sabato 31 ottobre 2015

MTC N. 51 - TEMA DEL MESE: LE UOVA RIPIENE E UN MOSTRUOSO HALLOWEEN A TUTTI!


di Ilaria Talimani Soffici
A chiudere le splendide ricette "ripiene" per il tema di questo mese ci sono le uova ripiene (ovvio), un antipasto tradizionale, a cui si possono apportare alcune varianti, che di base ha l'utilizzo del tuorlo sodo mescolato con tonno e maionese.
Possono essere esteticamente semplici o raffinate a seconda dell'occasione in cui dovrete presentarle, ma oggi ve le proponiamo in versione "mostruuuosaaa" per arricchire il vostro buffet di Halloween.


Immagine da qui

Ingredienti per 6 persone:

  • 6 uova sode
  • 125gr tonno in scatola (io ho la fortuna che papino lo pesca e me lo prepara con le sue manine)
  • maionese
  • 1 cucchiaino di capperi (si possono omettere)
  • 3-4 acciughe in barattolo (si possono omettere)
  • olive
  • paprika dolce (si può omettere)
Immagine da qui

Una volta pronte le uova, mettetele subito sotto un getto di acqua fredda in modo che siano più semplici da sbucciare.
Di solito le uova si tagliano a metà in orizzontale, ma in questo caso per necessità coreografiche le taglierete longitudinalmente (o per la loro lunghezza). Svuotate gli albumi dal loro tuorlo facendo attenzione a non romperli. Versate i tuorli in una ciotola a cui unirete il tonno, la maionese, i capperi. Mescolate energicamente. Procedete ad amalgamarli con il frullatore ad immersione in modo da ottenere un ripieno cremoso.
Se volete rendere le uova ancora più mostruose aggiungete a questo punto un po' di paprika dolce.
Riempite i gusci di albume con il composto ottenuto.
Prendete le olive nere denocciolate e tagliatele a metà per la lunghezza, Adagiate mezza oliva al centro del ripieno, l'altra metà tagliatela a striscioline con cui farete le zampette del ragno.


Immagine da qui
Note:
*questa ricetta si presta a molte variazioni, io stessa cambio gli ingredienti a seconda della disponibilità. L'acciuga di norma la posiziono arrotolata sopra come decorazione e non nel ripieno.
*una gustosa alternativa è aggiungere al ripieno una patata precedentemente lessata, in questo caso occorrerà eliminare i capperi e ridurre il quantitativo di maionese
*per una versione light e un gusto differente si può ridurre la maionese mescolandola con lo yogurt bianco
E un mostruoso Halloween a tutti!!!

venerdì 30 ottobre 2015

MTC N. 51 - TEMA DEL MESE: LE VERDURE RIPIENE (RIGOROSAMENTE ALLA GENOVESE!)



di Giulia del Gatto - Sex and the Kitchen


Le verdure ripiene sono un piatto di tradizione ligure, e precisamente genovese. Alcuni elementi sono comuni a molte preparazioni liguri e si caratterizzano per il ripieno “di magro”, costituito cioè da elementi di recupero, in questo caso rappresentato dal pane, e dall’assenza di carne nel ripieno; laddove invece questa sia presente viene utilizzata come “riciclo” quindi, presente in minima parte.


La scoperta dell’America consentì l’ingresso nella nostra penisola, di ortaggi e verdure fino ad allora sconosciute, pomodori, melanzane, zucchine, peperoni, presenti allora come oggi sulle nostre tavole.







Melanzane e Zucchine ripiene (ricetta di Alessandra Gennaro)


per 6 barchette di verdure (tre melanzane o tre zucchine)

  • 60g pane raffermo
  • 1 bicchiere di latte
  • 30g porcini secchi
  • sale pepe maggiorana (in abbondanza!)
  • parmigiano (abbondante)
  • 1 tuorlo
  • pane grattugiato



Lavate gli ortaggi, e sottoponeteli a breve precottura lessati o al vapore: basteranno una decina di minuti o poco meno.
Non appena sentite con la forchetta che sono diventati teneri, sono pronti. Scolateli, lasciateli intiepidire, e poi tagliateli a metà longitudinalmente.
Svuotateli della polpa con un cucchiaino , delicatamente per non rovinarli creando così delle vaschette, disponeteli a testa in giù su di una teglia in modo che perdano tutta l’acqua della precottura. Disponeteli successivamente in una pirofila leggermente unta.
Mettete a bagno i funghi secchi nel latte per 5 minuti, tagliate a cubetti la mollica di pane e bagnatela con il latte di ammollo dei funghi. Quando si ammorbidisce strizzate l’eccesso di latte e aggiungete la polpa della verdure senza mischiare i ripieni (creare due ripieni separati per le zucchine e le melanzane ognuno composto dalla sola polpa dell’ortaggio che va riempito).
Aggiungete gli altri ingredienti: il parmigiano grattugiato, la maggiorana in abbondanza, i funghi secchi sminuzzati e le uova. Ora il ripieno è pronto.
Con un cucchiaino riempite le barchette di verdure, poi spolverateli di pan grattato, fate un giro di olio extravergine di oliva e infornate a forno già caldo a circa 200 gradi , finché la superficie non sarà bella dorata, (più o meno 15/20 minuti, ma controllate voi).


Cipolle Ripiene di Tonno


Per 5 cipolle piccole

  • 50-60g pane raffermo
  • 1 bicchiere di latte
  • sale pepe maggiorana
  • 80g di tonno ripieno
  • 1 albume
  • parmigiano (abbondante)
  • pane grattugiato



Per la preparazione seguite le indicazioni della ricetta per le zucchine e le melanzane, sostituendo ai funghi secchi 80g di tonno sgocciolato e il solo albume invece del tuorlo.



*  per le piccole quantità ho utilizzato solo il tuorlo invece di un uovo intero, basta regolarsi con la quantità di pane utilizzata.. e per queste ricette vale la regola “a occhio”…


*  le ricette si prestano a mille varianti per aromatizzare i ripieni.. scommetto che ognuno di noi avrebbe molto da dire, personalmente, mi ha molto sorpreso il gusto dei funghi secchi.. semplicemente delizioso!









giovedì 29 ottobre 2015

MTC N. 51 - TEMA DEL MESE: IL CONIGLIO PORCHETTATO



di Antonella Eberlin Cucino Io

Con il termine "porchettare" si intende un metodo di preparazione che si ispira alla "porchetta", cioè il maialino disossato, imbottito di spezie ed erbe profumate e cotto intero al forno o al girarrosto e si applica ad altre carni (agnello, coniglio) o pesci (carpa). Di qui, il "coniglio porchettato" (o "coniglio in porchetta"). La porchetta è documentata fin dal basso Medioevo, ma è possibile che sia una preparazione ancora più arcaica.
Nel 1813 Luigi Nardi - un sacerdote coltissimo - pubblicò un'operetta intitolata "Porcus Troianus", dove dimostrava, classici alla mano, l'origine romana della porchetta. Il coniglio ne è un discendente più recente.  Lo si cominciò ad apprezzare solo nel Settecento, influenzati dalla vicina Francia. Prima di allora lo si allevava esclusivamente per il pelo. Se l'area tipica della porchetta di maiale è l'Italia Centrale, e in particolare la bassa Toscana, l'alto Lazio, l'Umbria, le Marche e la Romagna meridionale, quella del coniglio in porchetta è molto più ristretta e si riduce al cesenate, al riminese, al pesarese e all'urbinate. Dentro quest'area c'è la zona, dove si cucina veramente a regola d'arte, e cioè la valle del Marecchia, da Santarcangelo fino a Pennabilli e oltre. La marecchiese è la strada che collega l'Adriatico con l'aretino. E' la via di penetrazione delle preparazioni e dei sapori centroitaliani, porchetta compresa. Se vogliamo restringere ulteriormente la zona, diciamo che i "santuari" del coniglio in porchetta stanno tutti tra Santarcangelo e Verucchio.
Per prepararlo solitamente si farcisce l'interno con un trito di lardo, sale, pepe, aglio e barbe di finocchio selvatico, si stecca con i rametti di questa pianta odorosa, se ne spalma la superficie con lo strutto o col lardo e si cuoce al forno. La carne dovrà essere tenera dentro e croccante e ben caramellata fuori.
Questa è la preparazione canonica, ma si conoscono numerose varianti. C'è chi il coniglio lo cuoce al tegame. Chi lo bagna col vino. Chi lo disossa. Il solo punto fermo è l'intenso aroma di finocchio selvatico. Rigorosamente fresco. Se si vuole apprezzare tutta la fragranza del coniglio in porchetta, bisogna quindi gustarlo d'estate, da giugno alla fine d'agosto.
Senza quindi avere il finocchietto fresco, questa è la mia versione del coniglio porchettato.

Ingredienti:

  • 1 coniglio (circa 1,200 Kg)
  • g 100 di pancetta stesa
  • 2 spicchi di aglio
  • una manciata di erbe aromatiche (salvia, rosmarino, mirto)
  • olio, sale e pepe


Preparazione:
Lasciate in acqua e aceto il coniglio per qualche ora o una nottata poi lavatelo e asciugatelo. Procedete a disossarlo con coltelli adatti e ben affilati. Spianatelo, controllando che non siano rimaste schegge o pezzetti di osso e coprite l'interno del coniglio con fette di pancetta, qualche fettina di aglio, sale, pepe ed erbe aromatiche: salvia, rosmarino e mirto.
Arrotolate per il lungo il coniglio per farne un grosso salsicciotto. Avvolgete tutto il coniglio in fette di pancetta stesa. Legate il coniglio in modo che resti in forma. Io ho usato degli elastici appositi. Aggiungete dei rametti di rosmarino legandoli o fermandoli tra gli elastici.
Mettete un paio di cucchiai di olio evo in un tegame e aggiungete il coniglio. Lasciate cuocere per 45 minuti circa, coperto a medio calore. Fate attenzione che non si attacchi al fondo, scuotendo il tegame spesso e girando il coniglio un paio di volte durante la cottura, in modo che si rosoli da tutti i lati.
Dopo una decina di minuti dall’inizio della cottura aggiungere un bicchiere di vino bianco secco.
Per gli ultimi dieci minuti lasciare il tegame senza coperchio in modo da far asciugare e restringere il fondo. Regolare di sale.
Un volta cotto e lasciato riposare qualche minuto, tagliarlo a fette e servire.



mercoledì 28 ottobre 2015

MTC N. 51 - Il pollo ripieno che veniva da lontano



della premiata ditta Cristiana di Paola - Beuf à la mode & Giulia Robert - Alterkitchen

Scena di banchetto, da un affresco di Pompei, I d.C.

L'abitudine di farcire di ripieno gli animali da cucinare arrosto viene da lontano, dalla tradizione culinaria dell'antica Roma. Famoso era infatti il porcus troianus, il nome che i Latini avevano attribuito al maiale ripieno (di salsicce, ma anche di volatili o selvaggina) per similitudine con il cavallo di Troia dell'Odissea, “farcito” da Ulisse di guerrieri Achei.

La fonte più famosa che attesta questo spettacolare piatto è il Satyricon di Petronio, nel quale possiamo leggere questo brano:


«Ancora non aveva tutto effuso, che un'alzata con un maiale gigantesco si insediò sulla tavola. Noi ci mettemmo a far le meraviglie per la sveltezza, ché nemmeno un pollo, giuravamo, si sarebbe potuto cucinare così in fretta, tanto più che nella fattispecie quel maiale ci sembrava molto più grosso del cinghiale di poco prima. Ma Trimalcione, dopo che l'ebbe esaminato ben bene, “o come? Come? - sbottò. - Questo porco non è stato sventrato? Proprio no, per dio! Qui, qui il cuoco nel mezzo”.

Il cuoco con aria afflitta si ferma davanti alla tavola ed ammette che di sventrarlo lui se n'è dimenticato. “Come dimenticato? - Trimalcione esclama. - Pare quasi che non ci abbia messo pepe e comino. Spogliarlo!”. Non si perde un momento: il cuoco viene spogliato e se ne sta lì contrito in mezzo a due aguzzini, però tutti incominciano a intercedere e dire: “Son cose che càpitano. Ti preghiamo, lascialo andare! Se gli càpita di nuovo, più nessuno di noi pregherà per lui”.

Io invece, di una severità veramente spietata, non riesco a trattenermi, ma, chinato all'orecchio di Agamennone, “Proprio un bel fannullone - gli sussurro - ha da essere questo schiavo. Chi andava a dimenticarsi di sventrare un maiale? No, per dio, non gli perdonerei, avesse avuto l'amnesia con un pesce”. Ma non Trimalcione, che, spianato il volto a un sorriso, “Avanti, - disse, - poiché hai la memoria così corta, sventralo davanti a noi”.
Ricuperata la tunica, il cuoco afferra un coltello e con mano guardinga incide qua e là il ventre del maiale. Sul momento dai tagli che via via si allargano sotto la spinta del ripieno traboccano salsicciotti e ventresche»


Immagine presa da qui



L'usanza di presentare piatti grandiosi, in grado di stupire i commensali, continuò anche nei banchetti di epoca medievale, soprattutto nel Basso Medioevo, quando non erano rari i tripudi di animali arrostiti e ripieni, dal più grande al più piccolo. Si poteva infatti assistere allo “spettacolo d'arte varia” di un cervo ripieno di cinghiale ripieno di capriolo ripieno di vitello ripieno di cappone ripieno di lepre ripiena di anatra ripiena di fagiano ripieno di pernice ripiena di tordo ripieno di piccione ripieno di quaglia (che al mercato mio padre comprò). Una portata come questa, oltre a consentire lo sfoggio delle arti proprie del Trinciante, maestro di coltello al servizio del Signore, ben si sposava con i principi della dietetica dell'epoca, intimamente legata all'appartenenza sociale: a classi diverse, cioè, corrispondevano cibi diversi da consumare. E questa esaltazione delle carni era la perfetta rappresentazione dello status e della forza del Signore: in epoca medievale, infatti, la carne era considerata il cibo che più di ogni altro aveva la capacità di nutrire il corpo e renderlo forte, acquisendo così un enorme valore simbolico e di appartenenza sociale, ancor più se la carne proveniva da una battuta di caccia. «Consumare selvaggina era un autentico rito di classe, che celebrava la forza del guerriero, cacciatore, capace di guadagnarsi il cibo attraverso la pratica violenta della caccia, per poi rifornire, mediante quel cibo, il suo corpo dell'energia che nuovamente gli avrebbe consentito di praticar la caccia e di mostrarsi valoroso in guerra».

La voglia di stupire si realizza pienamente nell’invenzione degli entremets, creazioni fatte per divertire gli ospiti. Potevano presentarsi sotto forma di riempitivi semplici da inserire tra una portata e l’altra o sotto forma di animali serviti come fossero vivi.



Presa da qui

Cigni e pavoni acconciati in posizione naturale e riproposti con tutto il piumaggio. Di solito venivano scuoiati e rivestiti di un’intelaiatura che ricreava le fattezze originali. Un esempio di entremet è il Cockentrice (1425), un divertissement (ognuno si diverte a modo suo!), in cui un maialino veniva tagliato a metà e cucito con un cappone dando vita ad un ibrido, a parer mio ben poco attraente.


Immagine presa da qui


Con il Rinascimento e l’affermarsi delle corti i banchetti si trasformano in vere e proprie rappresentazioni in cui il Signore può mostrare pubblicamente la propria magnificenza.
La selvaggina e gli animali da piuma in generale vengono messi da parte a favore degli animali d’allevamento. Ritornano le bestie farcite di altri animali come nel caso del banchetto tenutosi a Tortona in occasione delle nozze fra il duca di Milano Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d’Aragona nel 1489.

Baldassare Taccone, poeta della corte sforzesca così lo descrive:

“…triumpho uno vitello inargentato qual serà pieno de ucelli vivi con duy vitelli cocti pieni de pernice e fasani cocti donato da Mercurio…”

Sempre nello stesso periodo si affinano le tecniche e cominciano a comparire sulle tavole i timballi, che possono prendere le sembianze di animali. “Pasticci volativi” che al momento del taglio presentavano una sorpresa: al proprio interno animali vivi, spesso volatili, che spiccavano il volo per poi morire subito dopo.



Immagine presa da qui


Grazie alla presenza di questi piatti, dei musici, dei saltimbanchi e degli attori i banchetti si trasformavano in delle vere e proprie rappresentazioni sceniche. 

Con la fine del Rinascimento la storia della gastronomia prende una piega diversa, con un maggiore interesse verso la sostanza più che l’apparenza…ma questa è un’altra storia.

Bisognerà attendere i banchetti della corte francese di fine XVIII secolo-inizio XVIII per vedere nuovamente apparire tripudi di animali ripieni, fino a giungere all'esempio più estremo, la ricetta del “rôti sans pareil“ (letteralmente "arrosto senza pari") del gastronomo francese Grimod de la Reynière, apparsa nel suo "Almanacco dei golosi" datato 1807, che altro non è se non una colossale matrioska formata da ben 17 volatili posti l'uno dentro l'altro.

Si comincia con un’otarda, grande uccello terricolo che può raggiungere il metro di lunghezza e pesare fino a 20kg.
Dentro l’otarda si mette un tacchino.
Dentro il tacchino un’oca.
Il ripieno dell’oca è un fagiano.
Dentro il fagiano si mette un pollo.
E dentro il pollo? Un germano reale.
Poi è una faraona che finisce dentro il germano reale.
Faraona: ripiena di alzavola, che è un tipo di anatra.
Nell’alzavola? Una beccaccia.
Quindi una pernice dentro la beccaccia.
Dentro la beccaccia un piviere.
E nel piviere si mette una bella pavoncella.
Che conterrà una quaglia.
Ripiena con un tordo.
Nel tordo? Un’allodola.
E quindi un ortolano – una specie di passerotto – che finisce dentro l’allodola.
Nell’ortolano, infine, un canapino, altro passeriforme.
A questo punto c’è solo più lo spazio per un’oliva e due capperi.

Immagine ed elenco dei volatili da qui
E mi raccomando, se decidete di procurarvi tutto e provarle a rifarla, non dimenticate l'oliva e i capperi ;)
  


Fonti:

Petronio, Satyricon
M. Montanari, I racconti della tavola, p. 9
M. Montanari, Storia dell’alimentazione, Editori LaterzaS. Masci, Leonardo da Vinci e la cucina rinascimentale. Scenografia, invenzioni, ricette, la Feltrinelli
http://www.castellarquato.com/cucina/medioevo.php
http://www.taccuinistorici.it/ita/news/moderna/usi---costumi/Figure-di-Servitori-Storia-della-gastronomia.html
https://lauramalinverni.wordpress.com/category/cucina-del-rinascimento/
http://www.slideshare.net/CaterinaBonaiti/rinascimento-a-tavola
http://ontanomagico.altervista.org/entremets.html
http://www.godecookery.com/cocken/cocken02.html

martedì 27 ottobre 2015

MTC N. 51 - TEMA DEL MESE: LA CIMA ALLA GENOVESE


di Vittoria Traverso - La cucina piccolina

La cima ripena (A çimma pinn-a) è il piatto freddo di carne più tipico ligure e consiste in una tasca di carne ricavata dalla pancia del vitello (la parte che copre le costole) spessa circa mezzo centimetro, coperta da una pellicina su tutte e due i lati, piegata a libro e cucita, riempita di un composto di carne, frattaglie, verdure e uova, lessata poi in brodo, raffreddata sotto un peso, affettata e servita con insalata, sottaceti o insalata russa. E’ un piatto elaborato tipico delle festività. Immancabile sulla tavola nel giorno dell’Epifania, che a Genova è detta Pasquetta, e per la scampagnata del Lunedì dell’Angelo,il giorno dopo Pasqua.

L’origine storica del piatto rientra in quella tradizione culinaria genovese dedita all’utilizzo di pochi ingredienti della scarsa produzione locale e molto costosi di importazione che arrivavano a Genova da tutto il mediterraneo con le navi mercantili.
In una terra stretta fra mare e montagne subito impervia, dove il terreno coltivabile e anche quello da dedicare all’allevamento è scarsissimo, le massaie si sono sempre ingegnate a sfruttare al massimo ogni risorsa. Da qui la cucina della lavorazione e trasformazione di materie prime “povere” per realizzare piatti sopraffini e il sapiente dosaggio di erbe e spezie per arricchire e insaporire. In questo contesto nasce la “cucina del ripieno” con i ravioli, i pansoti, le torte di verdura e la Cima Ripiena dove si sfrutta un taglio di carne altrimenti inutilizzabile e si trasformano uova e frattaglie in un piatto elegante e di sicuro effetto scenico.

 CIMA ALLA GENOVESE


  •  1 cima di vitello da 6 uova (circa 1 kg):
  • 6 uova
  • 1/3 cervella 
  • 100 gr filoni e animelle 
  • 100 gr carne di vitello
  • 50 gr piselli finissimi (anche surgelati)
  • 1 carota
  • 2 cipollotti
  • 20-30 gr parmigiano 
  • Burro
  • Maggiorana
  • Sale, pepe

Per il brodo:
  • Sedano, Carota, Cipolla
  • Alloro
  • Sale, Pepe in grani

Stendete il pezzo di carne sul piano di lavoro con la parte esterna sul tavolo e ripulite l’interno dall’eccesso di grasso e pelle, rendendo uniforme lo spessore e stando ben attenti a non bucare la pelle.
Piegatelo in due nel senso delle fibre, in modo da averle il lato lungo dove cucite la tasca lasciando aperto parzialmente un lato corto che chiuderete dopo averla farcita. Usate il punto smerlo o punto coperta.
Riempitela di acqua per controllare che non ci siano perdite, altrimenti provvedete a chiudere le falle.
Svuotatela, asciugatela esternamente e preparate il ripieno.
Tagliate la carne di vitello a dadini piccoli e saltatela in padella con poco cipollotto, qualche dadino di carota, burro e sale, non cuocetela troppo.
Spellate cervella e filoni e tagliateli a pezzetti piccoli. Scottate le animelle, spellatele e tagliateli a pezzetti piccoli. Saltate le carni in padella con burro e cipollotti affettati fini.
Pulite la carota, riducetela a dadini e scottatela in acqua bollente con i piselli.
Riunite insieme verdure e carni.
Battete le uova con il parmigiano, sale, pepe, poca maggiorana tritata fina. Aggiungete le carni e le verdure. Deve restare un composto semiliquido, con prevalenza di uovo.
Sistemate la tasca di carne in un recipiente alto e stretto e con l’imboccatura aperta per facilitarvi l’operazione di riempimento. Se qualcuno gentilmente ve la tiene, meglio.
Riempite la tasca già cucita solo per metà sennò in cottura scoppia.
Cucite l’apertura rimasta cercando di lasciare dentro meno aria possibile.



Mettete la cima a bollire in una casseruola grande, coperta di acqua e con i gusti da brodo. Salate e portare a bollore. Fate sobbollire delicatamente almeno 1 ora e mezza a fuoco basso girandola ogni tanto e bucandola con un spiedo per evitare che scoppi e diventi irrecuperabile.
Spegnete il fuoco e quando non è più troppo calda tiratela fuori e mettetela a raffreddare sotto un peso. Togliete il telo solo quando è ben fredda e compatta e tagliate a fette non troppo spesse


Accompagnate con: insalata verde, sottaceti, ratatuia, capponata o insalata russa
Da bere: Bianchetta del Tigullio
Note:
-Si possono aggiungere al ripieno spicchietti di carciofo e pinoli.
-E’ uso della riviera ligure aggiungere al ripieno degli spinaci scottati,  strizzati e tritati grossolanamente.
-Per evitare che, in caso di rottura, il ripieno vada nel brodo fasciate la cima in un telo bianco (senza odore di sapone) e legate non troppo stretto.
-Le fette avanzate si possono impanare e friggere come cotolette. Buonissime

lunedì 26 ottobre 2015

MTC N: 51 - TEMA DEL MESE: LE TOMAXELLE


di Tritabiscotti
Le Tomaxelle sono una ricetta ligure molto antica, costituita da involtini di carne cotti nel sugo.
Una ricetta molto semplice, ma di certo risultato e gusto.
Sulle sue origini ho trovato alcuni differenti "filoni", e mi limiterò a riportare i frutti delle mie ricerche.
Storia e leggende
Racconta lo storico Dolcino:
“Nell’anno 1800 Genova visse una delle congiunture più drammatiche della sua esistenza.
Le truppe francesi del generale Massena – che doveva essere ribattezzato Ammassa Zena  (Ammazza Genova) - vi si erano asserragliate, strette dagli inglesi sul mare e dagli Austriaci per terra. I disagi aumentavano giorno dopo giorno, la fame serpeggiava per tutti, a rivoli sempre più inquietanti (…) Eppure, quando venne fatto prigioniero un gruppetto d’ufficiali austriaci, fu loro servito un piatto che li costrinse a sbarrare gli occhi: odorose, appetitose Tomaxelle (…) Si trattava di un espediente comune nell’arco della storia, volto a scoraggiare gli assedianti, a mostrar loro che gli assediati erano ben lungi dalla fine per inedia; ma in realtà, almeno per allora, non si trattava di una preparazione costosa”.
Le "Tomaselle" - possiamo tradurre così, piuttosto che ricorrere al più anonimo "Involtini di carne" - rappresentavano il più classico dei "piatti di recupero", preparato utilizzando quant'era rimasto dell'umido o dell'arrosto dei giorni festivi. Soltanto in seguito entrarono per chiari meriti nel libro d'oro della nostra gastronomia, sostituendo qualche ingrediente, e aggiungendone altri con eguale saggezza.
Nessun Tommaso, al proposito, né alcuna Tommasina è alle origini: il nome - dopotutto un altro particolare che ne illustra la vetustà - deriva dal tardo latino "tomaculum", che designava una sorta di salsicciotto.
E allo stesso tempo si può leggere:
"... I soldati nemici catturati ricevevano la stessa razione di viveri delle truppe francesi e liguri, mentre gli ufficiali venivano nutriti "alla carta". Esistono nell'Archivio di Stato di Genova alcuni mandati di pagamento per "Cibarie agli ufficiali prigionieri" assai interessanti. Ne riportiamo un paio a conferma di quanto sopra. Il primo, in data 10 aprile, si riferisce al vitto, per una giornata, per 24 ufficiali austriaci ed elenca il menù, con relativo prezzo, come segue: "pane, vino (amole 2 per ognuno a pranzo e cena); tomaxelle solo a pranzo; baccalà; minestra ; arrengo e insalatta a pranzo e cena; cena ragò; insalatta". Il conto sarebbe asceso secondo l'estensore a 184 lire, meno uno sconto di 14 lire praticato dall'oste. Un secondo mandato di pagamento all'aiutante Bonelli, per 340 lire, porta la data del 14 aprile ed elenca per il pranzo agli ufficiali austriaci: "minestra, pane, manzo bollito, vitella arrosto, insalatta"; e per cena: "pane, vino, cima piena e insalatta". Bonelli aggiunge che il comandante ammalato si è accontentato di "fideli, ova, cetroni. ..."
da Antonino Ronco nel suo "L'assedio a Genova 1800"
Nulla si dice di cosa ci fosse però dentro questi involtini... in molti libri, compreso quello da cui ho preso la ricetta "La cuciniera genovese" il ripieno è costituito da carne tritata.
Ho trovato però un sito, “Mangiare in Liguria”, che riporta un ripieno a base di verdure e in bianco, sostenendo infatti che:
- La carne in Liguria non è mai stata abbondante e quindi essa era parecchio costosa
- Non è una ricetta di recupero, poiché costringe a comprare nuova carne, le fettine, per utilizzare quella tritata (possibile scarto)
-Le verdure, base della cucina ligure, non sono assolutamente presenti
-Il pomodoro ha fatto ingresso molto tardi nella cucina genovese
- Il vocabolo Tumaculum può anche voler dire "Contenitore di ripieno"
Un piatto quindi che veniva preparato quando la carne era davvero poca, magari nei momenti di brigantaggio, momenti in cui si potevano utilizzare carni di animali morti accidentalmente.
A voi l'ardua sentenza direbbe qualcuno...

Io mi sono affidata alla Cuciniera genovese, proponendo quindi la versione più conosciuta con carne nel ripieno e pomodoro.
Ingredienti:

  • 12 fettine di carne battute con il batticarne
  • 100 gr carne tritata
  • la mollica di un panino bagnata nel brodo
  • aglio prezzemolo e maggiorana tritata
  • noce moscata
  • 60-80 gr formaggio grattugiato
  • 2 uova
  • sale e pepe q.b.
  • 1 cipolla
  • 1 carota
  • 1 scatola di pelati
  • mezzo bicchiere di vino
  • burro e olio
  • 10 gr funghi secchi
Esecuzione:
Lasciare cuocere leggermente la carne triata in poco olio. Aggiungere il trito costituito da aglio, prezzemolo e maggiorana.
Ammollare i funghi in acqua calda.
Aggiungere le uova, il pane ammollato nel brodo, il formaggio, la noce moscata e regolare di sale e pepe. Se l'impasto è un po' troppo morbido aggiungere un po' di pane grattugiato.
Formare gli involtini chiudendo un poco di impasto all'interno di ciascuna fettina di carne, chiudendo poi con degli stuzzicadenti.
In una casseruola soffriggere la cipolla e la carota. Aggiungere i funghi, poi gli involtini e lasciare insaporire. Sfumare con il vino bianco. Aggiungere i pelati schiacciati con la forchetta e regolare di sale e pepe, cuocendo a fuoco basso fino a che la salsa non si sia addensata.

Fonti:
"La cuciniera genovese" di G.B. e Giovanni Ratto

domenica 25 ottobre 2015

MTC N. 51 - IL TEMA DEL MESE: DJAJ MAHSHI (POLLO RIPIENO ALL' ALGERINA)


di Elisa Dondi

Stavolta la roulette russa mi ha quasi uccisa! Mi fingo morta?!?  Ma no, reagisco e vi racconto come è andata. La scelta del tema del mese in stile roulette russa, ovvero senza conoscere la faccenda di cui occuparsi, mi intriga sempre, perché l' MTCHALLENGE non è solo una scuola di cucina, ma è anche scuola per imparare ad alzare l'asticella. Talvolta si scopre che forse si sottovaluta la prova o si sopravvaluta l'esecutore; quello che è certo è che vi si dedicherà anima e corpo e che comunque vada, qualcosa si impara sempre.
Dagli errori cerco sempre di imparare, sono la scuola più cruda ed efficace. 

La ricetta è il pollo ripieno di riso all'algerina, altrimenti detto djaj mahshi ( o djadj o giagh o djaaj mahshi). In rete si trova pochissimo di specifico. Djaj significa pollo e mahshi significa ripieno. Come per ogni ricetta si trova tutto e il tutto il suo contrario, moltissime ricette di pollo e moltissime ricette di mahshi (che riempiono ogni cosa possibile! ). Dopo alcune domande in giro, apprendo che gli ingredienti fondamentali sono quelli della cucina algerina che non devono mancare e da quelli parto: pollo, riso, pinoli, mandorle, cumino, paprica, melograno e naturalmente la tajine di terracotta. Ad onor del vero il collettivo A.L.M.A. ne pubblica una versione molto semplice che è la base della mia interpretazione. Ed eccolo lì il primo errore: l'interpretazione. In alcuni casi non è necessaria, in altri addirittura deleteria. Decido di realizzare il pollo farcito dopo averlo disossato perché non sopporto i volatili farciti con la carcassa dentro, non so perché ma è così, in realtà nemmeno i volatili sono proprio la mia passione! Disosso il pollo partendo dal davanti (separando i petti) come per fare un rotolo, ma mi rendo conto che un rotolo ripieno di riso non ha senso, chissà dove sarebbe fuggito il ripieno! Decido di procedere comunque. Che sarà mai? Errore!

Ma andiamo con ordine: 

Prendo il pollo e lo disosso.
Lo insaporisco con sale, pepe, erbe tritate fresche (timo, maggiorana) e cumino.


Preparo il ripieno.
Faccio rosolare il riso in una casseruola con olio e cipolla bianca tritata non finissima e bagno con il brodo ottenuto con la carcassa del pollo (e una cipolla e carota e qualche chiodo di garofano).
Cuocio 12 minuti.
Tosto pinoli e mandorle.
Rosolo la carne di manzo fino a cottura colorita.
Unisco il tutto al riso e insaporisco ancora con cumino.

Farcisco il pollo.
Cucio la pelle con lo spago.
Massaggio per bene il mio pollo con paprica.
Metto nella tajine con olio, cipolle bianche intere e carote. Faccio rosolare.
Aggiungo ancora brodo.
Copro e metto in forno per un'ora nella tajine.


Finita la cottura, filtro leggermente il fondo di cottura, aggiungo il succo di un melograno, faccio restringere aggiungendo anche una noce di burro mescolato a farina.
Utilizzo il melograno per non usare alcool o vino, come da tradizione musulmana.
Accompagno con le verdure cotte e il riso che non è finito nel ripieno, copro con la salsa al melograno.

Dove sono gli errori? A parte il disosso "sottosopra", la cottura nella tajine, che io adoro, rende le carni morbidissime e succulente e mai stoppose. In questo caso, del pollo senza carcassa, ha contribuito ad ammorbidire la carne fino al punto in cui, togliendola dal tegame si è spezzato a metà. Eh già! Povero pollo! Quando si dice: "non avere spina dorsale"!!!
Manca pure il riposo in frigo per un paio di ore o tutta la notte del pollo farcito, ma devo dire che la pelle ha retto bene fino all'irreparabile frattura del mio amico Djaj. Ma si sa, il tempo è tiranno e i miei fotografi pure (i miei figli maschi)!

Tutto è stato molto apprezzato dai miei commensali onnivori, per il mio figlio vegetariano ho riempito con il riso (prima di aggiungere la carne) degli splendidi peperoni dell'orto che sono molto più simpatici di Djaj visto che non si sono rotti per niente!!!
Grazie di nuovo all' MTC che non è mai scontato e ci consente ogni volta di fare comunque un passo avanti!
Alla prossima roulette!

Ingredienti:


  • 1 pollo
  • Erbe tritate fresche 
  • Cumino
  • Paprica dolce

Per il ripieno: 

  • 1 bicchiere di riso basmati o lungo
  • 200 grammi di tritato di manzo
  • 1 cipolla bianca
  • 1 manciata di pinoli
  • 1 manciata di mandorle bianche pelate


Per il brodo:

  • Carcassa del pollo
  • Cipolla bianca
  • Carota
  • 1 litro e mezzo di acqua 


Per il sugo ("gravy"):

  • Fondo di cottura
  • Succo di un melograno 
  • Noce di burro e farina





sabato 24 ottobre 2015

MTC N. 51 - IL TEMA DEL MESE: IMAM BAYILDI o IMAM SVENUTO


di Tamara Giorgietti - Un pezzo della mia Maremma

Ci sono varie leggende legate a questa ricetta e sicuramente un Imam deve essere svenuto perché le melanzane preparate in questo modo sono davvero eccezionali. Infatti si dice che l'Imam, stupito dalla squisitezza del piatto preparatogli dalla moglie, non solo rimase piacevolmente colpito dalla bontà del piatto ma svenne addirittura.
Altre leggende sono legate all'origine del nome di questo piatto, come questa che trovo molto carina, ed ora vi racconto. La storia narra di un Imam che aveva sposato la figlia d'un mercante di olio d'oliva, la quale aveva portato in dote dodici bottiglie del miglior oro giallo in commercio; con il quale la moglie, ogni sera, cucinava una melanzana con pomodori e cipolle. Ma le dodici bottiglie terminarono e al tredicesimo giorno sulla tavola, la ragazza non presento la melanzana. Quando l'Imam fu messo al corrente che olio d'oliva era finito, perse i sensi.
Imam Bayildi, letteralmente Imam Svenuto, di gioia, per la paura che fosse finito l'olio, o per altra ragione non si sa e probabilmente mai lo sapremo, ma queste storie sono comunque piacevoli da leggere e condividere.
Insomma sia come sia, Imam Bayildi è un piatto famoso e molto popolare in Turchia tanto che i turisti cominciano a conoscerlo e a richiederlo nei ristoranti.
Rimane da stabilire precisamente la sua origine contesa fra la Turchia e la Grecia.
Poiché la Grecia ha avuto dominazione ottomana, è quindi  più facile pensare che si tratti di una preparazione turca, arrivata solo più tardi in Grecia.
Ci sono diverse versioni sul nome, sullo svenimento dell'imam, e sulla ricetta, diversi sono gli aromi, le spezie usate, io per esempio metto anche le olive; e diversi sono anche i metodi di cottura, si va dalla melanzana fritta a metà nell'olio extravergine e poi cotta in forno, quella lessata totalmente e fatta scolare per molte ore, e poi quella divisa a metà e cotta in padella con un filo di acqua. Per il ripieno, pomodorini cotti in padella con cipolla, aglio,  peperoncino e tanta menta.

Ingredienti:

  • 1 melanzana viola  - quelle ovali
  • 8 pomodorini datterini
  • mezza cipolla
  • olive verdi o nere
  • 2 spicchi di aglio
  • peperoncino
  • menta
  • olio extravergine d'oliva abbondante


Tagliate sottilmente la cipolla e fatela colorare in una padella con due cucchiai di olio, aggiungete l'aglio e il peperoncino e poi le olive schiacciate, aggiustate di sale e lasciate da una parte.
Potete effettuare due cotture, la prima: praticate dei tagli verticali nella melanzana tutto intorno, friggetela in abbondante olio extravergine per 5 minuti poi fate perdere l'olio in eccesso su carta assorbente. Quando la melanzana avrà perso l'olio in eccesso riempite i tagli verticali con il sughetto di pomodori, cipolla, olive e menta, mettete in forno a 180° per 20 minuti.
Un'altra cottura: fate bollire la melanzane per 10-15 minuti in acqua, poi asciugatela e dividetela in due per lunghezza. Tagliuzzate la polpa e mettetela in forno per 15 minuti, quando sarà quasi cotta, riempite la parte della polpa con il sughetto di pomodoro, infornate a 180° per altri 15 minuti, fatela cuocere molto bene.

venerdì 23 ottobre 2015

MTC N.51 - IL TEMA DEL MESE: MUSCOLI O COZZE RIPIENE



di Ambra Alberigi - A ogni pentola il suo coperchio

I muscoli (o cozze ripiene) sono un piatto tipico della costa ligure e toscana: si trovano varianti della ricetta da La Spezia a Livorno passando per Carrara e Viareggio.
Sono un piatto molto semplice da preparare (anche se la preparazione delle cozze a partire dalla pulizia è un po’ lunga) dal sapore deciso dato anche dalla presenza del pomodoro

Ingredienti:
1Kg di cozze

  • 300g di polpa di pomodoro
  • 2 spicchi di aglio
  • Prezzemolo
  • 3 fette di pane raffermo
  • 100g di mortadella
  • 30g di Parmigiano grattugiato
  • 1 uovo
  • Noce moscata
Per prima cosa pulite le cozze: esternamente grattando bene il guscio dalle incrostazioni e togliete il bisso (o barba) presente tra le due valve. Con l’aiuto di un coltellino affilato aprite delicatamente 25/30 cozze e mettetele a scolare.
Nel frattempo preparate la salsa: mettete in una casseruola un filo di olio, l’aglio un pizzico di peperoncino e fate soffriggere, appena l’olio si sarà insaporito, togliere l’aglio ( se non piace il sapore troppo deciso) ed aggiungete il pomodoro, fate ritirare a fuco basso ed aggiungete una manciata di prezzemolo tritato.
Ora preparate il ripieno: fate aprire sul fuoco le restanti cozze (di solito si lasciano le più piccole), mettetele in un tegame con un filo di olio, l’aglio schiacciato e una manciata di prezzemolo, coprite con il coperchio e lasciate cuocere per 5/6 minuti fino a che non si saranno aperte. A questo punto sgusciatele e mettetele da parte. Ammollate il pane in acqua, poi scolatelo e strizzatelo, unte il parmigiano e una manciata di prezzemolo tritato. Tritate le cozze con la mortadella ed unitele all’impasto assieme all’uovo. Aggiungete un pizzico di noce moscata e aggiustate di sale.
A questo punto riempite le cozze e legatele con uno spago in modo che stiano ben unite durante la cottura e l’impasto non fuoriesca.
Disponete le cozze nella casseruola dove avete preparato la salsa, aggiungete circa un bicchiere dell’acqua delle cozze che avrete filtrato e tenuto da parte. Lasciate ritirare, dopo circa 20/25 minuti le cozze saranno pronte.
Servite con una fetta di pane tostato ed una spolverata di prezzemolo fresco.