martedì 22 marzo 2016

Anticipo di primavera: tagliata con salsa al vino rosso


Se cinque persone, tutte e cinque interessate alla cucina, tutte e cinque interessate alla fotografia, tutte e cinque interessate a mangiare bene, tutte e cinque ben felici di incontrarsi....si danno appuntamento in una bellissima casa sulle alture di Sestri Levante, con vista su un Golfo del Tigullio illuminato da un sole preannunciatore di primavera, cosa succede?
Succede che queste cinque persone si trovino nelle migliori condizioni per trascorrere una giornata carica di divertimento, di risate, di allegria e di relax.
E' questa la deliziosa circostanza che ha coinvolto Valentina del blog "Non di solo pane", Silvia del blog "Silvia Pasticci",  Manuela del blog "Con le mani in pasta" e Adriano Cascio dell'omonimo blog, oltre alla sottoscritta.
Appuntamento alle 9,00 per individuare le stanze idonee all'attività fotografica perchè meglio esposte ed una cucina dotata dei migliori strumenti per cucinare.
Una bella colazione e quindi... via ai lavori.
Salame,  sardo fresco e fave, non necessitano di cotture per poter essere gustati come antipasto, ma per le tagliatelle fresche con barba di frate alla carbonara, abbiamo avuto bisogno di impastare  e stendere la sfoglia, 

tenendo ben presente che la sfoglia secondo la tradizione ligure ha una consistenza del tutto diversa da quella emiliana o toscana.
I liguri, infatti, amano una pasta più soda e tenace, frutto di un rapporto assai maggiore di farina rispetto alle uova, a differenza di quanto avviene in Toscana per non parlare dell'Emilia.
Seguendo le mani operose di Valentina, sono giunta alla conclusione che i liguri abbiano ragione quando, con un impasto simile, vogliono preparare un bel piatto di tagliatelle ma che non siano condivisibili nei menù che prevedano dei ravioli.
A mio giudizio, infatti, la tenace consistenza dell'involucro rischia di sottrarre sapore alla farcia.
Questa è la mia opinione ma non so se Valentina la condividerebbe :-)
La prova della bontà della mia opinione sta nel piatto di tagliatelle la cui ricetta troverete nel blog di Silvia e di Manuela   



Come secondo piatto avevamo concordato una tagliata accompagnata da una salsa al vino rosso e funghi champignon della quale vi lascio la ricetta non prima di avervi sottolineato quanto questa salsa sia estremamente semplice e di sicuro effetto.
Ah...per finire un'ottima sbrisolona.

n.d.r. Le fotografie utilizzate sono quelle realizzate nell'occasione da Adriano Cascio

Tagliata con salsa al vino rosso e funghi champignon


Ingredienti
Per 4 persone
4 fette di sottofiletto per tagliata
2 cucchiai di olio extravergine
200 g di piccoli funghi champignon
1 scalogno
1 spicchio d'aglio
50 ml di Cabernet Sauvignon
30 ml di brodo di carne
1 cucchiaio di amido di mais (maizena)
1 cucchiaino di concentrato di pomodoro
10 g di burro
Sale e pepe

Istruzioni
Pulite i funghi eliminando il gambo e la terra, poi sciacquateli brevemente sotto l'acqua corrente e dividideteli in quarti.
Cuocete la carne come indicato nelle note, copritela con la stagnola e tenetela da parte.
In una padella scaldate 2 cucchiai di olio a fuoco medio, fate appassire lo scalogno tritato con l'aglio ed aggiungete i funghi. Cuocete per circa 5 minuti, aggiustate di sale e versate il vino.
Continuate la cottura a fuoco medio per 5 minuti ancora, versate il brodo bollente ed abbassate la fiamma.
Sempre mescolando unite la maizena stemperata in poca acqua fredda, il concentrato di pomodoro ed il succo che la carne avrà prodotto e lasciate sul fuoco fino a che la salsa si sarà addensata.
Togliete dal fuoco e terminate con l'aggiunta del burro.
Scaldate nuovamente la carne per 30 secondi per parte sulla piastra, lasciatela riposare un minuto ed affettatela.
Servite accompagnando con la salsa e con le verdure arrostite.

Note
Per una perfetta cottura della carne: Per prima cosa toglietela dal frigorifero almeno un paio d'ore prima.Tamponatela con carta assorbente prima di porla sul fuoco. Questo procedimento favorisce la formazione della crosticina bruna. 
Scaldate molto bene una padella pesante, e cuocete la carne 3/4 minuti per lato, senza girarla più di una volta sullo stesso lato, dentro deve rimanere rosa ma senza perdere sangue. I
l tempo dipende dallo spessore: se vi piace più cotta lasciatela sul fuoco ancora qualche minuto. Prima di tagliare la carne, copritela con carta stagnola ed aspettate un minuto, serve a ridistribuire i succhi all'interno e a reidratare le parti più asciutte esterne. In questo modo la carne non si raffredderà. 
Ora potete salarla e tagliarla a fette spesse almeno un paio di centimetri con tagli obliqui, accortezza Questa modalità contribuirà a rompere le fibre e a rendere ancora più morbida la carne.




martedì 15 marzo 2016

Zuppetta di seppie e carciofi




E' vero che sui pescherecci si lavora sodo e si lavorava faticosamente ancora di più nel passato, quando sotto coperta non esistevano cucine attrezzate.
I pescatori, dunque, staccavano le loro barche dalle banchine e si dirigevano in mare aperto. Lì restavano anche per alcuni giorni consecutivi e,  se si trattava di mercantili, erano lontani dalle coste per lunghi periodi.
Comunque la si voglia girare, gli uomini di mare, da che mondo è mondo, ora come allora, necessitavano di cibo e mangiavano ciò che avevano a bordo.
A bordo, spesso, avevano....pesce e poco più.
Ora ho provato ad immaginare quel "poco più".
Diciamocelo, fossi stata un vecchio "lupo di mare" sul punto di aprire l'uscio di casa con la prospettiva di perdermi, con i miei compagni, tra i flutti del mare aperto, avrei cercato di sottrarre da casa qualche genere commestibile.
Ebbene, mi sono detta, per quel poco di ligure che ho nelle vene, partendo dal porto di....Albenga, non avrei, forse, infilato nella sacca quattro carciofi ed un pezzo di pane nero ormai raffermo?
Vabbè diciamo che i pescatori di quel lontano periodo storico, non essendo ancora nata la mia amica Valentina Venuti, non avrebbero saputo dove prendere un pane con farina multicereali oltre al grano arso.
Però non stiamo a sottilizzare....
E non sottilizziamo neanche sul fatto che in casa avevo quattro carciofi...sardi e non di Albenga. Il clima e la stagionalità non potevano permettere molto di più.
Venendo a noi, mi sono trovata tra i flutti della 55esima sfida MTC per la proposta di Anna Maria, blasonata chef, Presidente AIFB e vincitrice della sfida precedente, a preparare un brodetto dell'Adriatico o, comunque, una zuppa di pesce secondo le indicazioni da lei fornite nel suo post
Su questa pista, con l'attenzione rivolta alla stagionalità, ho dovuto muovermi utilizzando quel che avevo in casa: due seppie, quattro carciofi, oltre al pane regalatomi da Valentina.
E con questi ingredienti, ho proceduto. 
Del resto le seppie sono molluschi cefalopodi diffusissimi nel Mediterraneo, soprattutto nei tratti di mare con fondali rocciosi e misti a sabbia e fango.
Si possono catturare nel periodo tra settembre e gli inizi della primavera anche da riva, ma la modalità più fruttuosa è quella della pesca da barca, con la tecnica a traino, ovvero trainando lentamente l'esca sul filo della corrente, dopo averla calata in mare.
Insomma, non  faccio per vantarmi, ma  a casa avevo giusto due seppie fresche e con queste ho immaginato di preparare una zuppetta.
Zuppetta di seppie e carciofi (dosi per 2-3 persone)
Ingredienti
600 g di seppie (2 seppie)
4 carciofi
6 fette di pane tostato
2 spicchi di aglio
vino bianco
olio
sale
peperoncino giallo
senape in polvere
prezzemolo

Pulite le seppie ed i carciofi, tagliando questi ultimi in quattro. Se non troppo duri, ne potrete utilizzare anche i gambi.
Tagliate le seppie in grossi pezzi, cercando di mantenere integre le parti con i tentacoli, per rendere il piatto maggiormente scenografico.
Tostate il pane.
In una casseruola dal fondo non eccessivamente ampio, versate dell'olio e ponete all'interno anche un grosso spicchio di aglio lasciandolo lentamente rosolare.
Quando è imbiondito, eliminatelo e, alzata la fiamma. versate in pentola i molluschi.
Fateli  rosolare rapidamente, aggiungete un'abbondante spruzzata di vino bianco, lasciate che l'alcol evapori ed abbassate la fiamma al minimo.
Aromatizzate con un pizzico di peperoncino ed la punta di cucchiaino di senape in polvere.
Coprite con il coperchio e lasciate sobbollire lentamente per circa 35/40 min.
Nel frattempo, versate olio in una padella che possa contenere i carciofi, unite il secondo spicchio di aglio e, come fatto in precedenza, attendete che si rosoli lentamente.
Eliminatelo e versate in padella i carciofi.
Lasciate che prendano un minimo calore e quindi sfumateli con il vino bianco.
Quando l'alcool sarà evaporato, unite poco peperoncino giallo insieme ad una nuova punta di senape in polvere.
Ponete un coperchio sulla padella, lasciando stufare.
Aggiungete poca acqua se doveste avvedervi che il fondo è troppo asciutto.
Quando i carciofi saranno cotti, ma ancora croccanti, ovvero cinque minuti prima del termine, travasateli nella  casseruola dove state cuocendo le seppie e lasciate terminare la cottura
Le seppie saranno cotte quando avvertirete che le loro carni sono morbide e non gommose.
A questo punto aggiustate la sapidità del piatto con il sale e spolverate il tutto con il prezzemolo.
Il vino, unitamente all'acqua rilasciata dalle seppie in cottura, costituiranno il saporito liquido nel quale potrete far ammorbidire il pane tostato

Beh...visto che l'ho usato, vi lascio anche il link relativo al pane di Valentina: pane di campagna con lievito madre liquido




Con questa ricetta partecipo a MTC n. 55 del mese di marzo 2016




lunedì 29 febbraio 2016

Il fiadone o...dolce di ricotta


- Come dessert abbiamo del creme caramel, una crostata di albicocche o di susine e una torta di ricotta.
All'annuncio di quest'ultima, mi si illuminò lo sguardo rimasto inerte sino a quel momento.
Mi portarono un piatto con un "quadratone", in perfetto "stile maremmano", di un dolce dalla consistenza mista tra una torta ed un budino, Umido e soffice al tempo stesso.
Cominciai a fare supposizioni su quali ne potessero essere gli ingredienti ma il problema vero restava la crosticina sottilissima e leggerissima che lo copriva sulla parte superiore.
Un caramello? E poi...ricotta, zucchero, uova... Ma le uova come? I tuorli separati dagli albumi...
Si avvicinò il ristoratore che ormai ci conosceva e dopo avergli rivolto i complimenti per quel dolce, tentai un approccio per carpire qualche notizia più precisa
Mmmmhhhh...mica si sbottonò tanto: "Lo fa la ragazza che è in cucina"
Sai che notizia: era ovvio che qualcuno lo facesse...
La ricotta mi sviò facendomi credere che io mi fossi imbattuta in un dolce toscano, regalandomi la speranza che prima o poi sarei venuta a capo del dilemma e avrei trovato la ricetta.
Cominciai a chiedere ai negozianti che frequento da anni. Anche a quelli che cucinano con grande abilità e che hanno una indubbia conoscenza della tradizione culinaria toscana.
Nulla...mi guardavano perplessi e con un'aria interrogativa spiazzante.
Ed io, per mangiare quel dolce, continuai ad andare "al Paguro", piccolo locale posto al bivio tra Tirli e Punta Ala.
Sino a quando su fb, un giorno, mi apparve quest'immagine

Non ebbi dubbi: è lui!!! 

Anna Maria, un'amica foodblogger...e molto più che food blogger, aveva postato il dolce della mia ricerca. Lo aveva postato sul suo blog, "La Cucina di qb"
Scoprii così di aver trascorso anni fuori strada, perchè questo dolcino, fresco a semplicissimo è di tradizione corsa.
Sì, viene dalla Corsica e non si chiama "torta di ricotta" bensì "fiadone".
Andate da Anna Maria a leggerne descrizione ed indicazioni sicure.
Io mi sono limitata a ripetere la sua ricetta, aromatizzando il dolce con il ....cardamomo.


ll cardamomo è una pianta spesso utilizzata nelle ricette orientali. 
Lo si trova in due differenti specie: il più comune è coltivato in Occidente ed è di colore chiaro (quello da me utilizzato) l'altro, invece, è il cardamomo nero o nepalese, proveniente dall’area a est dei Balcani e dall’India ed è coltivato soprattutto nel subcontinente indiano, nello Sri Lanka e in Malesia. 
È anche uno degli ingredienti con i quali si ricava il curry.

Ho deciso di utilizzare questa pianta per il mio dolce poichè l'avevo in casa: mi serviva per un'altra ricetta. Ora che l'ho provato, troverà varie applicazioni. E vi consiglio caldamente di provarlo anche voi.
Ne è uscito un dolce leggero, profumato ed ottimo anche per una pausa caffè.
Ecco, dunque, il fiadone proposto da Anna Maria con la mia aromatizzazione al cardamomo.

Fiadone (o dolce di ricotta) (per 3-4 persone)


Ingredienti
250 g ricotta di capra
90 g di zucchero semolato 
1 g di cardamomo in polvere 
3 uova 
la scorza grattugiata di mezzo limone
sale

Preriscaldate il forno a 200° statico.
In una ciotola lavorate la ricotta unendola al cardamomo, alla scorza di limone ed al sale.
Separate, ora, i tuorli dagli albumi, montando i primi insieme allo zucchero ed i secondi, a neve ferma.

Unite la crema di ricotta ai tuorli montati ed infine aggiungete gli albumi inglobandoli con un movimento delicato, dall’alto verso il basso.
Coprite con carta forno bagnata e ben strizzata una teglia quadrata piccolina o uno stampo con cerniera dal diametro max di 20 cm. (io ne ho usato uno da 18 cm)

Infornate ed abbassate la temperatura a 180° lasciando che il dolce cuocia per circa 40’, ovvero fino alla doratura della superficie.
Sfornate, rovesciate la torta su un vassoio e fate raffreddare. 
Servitela dopo aver spolverato la superficie con lo zucchero a velo.

n.d.r.: il consiglio è di raddoppiare le dosi utilizzando una teglia quadrata da 20 cm per lato, per la cottura. Il dolce comunque non deve essere eccessivamente alto.
Quando l'ho assaggiato ho subito capito che  a casa di Anna Maria devono mangiare come uccellini, perchè le "boccucce delicate" che passano dalle mie latitudini, con quelle dosi, possono sopravvivere solo in tre....al massimo ;-)

  

martedì 23 febbraio 2016

Coq au vin secondo Julia Child



Quanto ho desiderato fare il coq au vin.
Lo vidi fotografato e ne lessi la ricetta in un opuscolo dedicato alla cucina francese che acquistai per poche lire (all'epoca c'erano ancora le lire) all'inizio della mia carriera di appassionata di cucina.
Ricordo che mi aggiravo per il vecchio negozio della libreria Feltrinelli, quella che occupava l'immobile posto all'inizio di Via XX Settembre,  alla scoperta di cose interessanti in tema culinario.
Per andare nel reparto dedicato, dovevi scendere nel piano sotterraneo e, giunto in fondo alle scale, dovevi  svicolare dal reparto dedicato alla filosofia e alla storia delle religioni, per trovarti dinanzi ad un grande bancone pieno di libri di cucina.
Lì, da un lato, era posto un distributore metallico carico di opuscoli a poco prezzo.
Nel tempo ne avevo acquistati un certo numero.
Non che mi sembrassero meritare grande credito: spesso si trattava di ricette semplificate, per principianti o poco più, come me del resto, però hanno avuto il merito di farmi ampliare lo sguardo su ricette non praticate in casa. 
Il coq au vin, allora, mi sembrò una ricetta complicata, ma guardavo con speranza al futuro ;-)
Nel mio futuro è entrato l'MTC che, iniziato come una semplice condivisione e occasione di divertimento tra foodblogger, è andata pian piano assumendo i contorni di una vera e propria scuola di cucina, attraverso il gioco ed il confronto.
Insomma....in casa ho avuto buoni esempi ma è vero che la partecipazione all'MTC ha affinato le mie capacità ed ora, a richiesta, sono pronta a brasare quel che volete, così come, a richiesta, sono pronta a fare ravioli come più li gradiate.
Forte di queste premesse, ho deciso di rispolverare l'originario sogno del coq au vin e questa volta, rileggendo la ricetta, mi sono trovata perfettamente a mio agio.
Non è davvero una ricetta difficile e soprattutto il risultato è splendido.
Ed allora non mi resta che raccontarvela secondo il procedimento che, comparando varie ricette rinvenute su alcuni blog, ho deciso di seguire.
Come premessa posso dirvi che, nelle varie occasioni nelle quali l'ho servito, ho sempre utilizzato solo ed esclusivamente cosce e sovracosce del pollo. Io sono rimasta molto soddisfatta; ho trovato una sola amica che di fronte alla mancanza del petto è rimasta leggermente interdetta. Forse varrebbe la pena utilizzare anche quest'ultimo, tenendo conto della diversa consistenza della sua carne.
Ho chiesto al macellaio di tagliarli in pezzi, staccando il "fuso"  e dividendo la sovracoscia in due parti. 
Altra modifica che ho apportato: l'accompagnamento classico del coq au vin sono le cipolline ed i funghi brasati.
In verità io ho utilizzato questi ultimi una sola volta; successivamente, poiché  ritengo accettabili i funghi congelati solo quando siano frutto della conservazione di quanto è stato raccolto fresco,  ho ripiegato con soddisfazione sulle carote. 
Generalmente, infatti, trovo piuttosto scarso il rapporto qualità/prezzo dei funghi congelati "in busta", 
La varietà dei contorni da me scelti per questo piatto, mi ha provocato un disguido circa la foto che oggi mi trovo ad allegare a questo post.
Appare evidente come non compaiano carote: evidentemente in quell'occasione, ebbi ad accompagnare il coq au vine con del purè di patate oltre che con le immancabili e deliziose cipolline che io adoro.
Mi perdonerete il disguido. Sono certa che tutti sappiate realizzare un purè di patate e che pertanto sia inutile darvene la ricetta. La ricetta principe peraltro è, senza dubbio  alcuno, il coq au vin.

Coq au vin (per 6-8 persone)

Ingredienti:
4 cosce e sovracosce di pollo (circa 1200 g)
100 g di bacon (in mancanza, pancetta affumicata tagliata non troppo sottilmente)
60 ml di cognac
500 ml di vino rosso (di media corposità. Io un Chianti)
500 ml di brodo di pollo (o anche vegetale)
1 cucchiaio colmo di concentrato di pomodoro
olio
2 spicchi di aglio
2 foglie di alloro
2 rametti di timo fresco
50 g di farina
40 g di burro ammorbidito
sale
pepe nero

ed ancora:
300 g di cipolline borettane
400 g di carote
vino rosso
pepe bianco (facoltativo)


Preliminarmente, eliminata la pelle del pollo, strofinatene la carne con sale e pepe.
In un tegame in ghisa o in terracotta, o comunque in una pentola dal fondo spesso. fate scaldare leggermente l'olio e quindi unite gli spicchi di aglio puliti,  la pancetta tagliata a striscioline e le foglie di alloro, lasciando che tutto rosoli su fuoco bassissimo.
Quando l'olio è caldo ed il grasso della pancetta è divenuto trasparente, prelevate quest'ultima mettendola da parte ed eliminate gli spicchi di aglio e le foglie di alloro.
Alzate la fiamma e rosolate i pezzi di pollo da tutti i lati, sino a che saranno divenuti di colore bianco al fine di chiudere i pori.
A questo punto unite nuovamente la pancetta coprite la pentola con il coperchio e lasciate cuocere per 10 minuti a fiamma bassa, rivoltando i pezzi di pollo dopo i primi 5 minuti.
Al termine di questa operazione, rimettete nel tegame la pancetta e, versato il cognac, flambate il pollo sino a quando le fiamme non si saranno spente per l'esaurimento dell'alcol contenuto nel cognac.
Versate adesso il vino nella pentola, insieme al brodo necessario a coprire a filo il pollo. Unite quindi il timo, il concentrato di pomodoro e, prelevandole dal peso totale, anche 2 carote di media grandezza, dopo averle pulite e tagliate grossolanamente a pezzi.
Quando il liquido avrà raggiunto il bollore, ponete la pentola sul bruciatore più piccolo, abbassate la fiamma al minimo, coprite con il coperchio e lasciate cuocere lentamente per circa 30-35 min.
Nel corso della cottura assaggiate il liquido nel quale sta cuocendo il pollo e nel caso doveste avvertire una eccessiva acidità dovuta alla presenza del vino, equilibrate il sapore con un pizzico o due di zucchero, regolando anche la sapidità, con l'aggiunta di eventuale sale.
Quando i rebbi della forchetta potranno penetrare nella carne senza incontrare resistenza, potrete prelevare il pollo, raccogliendolo in una ciotola a parte e lasciando il liquido di cottura nella pentola.
A questo punto frullate il liquido, unitamente alle carote e alla pancetta, servendovi di un frullino ad immersione, quindi alzate la fiamma e fatelo ridurre di un terzo. Mescolate, maneggiandola, la farina con il burro ammorbidito e versate questo composto nella salsa che si sta formando: lasciate che il liquido sobbolla sino a quando si sarà addensato. Rimettete il pollo in pentola affinché si rivesta della salsa.

Mentre il pollo sta cuocendo,  potete dedicarvi a preparare le cipolle e le carote (vi ricordo che, se volete, potete accompagnare questo piatto con i funghi in luogo delle carote, secondo tradizione e come da indicazione della ricetta originaria).

Mondate le cipolline borettane e le carote, tagliando a dadini queste ultime.
In una padella fate scaldare e sciogliere una noce di burro insieme a l'olio.
Fatevi rosolare i dadini di carota, quindi bagnate con il vino sino a quando sarà evaporato.
A questo punto bagnate con poco brodo affinché le carote si possano stufare lentamente. 
Aggiustate le sapidità con il sale  e insaporite con poco pepe bianco (facoltativo).
Una spolverata di prezzemolo e le carote conferiranno anche una bella nota di colore al piatto
Utilizzate il medesimo procedimento anche per le cipolle, bagnando con brodo e con poco vino.
Servite il pollo condendolo con la sua salsa ed accompagnandolo con le cipolle e le carote.

n.d.r. Le ricette che si trovano su internet spesso dicono che questo piatto può essere preparato anche con un giorno o due di anticipo, conservandolo in frigorifero.
Qualche giorno fa una mia amica, nel corso di una conversazione, mi ha detto che preferiva non riporre il coq au vin avanzato, in frigorifero perchè avrebbe perso sapore.
Mai osservazione fu più corretta.
Ho avuto modo di assaggiare questo piatto, sia preparato in giornata, che conservato per una notte in frigorifero: è inutile, nulla può sostenere la fragranza di una preparazione appena cotta, al confronto con altra scaldata. 
Ciò non toglie che sia altamente plausibile anche quest'ultima alternativa.
E' vero, comunque, che questa ricetta è assai comoda perché può serenamente essere praparata con ampio anticipo, rispetto alla venuta degli ospiti a cena.




  

























martedì 16 febbraio 2016

MTC n. 54: budini di ricotta e pere


Avendo un potere dolcificante maggiore rispetto allo zucchero di uso comune, la quantità di miele necessaria a dolcificare, è leggermente inferiore a quella alla quale siamo abituati.
Ecco...è proprio questo potere dolcificante che mi turbava enormemente nella realizzazione del dolce con il quale partecipo alla sfida mensile dell'MTC, la numero 54.
Via libera, dunque, alla creatività da parte dei Giudici che, nella persona di Eleonora Colagrosso e Michael Meyer del blog Burro e Miele, hanno posto a tema della sfida, il miele.

Io non sono una grande amante del miele, probabilmente perchè sin da bambina, non mi hanno assolutamente insegnato ad apprezzarlo ed anzi, ricordo quanto io restassi stupita quando sentivo qualche compagna delle elementari, lamentarsi perchè la madre era una irriducibile utiolizzatrice di questa sostanza con la quale dolcificava il latte, il té, i biscotti o il pane della propria figlia.
Per la verità... potrebbe essere un buon motivo per cui vergognarsi, ma credo di aver conosciuto il sapore del miele, in età già, per così dire, "matura",  tanto da non escludere sia avvenuta addirittura negli anni dell'Università.
Penso, pertanto che sia da addebitarsi a questa circostanza il fatto di non essere una grande amante di questo dolcificante naturale, così come di essere assai limitata nella conoscenza delle sue varietà
In genere, se non acquistassi io, in prima persona, miele di acacia o millefiori (ovvero i più delicati) o quello di castagno per il noto abbinamento con formaggi dal sapore molto intenso, credo che in casa, questo prodotto sarebbe "il grande assente". Nessuno ne avverte la mancanza.
Nonostante ciò,  giunta ad un'età matura nel vero senso della parola, sono giunta ad una sua utilizzazione su qualche fetta biscottata per la colazione del mattino.
Ecco, queste essendo le premesse, potete immaginare lo smarrimento che mi ha colto di fronte alla "rivelazione" del tema della 54esima sfida MTC
Non mi è rimasto che procedere secondo la linea della "adulterazione" di una ricetta nota, come la "torta ricotta e pere" di Sal De Riso che ho trasformato in un budino, delicato e cremoso.
Come frutta ho utilizzato una pera "Decana" non troppo matura, poichè trattasi di un frutto dalla polpa soda che ben tollera la cottura senza disfarsi.

Budini di ricotta e pere  (per 4 porzioni)

Ingredienti:
250 g di ricotta
2 uova
140 g di miele di acacia  
2 cucchiai di brandy 
1 bacca di vaniglia
170 g di polpa di pera (io, Decana)
80 g di zucchero di canna
1 cucchiaio di brandy
cannella
15 g di burro

inoltre:
1 fetta di pane morbido per tramezzini

La sera precedente mettete a scolare la ricotta in modo che si asciughi, perdendo il siero.
Preriscaldato il forno a 180°C, inseritevi la fetta di pane da tramezzini, facendola biscottare.
Estraete il pane dal forno lasciando che si raffreddi.
Scaldate a bagnomaria o al microonde per pochi istanti, i primi 80 g di miele, versatelo in un padellino, unitevi qualche goccia d'acqua e ponete tutto su fiamma media, lasciando che il miele si caramellizzi. Serviranno circa 2-3 min.
Versate il miele caramellato all'interno di 4 stampini in alluminio rivestendone le pareti.

Sbucciate la pera, tagliatela a spicchi e ricavatene dei piccoli cubetti.
In un padellino versate lo zucchero di canna e 20 di miele, bagnate lo zucchero con pochissima acqua e ponete tutto su fiamma media.
Quando lo zucchero inizia a liquefarsi e a sobbollire, unite la polpa di pera, il primo cucchiaio di brandy, i semi di mezza bacca di vaniglia, un pizzico di cannella.
Lasciate che le pere si rivestano del caramello, ammorbidendosi leggermente, senza disfarsi.
Scansate la padella dal fuoco, attendete che la temperatura si abbatta leggermente ed, infine, unite il burro, amalgamando tutto senza disfare i cubetti di pera.
Togliete la padella dal fuoco, scolate le pere dal caramello ancora liquido, mantenendo quest'ultimo per l'utilizzazione finale.
Mentre procederete alla realizzazione del composto di base dei budini, le pere si raffredderanno.

Separate, a questo punto, i tuorli dagli albumi, mettendo da parte questi ultimi perchè serviranno più tardi.
Sbattete i tuorli con 40 g di miele, che avrete in precedenza liquefatto con la medesima tecnica precedente (evitate che il miele si surriscaldi in maniera eccessiva per non cuocere i tuorli)
Quando il composto di tuorlo e miele inizierà a gonfiare leggermente, divenendo più chiaro, amalgamatevi la ricotta ed un pizzico di sale, continuando a sbattere sino ad ottenere una crema liscia.
Unite, quindi, a questo composto, i restanti semi di vaniglia, il secondo cucchiaio di brandy ed un pizzico di cannella.

Amalgamate, ora, le pere scolate dal liquido di cottura, al composto di tuorlo e ricotta.
Montate a neve ferma gli albumi ed uniteli con delicatezza al composto di tuorlo, ricotta e pera.
Riempite  sino a 3/4 gli stampini.
Ricoprite il fondo di una teglia con un doppio strato di carta forno e versate all'interno tanta acqua quanta è necessaria a raggiungere la metà dell'altezza degli stampini.
Collocate gli stampini nella teglia ed infornate per 40 min. circa.

Ponete nuovamente sul fuoco il caramello rimasto dalla cottura delle pere ed una volta che sarà caldo, ponetevi all'interno la fetta di pane biscottata, facendola caramellare ed ammorbidire.
Ritirate la padella dal fuoco,  lasciate che la fetta di pane si raffreddi anche tagliandola a piccoli pezzi irregolari.
Qualora vi doveste accorgere che  la parte interna della fetta di pane non sia stata ancora raggiunta dal caramello, riscaldate nuovamente il caramello, unendovi i pezzetti di pane sino a quando non saranno ben rivestiti dal liquido.

Quando i budini saranno freddi, sformateli e poneteli sul piatto. Decorate con il pane caramellato e con qualche goccia di caramello se vi è avanzato.

In ottemperanza alle regole stabilite per questa sfida MTC n. 54, lascio al vostro sconsolato sguardo questa terribile foto, relativa all'interno dei budini realizzati.



Con questa ricetta partecipo alla sfida MTC n. 54 del mese di febbraio 2016


  


  









martedì 9 febbraio 2016

Ravioli ai ceci, cacao e cioccolato





Se AIFB chiama, Giulietta risponde!
Se AIFB pensa di celebrare la "Giornata Nazionale dei Ravioli Dolci", io sono andata a cercare nel "covo" della mia memoria.
Lì, ho inizialmente rintracciato i ravioli con la ricotta di mia nonna ma poi, sfogliando un libro, ho avuto la percezione di aver assaggiato, nel mio passato, alcuni ravioli dolci farciti con un impasto di ceci e cacao, e resi particolari soprattutto dall'uso delle spezie.
Se navigate sul web, avrete la possibilità di scoprire una infinità di ricette regionali riguardanti i ravioli dolci.
Senza considerare che anche all'estero, specie in Oriente, non mancano ravioli dai più svariati ripieni
Credo che i ravioli dolci un tempo "balzati" sulle mie papille fossero tipici del teramano (i "cauciuni") realizzati con una farcia di ceci e cacao e caratterizzati dall'uso spiccato di varie spezie. Quelli di S. Apollonia, celebrati in questa Giornata Nazionale, me li hanno in qualche misura ricordati.
Ravioli dolci e fritti, come spesso accade in  questa categoria ricette.
Svelerò un segreto:  io amo i ripieni cremosi e mi è sembrato interessante provare a rielaborare questi ravioli, partendo dal cacao o dal cioccolato quale loro loro fondamentale ingrediente.
L'aromatizzazione all'arancia l'ho utilizzata quale mezzo per "spezzare" il gusto del cacao amaro e del cioccolato fondente, troppo violenti per il mio palato.
Ed allora, non posso che presentarvi "i miei ravioli dolci"

Ravioli ai ceci, cacao e cioccolato

Ingredienti (per 60 c.a ravioli dolci)
Per l'involucro esterno
320 g di farina 00
2 uova 
1 tuorlo
50 g di zucchero a velo
1 pizzico di sale
2 cucchiai di rum

Per la farcia
150 g di ceci
40 g di cacao
40 g cioccolato  fondente al 70%
100 ml di latte
20 g di tuorlo
40 g di zucchero
Vaniglia
100 g di arancia candita
30 g di gherigli di noce 

50 di pinoli 
30 ml di liquore all'arancia

olio di semi per friggere
zucchero a velo

Involucro: Dopo averla setacciata, mischiate lo zucchero alla farina, versatela sul piano di lavoro e formate una fontana all'interno della quale rompete le uova, unite il tuorlo ed amalgamate insieme il sale e la punta di un cucchiaino di vaniglia in polvere.
Lavorate l'impasto sino a renderlo morbido, aiutandovi anche con il rum.

Farcia
Dopo averli tenuti in ammollo per 12 ore, ponete in pentola i ceci e fateli cuocere in acqua, a fiamma media, per circa 2 ore. Dovrete ottenere dei ceci dalla consistenza morbida.
Scolateli e passateli per ridurli in purea.
A questo punto unite la polvere di cacao amaro.
Preparate, ora, una crema inglese portando a bollore il latte e versandolo successivamente sul tuorlo e lo zucchero che avrete precedentemente mescolati insieme. Versato il composto nel pentolino e portate a cottura la crema sino a raggiungere gli 82 ° C o sino a che vedrete il composto divenire leggermente setoso. Versate la crema sul cioccolato, mescolando ed unitela alla purea di ceci e cacao.
Frullate l'arancia candita sino ad ottenere una pasta che unirete al composto di ceci e cioccolato, aiutandovi anche con il liquore.
Amalgamate, infine, anche la frutta secca.

Riprendete l'impasto, stendetelo con l'aiuto della sfogliatrice sino alla penultima tacca.
Deponete sulla sfoglia piccoli mucchietti di farcia (io ho usato il cucchiaino da caffè) e sovrapponetevi l'altra parte di sfoglia sino a coprirla.
Con l'aiuto di un coppapasta del diametro di 45 mm, formate i ravioli, sigillando bene i bordi.

Versate abbondante olio in una pentola e fatelo scaldare sino a 176 °C, quindi deponetevi all'interno alcuni ravioli. In questo modo la temperatura dell'olio si abbasserà leggermente.
Se non siete dotati di una piastra ad induzione che mantiene il calore stabile, alzate ed abbassate la fiamma del bruciatore per non andare al di sotto dei 170° C e non superare i 176° C.

Quando i ravioli saranno dorati, scolateli dall'olio e deponeteli in un vassoio coperto da carta assorbente. Raccoglieteli, pochi per volta, in un piatto da portata spolverizzandoli con lo zucchero a velo.












mercoledì 3 febbraio 2016

Ravioli dolci alla crema di ricotta


Carnevale, ovvero... dolci fritti.
Non solo frappe/cenci ma anche ravioli dolci.
Paese che vai, raviolo che trovi.
Mia nonna, su esplicita richiesta del marito, tutti gli anni realizzava dei ravioli dolci con un ripieno di ricotta; ricetta con grande probabilità proveniente dalla tradizione siciliana e frutto degli anni trascorsi da mio nonno a Palermo, in qualità di giovane professore di Liceo.
Che dire, mi piacevano ma non ne ero entusiasta.
Cosa non amavo di quei ravioli? Il sentore di marsala, utilizzato per aromatizzare la ricotta.
Insomma, posta dinanzi ad un vassoio di ravioli dolci e ad un altro di "cenci", io preferivo questi ultimi, pur non disprezzando i primi.
Sono, ormai, trascorsi molti anni dagli ultimi ravioli dolci mangiati ed in casa se ne sentiva la nostalgia, così ho pensato di utilizzare la pratica da "raviolatrice" acquisita in questi ultimi mesi, per dedicarmi a pensarne una versione leggermente modificata  e più aderente al mio gusto.
Ho, infatti, unito la ricotta alla crema pasticcera, aromatizzando con il brandy ed unendo l'uvetta.
Ed ecco, quindi i

Ravioli dolci alla crema di ricotta (per c.a 35 ravioli)

Ingredienti:
per la sfoglia:
300 gr di farina 00
1 cucchiai di zucchero semolato
30 gr di burro
30 ml di brandy
1 uovo
1 tuorlo
vaniglia in polvere
sale

per la farcia
Ravioli bianchi
300 ml di latte
60 g. di tuorlo
60 g. di zucchero
60 g. di amido
vaniglia
200 g di ricotta
100 g di uvetta
30 ml di brandy

Lasciate ammorbidire il burro per poterlo mescolare al resto degli ingredienti.
Dopo aver setacciata la farina mescolatela allo zucchero e  ponetela sul piano di lavoro, formando una fontana, all'interno della quale inserite le uova, la punta di un cucchiaino di vaniglia, un pizzico di sale ed il burro.
mescolate tutti gli ingredienti, sino a formare un panetto liscio.
Mettetelo da parte dopo averlo avvolto nella pellicola.

Dedicatevi, ora, alla farcia, preparando la crema pasticcera.
Portate, dunque, a bollore il latte e versatelo su un composto di tuorlo, zucchero, la punta di un cucchiaino di vaniglia e l'amido che, nell'attesa, avrete predisposto.
Mescolate, versate tutto nuovamente in un pentolino e fate addensare.
Ponete attenzione nella fase di cottura perché l'amido tende a formare, con facilità, dei grumi che eviterete avendo l'accortezza di mescolare vigorosamente la crema, ritirandola dalla fiamma appena comincia ad addensarsi.
Riportate il composto sulla fiamma e continuate a mescolare. Proseguite in questo modo sin quando sarà sparito il sentore di farina.
Lasciate che la crema si raffreddi ed unitela alla ricotta.
Unite anche l'uvetta precedentemente ammollata in poco brandy e la quantità di liquore prevista.
Dovrete ottenere un composto molto cremoso ma sufficientemente denso da formare dei mucchietti.

Riprendete il panetto, stendetelo con l'aiuto della sfogliatrice sino alla penultima tacca.
Deponete sulla sfoglia piccoli mucchietti di farcia (io ho usato il cucchiaino da té) sovrapponendovi l'altra parte di sfoglia, sino a coprire la farcia.
Con l'aiuto di uno stampino del diametro di 60 mm, formate i ravioli, sigillando bene i bordi.

Versate abbondante olio in una pentola e fatelo scaldare sino a 176 °C, quindi deponetevi all'interno alcuni ravioli. In questo modo la temperatura dell'olio si abbasserà leggermente.
Se non siete dotati di una piastra ad induzione che mantiene il calore stabile, alzate ed abbassate la fiamma del bruciatore per non andare al di sotto dei 170° C e non superare i 176° C.

Quando i ravioli saranno dorati, scolateli dall'olio e deponeteli in un vassoio coperto da carta assorbente. Raccoglieteli, poco per volta in un piatto di servizio, spolverizzandoli con lo zucchero a velo.