Il pensiero di Giordano Bruno non può essere scisso dalla sua vicenda personale, dalla sua
tragica fine. Un corrispondente di Keplero (che apprezzava l'opera di Bruno) gli confessava, nel
1608, di non essersi saputo dare ragione della fine del filosofo: dal momento che non credeva più
in un Dio di giustizia, distributore supremo di pene e di premi nell'aldilà, perchè sopportare tanti
patimenti soltanto per difendere la verità? Era una domanda grave, che ci fa pensare al diverso
comportamento di Galileo e ci ripropone il problema del significato di tutta la cultura del Rinascimento,
di cui Bruno costituisce insieme, il culmine e l'epilogo. Proprio rifiutandosi di rinnegare
le proprie idee, lui che non credeva più nelle tavole dei valori, si faceva martire e confessore
di altri valori e di un altro modo di concepire la vita. Egli, come altri uomini del Rinascimento,
aveva affermato che la dignità dell'uomo, la sua nobiltà, il suo significato, dipendono dal suo
agire; che il premio dell'azione è nel senso dell'azione, nella sua fecondità, in quello
che l'azione dà per se stessa. Ma questa concezione della vita, che rompeva con una
vecchia morale, non significava rifiuto di vincoli morali, bensì una morale nuova e più rigorosa
intesa come responsabilità personale e profonda. Proprio quello che l'amico di Keplero non
capiva nel gesto di Bruno costituiva la maggiore conquista di una civiltà di cui la fermezza del
filosofo diventava il simbolo.
Ma Bruno significa anche un'altra conquista: l'uomo restituito
a se stesso, reso padrone della propria sorte. Divenuto centro consapevole del proprio
mondo, riconosce la grandezza e il significato della natura, dell'universo fisico che lo circonda,
ne comprende l'immensità,le forze inesauribili, le forme infinite, l'estensione senza barriere.
Rompe l'immagine casalinga di un mondo simile a una grande casa, fasciata e chiusa da sfere
cristalline e immutabili. Liberato da una falsa concezione del divino, proprio nel punto in cui
conquista l'autonomia morale, l'uomo ha il coraggio di liberarsi da una visione primitiva del
mondo. Sa che egli non è il centro fisico dell'universo, anche se si accorge della potenza della
propria ragione e delle proprie capacità. Per paradossale che possa sembrare, nel punto in cui
il pensiero umano afferma la sua centralità nel mondo morale, distrugge la veduta puerile dell'
antropomorfismo fisico attraverso la distruzione del geocentrismo. E ne nasce quella concezione
del mondo fisico e del mondo morale che è stato caratteristica del mondo moderno, e
che ha significato una doppia liberazione: dalle superstizioni prima e dai servaggi poi, sul
terreno etico-politico; dalla soggezione alla natura, che non può essere dominata se non è
affrontata "scientificamente". Orbene colui che trasformò l'ipotesi eliocentrica copernicana in
una solenne concezione liberatrice, avanzando l'idea di mondi infiniti, di spazi senza confini;
chi affrontò impavido l'idea dell'infinito universo e degli infiniti mondi, fu ancora Giordano
Bruno.
Come la lotta contro la bestia trionfante del mito e della superstizione libera
l'umanità sul piano morale e la restituisce integra a se stessa, così l'interpretazione dell'ipotesi
astronomica di Copernico come concezione liberatrice della natura universale, libera la mente
da quella antica barriera che le impediva di affrontare la natura com'è, senza timori, per
esplorarla e trasformarla. Entro questa visione del mondo, matura una precisa concezione
morale che fa corpo con essa, e che si articola in due momenti:
1) La liberazione dal vizio e dalla superstizione (fra loro indissolubili);
2) La conquista della virtù e della verità, indissolubili anch'esse.
La sua è un'etica di operosità, un elogio congiunto del lavoro manuale e di quello intellettuale.
L'uomo - scrisse ancora - non contempli senza azione e non operi senza contemplazione.
Soprattutto negli Eroici Furori si accentua la visione dell'infinito e la celebrazione
dello sforzo che l'uomo fa per oltrepassare "eroicamente" tutti i limiti e tutti i confini. Che era
un modo di sottolineare in forme poetiche l'inarrestabile slancio umano, oltre tutte le posizioni
raggiunte, per la supremazia della verità.
Egli sta contro tutto il Medio Evo e lo scrolla dai cardini. Insegna che non vi è che un solo
cielo, uno spazio infinito entro cui tutte le cose si muovono. In questo spazio sconfinato
sfavillano innumerevoli stelle, folgoranti soli, anzi, sistemi di soli, poichè ogni sole, dice Bruno,
è circondato di pianeti che egli, a somiglianza del nostro, chiama terre. Non vi sono che soli e
terre e la ragione per cui vediamo soltanto i soli è la lontananza, che ci impedisce di vedere le
terre opache. Tutti i movimenti nello spazio sono relativi; nessuna stella si trova al centro
dell'universo, ma ognuna è centro del suo cielo nel suo sistema. In questo senso vi sono cieli
innumerevoli. Non si dà un "sopra" e un "sotto" se non in senso relativo. Dicasi lo stesso della
leggerezza e della gravità. Nessun corpo è in se' pesante, mo solo in rapporto al suo centro di
attrazione. Bruno ha un presentimento della gravitazione universale nella seguente affermazione:
i corpi si muovono liberamente nello spazio e si mantengono nella loro reciproca
posizione grazie alla forza di attrazione. I soli si muovono attorno al loro
asse, e oltre questo si ha un movimento nello spazio. Dal Cusano, Bruno conosce le
macchie solari. Prima del Tycho Brahe, ricava dal movimento delle comete la prova che non
esistono sfere fisse, alle quali stiano appiccicati i piani e meno ancora che si tratti di sfere
di cristallo. Il mondo di Bruno è il mondo reale, come lo conosce la scienza contemporanea.
Non sarà mai dimenticato che egli fu il primo che comprese la vera costituzione del cosmo.
La sua concezione dell'infinito rovescia la concezione geocentrica della chiesa e sviluppa la
concezione eliocentrica di Copernico. La personalità morale di Bruno s'intravede in questa
risolutezza nel giungere alle conclusioni estreme. Dove il cauto astronomo trovava un limite
o una barriera, egli non si arresta. Bruno non ha le positive cautele degli scienziati di mestiere,
pieno com'è del convincimento del potere sterminato della ragione. Se Copernico si accontenta
di rivoluzionare il sistema del nostro sole, egli non capisce perchè non si debba andare
più in là.
Giordano Bruno nella teologia proclamò il panteismo. Nella cosmologia intuì l'infinità dello
spazio. Nell'astronomia sostituì il sistema eliocentrico a quello geocentrico. Nella biologia
affermò l'esistenza della vita in tutta la natura. Nella psicologia dimostrò il pampsichismo,
cioè l'animismo universale. Nell'etica gettò le basi di una morale positiva, areligiosa e indipendente
sostenendo che tutto l'universo è pervaso da una teleologia immanente, per cui si
perfeziona e si migliora ogni cosa, essendo la natura causa, legge e finalità a se stessa.
Distruttore dei pregiudizi dei suoi tempi, egli - soprattuto - ricostruì la scienza e la filosofia
della natura; distrusse le antitesi della metafisica, nella filosofia e nella scienza. Combattè
l'antitesi tra la forma e la materia, sostenuta dai filosofi dualisti. Combattè l'antitesi tra il
cielo e la terra, sostenendo l'unità di questi, la teoria geocentrica e l'ipotesi della pluralità dei
mondi. combattè l'antitesi tra lo spirito e la materia, tra l'anima e il corpo, tra il senso e
l'intelletto, sostenuta dagli psicologi dualisti, conciliando questi termini, creduti contraddittori,
e sostenendo l'unità dello spirito e della materia, l'inseparabilità dell'anima e del corpo
e l'identità del senso e dell'intelletto. Contro le antitesi tra la causalità cosmica e la volontà
divina, tra la necessità naturale e la libertà morale, tra la finalità trascendente e la finalità
immanente, tra il bene ed il male, si sforzo di conciliare tutte queste antinomie, riportando i
contrari all'unità assoluta, dove tutte le differenze restano eliminate. Contro il dualismo tra
Dio e la Natura, sostenne che Dio non è una causa esteriore al mondo, ma un artista interiore,
un principio efficiente, informativo dal di dentro. L'erroneo concetto del cristianesimo aveva
scisso Dio dalla Natura, segregato la Natura dall'uomo. La Natura era decaduta, maledetta,
asilo di demoni, di spiriti malvagi. L'unità nell'infinito o nell'immenso è il concetto fondamentale
del brunismo. L'infinito non solo risplende nella massima esplicazione dell'universo,
ma anche nell'opposto limite, cioè nella complicazione del minimo elemento, nella monade.
In tutto c'è vita. L'universo è contenuto in potenza nella monade, così come nell'individuo è
contenuta la specie, la nazione, l'umanità.
Bruno è stato spesso visto dai clericali quasi come un anticristo. Ora, occorre dire chiaro che
Bruno criticò la Chiesa e il clero del suo tempo, scardinò molti dei dogmi del cristianesimo,
ma non fu maestro di irreligiosità. Per lui ogni parte, anche minuscola dell'universo, è la divinità
stessa. L'universo si confonde con la sostanza, cioè con Dio. La conoscenza del divino è
razionale, cioè si giunge ad essa con la nostra ragione, ed è questa la forma più perfetta per
conoscere la divinità. I preti non c'entrano niente. Ma negli Eroici Furori egli spiega che la
divinità si conosce in due modi: per via di ragione e per contatto mistico. Bruno naturalmente
dà dignità solo alla prima maniera. Coloro che conoscono Dio per ratto mistico - dice - sono
simili all'"asino che porta i sacramenti". Conoscono il vero, ma non c'è merito.
Vi sono per lui due modi di conoscere: quello che dà la filosofia e quello che dà la religione.
Bruno sceglie il primo, ma non rigetta il secondo. Nel De Umbris Idearum dice che "la
religione è l'ombra della verità: ma non è il contrario della verità". E' una conoscenza incerta,
pallida, dubbia, una conoscenza contraddittoria escura, che non dà pieno affidamento, ma
comunque è un grado della verità. L'ombra è un invito a passare nella luce. La religione deve
intendersi come un invito ad assurgere alla filosofia.
L'essenziale per Bruno, non è la religione, ma la morale. Una morale senza dogmi (come è
stata giustamente definita), che elimina la necessità di una educazione ecclesiastica. Che
mira alla liberazione attraverso lo sforzo e la volontà individuale. La filosofia bruniana è una
filosofia dell'eroismo, diretta a liberare gli uomini dalla paura. Quando la paura - afferma - sia
caduta dal nostro animo, noi siamo veramente uomini, parte consapevole, cioè, dell'infinito.
Si è discusso spesso su chi fossero i cosiddetti "invisibili" di Bruno. Coloro che prima di lui si erano scontrati
con le dottrine e le chiusure mentali dei tempi. Quelli che con diversa passione avevano assaporato il piacere della
conoscenza e avevano scelto di intraprendere il lungo cammino che porta alla ricerca della verità. La lettura di alcuni di questi autori,
proibiti nel convento di San Domenico, dove Bruno studia, gli procurano le prime accuse di natura eretica. Quella di
altri, che sarebbe riduttivo riportare in queste pagine (Platone, Aristotele, Socrate...), gli lasciano
intravedere in positivo e negativo quello che di lì a poco diverrà il proprio pensiero filosofico.
Sono le ombre di questi sapienti che lo sosterranno negli ultimi anni di vita,
passati nel carcere in solitudine. Quelli che Bruno non tradirà mai con l'abiura, nel cui nome sopporterà torture
e digiuni, ma soprattutto per le cui idee affronterà il tragico epilogo.
I testi del Corpus Hermeticum e dell'ermetismo hanno una storia complessa. Le teorie ermetiche risalgono all'epoca dei
Tolomei (II secolo a.C.), fiorite probabilmente in ambiente Alessandrino. La loro sistemazione scritta tuttavia va dal
I secolo al III secolo d.C. L'ermetismo venne discusso da filosofi pagani e cristiani, influenzando sia le filosofie
tardo-antiche e sia il nascente cristianesimo.
Il cristianesimo cercò di combattere le dottrine ermetiche dichiarandole
eretiche. Infine nel VI secolo sembra che la letteratura ermetica si sia perduta nel nulla. Poi nel XI secolo Michele
Psello, erudito bizantino, fa risorgere la tradizione ermetica e il Corpus
Hermeticum. Con Psello, si può ritenere
conclusa la formazione del corpus che giungerà in Occidente nel 1460.
I dialoghi ermetici vengono presentati come delle
rivelazioni di Ermete Trismegisto ( Ermete tre volte grande) agli uomini, riguardo la natura divina,
l'antropogonia,
la cosmogonia, l'escatologia, la filosofia religiosa ed altro.
I personaggio dei testi ermetici, oltre a Ermete stesso,
sono Iside, Aslepio, Ammone, Horus, il figlio di Iside e Agathos Daimon (che corrisponde a
Kneph). Inoltre
soltanto nei dialoghi ermetici appaiono personaggi come Poimandres, Tat e il sacerdote
Bitys.
Questi dialoghi sono naturalmente ambientati in Egitto. La figura di Ermete Trismegisto è estremamente interessante:
Ermete fu identificato dai greci con il dio egiziano Thot (dio egizio Lunare della scrittura). Questa identificazione
risale almeno ad Erodoto ed è presente in Platone nel "Fedro" (con il mito di
Theut) e nel "Cratilo". Sappiamo quindi
che Ermete e Thot erano associati all'invenzione della scrittura, alla medicina, al regno dei morti, alla capacità inventiva, alla frode e all'inganno.
Inoltre sia Thot che Ermete avevano un ruolo demiurgico. I greci vedevano l'Egitto come la terra della conoscenza perduta di un tempo estremamente remoto, quindi il fatto di possedere in lingua greca scritti composti dallo stesso dio Thot (Ermete), dava prestigio ai testi e conferiva loro importanza.
Chiaramente testi scritti dallo stesso dio della conoscenza erano qualcosa di incredibilmente
importante e sacro. Una tradizione mitologica dice che l'Ermete dei testi del corpus era nipote del vero Ermete
Trismegisto e aveva tradotto dagli originali egiziani gli scritti di suo nonno. Quindi se pensiamo che tutto ciò sia
storico il "vero Ermete" sarebbe vissuto poco prima dell'arrivo dei Greci di Alessandro Magno in Egitto. Ma credo
proprio che dietro alla figura di Ermete e delle arcane conoscenze dell'Egitto ellenistico, ci sia qualcosa di più
importante. Probabilmente esisteva una sorta di setta che custodiva i segreti di
Thot, ma allora qual'era la fonte
principale delle conoscenze ermetiche? Lo stesso dio? E quando erano nate queste conoscenze? Ipotizzando
che il dio Thot fosse un uomo di eccezionali capacità che alla sua morte fosse stato divinizzato, lo potremmo collocare
ai tempi del regno di Osiride. Osiride era a capo di un gruppo di superstiti di Atlantide e delle sue colonie diretti
in Egitto circa nel 10000 a.C. Thot-Ermete, secondo Diodoro Siculo, era un grandissimo scienziato che aiutò Osiride
nell'opera civilizzatrice in Egitto. Ecco cosa dice Diodoro nella sua Biblioteca Storica ( libro I, 15-16):
"Tra tutti - aggiungono - Osiride teneva nel più alto grado di considerazione Ermes, perché fornito di naturale sagacia
nell'introdurre innovazioni capaci di migliorare la vita associata. Secondo la tradizione, infatti sono opera di Ermes
l'articolazione del linguaggio comune, la denominazione di molti oggetti fino ad allora privi di nome, la scoperta
dell'alfabeto e l'organizzazione dei rituali pertinenti agli onori e ai sacrifici divini. Egli fu il primo ad osservare
l'ordinata disposizione degli astri e l'armonia dei suoni musicali secondo la loro natura; fu l'inventore della
palestra e rivolse le sue cure allo sviluppo ritmico del corpo umano. Inventò anche la lira con tre corde fatte di
nervi, imitando le stagioni dell'anno: adottò infatti tre toni, acuto, grave, medio, in sintonia rispettivamente con
estate, inverno, primavera. Anche i Greci furono da lui educati nell'arte dell'esposizione e dell'interpretazione, vale a dire l'arte dell'ermeneutica, e per questa ragione gli hanno dato appunto il nome di Ermes. In generale Osiride ebbe in lui il suo scriba e sacerdote: a lui comunicava ogni questione e ricorreva al suo consiglio nella stragrande
maggioranza dei casi. Invece di Atena, come credono i Greci, sarebbe stato Ermes a scoprire la pianta dell'ulivo."
Come si può capire Ermes era il "factotum" di Osiride. Ermes svolse ogni genere di mansione e tentò di portare un po' di ordine nel disordine generale causato dalla fine della civiltà. Probabilmente Thot aveva lasciato dei testi dove cercava di preservare il suo sapere, che sono stati tramandati di generazione in generazione, forse, fino all'epoca
ellenistica, certamente estremamente diversi dagli originali.
Le opere più importanti di Pico della Mirandola sono le Conclusioni filosofiche, cabalistiche e teologiche del 1486, con la quale cerca di promuovere un riavvicinamento tra la Chiesa cattolica, la religione ebraica e quella islamica (le tre grandi religioni monoteiste rivelate) e La dignità dell'uomo (1487).
La sua leggendaria capacità mnemonica gli permise di studiare le lingue ebraiche, l'arabo e il caldaico (lingue dell'antica Mesopotamia), oltre che il latino e il greco.
Il suo desiderio di rinconciliare le tre grandi religioni non andò a buon fine perchè alcune delle sue Conclusioni filosofiche vennero sospettate di eresia dalla Chiesa. Pico fu anche imprigionato per eresia e ottenne il perdono del papa solo grazie all'intervento di Lorenzo il Magnifico.
L'uomo camaleonte. Ne "La dignità dell'uomo" Pico espone il concetto dell'uomo camaleonte.
Secondo Pico, Dio creò ogni essere vivente dotandolo di particolari qualità. Così ogni animale ha un particolare istinto che lo rende abile per una certa cosa. Quando Dio creò l'uomo non volle attribuirli solo una qualità ma preferì dotarlo di una parte di tutte le qualità. Quindi l'uomo si trova nella posizione potenziale di scegliere, come per Ficino, tra le "cose inferiori" e le "cose superiori". L'uomo è un camaleonte che può servirsi a piacimento e secondo l'esigenza di una qualsiasi delle qualità che possiede, e questo gli da un vantaggio considerevole rispetto alle altre speci viventi. L'uomo è dotato quindi di una adattabilità invidiabile nonché del libero arbitrio. Questa libertà di realizzazione umana pone l'uomo al di sopra degli angeli stessi, i quali sono fissi nelle gerarchie celesti, senza alcuna possibilità di miglioramento.
Nato a Stilo, in Calabria, nel 1568, Tommaso Campanella entrò nell'ordine dei domenicani quando era ancora molto giovane, ma, a causa delle sue idee in fatto di religione, si ritrovò ben presto nel mirino degli inquisitori, dai quali fu accusato di eresia e rinchiuso in carcere a Roma, nello stesso periodo di Giordano Bruno.
Nel 1599 tornò in Calabria, dove tentò di organizzare un'insurrezione contro il dominio spagnolo e di gettare le basi per una profonda riforma religiosa.
Anche in questa occasione fu arrestato e condannato, ma riuscì a salvarsi dalle torture fingendosi pazzo. Il suo presunto stato mentale non poté, però evitargli il carcere: rimase rinchiuso per 27 anni, durante i quali trovò la forza per continuare a scrivere, specialmente di filosofia. Fu proprio durante la prigionia che compose un'opera dedicata a Galileo, del quale apprezzava incondizionatamente (e pericolosamente) il lavoro ed il pensiero.
Nel 1626 riacquistò una parziale libertà: uscì dal carcere ma rimase a Roma, sotto il controllo del Sant'Uffizio. Grazie alla benevolenza di papa Urbano VIII, anche questo vincolo venne in seguito eliminato ma, nel 1633, Campanella venne nuovamente accusato di eresia e di propaganda antispagnola, così, prima che la situazione precipitasse, decise di rifugiarsi a Parigi, sotto la protezione di Richelieu, e di dedicarsi alla pubblicazione dei suoi scritti.
Morì nella capitale francese nel 1639. Insieme con Giordano Bruno e Bernardino Telesio, Tommaso Campanella fu uno dei principali anticipatori di alcuni importanti argomenti della filosofia moderna e il suo pensiero testimoniò di questo passaggio tra Medioevo e modernità oscillando tra la trascendenza tradizionale del cattolicesimo e l'immanentismo del naturalismo rinascimentale.