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Beato Michele Carvalho Sacerdote gesuita, fondatore

25 agosto

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Braga, Portogallo, 1577 – Scimabara, Giappone, 25 agosto 1624

Martirologio Romano: A Shimabara in Giappone, beati martiri Michele Carvalho, della Compagnia di Gesů, Pietro Vázquez dell’Ordine dei Predicatori, Ludovico Sotelo e Ludovico Sasanda, sacerdoti, e Ludovico Baba, religioso dell’Ordine dei Frati Minori, bruciati vivi per la loro fede in Cristo.


I Gesuiti con s. Francesco Saverio (1506-1552) furono i primi ad incominciare l’evangelizzazione del Giappone, che si sviluppò con notevoli risultati nei decenni successivi al 1549, tanto che nel 1587 i cattolici giapponesi erano circa 300.000, con centro principale a Nagasaki.
Ma proprio nel 1587 lo ‘shogun’ (maresciallo della corona) Hideyoshi, dai cristiani denominato ‘Taicosama’, che fino allora era stato condiscendente verso i cattolici, emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti (allora unico Ordine religioso presente nel Giappone) per delle ragioni non chiarite.
Il decreto fu in parte eseguito, ma la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese, mettendo in atto una strategia di prudenza, in silenzio e senza esteriorità, continuando con cautela l’opera evangelizzatrice.
Tutto questo fino al 1593, quando provenienti dalle Filippine sbarcarono in Giappone alcuni Frati Francescani, i quali al contrario dei Gesuiti, iniziarono senza prudenza una predicazione pubblica, a ciò si aggiunsero complicazioni politiche tra la Spagna e il Giappone, che provocarono la reazione dello ‘shogun’ Hideyoshi, che emanò l’ordine di imprigionare i francescani e alcuni neofiti giapponesi.
I primi arresti ci furono il 9 dicembre del 1596 e i 26 arrestati, fra cui tre gesuiti giapponesi, subirono il martirio il 5 febbraio 1597, i protomartiri del Giappone furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina” e proclamati santi da papa Pio IX nel 1862.
Subentrato un periodo di tregua e nonostante la persecuzione subita, la comunità cattolica aumentò, anche per l’arrivo di altri missionari, non solo gesuiti e francescani ma anche domenicani e agostiniani.
Ma nel 1614 la numerosa comunità cattolica subì una furiosa persecuzione decretata dallo shogun Ieyasu (Taifusama), che si prolungò per alcuni decenni distruggendo quasi completamente la comunità in Giappone, causando moltissimi martiri, ma anche molte apostasie fra gli atterriti fedeli giapponesi.
I motivi che portarono a questa lunga e sanguinosa persecuzione, furono vari, a partire dalla gelosia dei bonzi buddisti che minacciavano la vendetta dei loro dei; poi il timore di Ieyasu e dei suoi successori Hidetada e Iemitsu, per l’accresciuto influsso di Spagna e Portogallo, patria della maggioranza dei missionari, che erano ritenuti loro spie, per gli intrighi dei violenti calvinisti olandesi e infine per l’imprudenza di molti missionari spagnoli.
Dal 1617 al 1632 la persecuzione toccò il picco più alto di vittime; i supplizi secondo lo stile orientale, furono vari e raffinati, non risparmiando nemmeno i bambini; i martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, dai missionari e catechisti, ai nobili di famiglia reale; da ricche matrone a giovani vergini; da vecchi a bambini; dai padri di famiglia ai sacerdoti giapponesi.
La maggior parte furono legati ad un palo e bruciati a fuoco lento, cosicché la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane per parecchie sere e notti; altri decapitati o tagliati membro per membro.
Non stiamo qui ad elencare le altre decine di tormenti mortali cui furono sottoposti, per non fare una galleria degli orrori, anche se purtroppo testimoniano come la malvagità umana, quando si sfrena nell’inventare forme crudeli da infliggere ai suoi simili, supera ogni paragone con la ferocia delle bestie, che perlomeno agiscono per istinto e per procurarsi il cibo.
Oltre i primi 26 santi martiri del 1597 già citati, la Chiesa raccogliendo testimonianze poté riconoscere la validità del martirio per almeno 205 vittime, fra le migliaia che persero la vita anonimamente e papa Pio IX il 7 luglio 1867 poté proclamarli beati.
Dei 205 beati, 33 erano dell’Ordine della Compagnia di Gesù (Gesuiti); 23 Agostiniani e Terziari agostiniani giapponesi; 45 Domenicani e Terziari O.P.; 28 Francescani e Terziari; tutti gli altri erano fedeli giapponesi o intere famiglie, molti dei quali Confratelli del Rosario.
Non c’è una celebrazione unica per tutti, ma gli Ordini religiosi a gruppi o singolarmente, hanno fissato il loro giorno di celebrazione.

Nel gruppo dei 33 Gesuiti, la cui celebrazione unitaria è al 4 febbraio, c’è il portoghese Michele Carvalho, nato a Braga nel 1577, il quale affascinato dalla spiritualità missionaria della Compagnia di Gesù, divenne gesuita nel 1597 e a 23 anni nel 1602 partì per l’India.
Compì gli studi di filosofia e teologia a Goa (allora possedimento portoghese sulla costa occidentale dell’India), ordinato sacerdote, rimase qui fino ai 40 anni, impegnato nell’insegnamento della teologia nel Seminario dei Gesuiti.
Nel 1620 vide realizzato il suo sogno di essere inviato nella Missione in Giappone e nel mese di agosto 1621 vi arrivò travestito da soldato, dopo un disastroso viaggio.
La nave era naufragata sugli scogli della penisola di Malacca, qui restò per un anno nella vana attesa di una nave che lo portasse in Giappone; fu costretto a fare un viaggio via terra fino a Macao in Cina, poi via mare fino a Manila nelle Filippine e di lì nell’Impero del Sol Levante.
Restò per due anni nell’isola di Amakusa per apprendere la lingua giapponese e i metodi di apostolato, ma il suo indomabile desiderio del martirio, lo spinse a presentarsi al governatore in piena persecuzione e dichiararsi missionario, sacerdote e gesuita, tre titoli sufficienti per essere subito condannato a morte, ma il governatore lo considerò un pazzo, forse per evitare complicazioni e ordinò di trasferirlo fuori dai confini della sua giurisdizione.
Due cristiani che lo conoscevano, l’accompagnarono dal Padre Provinciale a Nagasaki, il centro del cattolicesimo in Giappone, il quale gli fissò una dimora nei dintorni della città.
Il 22 luglio 1623, chiamato ad Omura per alcune confessioni, al ritorno fu riconosciuto da una spia, che lo segnalò ai soldati, fu arrestato e condotto in prigione ad Omura, dove si trovò in compagnia del domenicano Pietro Vazquez e dei francescani Ludovico Sotelo, Ludovico Sasanda e Ludovico Baba.
Costretti in una capanna aperta da ogni lato ed esposta alle intemperie, tutti si ammalarono e indeboliti dallo scarso cibo. Padre Michele Carvalho riuscì a scrivere al Padre Provinciale della Missione: “Siamo tutti infermi e i nostri corpi sono sfiniti, ma lo spirito è sano e robusto”.
Il 24 agosto 1624 due commissari del governo di Nagasaki, giunsero ad Omura con la sentenza della loro condanna a morte mediante il fuoco; il mattino seguente 25 agosto, furono imbarcati su un naviglio e condotti a Focò presso Scimabara, dove erano già pronti i pali e la legna per il rogo.
Gli eroici missionari, subirono un crudele martirio, perché la poca legna mal disposta, rese più lento e lungo il supplizio delle vittime.
Il beato Michele Carvalho gesuita, con gli altri prima menzionati, vengono celebrati il 25 agosto.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2005-02-22

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