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Fra Medioevo e Rinascimento. La vita cittadina e le occasioni di spettacolo pubblico. La riscoperta dell'Antichità e il teatro umanistico

È significativo che proprio nel Trecento, il secolo che vede la massima fioritura intellettuale e artistica della civiltà comunale con Dante, Petrarca e Boccaccio, Giotto, Arnolfo di Cambio e i Pisano padre e figlio, il teatro come attività di gruppo e come prodotto d'arte sia assente in quelle grandiose e dettagliate enciclopedie della vita sociale e culturale del tempo che sono la Divina Commedia e il Decameron, gremite di cavalieri e soldati, banchieri e mercanti, dottori e giuristi, pittori e poeti, briganti e pirati, e così via, ma non di attori nel senso moderno della parola (i giullari del Novellino, gli "uomini di corte" del Boccaccio e i buffoni del Sacchetti erano piuttosto degli entertainers itineranti che lavoravano isolati, e "recitavano" se stessi).

Con Lorenzo il Magnifico, che abbiamo già ricordato come autore di una sacra rappresentazione, siamo alle soglie del Rinascimento: e quando il grande statista fiorentino indulge a forme d'arte legate al passato e alla vita popolare della sua città, come i canti carnascialeschi e, appunto, il teatro religioso, sono già all'opera, da tempo, forme di spettacolo, riti cittadini e divertimenti che confluiranno, di lì a poco, in una nuova civiltà teatrale.

In particolare, la fine di ogni partecipazione popolare e borghese al governo delle città, e l'avvento definitivo delle Signorie - con la conseguente necessità di "teatralizzare" il potere e le manifestazioni che lo esaltano - moltiplicano le occasioni di spettacoli: nozze principesche, insediamenti di dignitari, visite o ingressi di personaggi stranieri di riguardo, avvento al trono di un nuovo signore ecc. A queste motivazioni politiche, di propaganda e glorificazione del principe e della sua Corte, si riconnettono varie forme di divertimenti spettacolari: sfilate di carri allegorici , tableaux vivants, pantomime, armeggerie tornei e giostre , mascherate, luminarie , banchetti .

L'elemento decisivo, in questo contesto già favorevole allo sviluppo di nuove forme teatrali, è la riscoperta dell'antichità classica, l'entusiasmo con cui, a partire dalla fine del Trecento, vengono rivisitati i monumenti della grandezza romana: fori, anfiteatri, templi, statue, ma anche testi letterari, nei codici via via riportati alla luce dalle appassionate ricerche degli umanisti, e fra gli altri quelli contenenti le opere di Plauto e Terenzio.

Il più regolare e castigato Terenzio era noto ed amato fin dal Medioevo. La monaca tedesca Rosvita, nel X secolo, ne aveva imitate in latino le commedie, e Petrarca ne aveva compilato una breve vita. Nuovo impulso ricevette la sua fama quando, nel 1433, Giovanni Aurispa scoprì a Magonza il commento a Terenzio del grammatico Elio Donato, che fu poi pubblicato a Milano nel 1476. Ma il vero ispiratore del grande revival del teatro umanistico fu Plauto, di gran lunga il più vario, divertente e sbrigliato degli autori comici romani. Di lui erano note nel Medioevo non più di otto commedie, finché, nel 1429, Niccolò Cusano portò a Roma da Colonia, dove lo aveva trovato, un prezioso codice con sedici commedie plautine, dodici delle quali sconosciute fino a quel momento. Tale codice, detto Ursinianus dal suo primo, geloso possessore cardinale Giordano Orsini, venne poi nelle mani di Lorenzo de' Medici fratello di Cosimo il Vecchio, fu copiato da Niccolò Niccoli, prestato a Lionello d'Este, copiato di nuovo a Ferrara da Guarino Veronese, usato da Giorgio Merula per l'edizione principe veneziana del 1472.

A partire dal tardo Quattrocento, le prime edizioni figurate di Terenzio (Lione, Trechsel, 1493 ; Strasburgo, Grüninger, 1496 ; Venezia, Rusconi, 1518 e G. de Fontaneto, 1524 ecc.), e in minor misura anche di Plauto (Venezia, M. Sessa e P. de' Ravani, 1518), costituirono inoltre un importante contributo allo sviluppo della scenografia (Lawrenson). Le xilografie a illustrazione delle varie commedie, presentando i personaggi davanti alle loro "case" dentro colonnati o padiglioni che costituivano un'interpretazione classicheggiante delle mansiones tardo-medievali, offrirono un primo modello alla loggia che, nel teatro del primo Cinquecento, recupera e modernizza la vitruviana scenafronte: per esempio, la loggia del Falconetto a Padova (Zorzi 1977: 293 sgg.).

Parallela all'attività dei filologi, degli stampatori e degli incisori fu quella degli interpreti teatrali, dilettanti e per lo più studenti o cortigiani, che portarono sulla scena, prima in latino poi anche in traduzione, le commedie di Plauto, di Terenzio e dei primi commediografi umanisti che cercarono di emulare i due grandi comici latini in composizioni nuove, come il Paulus di Pietro Paolo Vergerio, già alla fine del Trecento, il Philodoxus di Leon Battista Alberti, scritto a Bologna nel 1425-26, la Chrisis di Enea Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II, composta nel 1444.

Tra le commedie di Plauto scoperte nel 1429 erano i Menaechmi, che saranno rappresentati in traduzione italiana (forse di Battista figlio di Guarino Veronese) a Ferrara sotto Ercole I il 25 gennaio 1486 nel cortile nuovo del palazzo ducale, «con bellissimo apparato», «suxo uno tribunale novo in forma de una citade de asse con caxe depinte» (Zambotti, Diario ferrarese: 171-72), e replicata a Ferrara il 22 maggio 1493 davanti a Francesco Gonzaga e Ludovico il Moro con le loro spose estensi. Mentre nel 1488 i Menaechmi erano stati recitati in latino a Firenze davanti a Lorenzo il Magnifico, con un nuovo prologo del Poliziano. Meno di quarant'anni dopo, la stessa commedia sarà presentata a Venezia da una compagnia di gentiluomini, e rispetto alla Mandragola di Machiavelli, recitata proprio allora nella stessa città, «tenuta una cosa morta» (lettera a Machiavelli di Giovanni Manetti del 28 febbraio 1526; Uberti 1985). Così attraverso la fortuna di una commedia di Plauto, possiamo seguire il passaggio dal teatro umanistico alla nuova commedia in volgare: tra i successi quattrocenteschi dei Menaechmi, da un lato, e il "fiasco" veneziano del 1526 dall'altro, cade la nascita, proprio a Ferrara, della cosiddetta commedia erudita, che sarebbe preferibile chiamare commedia letteraria italiana.

 

Percorsi Iconografici:


Canzone da Ballo, incisione


Lippi, Il banchetto di Erode, Duomo di Prato


Peruzzi, Studio di arco trionfale per il possesso di Leone X


Miniature dall' Ordine delle nozze di Costanzo Sforza e Camilla d'Aragona, Cod. Urb. Lat. 899


Ignoto, Torneo nel cortile del Belvedere, Palazzo Braschi, Roma


Vasari, Giostra del Saracino in via Larga, Palazzo Vecchio, Firenze


Anonimo, Fuochi d'artificio in Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio, Firenze


Veronese, Cena in casa di Levi, Gallerie dell'Accademia, Venezia


Terenzio, "Adelphi", tre scene miniate


Terenzio, Commedie, Lione 1493


Jacopo del Badia, ill. di Terenzio, "Adelphi", Lione 1493


Terenzio, Eunuco, Strasburgo 1496


Terenzio, Eunuco, Lione 1493


Scena Plautina, Venezia 1518


Terenzio, Commedie, Strasburgo 1496


Dissegno di Ferrara vecchia del 1490

 

 

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