Get Adobe Flash player

Exquemelin, La vita dei bucanieri

Come i pirati armano i loro vascelli e come si comportano nei loro viaggi

traduzione di Martino Sacchi

Prima di prendere il mare i pirati fanno sapere a coloro che intendono partecipare alla spedizione il giorno esatto in cui si devono imbarcare, ricordando inoltre a tutti che devono portare con sé la polvere da sparo e le pallottole che ritengono necessarie. Quando tutti si sono imbarcati si riuniscono e tengono un consiglio di guerra per decidere prima di tutto dove andare a procurarsi le provviste e specialmente la carne, dato che praticamente non mangiano altro (quella di maiale è quella che consumano più spesso, seguita da quella di tartaruga, che i pirati sono abituati a salare un po'). Talvolta decidono di fare una razzia in qualche porcilaia dove gli spagnoli arrivano a tenere fino a cento suini. Piombano in questi posti nel cuore della notte, assaltano la capanna del guardiano, lo tirano giù dal letto e lo costringono a consegnare tutti i maiali di cui hanno bisogno, minacciando di ucciderlo se disobbedisce o fa il minimo rumore. Spesso i pirati mettono in atto queste minacce, senza nessuna pietà per il povero porcaro o per chiunque tenti di impedire le loro scorrerie.
Quando hanno una quantità sufficiente di provviste per il viaggio tornano alla nave. La razione di cibo stabilita per ciascuno due volte al giorno è semplicemente tutto quello che possono mangiare, senza alcun limite. Non solo, ma il cambusiere di bordo non dà al capitano una razione maggiore di quella che passa all'ultimo dei marinai, sia essa di carne o di qualsiasi altro cibo. Quando la nave ha imbarcato le provviste i pirati tengono un altro consiglio di guerra per decidere dove andare a cercar fortuna. In questo consiglio, inoltre, si accordano su una serie di articoli che vengono messi nero su bianco e che tutti sono obbligati a rispettare e a sottoscrivere. In questo testo i pirati precisano accuratamente quanto denaro ciascun pirata dovrebbe ricavare dalla spedizione. Per i soldi si attinge al bottino comune formato da tutto ciò che viene rubato nel corso del viaggio: in caso contrario, ossia se non si riesce a fare bottino, vale tra i pirati la stessa legge degli altri avventurieri, ossia «niente preda, niente paga». Prima di tutto si indica quanto deve ricevere il capitano per la sua nave, poi viene stabilito il guadagno del carpentiere che ha carenato, riparato e attrezzato l’imbarcazione. Questa cifra ammonta di solito a cento o centocinquanta pezzi da otto, ma può essere anche di più o di meno in base a quanto decide il consiglio. Dal bottino vengono inoltre scalati circa duecento pezzi da otto per viveri e attrezzature, nonché un compenso adeguato per il chirurgo e la sua cassetta di medicinali che di solito viene valutato duecento o duecentocinquanta pezzi da otto. Infine viene messo per iscritto l'indennizzo cui ha diritto chi viene ferito o mutilato nel corso della spedizione.
Questo è l'elenco dei risarcimenti:
per la perdita del braccio destro seicento pezzi da otto o sei schiavi
per la perdita del braccio sinistro cinquecento pezzi da otto o cinque schiavi
per la gamba destra cinquecento pezzi da otto o cinque schiavi
per la gamba sinistra quattrocento pezzi da otto o quattro schiavi
per un occhio cento pezzi da otto o uno schiavo
per un dito della mano lo stesso che un occhio.

Tutte queste somme si attingono dal capitale comune, cioè dal bottino proveniente dalle rapine. Il resto viene diviso tra tutti esattamente in parti uguali, cionondimeno si tiene conto della posizione e delle qualifiche di ciascuno: il capitano per esempio, o il comandante della spedizione, ha diritto a ricevere cinque o sei volte la quota di un marinaio semplice, il secondo solo due e gli altri ufficiali proporzionatamente al loro incarico. Pagati questi, il bottino si distribuisce in parti uguali tra tutti, dal marinaio più esperto a quello meno bravo, compresi i mozzi. Questi ultimi però ricevono solo mezza quota perché quando i pirati si impadroniscono di un vascello migliore del loro, affidano il compito di incendiare la vecchia nave ai mozzi che in seguito raggiungono i compagni a bordo della nuova nave.
I pirati osservano una ferrea disciplina: è severamente proibito a chiunque appropriarsi di una cosa qualsiasi e tutto viene diviso in parti uguali, infatti giurano solennemente di non fuggire e di non sottrarre il minimo oggetto al bottino. Chiunque infranga il giuramento viene immediatamente isolato e bandito dal gruppo.
Tra di loro sono molto gentili e generosi, tanto che se uno desidera qualcosa che appartiene ad un altro, questi la cede con grande altruismo. Quando catturano una nave per prima cosa sbarcano tutti i prigionieri, trattenendo solo quelli che servono ad aiutare nelle manovre o che vogliono tenere al loro servizio: in ogni caso anche questi vengono lasciati liberi nel giro di due o tre anni. Vanno in cerca di rifornimenti tra un’isola e l’altra, ma soprattutto tra quelle degli arcipelaghi lungo la costa meridionale di Cuba: qui fanno carena ai vascelli, altri vanno a caccia o incrociano in mare con le canoe tentando la fortuna. Spesso rapiscono i poveri pescatori di tartarughe e li costringono a lavorare per tutto il tempo che fa loro comodo.
In diverse regioni delle Americhe si trovano quattro differenti specie di tartarughe. Gli esemplari della prima sono così grandi che ciascuno raggiunge il peso di due o trecento libbre e le scaglie del guscio sono tanto morbide da potersi tagliare facilmente col coltello, ma purtroppo non sono buone da mangiare. Le tartarughe della seconda specie sono di varie dimensioni ma tutte di colore verde, hanno il guscio più duro delle prime e sono molto gustose. La terza specie è molto simile alla seconda per dimensioni, ma ha la testa un po’ più grande: i francesi la chiamano cavana e neppure questa è buona da mangiare. La quarta infine si chiama careta ed è molto simile alle tartarughe che abbiamo in Europa: vive abitualmente tra le rocce da dove spunta per andare in cerca di cibo, perlopiù costituito da «mele di mare». Le altre specie mangiano invece su banchi di sabbia il cui gradevole colore verde ricorda i dolci pascoli olandesi. Le loro uova sono molto simili a quelle dei coccodrilli, ma non hanno un guscio vero e proprio e sono protette solo da una sottile membrana; se ne trova una tale quantità lungo le spiagge di queste regioni che se molte non venissero divorate dagli uccelli il mare sarebbe pieno di tartarughe. Ogni anno queste creature depongono le uova in alcuni luoghi abituali. I principali sono le tre isole Cayman, poste alla latitudine di 12° e 15 primi nord, alla distanza di quarantacinque leghe dalla costa settentrionale dell’isola di Cuba. La capacità delle tartarughe di ritrovare queste isole è davvero straordinaria, dato che la maggior parte di loro viene dal golfo dell’Honduras che dista almeno centocinquanta leghe dalle Cayman. È un fatto assodato che molte navi, dopo aver perso la posizione a causa del cattivo tempo, abbiano corretto la loro rotta e siano giunte in quelle isole solo seguendo la direzione in cui nuotavano le tartarughe. Quando la stagione della deposizione delle uova è passata le tartarughe tornano a Cuba, dove ci sono molti luoghi in cui trovano cibo, mentre alle isole Cayman mangiano pochissimo o addirittura nulla. Quando sono state un mese nelle acque di Cuba e hanno acquistato peso, gli spagnoli vanno a pescarle perché sanno di trovarne una tale abbondanza da poter sfamare paesi,città e villaggi. Per catturarle costruiscono con un grosso chiodo una sorta di dardo che fissano all’estremità di una lunga asta e lo usano come un arpione per colpire le tartarughe quando emergono alla superficie per respirare.
Gli abitanti della Nuova Spagna e del Campeche esportano ed importano la maggior parte delle loro merci su navi di grande tonnellaggio. In inverno i vascelli che partono dal Campeche puntano verso Caracas, l’isola di Trinidad e Margarita, mentre in estate i venti soffiano in direzione contraria perciò sono ideali per tornare a Campeche, cosa che appunto fanno gli spagnoli all’inizio di quella stagione. Però i pirati, che sono abilissimi nel cercare tutti i luoghi e le circostanze più adatti ai loro piani, non ignorano le abitudini degli spagnoli e nei periodi giusti incrociano in queste zone per intercettare le loro navi. Se non riescono ad ottenere nessun risultato perché la fortuna non li favorisce si radunano a consiglio e finiscono per lanciarsi nelle imprese più disperate.
Di queste decisioni darò un esempio famoso. Un pirata, di nome Pierre François era stato a lungo in mare con la sua nave e ventisei compagni in attesa dei galeoni che dovevano tornare da Maracaibo verso Campeche. Non riuscendo ad intercettare né a catturare alcun veliero, decisero di dirigersi verso Rancherias, che sorge vicino al fiume Plata alla latitudine di 12 gradi e mezzo nord. Qui si trova un ricco banco di perle, per pescare le quali ogni anno parte da Cartagena una flotta di dodici navi con un vascello da guerra per difenderle. A bordo di ognuna c’è una coppia di negri abilissimi ad immergersi fino a sei braccia di profondità. Pierre François decise di attaccare questa piccola flotta detta «flotta delle Perle» piuttosto che tornare a casa a mani vuote. In quel momento c'era una gran bonaccia e le navi stavano all’ancora alla bocca del fiume Hacha, con il vascello da guerra a meno di mezza lega di distanza dai vascelli più piccoli. Avendo visto le navi in quell’ancoraggio, Pierre François ammainò le vele e remò lungo la costa fingendo di essere un'imbarcazione spagnola di passaggio proveniente da Maracaibo. Ma non appena arrivò al banco delle perle assalì la vice ammiraglia della flotta, munita di otto cannoni e sessanta uomini ben armati, ordinando all'equipaggio di arrendersi. Ma gli spagnoli corsero alle armi e fecero di tutto per difendersi, combattendo fino a quando non furono costretti alla resa. Impossessatosi della vice ammiraglia Pierre François decise allora di attaccare la nave da guerra con un altro stratagemma, pensando che se fosse riuscito a impadronirsene avrebbe potuto controllare il resto della flotta. Perciò affondò la sua imbarcazione nel fiume e, costringendo con promesse e minacce la maggior parte degli spagnoli ad aiutarlo nel suo piano, issò la bandiera spagnola e salpò le ancore sfruttando una leggera brezza che si stava levando proprio in quel momento.
Ma quando dalla nave da guerra videro che una delle navi della flotta si stava muovendo, diedero immediatamente ordine di salpare, temendo che i marinai intendessero scappare col vascello carico di ricchezze. Questo obbligò i pirati a sospendere subito la loro rischiosa impresa perché non erano in grado di sostenere uno scontro frontale. Perciò tentarono di uscire dal fiume e di guadagnare il mare aperto a vele spiegate con tutte le ricchezze che avevano rubato. Non appena la nave da guerra se ne accorse si mise immediatamente in caccia. Ma i pirati avevano issato troppe vele e una forte raffica di vento all’improvviso fece cadere in acqua l’albero maestro rendendo impossibile la fuga.
Per gli spagnoli fu un colpo di fortuna: guadagnarono terreno e alla fine raggiunsero i pirati. Questi, nonostante fossero solo ventidue uomini ancora in condizioni di combattere, decisero di difendersi fino all’ultimo. Lottarono coraggiosamente, ma in breve furono costretti ad arrendersi.
Non fu una resa incondizionata, ma vennero stabilite una serie di clausole che gli spagnoli concessero come segue:
i pirati non sarebbero stati utilizzati come schiavi, né costretti a trasportare pietre o a fare altri lavori per tre o quattro anni, come facevano fare di solito ai negri.
i pirati sarebbero stati liberati e sbarcati a terra senza che fosse fatto loro alcun male

Grazie a questi accordi i pirati si consegnarono agli spagnoli con tutto ciò che avevano rubato (e solo il valore delle perle ammontava a centomila pezzi da otto) oltre al vascello, le provviste, altre merci e tutto il resto. Se non fosse caduto l’albero maestro, per i pirati questo sarebbe stato il più ingente bottino che potessero sperare di conquistare.
Racconterò adesso la storia di un'altra avventura, non molto diversa e non meno straordinaria di quella che ho appena descritto.
Un pirata nato in Portogallo, e per questo soprannominato Bartolomeo il Portoghese, partì da Giamaica e andò a incrociare con la sua imbarcazione nei pressi del capo delle Correnti sull'isola di Cuba. A bordo aveva solo trenta uomini e quattro piccoli cannoni. A un certo punto intercettò una grossa nave, bene armata con venti cannoni di grosso calibro e settanta uomini tra marinai e passeggeri, che veniva da Maracaibo e Cartagena ed era diretta all'Avana. Il Portoghese assalì la nave, che però si difese strenuamente. Allora il pirata si ritirò, ma accortosi di non aver subito gravi danni, decise di attaccarla con più vigore. Rinnovò coraggiosamente gli assalti e dopo un lungo e pericoloso combattimento si impadronì del grande vascello.
Il Portoghese aveva perso dieci uomini e altri quattro erano feriti, perciò gliene restavano solo venti in grado di combattere, mentre gli spagnoli erano il doppio. Dato che si erano impossessati di una nave grande e potente e che il vento soffiava in direzione tale da impedire di tornare a Giamaica, i pirati decisero di puntare su capo Sant'Antonio, che si trova sulla punta occidentale di Cuba, per riposarsi e rifornirsi di acqua dolce, di cui avevano grande necessità. Erano quasi giunti alla meta quando si imbatterono inaspettatamente in tre grandi navi provenienti dalla Nuova Spagna e dirette all’Avana: non potendo fuggire furono facilmente catturati. Per questo improvviso rovescio di fortuna furono fatti tutti prigionieri e si ritrovarono poveri, in catene e privati di tutte le ricchezze che avevano accumulato. Il carico della nave che avevano catturato consisteva in 120.000 libbre di cacao, l'ingrediente fondamentale per quella sostanziosa bevanda chiamata cioccolata, e 70.000 pezzi da otto. Due giorni dopo questo colpo di sfortuna si scatenò una violenta tempesta che costrinse le navi spagnole a separarsi l'una dall'altra. Il vascello che aveva catturato i pirati arrivò al porto di Campeche e molti ricchi mercanti vennero a bordo per dare il benvenuto al suo capitano. Quando videro il Portoghese lo riconobbero subito perché aveva commesso un’infinità di crimini lungo le loro coste: non solo uccidendo e derubando un gran numero di persone, ma anche appiccando moltissimi incendiums(ossia di incendi) che la gente di Campeche ricordava ancora benissimo. Perciò il giorno dopo il loro arrivo il magistrato della città mandò alla nave diversi ufficiali per prelevare quei criminali, prenderli in custodia e punirli come si meritavano. Temendo però che una volta trasferito a terra il Portoghese riuscisse a fuggire, come aveva fatto in precedenza quando era stato catturato in quella stessa città, giudicò più opportuno lasciarlo a bordo sotto sorveglianza. Nel frattempo eressero la forca dove intendevano impiccarlo il giorno dopo conducendolo dalla nave al patibolo senza processarlo. Qualche voce su quel tragico finale arrivò alle orecchie del Portoghese che cercò di scappare la notte stessa. Prese due giare di terracotta, quelle in cui gli spagnoli trasportano il vino dalla Spagna alle Indie, e le chiuse bene con l’intenzione di usarle per stare a galla come fanno quelli che non sanno nuotare con le calabazas, le zucche vuote, o con delle vesciche gonfiate. Poi attese la notte sperando che si addormentassero tutti, compresa la sentinella che lo sorvegliava. Quando si accorse che non riusciva ad eludere il suo controllo, il Portoghese di nascosto prese un coltello e gli assestò un colpo mortale, privandolo al contempo della vita e della possibilità di dare l'allarme. Il Portoghese si buttò subito in mare con le due giare di terracotta e anche se non sapeva nuotare raggiunse la costa. Giunto a terra si rifugiò senza por tempo in mezzo nella foresta, dove rimase tre giorni senza osare uscire e mangiando solo erbe selvatiche.
Il giorno dopo le guardie cominciarono a cercarlo nella foresta dove pensavano che si fosse nascosto. Il Portoghese spiò la loro affannosa ricerca celato all’interno di un albero cavo. Quando capì che gli spagnoli rinunciavano a cercarlo e tornavano indietro, si arrischiò a dirigersi verso la costa del cosiddetto «Golfo Triste», a quaranta leghe dalla città di Campeche, che raggiunse circa quindici giorni dopo la sua fuga. In quel periodo visse in preda a fame e sete terribili, nonché alla paura di cadere di nuovo in mano agli spagnoli. Per tutto il viaggio non ebbe altre provviste che una piccola zucca con un po’ d’acqua e non mangiò che qualche mollusco trovato tra gli scogli lungo la riva, inoltre fu costretto a attraversare alcuni fiumi anche se non sapeva nuotare. Mentre affrontava queste difficoltà trovò una vecchia asse che le onde avevano gettato a riva, in cui erano conficcati dei grossi chiodi. Il Portoghese li recuperò e usando una pietra con grande fatica li affilò, facendone dei rudimentali coltelli. Usando solo questi attrezzi primitivi, tagliò alcuni rami e li legò insieme con giunchi e ramoscelli per farne una specie di zattera con cui discese il fiume. Giunto a capo di Golfo Triste, ebbe la fortuna di incontrare una nave di pirati suoi amici che venivano dalla Giamaica. Dopo aver raccontato quello che gli era accaduto, domandò ai pirati di fornirgli una barca e venti uomini con i quali intendeva tornare a Campeche per impadronirsi della nave dalla quale era fuggito. I pirati soddisfecero prontamente la richiesta e gli diedero l’imbarcazione e gli uomini. Con quei pochi compagni partì per l’impresa che portò a termine in soli otto giorni dalla partenza da Golfo Triste. Giunto al fiume di Campeche, con grande coraggio e senza fare il minimo rumore, assalì la nave. I membri dell’equipaggio, credendo che si trattasse di una barca proveniente da terra che trasportava merci di contrabbando, non si posero sulla difensiva, perciò i pirati li colsero di sorpresa e in breve li costrinsero ad arrendersi. Felici di essersi impadroniti di una nave così ricca, i pirati salparono subito l’ancora e spiegarono le vele per fuggire al più presto di lì nel timore di essere inseguiti da altri vascelli. Il più soddisfatto era il Portoghese che li comandava: sulla stessa nave fino a poco tempo prima era un prigioniero destinato alla forca, e ora che la Fortuna era tornata dalla sua parte era di nuovo ricco e potente. Con questo prezioso bottino il Portoghese sperava di portare a termine imprese ancora più audaci, in quanto sul vascello aveva trovato merci di gran valore, anche se l’argento era già stato trasferito in città. Per qualche giorno continuò a navigare verso Giamaica, ma quando giunse all’isola dei Pini, sulla costa meridionale di Cuba, la Fortuna gli voltò definitivamente le spalle: una terribile tempesta fece naufragare la nave sulla secca delle delle Jardines. La nave andò completamente perduta ma il Portoghese e i suoi compagni riuscirono a salvarsi con una canoa. In seguito egli arrivò in Giamaica dove rimase solo il tempo necessario per prepararsi di nuovo ad inseguire la fortuna che da quel momento gli fu sempre avversa.
Altrettanto straordinarie e stupefacenti sono le imprese di un altro pirata che adesso vive in Giamaica e che ha intrapreso e portato a termine diverse azioni eccezionali. È nato nella città di Groningen, nelle Province Unite, ma il suo vero nome è sconosciuto, e i suoi compagni lo hanno sempre chiamato Roche il Brasiliano perché aveva vissuto a lungo in Brasile. Era stato costretto a fuggire da lì quando i portoghesi erano riusciti a riconquistare la regione strappandola alla Compagnia delle Indie Orientali di Amsterdam e molta gente delle più diverse nazionalità che abitava in Brasile (inglesi, francesi, olandesi e altri ancora) fu obbligata a cercare fortuna altrove. Egli andò in Giamaica e non sapendo come guadagnarsi da vivere entrò nella Società dei Pirati. Per un po’ servì come un semplice marinaio, ma si comportò così bene da meritarsi non solo l’affetto e il rispetto di tutti, ma anche il futuro incarico di comandante. Un giorno alcuni marinai in seguito ad una diatriba con il capitano lasciarono la nave. Il Brasiliano li seguì ed essi lo scelsero come loro capo, offrendogli anche una barca di cui diventò il capitano.
Pochi giorni dopo questa promozione catturò una grande nave proveniente dalla Nuova Spagna, carica d’argento, e la portò insieme con la sua a Giamaica.
Quest’azione fece di lui un uomo famoso, stimato e temuto da tutti. Viceversa nella vita privata si comportava male, non riusciva a controllarsi e spesso appariva sciocco o brutale. Spesso quand'era ubriaco vagava per le strade colpendo o ferendo chiunque incontrasse, senza che nessuno osasse opporsi o fare resistenza.
Con gli spagnoli si dimostrò sempre barbaro e crudele, come se nutrisse un odio inveterato nei loro confronti, infatti più volte ordinò di arrostirne vivo qualcuno su uno spiedo solo perché non gli aveva rivelato dove’era il porcile dal quale voleva rubargli i maiali.
Dopo molte crudeltà di questo tipo accadde che una cupa tempesta lo sorprendesse all’improvviso mentre stava incrociando lungo le coste della regione del Campeche. In seguito, mentre incrociava lungo le coste del Campeche, una tempesta lo colse di sorpresa: fu tanto violenta che la nave naufragò sulla costa e i pirati riuscirono a mettersi in salvo portando con sé solo i moschetti, qualche pallottola e un po’ di polvere da sparo. La nave andò perduta esattamente a metà strada tra Campeche e il golfo Triste. I pirati giunsero a terra con le canoe e, marciando lungo la costa il più velocemente possibile, si diressero verso golfo Triste, luogo che usano per nascondersi e riposarsi. Nel corso di questo viaggio soffrirono terribilmente la fame e la sete, come avviene sempre nei luoghi deserti, e a un certo punto furono inseguiti da un centinaio di cavalieri spagnoli. Appena si accorse del pericolo incombente il Brasiliano incoraggiò i suoi uomini dicendo: «Compagni, è meglio morire combattendo coraggiosamente con le armi in pugno, piuttosto che arrendersi agli spagnoli. Se vincessero loro, ci ucciderebbero con crudeli tormenti!» I pirati non erano più di trenta, ma vedendo il loro prode comandante opporsi risolutamente al nemico, lo imitarono. Fronteggiarono le truppe spagnole e spararono contro di loro con tale abilità che quasi ogni colpo uccise un avversario. Il combattimento continuò per un’ora finché gli spagnoli fuggirono lasciando che i pirati spogliassero i cadaveri di tutto ciò che gli serviva, e che con la baionetta aiutassero ad abbandonare le miserie di questa vita quelli che non erano ancora morti. Dopo aver sconfitto il nemico montarono sui cavalli abbandonati sul campo di battaglia e proseguirono il viaggio. Nel cruento combattimento tra le fila del Brasiliano si contarono solo due morti e due feriti.
Non erano ancora giunti a destinazione quando scoprirono lungo la costa una nave bene attrezzata della città di Campeche, che stava all’ancora e proteggeva alcune canoe che stavano caricando legname. Allora inviarono una pattuglia di sei uomini per tenerle d’occhio e il mattino dopo quei sei si impossessarono delle canoe. Avvisarono i compagni che li raggiunsero a bordo e senza difficoltà catturarono anche la piccola nave da guerra all’ancora. Ormai padroni di tutta la piccola flottiglia, avevano bisogno solo di viveri, perché a bordo del vascello ne avevano trovati ben pochi. Il problema però fu subito risolto uccidendo i cavalli e salandone la carne col sale che per fortuna i taglialegna che avevano caricato il legname sulle canoe, avevano con sé. In questo modo riuscirono a mantenersi fin quando non poterono procurarsi un cibo migliore.
Il Brasiliano e i suoi compagni, presero anche un'altra nave che navigava dalla Nuova Spagna verso Maracaibo, colma di ogni sorta di mercanzie e di un gran numero di pezzi da otto destinati all’acquisto del cacao da caricare nel viaggio di ritorno. Le prede furono portate a Giamaica, dove arrivarono felicemente e dove i pirati, secondo le loro abitudini, in pochi giorni dissiparono nelle taverne tutto quello che avevano guadagnato, dedicandosi a ogni tipo di depravazione. Alcuni di loro spesero due o tre mila pezzi da otto in una sola notte, restando il mattino dopo senza nemmeno una camicia decente da mettersi addosso. Il mio stesso padrone, in occasioni simili, comprava un'intera botte di vino, la metteva in mezzo alla strada e obbligava tutti quelli che passavano di lì a bere con lui, minacciandoli con la pistola se non lo facevano. Altre volte faceva lo stesso con un barile di birra, e spessissimo gettava birra e vino addosso a chiunque passava lungo la strada, fosse uomo o donna, bagnandogli i vestiti senza minimamente preoccuparsi se glieli rovinava.
Tra di loro, i pirati sono estremamente generosi e liberali. Se uno di loro ha perso tutti i suoi beni, cosa che succede spesso visto il modo in cui vivono, gli altri spartiscono caritatevolmente con lui quello che possiedono. Nelle taverne e nelle birrerie hanno sempre credito, anche se a Giamaica devono stare attenti a non indebitarsi troppo, perché da quelle parti gli abitanti possono molto facilmente venderli appunto per debiti. È accaduto anche al mio padrone di fare questa esperienza, perché aveva speso in una taverna la maggior parte dei suoi averi. Fino a tre mesi prima egli poteva contare su tremila pezzi da otto in contanti che in breve ha dissipato, ritrovandosi in miseria come ho già detto.
Per tornare al nostro discorso, il Brasiliano, dopo aver speso tutto quello che aveva rubato, fu costretto a prendere di nuovo il mare per cercare fortuna. Così puntò verso la costa del Campeche, sua usuale riserva di caccia.
Due settimane dopo essere arrivato a destinazione saltò dentro una canoa per andare a spiare il porto della città e vedere se era possibile derubare qualche nave spagnola. Ma la fortuna gli era decisamente contraria: sia lui sia i suoi uomini furono presi catturati e portati davanti al governatore, che li fece gettare immediatamente in prigione, assolutamente deciso a impiccarli tutti. Certamente questa volta ci sarebbe riuscito se non fosse stato per uno stratagemma messo in atto dal Brasiliano che bastò a salvar loro la vita. Egli infatti scrisse una lettera al governatore, facendogli credere che provenisse da altri pirati al sicuro in mare aperto, e che questi pirati intimassero al governatore di badare bene a come intendeva trattare le persone che aveva in custodia, perché se avesse loro causato anche il minimo graffio non avrebbero avuto pietà per nessuno spagnolo che fosse caduto nelle loro mani.
Poiché questi pirati erano già stati molte volte a Campeche e in tante altre città e villaggi delle Indie occidentali controllati dagli spagnoli, il governatore temette che i pirati al largo avrebbero potuto provocare davvero un gran danno se avesse impiccato i prigionieri. Perciò li liberò, pretendendo solo che giurassero di abbandonare per sempre la pirateria, e li fece imbarcare sui galeoni diretti in Spagna come semplici marinai o passeggeri. Durante questo viaggio i pirati complessivamente guadagnarono cinquecento pezzi da otto, perciò giunti in Spagna non si fermarono a lungo, ma si procurarono il necessario per ripartire e in breve tornarono tutti in Giamaica. Ripresero il mare per commettere razzie e crimini peggiori di prima e specialmente per torturare crudelmente i poveri spagnoli che capitavano nelle loro mani.
Gli spagnoli, rendendosi conto che non riuscivano a sconfiggere i pirati e che questi non diminuivano, anzi aumentavano di giorno in giorno, decisero di ridurre il numero delle navi con le quali esercitavano i loro commerci. Ma neppure questo provvedimento diede buoni risultati, perché i pirati, non trovando più in mare tante navi come prima, cominciarono a riunirsi in bande sempre più grandi e a sbarcare direttamente sulla terraferma devastando paesi, città e villaggi e saccheggiando, incendiando e portando via tutto quello che potevano.
Il primo pirata che diede inizio a queste incursioni in terraferma fu Lewis Scot, che saccheggiò la città di Campeche, distruggendola quasi completamente, razziando e annientando tutto quello che poteva. Alla fine chiese un riscatto esorbitante e se ne andò. Dopo Scot ci fu Mansvelt che si lanciò nell'impresa di marciare a piedi su Granada e di penetrare con i suoi pirati perfino nel Mare del Sud. Riuscì a compiere entrambe le imprese, ma alla fine la necessità di rifornirsi lo costrinse a tornare indietro. Nel viaggio di ritorno assalì l'isola di Santa Caterina (era la prima volta che faceva una cosa del genere), e catturò alcuni prigionieri che gli mostrarono la strada per Cartagena, la più importante città del Vicereame della Nuova Granada.
Ma questo racconto non può dimenticare gli audaci colpi di mano e i coraggiosi attacchi di John Davis, originario della Giamaica, e specialmente la sagacia e il coraggio con cui si comportò nel suddetto Vicereame della Nuova Granada. I pirati avevano incrociato a lungo nel golfo di Pocatauro per intercettare le navi attese da Cartagena e dirette in Nicaragua. Non riuscendo però a catturarne nessuna, Davis decise alla fine di sbarcare in Nicaragua, nascondendo la sua nave lungo la costa, di saccheggiare le chiese e di svuotare le dimore dei cittadini più ricchi della città. Passò subito all'azione: scelse 80 uomini dei 90 che aveva in tutto (gli altri li lasciò a guardia della nave), li distribuì su tre canoe e poi, nell'oscurità della notte, risalì con loro a remi il fiume che porta a quella città. Di giorno si nascondevano, con le barche, sotto i rami degli alberi che crescono altissimi e intricati lungo le rive dei fiumi e della costa, celandosi così alla vista di quelle imbarcazioni che non sapevano se fossero dei pescatori o degli indigeni. Procedendo così la terza notte di viaggio arrivarono finalmente alla città. La sentinella che sorvegliava il passaggio lungo il fiume pensò che si trattasse di pescatori che erano andati a lavorare e poiché la maggior parte dei pirati conosce benissimo lo spagnolo, la guardia non si insospettì nemmeno sentendoli parlare. Tra loro c'era anche un indigeno che era scappato dal suo padrone perché questi aveva minacciato di farne il suo schiavo dopo che lui lo aveva servito a lungo. Quest’uomo fu il primo a scendere a terra e attaccando la sentinella l’uccise all'istante. Eccitati da questo successo i pirati entrarono nella città puntando dritti sulle case dei tre o quattro cittadini più ricchi, alle cui porte bussarono tranquillamente dissimulando le proprie intenzioni. Quelli, credendo che si trattasse di amici, aprirono senza timore: i pirati balzarono dentro, si impadronirono delle case e portarono via tutti i soldi e l'argento che trovarono. Non risparmiarono nemmeno le chiese e le cose più sacre, che furono tutte saccheggiate e profanate senza alcun rispetto e senza la minima ombra di venerazione. Intanto per la città cominciavano a udirsi le urla e i lamenti di coloro che erano riusciti a sfuggire ai pirati e che adesso stavano mettendo sottosopra tutta la città dando finalmente l'allarme. Tutti i cittadini si radunarono decisi a difendersi. Non appena i pirati se ne accorsero organizzarono immediatamente la fuga, portando con loro tutto quello che avevano depredato e anche qualche prigioniero che avevano catturato per usarlo come moneta di scambio nel caso che qualche pirata fosse caduto a sua volta nelle mani degli spagnoli.
Così tornarono alla loro nave e partirono precipitosamente costringendo i prigionieri, prima di lasciarli andare, a fornir loro tutta la carne necessaria per il viaggio di ritorno alla Giamaica. Avevano appena salpato l'ancora che avvistarono sulla riva un reparto di cinquecento spagnoli, tutti bene armati. Scaricarono contro di loro diversi colpi di cannone e li costrinsero così a lasciare la spiaggia e a ritirarsi nell'interno col grande rammarico di vedere i pirati portarsi via tutto l'argento dalle loro chiese e dalle loro case, che pure distavano quaranta leghe dal mare. I pirati infatti si portarono via in questa incursione non meno di quattromila pezzi da otto in contanti, oltre a una grande quantità d’argento e molti gioielli, per un valore complessivo stimato in cinquantamila pezzi da otto e forse più. Subito dopo aver portato a termine quest’impresa tornarono a Giamaica con il loro bottino, ma siccome questo genere di persone non riesce a rimanere a lungo padrona del proprio denaro, ben presto furono costretti a procurarsene dell’altro con gli stessi metodi.
Il successo a Nicaragua fece sì che John Davis, dopo il suo ritorno, venisse eletto comandante di una flotta di sette-otto navi, poiché ormai era opinione comune che fosse bravissimo a guidare questo genere di attacchi. Egli cominciò il suo nuovo comando guidando i suoi vascelli verso le coste settentrionali di Cuba per intercettare le navi che dovevano arrivare dalla Nuova Spagna. Non riuscendo però a concludere nulla, decise di andare sulle coste della Florida, dove sbarcò una parte degli uomini e mise a sacco un piccolo centro, Sant’Agostino di Florida. Il forte della città, nonostante avesse una guarnigione di duecento uomini, non riuscì a impedire il saccheggio, che venne effettuato senza che i pirati venissero minimamente ostacolati o attaccati dai soldati o dagli abitanti stessi.
Abbiamo già parlato nella prima parte del libro dell’aspetto di Hispaniola e di Tortuga, delle loro caratteristiche e dei loro abitanti, e anche dei frutti che si trovano in queste regioni. Nella seconda parte ci dedicheremo a descrivere le azioni di due dei più famosi pirati della mia epoca, che hanno commesso molti orribili crimini e crudeltà disumane contro gli spagnoli.

Questo sito fa uso di cookies di terze parti (Google e Histats) oltre che di cookies tecnici necessari al funzionamento del sito . Per proseguire la navigazione accettate esplicitamente l'uso dei cookies cliccando su "Avanti". Per avere maggiori informazioni (tra cui l'elenco dei cookies) cliccate su "Informazioni"