Jolanda uccisa dai genitori a Salerno,
i giudici: soffocata e presa a morsi dal papà

Mercoledì 4 Agosto 2021 di Nicola Sorrentino
Jolanda uccisa dai genitori a Salerno, i giudici: soffocata e presa a morsi dal papà

«L’omicidio di Jolanda avvenne in due fasi, l’una successiva all’altra; prima un tentativo di soffocamento a mani nude che non produsse il risultato sperato e poi un’azione di soffocamento mortale, attuato con l’ausilio di un corpo soffice per ostruire completamente gli orifici respiratori». Eccola la ricostruzione del delitto della bimba di 8 mesi, secondo la Corte d’Assise di Salerno, che ha depositato le motivazioni della condanna dei due genitori. Il padre, Giuseppe Passariello, all’ergastolo. La madre, Immacolata Monti, a 24 anni. In quasi 50 pagine i giudici partono da un dato, i risultati dell’autopsia sul corpo della piccina, che sarebbe stata soffocata con un cuscino la notte del 21 giugno 2019, a Sant’Egidio. Una tesi, questa, rafforzata da due dati scientifici: «le microlesioni alle mucose labiali e nasali e la ipervascolarizzazione degli organi». Un corpo «martoriato» dal padre, indicato quale potenziale autore del delitto. Ma con un ulteriore passaggio logico: «L’omicidio è avvenuto in presenza di entrambi, l’uno quale esecutore materiale, l’altra con il ruolo di rafforzamento dell’altrui proposito criminoso». I genitori erano gli unici presenti in casa, quella sera. 

È il corpo di Jolanda a fornire indizi: «Non residuano dubbi sul fatto che le lesioni sul corpo, lungi dall’essere frutto di eventi accidentali, siano state provocate dal padre con azioni lesive volte a cagionare volontariamente dolore intenso, ripetute nel tempo». Mentre risultano «inverosimili» le parole di Passariello, che spiegò che le ferite a mani e piedi fossero legate all’aver toccato una piastra bollente e del latte caldo. L’uomo avrebbe preso a morsi la figlia, come testimoniano i “fori” sul corpicino, risultato di «aspirazione della carne immediatamente sottostante, fino a rendere visibili i muscoli». «Non erano pizzicotti affettuosi», spiega il tribunale, né lo era l’atteggiamento dell’imputato, che secondo la moglie voleva un secondo figlio maschio. E che confermerà le violenze verso Jolanda in una telefonata intercettata con un’amica, durante le indagini. «Non è stata bruciata, è stato lui». Per il tribunale la reazione di Passariello fu «folle ed irrazionale» per non sentirsi «accettato, dato che la bambina piangeva quando la prendeva in braccio». Nell’inchiesta condotta dal pm Roberto Lenza è il movente a restare nell’ombra, ma i giudici sostengono che fu «un’azione folle ed inconsulta per sedare il pianto insistente della bambina, facilmente desumibile dalle sofferenze per le ferite patite. Un pianto che, per portare a questa reazione, non può che avere svegliato tutti e due». I due genitori, secondo il tribunale - presidente Vincenzo Ferrara, giudice Gabriella Passaro - concordarono una versione di comodo, una volta portati in commissariato. Il dialogo intercettato alimentò poi i sospetti su entrambi. Frasi come: «l’omicidio lo abbiamo fatto» e «cuscino tutto in faccia» spingono il tribunale a sostenere che «Sarebbe stato normale a poche ore dalla perdita di una figlia che gli imputati si fossero interrogati su cosa poteva essere accaduto, ma si coglie preoccupazione solo sulle indagini». È Passariello, che potrebbe essere stato sotto effetto di stupefacenti, a essere ritenuto «autore materiale» dell’omicidio, perché solo lui aveva un movente, costituito dal rifiuto «pregiudiziale della figlia femmina. Un gesto tanto crudele non può essere compiuto da chiunque, ma solo da chi ha già dato prova di essere capace di infliggere gravi sofferenze». Diverso il discorso per la madre, Imma Monti, la cui «presenza passiva» non fa ritenere che abbia partecipato «materialmente» all’omicidio, eppure non si frappose mai al marito per fermare i tormenti inflitti a Jolanda. La donna, che spiegò di essere stata sequestrata in casa e picchiata, non si rivolse mai a servizi sociali, forze dell’ordine e vicini di casa, «al punto da mettere il marito nelle condizioni di «sentirsi libero di fare quel che voleva sul corpo della figlia».

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