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Carlo Borromeo

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San Carlo Borromeo
San Carlo Borromeo

San Carlo Borromeo dipinto da Giovanni Ambrogio Figino
Vescovo
Nascita Arona, 2 ottobre 1538
Morte Milano, 3 novembre 1584
Venerato da Chiesa cattolica
Beatificazione 1602
Canonizzazione 1º novembre del 1610
Ricorrenza 4 novembre
Attributi Bastone pastorale
Patrono di Lombardia, Monterey, Diocesi di Lugano (Svizzera), seminaristi, direttori spirituali, catechisti, vescovi, meleti, invocato contro le malattie dello stomaco
Cardinale
Berretta cardinalizia.png
Carlo Borromeo
 
della Chiesa cattolica
[[Immagine:{{{immagine}}}|240px|Immagine di Carlo Borromeo]]
titolo
Stemma di Carlo Borromeo
Humilitas
Nato
Ordinato
sacerdote
Consacrato
vescovo
Consacrato
arcivescovo
Consacrato
patriarca
Elevato
arcivescovo
Elevato
patriarca
Ruoli ricoperti
Proclamato
cardinale
31 gennaio 1560 da papa Pio IV
Deceduto
 

Carlo Borromeo (Arona, 2 ottobre 1538Milano, 3 novembre 1584) è stato un arcivescovo cattolico e cardinale italiano.[1] È stato canonizzato nel 1610 da papa Paolo V.

Indice

[modifica] Biografia

[modifica] La vita in breve

In un secolo in cui l'altezza media degli uomini non superava il metro e sessanta, il Borromeo era alto più di un metro e ottanta. Così lo descrive Federico Rossi di Marignano[2]non solo era molto alto, ma era anche di corporatura robusta. I digiuni di Carlo Borromeo negli ultimi anni di vita non consistevano infatti nell'astinenza assoluta dal cibo, ma invece, secondo l'uso ecclesiastico antico, nel consumare un solo pasto al giorno, dopo il vespro, dando seguito alla raccomandazione di Ambrogio e di Agostino di destinare ai bisognosi il denaro risparmiato con il digiuno. Astenendosi da cibi costosi, elaborati e vari, cibandosi di un alimento comune e povero come il pane, Carlo l'assumeva tuttavia «in assai quantità», necessaria al sostentamento quotidiano di un corpo robusto come il suo.

Occorre anche ricordare che durante la vita adulta Carlo Borromeo portò sempre la barba, anche se la vasta iconografia seicentesca lo raffigura rasato. Egli cominciò infatti a radersi solo nel 1576, al tempo della peste, e mantenne il volto rasato in segno di penitenza durante gli ultimi otto anni di vita[3].

Inizialmente fu un celebre zio che aprì al giovane Carlo la strada della fama universale. Nipote per parte di madre, Margherita sorella di papa Pio IV, al secolo Gian Angelo Medici, il Borromeo fu da lui nominato cardinale segretario di Stato quando aveva poco più di vent'anni. In tale veste, dando esecuzione alle direttive dello zio, il giovane Carlo ebbe la singolare occasione di contribuire a riaprire, concludere e attuare il concilio di Trento, che riformò per quattro secoli la Chiesa universale, fino al concilio Vaticano II voluto da papa Giovanni XXIII nella seconda metà del Novecento. La fama di Carlo Borromeo cominciò dunque grazie all'istituto del nepotismo, ma non fu così per la santità, che si meritò da solo, percorrendo un lungo cammino di ascesi durato tutta la vita[4].

Carlo Borromeo - continua Federico Rossi di Marignano[5] - operò come arcivescovo di Milano non nel Seicento come molti credono, ma nei venti anni immediatamente successivi alla chiusura del concilio, dal 1565 al 1584, e non dedicò il suo ministero, come alcuni credono, alla lotta contro le streghe o contro le eresie, che a Milano non trovarono un terreno favorevole alla loro diffusione. Si prodigò invece, con una tenacia tuttora ineguagliata, a portare a compimento il processo di rinnovamento religioso avviato nella Chiesa cattolica per iniziativa dei cristiani più devoti nel corso del Quattrocento, il secolo dell'Umanesimo, che precedette la sua nascita e che ispirò gli ideali della sua giovinezza e della sua vita matura.

Nessuna delle degenerazioni bacchettone e feroci proprie dell'inquisizione spagnola o romana, che si manifestarono in Europa dalla fine del Cinquecento al Settecento, può quindi essere attribuita né direttamente né indirettamente al ministero episcopale del Borromeo: Giordano Bruno fu arso vivo in piazza Campo dei Fiori, non a Milano ma a Roma, non durante la vita del Borromeo bensì sedici anni dopo la sua morte e quarantasette anni dopo Galileo Galilei fu costretto all'abiura, non a Milano ma a Roma.

Attuando nella diocesi ambrosiana la riforma tridentina, vivendo costantemente in ascetica povertà, Carlo Borromeo dedicò la sua azione pastorale alla cura amorevole delle anime e alla riforma dei costumi, promuovendo oltre al culto «interiore» anche il culto «esteriore» - riti liturgici, preghiere collettive, processioni - ravvivando in tal modo la fede, l'identità e la coesione sociale soprattutto dei ceti più popolari[6].

Quando tuttavia dopo la morte dello zio papa Pio IV, nel 1566 Carlo Borromeo, a ventotto anni, si trasferì da Roma a Milano per attuare in patria la riforma tridentina, si trovò a dover riformare una diocesi nella quale la disciplina ecclesiastica era «del tutto persa», perché da quasi un secolo gli arcivescovi titolari, risiedendo altrove, l'avevano abbandonata a se stessa limitandosi a goderne le rendite. Nel riformare una tal diocesi «del tutto persa», Carlo si trovò a dover affrontare «contrasti tanto grandi [...] et da persone tanto potenti che havriano impaurito ogni grand'animo».

Nell'attuare i decreti tridentini il Borromeo si espose infatti alla reazione di coloro che vedevano lesi i propri privilegi: fu contrastato dai governatori spagnoli e dal Senato milanese, minacciato con i bastoni dai frati minori osservanti, aggredito con le spade dai canonici di Santa Maria della Scala, minacciato dalle monache di Sant'Agostino, vilipeso da quelle di Lecco e colpito con una archibuggiata alla schiena da un sicario dell'ordine degli umiliati. Furono tuttavia la mitezza, l'umiltà e la carità singolare con le quali esercitò il suo ministero episcopale che lo portarono, vox populi, alla gloria degli altari.(p.8)

Figlio di Gilberto II Borromeo e Margherita Medici di Marignano, sorella di papa Pio IV, crebbe nella nobile e possidente famiglia Borromeo. All'età di circa dodici anni, suo zio Giulio Cesare Borromeo, gli affidò un'abbazia, cioè l'ufficio e la dignità di abate commendatario, il reddito della quale fu da lui devoluto interamente per la carità verso i poveri.

Studiò diritto canonico e civile a Pavia, dove si laureò nel 1559 e dove successivamente creò nel 1564 una struttura residenziale per studenti universitari di scarse condizioni economiche ma con elevati livelli di preparazione e attitudine allo studio; istituto che da lui prese il nome di Almo Collegio Borromeo, oggi il più antico e prestigioso collegio storico di Pavia e tra i più antichi d'Italia.

Nel 1558 morì suo padre. Pur avendo un fratello maggiore, il conte Federico Borromeo, a Carlo fu richiesto dai parenti di prendere il controllo degli impegnativi affari di famiglia.

[modifica] A Roma

Il 25 dicembre 1559 lo zio materno, Giovan Angelo Medici di Marignano, venne eletto papa con il nome di Pio IV e chiamò a Roma i suoi nipoti Federico e Carlo Borromeo, nominandoli segretario di Stato vaticano e arcivescovo di Milano. Nel 1562 Federico morì improvvisamente; fu consigliato a Carlo di lasciare l'ufficio ecclesiastico e di sposarsi ed avere dei figli, per non estinguere la dinastia familiare. Nel 1563 Carlo si fece invece ordinare sacerdote e vescovo. Partecipò alle ultime fasi del Concilio di Trento, diventando uno dei maggiori promotori della Riforma cattolica[7]; collaborò in larga parte alla stesura del Catechismo Tridentino (Catechismus Romanus).

[modifica] Ritorno a Milano

Dopo la morte dello zio papa, nel 1566, lasciata la corte pontificia, prese possesso della diocesi di Milano, nella quale da circa ottant'anni mancava un vescovo residente e nella quale si era radicata una situazione di pesante degrado. A Milano Carlo Borromeo ristabilì disciplina nel clero, negli ordini religiosi maschili e femminili, dedicandosi al rafforzamento della moralità dei sacerdoti e alla loro preparazione religiosa fondando, secondo le direttive del Concilio tridentino, i primi seminari: il seminario maggiore di Milano, il seminario elvetico e altri seminari minori. Per la sua opera riformatrice si servì anche dell'opera degli ordini religiosi (gesuiti, teatini, barnabiti), fondando la congregazione degli Oblati di Sant'Ambrogio (1578).

Negli anni del suo episcopato, dal 1566 al 1584, si dedicò alla diocesi milanese costruendo e rinnovando chiese (i santuari di Rho e del Sacro Monte di Varese, San Fedele a Milano e la chiesa della Purificazione di Maria Vergine in Traffiume); si impegnò nelle visite pastorali; curò la stesura di norme importanti per il rinnovamento dei costumi ecclesiastici. Fu nominato legato della Provincia di Romagna e visitatore apostolico di alcune diocesi suffraganee di Milano, in particolare Bergamo e Brescia, dove compì minuziose visite a tutte le parrocchie del territorio. La sua azione pastorale si allargò anche all'istruzione del laicato con la fondazione di scuole e collegi (quello di Brera, affidato ai gesuiti, o il Borromeo di Pavia).

Si impegnò in opere assistenziali in occasione di una durissima carestia nel 1569-70 e, soprattutto nel periodo della terribile peste del 1576-1577, detta anche "peste di San Carlo". Assai noto è l'episodio della processione organizzata dal santo per chiedere l'intercessione affinchè il morbo si plachi, fatta a piedi nudi, con in mano la reliquia del santo chiodo inserita in una croce lignea appositamente costruita. Incredibilmente, il morbo si placò e ciò fu interpretato da molti come una manifestazione della santità dell'arcivescovo.

Attuando nella diocesi di Milano la riforma tridentina si scontrò contro le resistenze dei governatori spagnoli, del senato e dei nobili e non esitò a difendere la giurisdizione ecclesiastica anche con le scomuniche. Ciò gli valse numerose critiche ed accuse di eccessivo rigorismo da parte di coloro che vedevano lesi i propri interessi[8].

[modifica] La soppressione degli Umiliati

Per ordine del papa Pio V procedette alla riforma del potente ordine religioso degli Umiliati le cui idee si erano distanziate dalla Chiesa cattolica approssimandosi verso posizioni protestanti e calviniste. Quattro membri di quest'ordine attentarono alla sua vita. Uno di loro, Gerolamo Donati, detto il Farina (originario di Astano[9]), gli sparò un colpo di archibugio nella schiena mentre Carlo Borromeo era inginocchiato a pregare nella cappella dell'arcivescovado. Il colpo lo ferì solo leggermente e in ciò si vide un evento miracoloso. Nella causa di canonizzazione del Borromeo si cita: "e circa mezz'ora di notte (verso le 22) va il manigoldo nell'Arcivescovado, e ritrovando il Cardinale inginocchiato nell'oratorio con la sua famiglia in oratione, secondo il suo solito, gli sparò nella schiena un archibuggio carico di palla e di quadretti, i quali perdendo la forza nel toccar le vesti non fecero a lui offesa veruna, eccetto che la palla, che colpì nel mezzo della schiena: vi lasciò un segno con alquanto tumore (gonfiore)".

Carlo non avrebbe voluto che i suoi attentatori fossero perseguiti, ma le autorità civili e un inquisitore inviato a Milano da papa Pio V procedettero secondo le leggi civili ed ecclesiastiche. Quattro responsabili dell'attentato alla sua vita furono arrestati e giustiziati secondo le leggi in vigore. L'ordine degli Umiliati fu soppresso e i beni furono devoluti ad altri ordini; in particolare, i possedimenti a Brera furono assegnati ai Gesuiti e furono finanziate opere religiose come le costruzioni del collegio Elvetico e della chiesa di San Fedele[10].

[modifica] La persecuzione di protestanti svizzeri

Nonostante le Diete di Ilanz[11] del 1524 e del 1526 avessero proclamato la libertà di culto nella Repubblica delle Tre Leghe[12] in Svizzera, egli combatté il protestantesimo nelle valli svizzere, imponendo rigidamente i dettami del Concilio di Trento. Nella sua visita pastorale in Val Mesolcina[13] in Svizzera fece arrestare per stregoneria un centinaio di persone, dopo le torture quasi tutti abbandonarono le fede protestante salvandosi così la vita, 10 donne ed il prevosto furono invece condannati al rogo nel quale furono gettati a testa in giù.

Segretario di Stato del papa e poi arcivescovo di Milano, venne nominato "Protector Helvetiae". Egli propose la creazione di una Nunziatura apostolica, di un collegio di gesuiti e di un seminario; per la formazione dei membri del clero provenienti dalla Confederazione elvetica[14] fondò il "Collegio Elvetico" a Milano; organizzò sinodi diocesani di cui fecero parte le Tre valli ambrosiane del Canton Ticino, che visitò integralmente fin sulle cime innevate del Passo del San Gottardo. Sostenuti da papa Gregorio XIII (1572-85), questi sforzi portarono alla creazione della nunziatura di Lucerna[15], che seguì da vicino l'applicazione delle riforme.

[modifica] La morte e la canonizzazione

Lo "Scurolo di San Carlo" sotto l'altare del Duomo di Milano, che dal XVII secolo accoglie le spoglie del santo arcivescovo milanese.

Morì il 3 novembre 1584 a Milano (ma essendo spirato dopo il tramonto, secondo l'uso del tempo si considera il giorno 4) lasciando il suo patrimonio ai poveri.

Fu proclamato beato nel 1602 e fu canonizzato il 1º novembre del 1610 da Paolo V (Camillo Borghese); la ricorrenza cade, secondo tradizione della Chiesa, il giorno della sua morte, il 4 novembre. Fino a qualche decennio fa, per pura coincidenza questo giorno era anche una festa nazionale italiana, in quanto ricorrenza della vittoria nella prima guerra mondiale (oggi Giornata delle Forze Armate e dell'Unità nazionale).

Nel terzo centenario della canonizzazione, il 26 maggio 1910 papa Pio X scrisse l'enciclica Editae Saepe in cui celebrò la memoria e l'opera apostolica e dottrinale di Carlo Borromeo. Come santo, Carlo Borromeo viene festeggiato il 4 novembre. È considerato patrono dei seminaristi, dei direttori spirituali e dei capi spirituali, protettore dei frutteti di mele; si invoca contro le ulcere, i disordini intestinali, le malattie dello stomaco; è patrono della Lombardia, del Canton Ticino, di Monterey in California, di Salò e compatrono di Francavilla Fontana in Puglia.

[modifica] San Carlo e le donne

Nell'esercizio della sua attività pastorale Carlo incontrava molte donne, religiose o laiche, sue parenti, conoscenti o sconosciute, nobili o popolane, ricche o povere, nubili o sposate. Con tutte queste donne Carlo Borromeo trattava tuttavia con molta prudenza per due ordini di motivi: anzitutto per non dare occasione ai maldicenti di fare insinuazioni sul suo conto e poi perché intendeva mantenere il voto di castità, sfuggendo anzitutto le occasioni che avrebbero potuto indurlo in tentazione. Durante i vent'anni del suo ministero episcopale a Milano, Carlo fu sempre nel pieno delle sue forze fisiche e il suo corpo, forte e robusto, era istintivamente attratto, al di là di ogni sua volontà, dalle grazie femminili. Quando era necessario parlare con qualche donna, il Borromeo faceva però sempre in modo che fossero presenti testimoni, solitamente ecclesiastici, e che il colloquio avvenisse, come ricordò il suo segretario Gerolamo Castano «in loco più publico che poteva [...] et non si tratteneva se non quel manco tempo che poteva, trattando se non di quelle cose che erano necessarie»[16].

Nel processo di canonizzazione i contemporanei dettero l'appellativo di "Castissimo" a Carlo Borromeo per la sua tenacia nella virtù della castità e della verginità consacrata. In gioventù aveva gettato a terra un suo vecchio servitore reo di avergli fatto accomodare una donna nel suo letto pensando di fargli cosa gradita, e non immaginando la sensibilità religiosa del giovane signore.

San Carlo rimase terribilmente sconvolto anche imbattendosi in Leobissa, la moglie del Barbarossa, dai Milanesi per scherno effigiata nuda nella pietra e in atto di radersi come usavano le prostitute. Essa aveva da secoli partecipato con la sua familiare immobile presenza, a tutto lo scorrere della vita cittadina. Nel vederla incombente a gambe larghe dall'arco di Porta Tosa, il santo si sentì beffato e annichilito. Nulla infatti più delle femmine, anche se del tutto vestite, o riprodotte addirittura nude, anche se nel freddo marmo, odiava mortalmente «il Castissimo, in tutta la sua vita non volendo parlar mai con donna alcuna, anche se gli fosse stretta parente» (Padre Grattarola).

[modifica] Il Sancarlone

La statua dedicata a San Carlo Borromeo detta il Sancarlone
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Colosso di San Carlo Borromeo.

Viene ricordato da una gigantesca statua ad Arona chiamata il Sancarlone, che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere il culmine di un Sacro Monte a lui dedicato, ma mai completato.

Tale opera, alta 23 metri, in lamina di rame fissata con rivetti, su un'anima in muratura (al cui interno è possibile accedere), ha ispirato la tecnica di costruzione della Statua della libertà.

[modifica] Successione apostolica

Titolazione di
Carlo Borromeo
Stemma
Titolo di riferimento Sua Eminenza
Titolo parlato Vostra Eminenza
Titolo religioso Cardinale
vedi qui per i predicati d'onore

[modifica] Iconografia

[modifica] Edizione nazionale

È in corso di approntamento un'edizione nazionale delle Lettere di San Carlo Borromeo, pensata come edizione online.

[modifica] Note

  1. ^ Carlo Borromeo sul Dizionario storico della Svizzera
  2. ^ biografia pubblicata dagli Oscar Mondadori nel 2010:
  3. ^ Rossi di Marignano, 2010, 5-6
  4. ^ Rossi di Marignano, 2010, 3-4.
  5. ^ prefazione della sua biografia
  6. ^ Rossi di Marignano, 2010, 4-5.
  7. ^ Riforma cattolica sul Dizionario storico della Svizzera
  8. ^ Vaccaro, Chiesi, Panzera, 2003, 38, 40-42, 45-50, 53, 54, 56-61, 63, 66, 70nota, 80, 81, 89, 95, 97-99, 103nota, 135, 147, 153, 164, 170, 202, 205, 206, 208, 212, 220nota, 225, 235, 237, 248, 250, 252, 259nota, 264, 275, 286, 298, 300, 302, 307, 316, 339, 369nota, 405, 408nota, 409, 410, 411nota, 417.
  9. ^ Astano sul Dizionario storico della Svizzera
  10. ^ Bescapè, I965, I99-2II.
  11. ^ Carlo Borromeo sul Dizionario storico della Svizzera
  12. ^ Repubblica delle Tre Leghe sul Dizionario storico della Svizzera
  13. ^ Valle Mesolcina sul Dizionario storico della Svizzera
  14. ^ Confederazione elvetica sul Dizionario storico della Svizzera
  15. ^ Lucerna sul Dizionario storico della Svizzera
  16. ^ Rossi di Marignano, 2010, 225-226.

[modifica] Bibliografia

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

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Girolamo Dandini 1560-1584 Tolomeo Gallio I
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Girolamo Dandini {{{data}}} Tolomeo Gallio
Predecessore: Cardinale diacono dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia Successore: Kardinalcoa.png
Carlo Carafa febbraio-settembre 1560 Sede Vacante (1560-1565)
dal 1565 Carlo Visconti
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Carlo Carafa {{{data}}} Sede Vacante (1560-1565)
dal 1565 Carlo Visconti
Predecessore: Cardinale diacono pro hac vice dei Santi Silvestro e Martino ai Monti Successore: Kardinalcoa.png
Diomede Carafa 1560-1563 titolo promosso a presbiteriato cardinalizio I
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Diomede Carafa {{{data}}} titolo promosso a presbiteriato cardinalizio
Predecessore: Cardinale presbitero dei Santi Silvestro e Martino ai Monti Successore: Kardinalcoa.png
diaconia cardinalizia pro hac vice 1563-1564 Philibert Babou de la Bourdaisière I
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diaconia cardinalizia pro hac vice {{{data}}} Philibert Babou de la Bourdaisière
Predecessore: Arcivescovo di Milano
Amministratore
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Giovanni Angelo Medici 1560-1564 Eletto Arcivescovo I
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Giovanni Angelo Medici {{{data}}} Eletto Arcivescovo
Predecessore: Arcivescovo di Milano Successore: Arcbishoppallium.png
Eletto da Amministratore 1564-1584 Gaspare Visconti I
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Eletto da Amministratore {{{data}}} Gaspare Visconti
Predecessore: Arciprete di Santa Maria Maggiore Successore: Protonot.png
Giovanni Domenico De Cupis 1564 - 1584 Filippo Boncompagni I
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Giovanni Domenico De Cupis {{{data}}} Filippo Boncompagni
Predecessore: Prefetto della Sacra Congregazione Concistoriale Successore: Coat of arms of the Vatican City.svg
nuova istituzione 1564-1565 Francesco Alciati I
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Predecessore: Cardinale presbitero di Santa Prassede Successore: Kardinalcoa.png
Cristoforo Guidalotti Ciocchi dal Monte 1564-1584 Nicolas de Pellevé I
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Cristoforo Guidalotti Ciocchi dal Monte {{{data}}} Nicolas de Pellevé
Predecessore: Abate Commendatario dei Santi Felino e Graziano di Arona Successore: Prepozyt.png
Giulio Cesare Borromeo 1547 - 1560  ? I
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Predecessore: Abate Commendatario di San Silano di Romagnano Successore: Prepozyt.png
Giovanni Angelo de' Medici 1558 - 1560  ? I
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Predecessore: Priore Commendatario della Chiesa di Santa Maria in Calvenzano Successore: Prepozyt.png
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