua famiglia per impietosire i giudici, come di solito si faceva. Fu riconosciuto colpevole[55] per uno stretto margine di voti - appena trenta[56]. Dopodiché, come previsto dalle leggi dell'Agorà, sia Socrate sia Meleto dovettero proporre una pena per i reati di cui l'imputato era stato accusato. Socrate sfidò i giudici proponendo loro di essere mantenuto a spese della collettività nel Pritaneo, poiché riteneva che anche a lui dovesse essere riconosciuto l'onore dei benefattori della città, avendo insegnato ai giovani la scienza del bene e del male. Poi consentì di farsi multare - seppur di una somma ridicola (una mina d'argento dapprima, cioè tutto quello che egli possedeva; trenta mine poi, sotto pressione dei suoi seguaci, che si fecero garanti per lui). Meleto chiese invece la morte.

Furono messe ai voti le proposte: con ampia maggioranza - 360 voti a favore contro 140 contrari[57] - gli ateniesi, più per l'impossibilità di punire Socrate, multandolo di una somma così ridicola, che per effettiva volontà di condannarlo a morte, accolsero la proposta di Meleto e lo condannarono a morire mediante l'assunzione di cicuta. Era pratica diffusa autoesiliarsi dalla città pur di sfuggire alla sentenza di morte, ed era probabilmente su questo che contavano gli stessi accusatori. Socrate dunque intenzionalmente irritò i giudici, che non erano in realtà mal disposti verso di lui. Ma perché lo fece? Socrate in effetti aveva già deciso di non andare in esilio, in quanto anche fuori di Atene avrebbe persistito nella sua attività: dialogare con i giovani e mettere in discussione tutto quello che si vuol far credere verità certa. «Perciò, - sostenne Socrate, - mi ritroverò a rivivere la stessa situazione che mi ha portato alla condanna: qualcuno dei parenti dei miei giovani discepoli si irriterà della mia ricerca della verità e mi accuserà». Del resto egli non temeva la morte, che nessuno sa se sia o no un male, ma la preferiva all'esilio, questo sì un male sicuro.[58]

Accettazione della condanna[modifica | modifica wikitesto]

Come racconta Platone nel dialogo del Critone, Socrate, pur sapendo di essere stato condannato ingiustamente, una volta in carcere rifiutò le proposte di fuga dei suoi discepoli, che avevano organizzato la sua evasione corrompendo i carcerieri. Ma Socrate non sfuggirà alla sua condanna poiché «è meglio subire ingiustizia piuttosto che farla», egli accetterà la morte che d'altra parte non è un male perché o è un sonno senza sogni, oppure darà la possibilità di visitare un mondo migliore dove, dice Socrate, s'incontreranno interlocutori migliori con cui dialogare. Quindi egli continuerà persino nel mondo dell'aldilà a professare quel principio a cui si è attenuto in tutta la sua vita: il dialogo.

Si pone a questo punto uno dei temi più dibattuti della questione socratica: il rapporto tra Socrate e le leggi: perché Socrate accetta l'ingiusta condanna?

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Pensiero di Socrate (interpretazioni) § Socrate e la legge e Pensiero_di_Socrate_(interpretazioni) § Socrate_e_la_legge_2.

La morte di Socrate[modifica | modifica wikitesto]

« È giunto ormai il tempo di andare, o giudici, io per morire, voi per continuare a vivere. Chi di noi vada verso una sorte migliore, è oscuro a tutti, tranne che al Dio. »
(Platone, Apologia di Socrate)

La morte di Socrate[59] ci viene dettagliatamente descritta da Platone, che tuttavia non era presente alla fine del maestro, nel dialogo del Fedone. Socrate trascorre serenamente, secondo le sue abitudini, la sua ultima giornata in compagnia dei suoi amici e discepoli, dialogando di filosofia come aveva sempre fatto, e in particolare affrontando il problema dell'immortalità dell'anima e del destino dell'uomo nell'aldilà.

Quindi Socrate si reca in una stanza a lavarsi per evitare alle donne il fastidio di accudire al suo cadavere.[60] Tornato nella cella, dopo aver salutato i suoi tre figlioli (Sofronisco, dal nome del nonno, Lamprocle e il piccolo Menesseno) e le donne di casa, li invita ad andarsene. Scende il silenzio nella prigione sino a quando giunge il messo degli Undici ad annunciare a quel singolare prigioniero, così diverso dagli altri, come egli dice, per la sua gentilezza, mitezza e bontà, che è giunto il tempo di morire. L'amico Critone vorrebbe che il maestro, come hanno sempre fatto gli altri condannati a morte, rimandasse ancora l'ultima ora poiché non è ancora il tramonto, il tempo stabilito dalla condanna, ma Socrate:

Socrate decide di bere la cicuta in un fumetto novecentesco.
« È naturale che costoro facciano così perché credono d'aver qualcosa da guadagnare...[io] credo di non aver altro da guadagnare, bevendo un poco più tardi [il veleno], se non di rendermi ridicolo a' miei stessi occhi, attaccandomi alla vita e facendone risparmio quando non c'è più niente da risparmiare...[61] »

Giunto il carceriere incaricato della somministrazione della cicuta[62] Socrate si rivolge a lui, poiché in questo "dialogo" è lui il più "sapiente", chiedendogli che cosa si deve fare e se si può libare a un qualche dio. Il boia risponde che basta bere il veleno che è della giusta quantità per morire e non è quindi possibile usarne una parte per onorare gli dei. Socrate allora dice che si limiterà a pregare la divinità perché gli assicuri un felice trapasso e, così detto, beve la pozione. Gli amici a questo punto si abbandonano alla disperazione ma Socrate li rimprovera facendo, lui che sta morendo, a loro coraggio:

« Che stranezza è mai questa, o amici, Non per altra ragione io feci allontanare le donne perché non commettessero di tali discordanze. E ho anche sentito dire che con parole di lieto augurio bisogna morire. Orsù dunque state quieti e siate forti[63] »

Il paralizzarsi e il raffreddarsi delle membra, divenute insensibili, dai piedi verso il torace, segnala il progressivo avanzare del veleno:[64]

« E ormai intorno al basso ventre era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì - perché s'era coperto - e disse, e fu l'ultima volta che udimmo la sua voce: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!»[65] »

Il gallo ad Asclepio[modifica | modifica wikitesto]

«Un sonno senza sogni» (Platone, Apologia di Socrate)

Queste ultime parole di Socrate morente hanno dato luogo a varie interpretazioni da parte degli studiosi: quella più semplice e diffusa è che egli, che non vuole lasciare debiti irrisolti né con gli uomini né con gli dei, prega Critone di ringraziare per suo conto il dio Asclepio (l'Esculapio per i romani) per avergli reso la morte indolore.[66]

Altri ritengono, come Friedrich Nietzsche, che Socrate ringrazi il dio della medicina per averlo guarito dalla malattia del vivere:

« Queste ridicole e terribili "ultime parole" significano per chi ha orecchie: «O Critone, la vita è una malattia!»[67] »

Coerente con questa interpretazione è lo stesso mito di Asclepio, che narra come questi avesse guarito un morto resuscitandolo, attirandosi per l'atto sacrilego l'ira di Zeus che lo fulminò riducendolo in cenere.[68].

Interpreti moderni, rifacendosi allo stesso racconto della morte di Socrate, avanzano l'ipotesi che con queste parole egli voglia ingraziarsi il dio perché guarisca il suo discepolo Platone che all'inizio del dialogo è descritto come ammalato[69]; altri ancora che Socrate preghi il dio che lo risani dal disonore subìto per la condanna come corruttore e empio da parte degli ateniesi. In vero però Socrate non dice "devo" ma "dobbiamo", riferendosi quindi a più persone, un gallo ad Asclepio[70]. Del plurale dobbiamo fornisce un'interpretazione, ripresa anche da Michel Foucault (1926-1984), Georges Dumézil (18981986)[71] secondo il quale Critone e Socrate stesso devono il gallo ad Asclepio perché, grazie a un provvidenziale sogno, sono guariti da un delirio delle loro menti quello che suggeriva, soprattutto a Critone, di far fuggire Socrate dal carcere sottraendosi alle Leggi.

Alcuni autori, mettendo da parte ogni sottigliezza ermeneutica, sostengono che le ultime parole di Socrate non siano altro che il delirio senza senso a causa del veleno di un moribondo[72]

Franz Cumont sostiene che non sia casuale il riferimento di Socrate al gallo, in quanto questo animale, sacro ad Asclepio, nel mito greco, aveva il potere di scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni anche oltre la morte.[73]

Infine altri autori ritengono che Socrate voglia ringraziare il dio per l'ultima giornata trascorsa, come quelle di tutta la sua vita, in rasserenanti ragionamenti filosofici.[74]

Discepoli[modifica | modifica wikitesto]

Platone e Aristotele (particolare de La Scuola di Atene, di Raffaello).

Fra i discepoli di Socrate più importanti vi fu Platone, che fu a sua volta maestro di Aristotele che formerà con i primi due quel trio composto dai pensatori tra i più influenti della storia della filosofia occidentale. Anche se non rinomato come Platone, tra gli allievi di Socrate vi fu Antistene, che fu maestro di Diogene di Sinope e che riprese il tema del dubbio socratico facendone il fulcro della corrente dei cinici, dalla quale nacque, con Zenone di Cizio, lo stoicismo che annoverava tra i suoi membri Cicerone, Seneca e Marco Aurelio. Anche Aristippo, allievo di Socrate, sviluppò la concezione socratica dell'eudemonia che venne rielaborata e sviluppata ulteriormente da Epicuro e dalla sua scuola degli epicurei.

La "questione socratica"[modifica | modifica wikitesto]

Di Socrate, Kierkegaard, sosteneva che l'unica cosa certa era che fosse esistito[75] mentre altri studiosi, poiché Socrate non lasciò alcuna testimonianza scritta, dubitarono della sua effettiva esistenza.[76][77]

Come per la cosiddetta "questione omerica" è stata posta così una "questione socratica", riferita non solo al suo pensiero ma anche alle notizie della sua vita, su cui si sono cimentati diversi autori: Olof Gigon,[78]; H. Maier[79], Francesco Adorno[80], J. Brun[81], Gregory Vlastos[82], Jan Patočka[83], Giovanni Reale[84]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Socrate su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 15 marzo 2011.
  2. ^ Ubaldo Nicola, Antologia di filosofia. Atlante illustrato del pensiero, Giunti Editore, 2002, p.465
  3. ^ «Finché vivranno uomini sulla terra, la memoria di quel processo non verrà meno. Mai cesserà di essere oggetto di viva deplorazione la condanna del primo martire per la causa della libertà di pensiero e di investigazione.» (Theodor Gomperz, Pensatori greci, vol.II, ed. La Nuova Italia, Firenze, 1950, p.514)
  4. ^ E. Rodocanachi, La Réforme in Italie, I, Paris 1920 pagg.34,35
  5. ^ Gabriele Giannantoni, intervento contenuto in Le radici del pensiero filosofico VI puntata: Socrate (Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche). Sempre Gabriele Giannantoni, nell'opera monumentale Socratis et Socraticorum reliquiae (Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit. Napoli, Bibliopolis, 1990, 4 voll.) ha raccolto le notizie e le fonti sulla figura storica di Socrate, incluso materiale attribuito a Eschine Socratico, Antistene e altri suoi contemporanei che lo avrebbero direttamente conosciuto.
  6. ^ Secondo Vlastos i dialoghi platonici sono comunque una fonte attendibile, perché tendono a riflettere l'immagine del vero Socrate. Giovanni Reale poi spiega in Socrate (v. bibliografia) i motivi per cui l'Apologia di Socrate sia da considerare un testo fedele e attendibile. Giovanni Reale in varie opere ha offerto un'interpretazione di Socrate basata sul raffronto tra la filosofia greca prima e dopo Socrate: da tale confronto risulta così evidente, l'importanza attribuita da Socrate all'anima umana, l'attenzione rivolta ora alla dimensione interiore della persona, mentre prima era rivolta esclusivamente allo studio della natura e a stabilire i principi primi del cosmo (arché).
  7. ^ Diogene Laerzio racconta che Socrate avesse sbarrato la strada a Senofonte incontrato in un vicolo per domandargli come si potesse divenire virtuosi e al silenzio di Senofonte lo invitò a seguirlo. Lo stesso Diogene Laerzio e Strabone in un aneddoto, risultato falso, raccontano che Senofonte avrebbe salvato la vita a Socrate nella battaglia di Delio del 424 a.C. (Cfr. Arnaldo Momigliano, Enciclopedia Italiana (1936) alla voce "Senofonte")
  8. ^ «Ci rappresentano il filosofo rimpicciolito e immeschinito, per dir così, a immagine e somiglianza di Senofonte.» (In Enciclopedia Treccani alla voce "Senofonte"
  9. ^ Anna Santoni, Introduzione a: Senofonte, Memorabili, a cura di A. Santoni, Milano 1997
  10. ^ Enciclopedia Treccani in Dizionario di filosofia (2009) alla voce "Senofonte"
  11. ^ Da qui deriva l'interpretazione di Nietzsche che concepisce Socrate in senso aristotelico come l'iniziatore dello spirito apollineo, del pensiero logico-razionale.
  12. ^ Monique Canto-Sperber
  13. ^ Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, vol. 1, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 55, ove si dice: «Duride scrive che egli fu servo e lavorò in opere di pietra; alcuni dicono che egli scolpì le Cariti, vestite, che sono sull'Acropoli».
  14. ^ Così anche Pausania I, 22,8 e IX, 35, 7. Ma Plinio, Historia naturalis, XXXVI, 32 precisa che tale Socrate non va confuso con Socrate il pittore («Non postferuntur et Charites in propylo Atheniensium, quas Socrates fecit, alius ille quam pictor, idem ut aliquim putant»). Qui Salvatore Rizzo (in Pausania Viaggio in Grecia I, nota 13, p.412, Milano, Rizzoli) e Giovanni Reale (nota 76, p. 1331 in Diogene Laerzio Vite e dottrine dei più celebri filosofi Milano, Bompiani) leggono come una precisazione volta a non confondere il Socrate filosofo, dall'autore dell'opera che invece sarebbe lo scultore Socrate il tebano (cit. in Pausania IX, 25,3). Diversamente Gian Biagio Conte (in Plinio, Storia naturale, vol.V, p. 573, Torino, Einaudi) critica tale lettura "moderna" considerando plausibile che il Socrate filosofo sia l'autore dell'opera.
  15. ^ John Burnet, Interpretazione di Socrate, Vita e Pensiero, 1994 p.46
  16. ^ Platone, Eutidemo, 297 E
  17. ^ «Socrate – Oh, mio piacevole amico! e tu non hai sentito dire che io sono figliuolo d’una molto brava e vigorosa levatrice, di Fenàrete? Teeteto – Questo sì, l’ho sentito dire. Socrate – E che io esercito la stessa arte l’hai sentito dire? Teeteto – No, mai! Socrate – Sappi dunque che è così. Tu però non andarlo a dire agli altri. Non lo sanno, caro amico, che io possiedo quest’arte;» (Platone, Teeteto, 149 a-151 d.) Il mestiere che Socrate afferma di avere ereditato dalla madre è naturalmente non quello di far nascere neonati ma l'arte della maieutica.
  18. ^ L'oplita era un fante dotato di un'armatura pesante e costosa; per questo gli opliti erano i cittadini più facoltosi delle poleis greche.
  19. ^ Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani, Atlante della filosofia: gli autori e le scuole, le parole, le opere, Hoepli Editore, 2006 p.405
  20. ^ Platone, Apologia di Socrate, trad. di M. Valgimigli, 32c, in Id., Opere, vol. 1, Laterza, Bari 1966, p. 54, ove si dice: «Quando poi ci fu l'oligarchia, ecco che un giorno i Trenta mi mandarono a chiamare con altri quattro, ci fecero venire nella sala del Tolo, e ci ordinarono di condurre via da Salamina Leonte di Salamina affinché morisse». Cfr. anche Andocide (I, 94), Lisia (XII, 52; XIII, 44) e Senofonte (Elleniche, II, 3, 39; Memorabili, IV, 4, 3).
  21. ^ Platone, Lettera VII, trad. di A. Maddalena, 324d-325a, in Id., Opere, vol. 2, Laterza, Bari 1966, p. 1059, ove si dice: «Tra costoro [: i Trenta Tiranni] erano alcuni miei familiari e conoscenti, che sùbito mi invitarono a prender parte alla vita pubblica, come ad attività degna di me. Io credevo veramente (e non c'è niente di strano, giovane come ero) che avrebbero purificata la città dall'ingiustizia traendola a un viver giusto, e perciò stavo ad osservare attentamente che cosa avrebbero fatto. M'accorsi così che in poco tempo fecero apparire oro il governo precedente: tra l'altro, un giorno mandarono, insieme con alcuni altri, Socrate, un mio amico più vecchio di me, un uomo ch'io non esito a dire il più giusto del suo tempo, ad arrestare un cittadino [: Leone di Salamina] per farlo morire, cercando in questo modo di farlo loro complice, volesse o no; ma egli non obbedì, preferendo correre qualunque rischio che farsi complice di empi misfatti». Cfr. anche Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, vol. 1, II, 24, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 56, ove è detto: «[Socrate] non cedette a Crizia e ai suoi amici quando ordinarono che Leonte di Salamina, uomo ricco, fosse condotto dinanzi a loro per essere mandato a morte»; Platone, Apologia di Socrate, trad. di M.M. Sassi, 32c-32e, in Id., Apologia di Socrate-Critone [1993], Rizzoli, Milano 2009, p. 149, ove si dice: «Anche allora [: quando i Trenta ordinarono l'arresto di Leone] [...] ho dimostrato che della morte non mi importa [...] un bel niente: sopra ogni altra cosa, invece, m'importa di non compiere azioni ingiuste o empie. Quel governo perciò, potente com'era, non mi ha spaventato al punto da farmi commettere un'ingiustizia; e usciti dalla Rotonda [: il Tolo (dal gr. Θόλος)], mentre gli altri quattro se ne andavano a Salamina a prendere Leone, io me ne sono tornato a casa. Ne sarei forse morto, se il governo non fosse stato rovesciato di lì a poco. E l'episodio vi potrà essere confermato da più d'un testimone».
  22. ^ Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, op. cit. , pp. 54-55.
  23. ^ Alessandro Ravera, Francesco Adorno, Socrate, a cura di Armando Massarenti, Gabriele Giannantoni (per la sezione "I testi"), serie "I Grandi Filosofi", Il Sole 24 ORE, 2006, p. 49.
  24. ^ Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, vol. 1, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 61, ove si dice: «Ad Alcibiade che gli diceva che il minaccioso brontolio di Santippe era insopportabile, replicò: ‘Ma io mi ci sono abituato, come se udissi il rumore incessante di un argano’. [...] [Socrate] diceva che con una donna di carattere aspro bisogna comportarsi come i cavalieri con i cavalli focosi: ‘Come quelli dopo aver domato i cavalli furiosi la spuntano facilmente sugli altri, così anch'io abituato a convivere con Santippe mi troverò a mio agio con tutti gli altri uomini’».
  25. ^
    « A quanto sembra, disse Erissimaco, è proprio una fortuna per tutti - per me, per Aristodemo, per Fedro, per tutti quanti - che voi, i migliori bevitori, dobbiate adesso rinunciare, perché noi non ce la faremmo a starvi dietro. Farei un'eccezione per Socrate: è tanto bravo a bere che a non bere, per lui andrà sempre bene, qualunque cosa decidiamo...

    ...Con Socrate, amici miei, non c'è niente da fare: quanto vorrà bere berrà, e non ci sarà verso di farlo ubriacare.

    [...] sapeva approfittarne meglio degli altri, in particolare per bere; non che ci fosse portato, ma se lo si forzava un po', lui poi superava tutti e - cosa assai strana - nessuno ha mai visto Socrate ubriaco (in Il Giardino dei Pensieri Platone, Simposio). »

  26. ^ Pericle fece della Lega delio-attica un impero comandato da Atene. Il Partenone sostituì il più antico tempio di Atena Poliàs che era stato distrutto dai Persiani nel 480 a.C.. Questo progetto voleva non solo abbellire la città ma esibere la sua gloria. (in L. de Blois, Un'introduzione al mondo antico, p. 99)
  27. ^ Vale qui avvertire di non confondere la democrazia greca antica con quella moderna: sl regime democratico non voleva dire il "governo del popolo" ma semplicemente espressione di quel partito che si opponeva a quello aristocratico; si potevano quindi trovare rappresentanti della classe nobiliare come di quella borghese indifferentemente nell'uno o nell'altro dei due partiti.
  28. ^ U. Nicola, G. Reale, E. Riva, E. Severino, G. Vlastos, P. Hadot e altri.
  29. ^ Apologia, 20-55.
  30. ^ Platone, Apologia di Socrate a cura di M.Valgimigli, in Opere pag.45
  31. ^ Werner Jaeger. Paideia II,60 e segg.
  32. ^ Recensendo la monografia d Taylor a proposito di Socrate come scopritore dell’idea occidentale di anima, lo storico della filosofia Guido Calogero scrive: «L’audacia di questa ricostruzione, che non si basa su alcuna testimonianza positiva, ma solo sulla mancanza di strumenti di transizione tra gli antichi concetti naturalistici dell’anima e la concezione etica che ne presuppone il platonismo è anche più forte di quella che conduce ad ascrivere a Socrate la teoria platonica delle idee.» (cfr.G. Calogero in Giornale critico della filosofia italiana 2, 1934, pp.223-227
  33. ^ «Socrate, per quanto si sappia, creò la concezione dell'anima che da allora ha sempre dominato il pensiero europeo» (A. E. Taylor, Socrate, Firenze 1952, pag. 98).
  34. ^ «Labbro greco non aveva mai, prima di lui, pronunziato così questa parola. Si ha il sentore di qualcosa che ci è noto per altra via: e il vero è che, qui per la prima volta nel mondo della civiltà occidentale, ci si presenta quello che ancora oggi talvolta chiamiamo con la stessa parola [...] La parola "anima", per noi, in grazia delle correnti per cui è passata la storia, suona sempre con un accento etico o religioso; come altre parole; "servizio di Dio" e "cura di anime", essa suona cristiana. Ma questo alto significato, essa lo ha preso nella predicazione protrettica di Socrate» (W. Jaeger, Paideia. La formazione dell'uomo greco, vol. II, Firenze 1967, pagg. 62-3).
  35. ^ Platone, Protagora, 313, e 2.
  36. ^ «Socrate: L'anima è quella che governa. Colui dunque che ci esorta a conoscere noi stessi ci invita ad acquistare conoscenza della nostra anima» (Platone, Alcibiade maggiore, 130 e, trad. di E. Turolla).
  37. ^ F. Sarri, Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, Milano 1997.
  38. ^ C. de Vogel, Ripensando Platone e il platonismo, Vita e Pensiero, 1990, T. Szlezak, Come leggere Platone, Rusconi, 1991.
  39. ^ G. Giannantoni, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone, Bibliopolis, Napoli 2005, ibidem
  40. ^ G. Giannantoni, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone, ed. Bibliopolis 2005, ibidem
  41. ^ Cfr. ad es. Senocrate in Senocrate-Ermodoro, Frammenti, a cura di M. Isnardi Parente, Napoli : Bibliopolis, 1982, ISBN 88-7088-052-4: frr 222-230; Plutarco Iside e Osiride, 25.
  42. ^ «Nelle antiche religioni politeista genio o spirito benefico o malefico...».(Voce corrispondente in Il nuovo Zingarelli ed. Zanichelli 1993)
  43. ^ G.Calogero, op.cit. in bibliografia.
  44. ^ Senofonte, Memorabili I.6.13.
  45. ^ Il motivo per cui Socrate non scrisse nulla si può anche vedere accennato nel Fedro platonico, nelle parole che il re egiziano Thamus rivolge a Theuth, inventore della scrittura: «Tu offri ai discenti l'apparenza, non la verità della sapienza; perché quand'essi, mercé tua, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimasti ignoranti e saranno insopportabili agli altri perché avranno non la sapienza, ma la presunzione della sapienza»
  46. ^ Platone, Lettera VII, 341 b.
  47. ^ F. Sarri, op. cit., pag. 63.
  48. ^ Platone, Gorgia, 521 d.
  49. ^ G. Cambiano, Storia della filosofia antica, Laterza, 2009.
  50. ^ «La virtù è abilità per quelli che se ne ritenevano maestri, per Socrate [...] è bene e sapienza; la vita associata, individualismo governato dall'egoismo per i preparatori alla carriera politica, per Socrate è struttura organica di leggi che chiedono obbedienza e rispetto» (B. Mondin, Storia della metafisica, vol. I, pag. 125, E.S.D., 1998).
  51. ^ Socrate stesso nel processo si definisce scherzosamente così: «Sono stato come un tafano, un insetto che punge un animale sonnacchioso», ma aggiunge: «Io sono stato l'insetto che vi ha tenuto svegli, se me ne vado, voi vi addormenterete e finirete nell'ottusità»
  52. ^ Enciclopedia Treccani alla voce "Asebia"
  53. ^ Le ricerche odierne oltretutto parrebbero dimostrare l'implicazione del filosofo in vicende che oggi si definirebbero di pedofilia (non però inconsuete e moralmente accettate per il tempo) che coinvolgerebbero i suddetti Crizia e Alcibiade e filosofi come Platone e addirittura il sofista Gorgia (Cfr. A. Veneziano e A. Sanson, "Socrate e Eros", Bologna, 2008).
  54. ^ E. Taylor, Socrate, Londra, 1951, trad. it. Firenze 1952
  55. ^ Luciano Canfora ricorda che «I cinquecento giudici che condannarono Socrate costituivano un significativo campione della cittadinanza ateniese. [...] I cinquecento cittadini tirati a sorte che lo giudicarono vedevano in lui un disturbante critico del sistema politico vigente e,insieme, un esempio negatore degli dèi e dunque delle basi etiche su cui poggiava la vita della comunità." - in Critica della retorica democratica, Roma-Bari, Laterza, 2002, p.3.
  56. ^ Nell' Apologia di Socrate, Platone parlerà di un risultato incerto: su 500 votanti, Socrate venne giudicato colpevole per soli 30 voti: 220 a favore, 280 contro; se 30 persone ancora fossero state persuase, si sarebbe risolto in un 250 a 250 e secondo la legge non vi sarebbe stata nessuna pena.
  57. ^ Secondo Diogene Laerzio II,42.
  58. ^ «Nessuno sa cosa sia la morte e se essa non sia il maggiore di tutti i beni; e invece gli uomini ne hanno paura, come se sapessero bene che essa è il più grande dei mali. (Platone, Apologia di Socrate, trad. di M. Valgimigli, Laterza, Roma-Bari 1960,cap. 17) - «Eh via, Ateniesi! che, sarebbe una gran bella vita la mia, a questa mia età, andarmene in esilio, e mutar sempre da paese a paese, scacciato da ogni parte!" (Platone, Apologia di Socrate, op.cit. , 37c-d. 22.)»
  59. ^ Per un'interpretazione sulla morte di Socrate si veda: M. M. Sassi, La morte di Socrate, in I Greci. Storia cultura arte società, a cura di S.Settis, 2. Una storia greca. II. Definizioni, Torino 1997 pp.1323-1338
  60. ^ Carlo Sini, I filosofi e le opere, vol.I, Principato, nota p.92
  61. ^ Platone, Fedone, a cura di M. Valgimigli, in Opere vol.I pp. 187-189
  62. ^ Scrivono di questo veleno composto dalla cicuta Persio, Giovenale e altri ma Senofonte, Platone, discepoli di Socrate, Cicerone, Valerio Massimo, Plutarco scrivono genericamente della morte di Socrate per veleno non citando la cicuta. Secondo Aulo Gellio invece Socrate fu avvelenato per un infuso di cicuta e altri veleni.(Antonio Targioni Tozzetti, Corso di botanica medico-farmaceutica e di materia medica, Firenze, per Vincenzo Batelli e compagni, 1847, p.461)
  63. ^ Op.cit. ibidem
  64. ^ Platone non evidenzia nella morte di Socrate tutti gli effetti che questo veleno normalmente ha come nausea, vomito, spasmi, volendo sottolineare probabilmente la separazione del corpo dall'anima come un avvenimento indolore oltreché benefico. (Cfr. C. Gill, The death of Socrate in Classical Quarterly, 23, 1973, pp.225-228). Altri autori, dati i sintomi descritti, hanno ritenuto che per Socrate si sia utilizzata una mistura di veleni: il termine "cicuta" del resto allude a un miscuglio di Conium, oppio e datura).(Cfr. Jean De Maleissye, Storia dei veleni. Da Socrate ai giorni nostri, Bologna, Odoya, 2008)
  65. ^ Platone, Fedone, 118 a
  66. ^ C. Sini, I filosofi e le opere, Vol. I, Principato nota p.95
  67. ^ F. Nietzsche, Die frohliche Wissenschaft, 1882, par. 340, (trad. it. La gaia scienza tomo II delle Opere di Friedrich Nietzsche, Milano 1987)
  68. ^ Platone, Repubblica, 408 bd
  69. ^ Platone, Fedone, 59b
  70. ^ R. Del Re, Il gallo dovuto da Socrate ad Esculapio in Atene e Roma, 14-16, 1954, pp.85-88
  71. ^ G. Dumézil, Le moyne noir en gris dedans Varenne, sotie nostradamique (Divertissement sur les dernières paroles de Socrate), Parigi, Adelphi 1987 e anche in Virginia Finzi Ghisi, Place Vendôme, ed. Moretti & Vitali, 1997
  72. ^ R. Gautier, Les dernières paroles de Socrate in Revue universitaire, 64, 1955, pp.254-255
  73. ^ F. Cumont, A propos des dernières paroles de Socrate, in Compte rendu de l'Acadèmie des Inscriptiones et Belles Lettres, 1934, p.124
  74. ^ R. Minadeo, Socrates' Debt to Asclepius in Classical Journal, 66, 1961, p.297
  75. ^ S. Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia, par. 62 in Opere, trad. it. Milano 1993, pp. 301-308
  76. ^ M. Dupréel, La legende socratique et le sources de Platon, Bruxelles, 1922
  77. ^ Le fonti maggiori sul Socrate storico che rimangono sono:
    • I Dialoghi di Platone (Apologia di Socrate, Simposio)
    • Gli scritti di Senofonte, soprattutto i Memorabilia, l' Apologia di Socrate, il Simposio e l' Economico.
    • Le commedie Le Nuvole, Gli Uccelli e Le Rane di Aristofane.
  78. ^ O. Gigon,Sokrates. Sein Bild in Dichtung und Geschichte, Tubingen-Basel 1947, pp.14,64
  79. ^ H. Maier, Socrate. La sua opera e il suo posto nella storia, trad.it., 2 voll. Firenze 1978, I, p.1 ss
  80. ^ F. Adorno, Introduzione a Socrate, Bari, 1973 pp7 ss., 20 ss.
  81. ^ J. Brun, Socrate, trad.it. Milano 1995 p.12
  82. ^ G. Vlastos Socrate e il filosofo dell’ironia complessa, trad. it. Firenze 1998
  83. ^ J. Patocka, Socrate, trad.it. Milano 1999
  84. ^ G. Reale, Socrate. Alla scoperta della sapienza umana, Milano 2000 p.9

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia essenziale[modifica | modifica wikitesto]

  • Francesco Adorno, Introduzione a Socrate, Laterza, Bari, 1999
  • Guido Calogero, Erasmo, Socrate e il Nuovo Testamento, Accademia Naz. dei Lincei, 1972
  • Ubaldo Esposito, Il processo a Socrate, Chegai, 2002
  • Franco Ferrari (a cura di), Socrate tra personaggio e mito, Milano, BUR Rizzoli, 2007
  • Michel Foucault, Discorso e verità nella Grecia Antica, Donzelli, Roma 1996
  • Antonio Gargano, I sofisti, Socrate, Platone, La Città del Sole, 1996
  • Gabriele Giannantoni, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone, edizione postuma a cura di B. Centrone, Bibliopolis, 2005
  • Walter Otto, Socrate e l'uomo greco, Roma, Marinotti, 2005
  • Giovanni Reale, Socrate. Alla scoperta della sapienza umana, Rizzoli, Milano, 2000
  • Giovanni Reale, Socrate, Rizzoli, Milano, 2001
  • Antonio Ruffino, Socrate: l'uomo e i tempi, Liguori, Napoli, 1972
  • Alfred Edward Taylor, Socrate, Londra, 1951, trad. it. Firenze 1952
  • Gregory Vlastos, Studi socratici, Vita e Pensiero, Milano 2003
  • Gregory Vlastos, Socrate il filosofo dell'ironia complessa, La Nuova Italia, Firenze 1998

Bibliografia d'approfondimento[modifica | modifica wikitesto]

  • Francesca Alesse, La Stoa e la tradizione socratica, Bibliopolis, 2000
  • Filippo Bartolone, Socrate. L'origine dell'intellettualismo dalla crisi della libertà, Vita e Pensiero, 1999
  • Jean Brun, Socrate, Xenia, 1995
  • John Burnet, Interpretazione di Socrate, Vita e Pensiero, 1994
  • Francesco Calvo, Cercare l'uomo. Socrate, Platone, Aristotele, Marietti, Genova, 1990
  • Jean-Joël Duhot, Socrate o il risveglio della coscienza, Edizioni Borla, 2000
  • Günter Figal, Socrate, Il Mulino, Bologna, 2000
  • Eugenio Garin, A scuola con Socrate. Una ricerca di Nicola Siciliani de Cumis, La Nuova Italia, 1993
  • Antonio Gargano, I sofisti, Socrate, Platone, La Città del Sole, 1996
  • Guardini Romano, La morte di Socrate. Interpretazione dei dialoghi platonici Eutifrone, Apologia, Critone e Fedone, Morcelliana, 1998
  • Ettore Lojacono (a cura di), Socrate in Occidente, Firenze: Le Monnier università, 2004
  • Pierre Hadot, Elogio di Socrate, Il Nuovo Melangolo, 1999
  • Christoph Horn, L'arte della vita nell'antichità : felicità e morale da Socrate ai neoplatonici , Roma : Carocci, 2005
  • Paolo Impara, Socrate e Platone a confronto, Seam, 2000
  • Carlo Michelstaedter, Il prediletto punto d'appoggio della dialettica socratica e altri scritti, Mimesis, 2000
  • Mario Montuori, Socrate. Fisiologia di un mito, Vita e Pensiero, 1998
  • Walter Friedrich Otto, Socrate e l'uomo greco, Milano : Marinotti, 2005
  • M. Adelaide Raschini, Interpretazioni socratiche, Marsilio, 2000
  • Francesco Sarri, Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, 1997
  • Gregory Vlastos, Studi socrativci, Milano : Vita e pensiero, 2003

Film su Socrate[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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