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Charly Gaul - Giro 1959: Charly Gaul scolpisce il Piccolo San Bernardo


Il Giro d'Italia 1959 ebbe un cast perfetto, tutti i migliori vi presero parte. Di Van Looy il primo acuto, con una delle sue regali volate sul rettilineo di Salsomaggiore. Gli rispose Jacques Anquetil, nella cronometro svoltasi sempre nella medesima cittadina termale. Gaul giunse ottavo e rimediò 1'30" di distacco, ma il giorno dopo, da Salsomaggiore si arrivò all'Abetone, e l'asso lussemburghese mise subito sul piatto le sue intenzioni, conquistando la tappa e la maglia rosa. Sgretolò gli avversari uno ad uno, con una condotta quasi irridente.
L'ultimo a cedere fu il "Sire di Herentals", quel Van Looy che per sfatare la sua fama di corridore adatto solo alle corse in linea, s'era andato appositamente a preparare alla Vuelta di Spagna. Il grande Rik, che nella storia del ciclismo, anche se non ha mai vinto una grande manifestazione a tappe, è stato certamente uno dei più forti, cercò in tutte le maniere di contrastare il passo vellutato dell'Angelo della Montagna. Quel giorno però, nemmeno il sole ed il caldo, poterono frenare la furia agonistica di un sublime Charly Gaul.
Dopo quella tappa la sua popolarità divenne quella di un campione italiano. Ci fu chi scrisse a "Sport Illustrato", una rivista la cui completezza e competenza era così tangibile da rimanere ineguagliata nella storia dell'editoria sportiva italiana, per dichiarare cittadinanza ad un uomo che aveva superato, in Italia, la fama che aveva nel suo Lussemburgo. Marcel Ernzer che, con Gaul, ha compiuto praticamente tutta la carriera, d'altronde, lo aveva sempre detto: "In Italia Charly è come un dio. La gente impazzisce per lui!"
Con "l'italo-lussumburghese" Gaul in rosa, il Giro arrivò a Roma, in una tappa in cui i corridori trovarono quel gran caldo che la fece definire la "tappa della sete". Qui, Anquetil, attaccò senza mezze misure l'Angelo della Montagna, sapendo bene l'allergia da Sole che spesso lo colpiva. Ma Gaul rispose da par suo. La sua squadra si sciolse al fuoco incrociato di Faema e Fynsec, le squadre di Van Looy ed Anquetil, ed alla fine si avvantaggiò un quintetto, composto dal "sire di Herentals" e da Haevenaers (compagni di squadra), da Gaul, e dai due francesi della Fynsec, Anquetil e Delberghe, i quali, nell'ordine, giunsero sul prestigioso traguardo della capitale. Da solo, l'Angelo della Montagna aveva dovuto togliere le proverbiali "castagne dal fuoco".
Due giorni dopo, Charly Gaul, infastidito da un forte dolore al ginocchio sinistro, vinse con grande regalità la cronoscalata del Vesuvio, rafforzando il primato in classifica. In non perfette condizioni l'Angelo, ma capace di correre gli otto chilometri ad una media record così forte, da rimanere imbattuta fino agli anni novanta, ovvero con ben altro asfalto e ben altre biciclette. Un mostro! Charly comunque, ebbe modo di lamentarsi per l'inefficienza della sua squadra che lo stava costringendo a correre da solo contro tutti.
Una constatazione veritiera che ebbe modo di provarsi nella Napoli-Vasto, dove ad attaccare fu Nencini, e Gaul, coinvolto in una caduta, dovette rifare la crono di Digione per ricucire il gruppo. Anquetil lo attaccò a San Marino, approfittando di uno dei soliti momenti di amnesia del lussemburghese, guadagnando preziosi secondi. Lo attaccò di nuovo, approfittando di una foratura, sulla spinta di Van Looy e Poblet, che poi vinse la tappa, in quel di Bolzano. Morale: nonostante un grande Gaul, sempre alle prese con un ginocchio ballerino, a Bolzano, la maglia rosa passò sulle spalle di Jacques Anquetil. La classifica quella sera vide il "gran signore normanno", anticipare Van Looy di 1'37" e Gaul di 1'48".
Una mazzata, ma Charly non disperava, anche se aveva perso quella "rosa" che per dodici giorni lo aveva accompagnato. E venne la cronometro di Valle Susa: ben 51 chilometri a vantaggio dello specialista Anquetil. Il normanno non si smentì, vincendo con 1'20 su Baldini, 1'49" su Ronchini e 2'01" su un sempre in palla Charly Gaul. Quella sera l'Angelo della Montagna, doveva rendere in classifica quasi quattro minuti al francese e, alla fine del Giro, mancavano solo tre tappe. Ancora una volta, nonostante il lussemburghese avesse a disposizione un tappone, nessuno gli dava più credito, tutti i favori erano per Anquetil. Ed ancora una volta gli osservatori si sbagliarono!
Nella Torino-St Vincent, non successe nulla di importante a parte la bella vittoria di Alfredo Sabbadin. Tutti attendevano la Aosta-Courmayeur, il tappone, la frazione del Monte Bianco. Gaul si alzò di buon'ora, fece colazione guardando la finestra dell'albergo che mostrava quelle montagne innevate, ma omaggiate dal Sole lucente. Erano quelli i luoghi che l'avevano eletto Angelo e che di lui conoscevano gli istmi più profondi. Strizzò l'occhio ai compagni di squadra, litigò coi meccanici per i rapporti e la bicicletta, rispose male a chi gli domandava quali erano le sue intenzioni, si rifiutò di firmare autografi, fu scortese coi giornalisti. "Come Bartali quando andava forte - commentarono i più anziani - quello oggi fa un strage".
Ebbero ragione, perché l'Angelo della Montagna, dapprima passò il Gran San Bernardo camuffandosi ad assaggiare il senso dei voleri delle sue mitiche gambe, poi sulla Forclaz si nascose dietro agli altri per essere ancor più credibile, quindi esplose sul Piccolo San Bernardo, scolpendo una delle più limpide pagine della storia del ciclismo. Sapeva, il piccolo Charly, di avere nei polpacci la forza per far suo quel Giro e mettere sulla più bella maglia di quei tempi, quella dell'Emi, la sua seconda maglia rosa.
Solo Graziano Battistini, ed un grandissimo Imerio Massignan in stato di grazia, cercarono di infastidire quel suo personale rapporto con la montagna. Ma l'omino Gaul, venuto al ciclismo per ringraziare il signore di aver dato al mondo la bicicletta, deliziò la natura di quei paesaggi stupendi immersi nel verde, grigio e bianco-neve, con un ennesimo assolo di classe purissima. L'Angelo della Montagna, sui 296 chilometri di quella infinita tappa, quando tutti pensavano che avesse perso, ed a soli cinquanta chilometri dal traguardo, innescò una danza che solo lui poteva ballare.
Scollinò sul Piccolo San Bernardo con 1'10" su Massignan, 2'35" su Battistini, 3'35" sul tedesco Junkermann, 4'50" su Nencini e via via gli altri fino ai 6'10" di Anquetil. La discesa, vide Gaul difendersi benissimo, fino a giungere a Courmayeur in perfetta ed ormai solita solitudine. Alla fine di quella tappa era di nuovo il padrone della maglia rosa. Il giorno dopo, al Vigorelli di Milano, fu incoronato per la seconda volta, tra un tripudio di folla festante ed esaltata da quella impresa.
Charly era la personificata fantasia della gente, sul ciclismo di quei tempi. Stravagante com'era, poco incline a tutte quelle che erano le normalità d'un campione, a ventisei anni e mezzo, aveva vinto due Giri ed un Tour. "Un fenomeno", come ripeterono gli antichi rivali Learco Guerra ed Alfredo Binda. La sua vendetta di classe, sul Giro sfuggitogli per un bisogno corporale nel 1957, era fatta.


Charly Gaul scatta in salita al Giro del 1959

L'Angelo della Montagna
L’orizzonte era fatto di monti
che guardavano in fondo la valle.
S'ergevano austeri e inviolati
al cuore d'un credo
provato dal non lontano
ricordo d'una immane prova di vita.
L'aver visto la morte
spingeva il desiderio di vincere
di superare fatiche
di ricostruire convivio
fino a muovere i sogni.
La gente si votava
all'incontro con genesi
sopite e distrutte
dal corso passato,
si guardava alle montagne
depositarie di sguardi
senza tempo.
Si suonava
la musica d'una rinascita
infatuata della via
che dagli occhi porta
all'animo tenero.
Si cercavano eroi da scolpire
sullo sfondo dei colli
come fossero i paesi sognati
o figure totem d'una fede.
Lui arrivò silenzioso
danzando sui pedali d'una bicicletta
divenuta prolungamento del corpo.
Lui sentiva il profumo
d'una natura che l'aspettava
e si scioglieva immanente
come fosse figlio di quei luoghi.
Niente lo spaventava
nemmeno quando le piccozze
sembravan più utili
del suo cavallo meccanico.
Fra pioggia e freddo
fra nuvole e nebbia
i monti permeavano il suo teismo
il suo grido alla vita
e a quella gioventù
che non voleva offuscare.
Sempre silenzioso saliva
orientando gli azzurri occhi
sugli orizzonti sospesi lassù.
Per tanti correva sui pedali
in realtà recitava un idioma
dipingendo leggero una natura
che non disturbava
perché era parte di essa.
Il suo sorriso era nelle membra
e solo quando i richiami
dell'umana riconoscenza
si trasformavano in applausi
muoveva quel viso
per ringraziare le attenzioni
e accarezzare se stesso.
Lo chiamavano Charly Gaul
ma era una parte evidente
del paesaggio montano
che s'emozionava interpretando
il suo io profondo.
Un vero Angelo della Montagna.

Morris

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