NELLA STESSA RUBRICA :
9 agosto 2004
9 febbraio 2004
10 agosto 2004
18 novembre 2003
9 agosto 2004
29 aprile 2005
29 aprile 2005
PAROLE CHIAVE ASSOCIATE :
ARTICOLI CON LO STESSO TEMA :
|
dal sito Contropotere
Giorgio Sacchetti
Gli anarchici contro il fascismo (II)
L’attività cospirativa in Italia e l’esilio antifascista
Il ’Bollettino delle Ricerche’ del ministero dell’interno,
1932-’37, registra per alcune regioni e per alcuni anni (ad es.
Toscana 1933 e ’34) gli anarchici al primo posto per numero di
ricercati, dove generalmente erano secondi soltanto ai comunisti e
sempre prima degli altri raggruppamenti antifascisti. "Sempre
stando alle indicazioni delle carte di polizia - scrive Cerrito - generalmente propense a classificare come comunisti anche gli
anarchici inseriti direttamente nelle organizzazioni comuniste o
collegati indirettamente con le medesime, con elementi comunisti o
ritenuti comunque tali per il loro definirsi comunisti-anarchici, nel
1932-’37, numericamente gli anarchici e i comunisti si equivalevano".
Al confino la ribellione è una costante. A Ponza nel
1933, in 152 protestano contro i soprusi fascisti e numerosi
anarchici vengono per questo condannati (Failla, Grossuti, Bidoli,
Dettori e molti altri). A Ustica l’anarchico Arturo Messinese prende
a schiaffi il direttore della colonia che voleva obbligarlo al saluto
romano.
Molto numerosi sono gli anarchici costretti
all’esilio, soprattutto in Francia. Fra gli esponenti più
conosciuti: Luigi Fabbri, Ugo Fedeli, Armando Borghi, Alberto Meschi,
Camillo Berneri. E in Francia prosegue lo scontro violento per
difendere l’ambiente dell’emigrazione dalle infiltrazioni fasciste,
ma si partecipa anche alle lotte operaie. Negli attentati cadono
Nicola Bonservizi, segretario del Fascio di Parigi, Carlo Nardini,
vice console, don Cesare Cavaradossi, sacerdote e funzionario del
consolato. Alcuni anarchici, desiderosi di rovesciare il fascismo in
Italia attraverso un’immediata insurrezione, rimarranno invischiati
nella provocazione ordita da Ricciotti Garibaldi. Questi,
conosciutissimo per aver organizzato in guerra il corpo volontari
italiani delle Argonne, aveva infatti progettato una spedizione
armata in Italia coinvolgendo molti fuoriusciti. L’impresa però
si era subito rivelata come una montatura dei servizi segreti di
Mussolini.
Ma la storia dell’anarchismo italiano esule in
Francia traspare anche dalla consistenza di periodici e numeri unici
che esso edita oltralpe a partire dal 1923 fino al 1938, con code
anche nel dopoguerra. Sono ben 58 le testate anarchiche, stampate in
Francia in lingua italiana, reperite da Leonardo Bettini. La
periodicità è, ovviamente, varia (raramente
settimanale) ed irregolare in alcuni casi. Tralasciando i temi
tradizionali e ’storici’ della propaganda anarchica e le questioni
organizzative del movimento (che sono comunque presenti), preme
segnalare alcuni dei fogli ’specializzati’ e rivolti maggiormente ai
temi specifici dell’antifascismo: "La Voce del Profugo",
direttore Meschi, giornale antifascista e di propaganda sindacale
classista; "Campane a stormo", edito dopo l’assassinio di
Matteotti a cura del Comitato italiano d’azione e di propaganda
antifascista e alla cui redazione partecipano anche socialisti e
repubblicani; il mensile di Marsiglia "Non molliamo";
"Lotta anarchica" del 1930-’31 - sottotitolo: Per
l’insurrezione armata contro il fascismo -, portavoce dell’Ucapi; la
rivista "La Lotta Umana". L’emigrazione anarchica italiana
è attiva e presente, in misura minore, anche in Belgio (con
stampa e iniziative pubbliche), in Inghilterra, in Svizzera. In
quest’ultimo paese però, dalle colonne del ’Risveglio’ ci si
esprime contro qualsiasi ventilata ipotesi frontista e di
coordinamento unico della lotta: "I gruppi, senza confondersi e
seguendo ciascuno il proprio cammino, possono convergere tutti contro
il fascismo [...] L’azione insurrezionale deve partire dai più
diversi punti della periferia e non da un centro, quasi sempre
esitante e ritardatario". E’ una posizione questa ripresa
nell’emigrazione americana, particolarmente da Armando Borghi, già
segretario generale dell’Usi, e da "L’Adunata dei Refrattari",
foglio settimanale (poi quindicinale), pubblicato a New York
ininterrottamente dal 1922 al 1971. L’emigrazione degli anarchici
italiani negli Stati Uniti, pur costellata di aspre polemiche
interne, ritrova l’unità d’azione in iniziative come la
campagna pro Sacco e Vanzetti, il sostegno alla lotta cospirativa
contro il fascismo in Italia, il soccorso ai fuoriusciti.
Nel
1934 il movimento in esilio in Francia si divide fra ’anarchici
indipendenti’, organizzati in Federazione, e quelli favorevoli invece
o ad un avvicinamento alla Concentrazione antifascista o ad
un’adesione al Fronte Unico. La questione resterà aperta per
lungo tempo. Il Soccorso Anarchico alle vittime politiche ed alle
loro famiglie moltiplica intanto gli sforzi. Il ministero della
giustizia informa sugli aiuti che, sebbene talvolta soggetti a
sequestro, puntualmente giungono all’indirizzo dei detenuti, perfino
ai ’banditi’ come Santo Pollastro e Giuseppe De Luisi. I "soliti
manifestini anarchici" vengono rinvenuti ancora in treni
provenienti d’oltralpe, in Val d’Aosta e a Torino. Si tratta questa
volta di un appello intestato "Gli anarchici ai lavoratori".
E’ l’ennesimo invito a lavorare per la rivoluzione espropriatrice
anticapitalista contro ogni genere di dittatura, sia pure bolscevica,
e contro il politicantismo socialista, per andare - si dice - "oltre
la democrazia".
Espulso dall’Uruguay rientra nel
frattempo in Italia Ugo Fedeli che, scontati alcuni mesi di carcere,
si stabilisce a Milano dove "riprende la sua attività
politica non appariscente", confermandosi ancora come militante
di prima fila, nei contatti soprattutto con le strutture operative
del Soccorso anarchico in Sicilia ed in Francia. Da Tunisi, nell’arco
di pochi mesi giungono per posta a decine di recapiti nelle province
di Palermo, Trapani e in Sardegna altrettanti plichi di manifestini,
in parte intercettati dalla polizia, intitolati "Abbozzo di
proclama al popolo italiano" e firmati: Gli Anarchici. La
sostanza del contenuto è un richiamo all’insurrezione in
quanto si reputa che il fascismo potrà cadere solo attraverso
un atto di forza. Una volta rovesciato il regime - si precisa - i
contadini dovranno occupare le terre, gli operai le fabbriche, quindi
"ridarsi alla quotidiana fatica, ma col fucile a portata di
mano".
L’attivismo sfrenato delle forze di polizia e
l’esigenza, che non sempre può essere soddisfatta, dei
risultati portano talvolta a situazioni comiche paradossali, brutti
scherzi probabilmente giocati dagli stessi anarchici braccati. Come
quando viene diramato a tutte le prefetture del Regno un avviso di
ricerca per un anarchico abruzzese "ignorante"
dall’improbabile nome di ’Mannaggia’, o ci si accanisce contro una
fantomatica "cellula toscana del Lilli". Si dà anche
molto credito (in base alle nuove direttive impartite da Mussolini
all’Ovra) agli informatori, specie se ex-anarchici come nel caso di
tale Giuseppe Guelfi da Massa. Questi nell’aprile 1934 promette di
far smascherare un comitato nazionale di agitazione anarchica con
sede in Livorno, diretta emanazione della Concentrazione antifascista
parigina; due mesi dopo vengono così eseguite in quella città
in contemporanea 23 perquisizioni ad altrettante persone da lui
indicate - tutti amici di Consani - ma l’esito è negativo.
Allo stesso modo fallisce il tentativo dell’Ovra di inserirsi, usando
il nome di Schicchi, nella corrispondenza del Soccorso anarchico
internazionale.
La questione, divenuta annosa, del fronte
unico contro il fascismo e, più in generale, delle alleanze
nel periodo di transizione, viene definita a Parigi, nel 1935, in un
"Convegno d’intesa degli anarchici italiani emigrati in Francia,
Belgio e Svizzera" a cui partecipa lo stato maggiore
dell’anarchismo italiano con Camillo Berneri, Enzo Fantozzi, Umberto
Marzocchi ed altri. "Distruggere l’impalcatura dello stato
fascista - è l’obiettivo contingente - ed impedire che domani,
dietro le spalle di un governo provvisorio pseudorivoluzionario, si
affermi un governo di restaurazione demo-social-liberale o una
dittatura bolscevica". Le risoluzioni del convegno prevedono la
possibilità di una "libera intesa" con Giustizia e
Libertà, sindacalisti e repubblicani di sinistra nel segno
forse delle comuni matrici teoriche ispirate a laicismo,
insurrezionalismo, pluralismo, autonomia del movimento operaio,
federalismo. Esse sanciscono anche la formalizzazione della rottura
ormai nei fatti con i comunisti (esclusi i gruppi dissidenti) e con i
socialisti (esclusa la minoranza massimalista).
A seguito del
convegno parigino sono poste in essere proposte immediate di azioni
quali: la costituzione di un comitato libertario che procuri le armi
ai volontari che dovranno rientrare in patria a condurre la lotta
armata contro il fascismo; la presa di contatto diretta e gli accordi
definitivi con i compagni dell’interno; la redazione di manifestini
contro la guerra d’Etiopia peraltro già sollecitati
dall’Italia.
Nel medesimo periodo vengono rinvenuti (ma altri
arriveranno a destinazione) ancora in un treno proveniente dalla
Francia 14 involti contenenti tre tipi di manifestini: "Dichiarazione
degli anarchici al proletariato italiano"; "Contro la
guerra ed il fascismo"; "Alle forze rivoluzionarie
italiane". Il testo di quest’ultimo in particolare - firmato:
L’Intesa Rivoluzionaria Italiana - non privo di riferimenti
all’anarchismo storico, richiama comunque direttamente per il
linguaggio usato e per le conclusioni al movimento di ’G.L.’. Gli
altri due tipi di manifestini - a firma: Gli Anarchici proscritti -
ricalcano invece posizioni politiche già note e cioè
che l’abbattimento del fascismo sarà inseparabile dalla fine
del regime capitalista e dello Stato, e quindi che la successione, il
passaggio alle forme repubblica, costituente e dittatura proletaria
sono nient’altro che un inganno.
Le notizie che arrivano
dalla Spagna nel corso del 1936 infiammano gli animi. La rivolta
popolare contro i generali fascisti spinge molti fra gli anarchici
italiani residenti in Francia ad accorrere a Barcellona e ad
aggregarsi nelle colonne della CNT-FAI. Con la parola d’ordine "oggi
in Spagna, domani in Italia" si formerà di lì a
poco, con il concorso di giellisti e repubblicani, la Colonna
italiana, sezione Ascaso della CNT-FAI, sulla base di accordi
sottoscritti da Berneri, Mario Angeloni e Carlo Rosselli, ciascuno
per la sua parte politica. La contraddizione fra guerra antifascista
e rivoluzione sociale e, soprattutto il rifiuto della
militarizzazione da parte degli anarchici italiani porteranno allo
scioglimento della stessa colonna. L’epilogo tragico si consuma nel
contrasto irreparabile fra alcune delle forze antifasciste in campo,
in particolare con i ’governativi’ comunisti staliniani che si
rendono responsabili degli assassinii di Berneri e Barbieri.
In
Italia intanto l’Ovra registra informali ’riunioni di combriccole
anarchiche’ fra operai delle fabbriche del nord, nelle osterie dei
quartieri popolari nelle grandi città, e incontri di anarchici
conosciuti con rappresentanti di ’G.L.’ e del partito repubblicano,
continua ad annotare gli spostamenti poco chiari degli elementi
sospetti.
Per il 1938 i prefetti di Mussolini segnalano una
perdurante presenza organizzativa del movimento specie in Sicilia e
in Toscana, ad esempio a Piombino, ed inoltre che "esistono in
Italia, e funzionano in collegamento tra loro gruppi anarchici in
specie a Torino, Trieste, Livorno, Roma e Genova; la fonte principale
degli aiuti finanziari parrebbe l’America del Nord".
Gli
ultimi terribili anni del regime fascista, i primi della nuova guerra
mondiale, vedono gli anarchici italiani prostrati a causa della
gravissima sconfitta subita in Spagna. In Francia sono in parte
ridimensionate le vecchie strutture dell’esilio antifascista ora
maggiormente orientate al soccorso del popolo iberico. Nell’interno
in molte località, in seguito alle recenti ondate di arresti e
invii al confino, le attività cospirative e di propaganda
hanno subìto un rallentamento e soprattutto sono tagliati in
gran parte i contatti con l’estero ed a livello nazionale. Il capo
della polizia valuta per il 1939 come ancora vigenti pochissimi
canali di comunicazione anarchica con l’estero: dalla provincia di
Belluno con Ginevra; da Firenze e dal Valdarno con Marsiglia; dalla
provincia di Livorno con New York e con la Francia; da Roma con
Parigi.
Al momento dello scoppio della guerra il Comitato
Internazionale di Difesa Anarchica con sede a Bruxelles, composto da
italiani, francesi, spagnoli, tedeschi e belgi, pubblica uno speciale
Bollettino plurilingue destinato anche alla diffusione in Italia. Il
contenuto del foglio, la cui redazione è attribuibile a Mario
Mantovani, risulta di impostazione prettamente pacifista e di
’equidistanza’ tra gli stati belligeranti. Esso si differenzia da
ogni posizione di adesione pura e semplice alla guerra antinazista
espressa invece da alcuni settori dell’anarchismo internazionale,
specie nell’AIT. Su ciò pesano evidentemente valutazioni a
caldo sul patto di non aggressione russo-tedesco appena stipulato. La
parola d’ordine è sempre e comunque ancora quella di opporre
l’insurrezione degli sfruttati alla guerra degli sfruttatori.
Dalla clandestinità alla lotta partigiana
Nel giugno 1942 un convegno clandestino che si tiene a
Genova indica al movimento un percorso di liberazione che
esplicitamente prevede una prima tappa intermedia, e infatti così
si esprime la mozione che ne scaturisce:
"Essendo il
fascismo il primo caposaldo da demolire e ogni colpo da chiunque
tirato sarebbe sempre desiderato, in questa azione ci troveremo
gomito a gomito con l’arma in pugno anche con quegli elementi le cui
finalità sono in contrasto con le nostre o sono indefinite
[...] Ma, caduto il primo caposaldo, cioè il fascismo, ogni
corrente rivoluzionaria avanzerà le proprie rivendicazioni
[...] Perciò nostro preciso compito crediamo sia questo:
lavorare contro il fascismo sì, con chiunque: ma esigere da
chiunque il diritto all’affermazione dei nostri sacrosanti principi
libertari".
Risulta chiaro fin da subito quindi come gli
intenti della lotta siano fermamente rivoluzionari, ma anche come si
tenga in considerazione e facilmente si profetizzi che molti fra i
possibili compagni di strada dell’oggi potranno domani mutarsi in
avversari. Per questo stesso periodo le fonti di polizia riferiscono
che, da parte di anarchici non meglio precisati residenti in
Piemonte, in Lombardia e nelle Marche, viene fondato un movimento
antimilitarista denominato "PERDERE PER VINCERE" dedito
alla diffusione di stampa clandestina e sovvenzionato dal noto Luigi
Bertoni di Ginevra.
Ma la spinta decisiva si può dire
che giunga dai confinati. E’ un nutrito gruppo di anarchici quello
che si trova ancora relegato nelle isole, soprattutto a Ventotene. Si
tratta per lo più di militanti ormai temprati dalle battaglie,
in molti casi già estradati dalla Francia (dal campo di
concentramento di Vernet d’Ariège), paese nel quale erano a
suo tempo rientrati dopo aver partecipato alla guerra di Spagna.
Nelle famose ’mense’, strutture logistiche del confino formate
secondo criteri di affinità e appartenenza politica, si
discute intanto animatamente dei programmi e delle prospettive
unitarie della lotta antifascista. Ad esempio il direttivo comunista
di Ventotene, alla vigilia della caduta di Mussolini, vota un
documento che, mentre prefigura e delimita in modo preciso il campo
delle alleanze, indica contemporaneamente gli altri nemici da battere
oltre ai fascisti e lancia la parola d’ordine della "Lotta senza
quartiere contro i nemici dell’unità proletaria: nel Partito
socialista, Modigliani e Tasca, nel massimalismo gli antisovietici e
anticomunisti, negli anarchici gli anticomunisti". Invece fra i
componenti della numerosa colonia degli anarchici, seconda per numero
in quell’isola popolata da circa ottocento confinati, in una
assemblea plenaria si cerca piuttosto di sanare i contrasti annosi
fra compagni del movimento, di rilanciare la lotta operaia, di
riallacciarsi a quella pratica dell’unità proletaria già
sperimentata in epoca prefascista.
Intanto nel meridione
appare significativo quanto si verifica a Cosenza dove già
nell’ottobre 1942 gli anarchici fondano un ’Comitato provinciale del
Fronte unico nazionale per la libertà’.
Dopo il
convegno clandestino di Genova si infittisce ulteriormente la rete
dei contatti fra i piccoli gruppi informali già esistenti un
po’ ovunque e le individualità in particolare nell’Italia
centrale. L’artefice principale di tutto questo lavorìo è
il vecchio Binazzi di Torre del Lago, già redattore a La
Spezia del settimanale "Il Libertario"; il primo importante
risultato conseguito sul piano organizzativo è la
convocazione di una serie di convegni clandestini interregionali che
si tengono tutti a Firenze; questo mentre vivi sono gli entusiasmi
per le notizie, fornite dalla stampa clandestina, sui primi scioperi
operai nelle fabbriche del nord. Il 16 maggio 1943, nell’abitazione
del fornaio Augusto Boccone, si tiene la prima di queste riunioni che
formalmente costituisce la Federazione Comunista Anarchica Italiana.
Sono presenti delegati provenienti da Bologna, Faenza, Genova, La
Spezia, Livorno, Firenze, Torre del Lago, mentre avevano inviato la
loro adesione i gruppi di Carrara e Pistoia. Vengono così
stampate a cura del tipografo Lato Latini, e diffuse nelle varie
località, mille copie di un manifestino contenente un appello
ai lavoratori ed il programma minimo della neocostituita federazione.
In esso si ribadiscono i punti cardine sui quali incentrare
la lotta rivoluzionaria: rifiuto della guerra in quanto prodotto del
sistema capitalistico; appoggio ad ogni forma di opposizione al
regime nell’ambito di un antifascismo intransigente; per la libertà
di pensiero, di stampa, di associazione e anche contro ogni forma
possibile di dittatura rivoluzionaria transitoria; contro la
monarchia e per la costituzione di "libere federazioni di
comuni, autonomi, composte di liberi produttori".
Certamente
si pone anche la questione dei rapporti con il Pci, la cui
organizzazione clandestina dimostra peraltro grande efficienza e
penetrazione nelle masse. Così, sempre a Firenze, si tiene,
poco dopo l’uscita pubblica di questo programma minimo, un incontro
segreto fra una delegazione ristretta di esponenti anarchici e una
del Pci. Non si hanno notizie precise sugli argomenti all’odg per
questo inusuale rendez-vous, se non che il risultato "fu un
fiasco".
La caduta del fascismo, l’avvento della nuova
dittatura militare di Pietro Badoglio con il 25 luglio, ed il suo
noto proclama agli italiani sulla guerra che continua, con
l’avvertenza perentoria alla sinistra rivoluzionaria che "chiunque
si illuda di turbare l’ordine pubblico, sarà inesorabilmente
colpito", fanno ulteriormente surriscaldare il clima di attesa
impaziente fra i confinati. La così detta ’storia dei 45
giorni’, iniziandosi con il coinvolgimento in ambito governativo di
un comitato delle opposizioni antifasciste, vede per forza di cose la
parziale risoluzione della questione confino. Il capo della polizia
Senise invia un dispaccio urgente a tutte le direzioni delle colonie:
"Prego disporre subito scarcerazione prevenuti disposizione
autorità PS responsabili attività politiche escluse
quelle riferentesi comunismo e anarchia". I primi a partire da
Ventotene (dove è direttore Marcello Guida, futuro questore di
Milano nel 1969) dopo la compilazione delle liste distinte per gradi
di pericolosità politica, sono gli ’antifascisti democratici’
e quelli di ’G.L.’, dopo i socialisti, infine i comunisti. Restano
alla fine nell’isola circa 200 confinati politici fra anarchici e
cittadini italiani di origine slovena o croata. Ma il dispaccio
ministeriale che dispone la liberazione anche di questi ultimi coatti
giunge quando questi sono già stati ormai avviati al campo di
concentramento di Renicci d’Anghiari (Arezzo) - uno dei peggiori
d’Italia sia per il numero di internati (in genere prigionieri di
guerra slavi) che per i comportamenti del personale di sorveglianza -
ove giungono dopo varie peripezie il giorno 23 agosto. A questo punto
gli anarchici sono rimasti in sessanta circa. L’8 settembre i
prigionieri chiedono in massa le armi per opporsi all’occupazione
tedesca e per tutto il giorno seguente si organizzano comizi nei vari
settori del campo. Nella rivolta rimane ferito Alfonso Failla. La via
della fuga di massa da Renicci, con i tedeschi alle porte, è
dunque aperta da questo episodio di ribellione.
A Firenze
intanto, nella clandestinità, rivede la luce "Umanità
Nova" già soppresso dal fascismo, tiratura iniziale 1800
copie, destinata a quadruplicarsi nei due anni successivi. Il primo
numero esordisce con l’editoriale: "Salute a Voi, o compagni
d’Italia e di tutti i paesi; noi, dopo un lungo e forzato silenzio,
riprendiamo con immutata fede il nostro posto di battaglia per la
liberazione di tutti gli oppressi".
Per tutto il 1944
gli anarchici d’Italia, pur nelle differenti situazioni locali e
talvolta in condizioni di estrema debolezza, impegnati nel movimento
partigiano, caratterizzeranno la loro azione nel senso
dell’antifascismo intransigente e della preparazione insurrezionale,
della ricerca anche di programmi da attuare nel concreto per la fase
di transizione. Si pubblica così un nuovo ’programma minimo’
che denota, sull’onda della impostazione berneriana del 1935,
importanti punti di contiguità con il filone
azionista-repubblicano e liberalsocialista. Non mancheranno comunque
gli appelli "ai socialisti onesti" ed alla collaborazione
fattiva con la base del Pci.
La proposta anarchica del
’Fronte Unico dei Lavoratori’ si inserisce nei contesti diversificati
della lotta armata e della criticata esperienza dei CLN, della
riorganizzazione del movimento operaio a sud e nelle zone liberate,
innescando però non poche contraddizioni. Ci si oppone
comunque, dentro la Confederazione Generale del Lavoro, al nuovo
totalitarismo sindacale dominato dai partiti. Si cercano anche
effimere alleanze con i settori della dissidenza comunista come nel
caso della fondazione a Milano nel 1944 della Lega dei Consigli
Rivoluzionari. Ma i nemici più convinti di qualsiasi possibile
versione del Fronte Unico rivoluzionario dei lavoratori sono gli
Alleati i quali, tramite connivenze ad ogni livello, non esitano a
fare abbondante uso di sistemi repressivi giungendo fino
all’eliminazione fisica di quadri scomodi della Resistenza, come nel
caso degli anarchici piacentini Canzi e Fornasari.
La fine
del regime mussoliniano coincide nel meridione con la rinascita e lo
sviluppo di quel filone socialista-libertario popolare e contadino
rimasto allo stato di latenza negli anni del fascismo. Per gli
anarchici che si trovano nel Regno del Sud si tratta di combattere
una vera e propria guerra su due fronti e non solo dunque contro i
nazifascisti, per la libertà di stampa e di organizzazione
negata dagli eserciti ’liberatori’ delle grandi nazioni democratiche.
Alla vigilia dell’insurrezione di aprile i partigiani
anarchici lanciano, dalla Genova dei portuali, l’ultimo appello al
popolo, mentre ancora da Firenze "Umanità Nova"
ripubblica il ’programma minimo’.
La Resistenza si sviluppa
come è noto in quei territori dell’Italia centro
settentrionale rimasti in mano tedesca e costituenti la Repubblica
Sociale Italiana. Gli anarchici partecipano alla lotta armata in
maniera cospicua quanto a tributo di uomini e di sangue, ma subiscono
d’altro canto totalmente l’egemonia delle altre forze della sinistra.
Talvolta militano in proprie specifiche formazioni partigiane, ma più
spesso si trovano inquadrati nelle "Garibaldi", nelle
"Matteotti"o in G.L.
A Roma gli anarchici sono
presenti in particolare nella formazione comandata dal repubblicano
Vincenzo Baldazzi, personaggio noto per la sua antica amicizia per
Malatesta. Fra i caduti: Aldo Eluisi alle Fosse Ardeatine; Rizieri
Fantini, fucilato a Forte Bravetta; Alberto Di Giacomo detto ’Moro’ e
Giovanni Gallinella deportati a Mathausen senza ritorno; Ettore Dore
(di origine sarda, già combattente della colonna Ascaso in
Spagna) rimasto ucciso durante una missione oltre le linee.
Nelle
Marche gli anarchici militano nelle differenti formazioni partigiane
presenti ad Ancona, Fermo, Sassoferrato e a Macerata dove cade
Alfonso Pettinari, già confinato, commissario politico in una
brigata ’Garibaldi’.
Piombino operaia, centro siderurgico con
una notevole tradizione libertaria e sindacalista rivoluzionaria, è
la protagonista di una sommossa popolare contro i nazifascisti già
il 10 settembre 1943. Fra i protagonisti dell’insurrezione Egidio
Fossi, Renato Ghignoli e Adriano Vanni; quest’ultimo attivo poi nella
resistenza in Maremma.
A Livorno gli anarchici sono tra i
primi ad impadronirsi delle armi custodite nelle caserme e
nell’Accademia navale di Antignano al fine di rifornire le bande
partigiane. Inquadrati nei GAP e nella Divisione Garibaldi
partecipano ad operazioni di guerriglia nelle province di Pisa,
Livorno e in Maremma. Nell’opera di liberazione dei rastrellati e
carcerati si distinguono fra gli altri Virgilio Antonelli, a sua
volta già confinato ed internato dal 1926 al 1941 quasi
ininterrottamente, e Giovanni Biagini.
Consistente e
determinante l’apporto libertario nella resistenza apuana che qui
assume anche le caratteristiche di vera e propria guerra sociale.
Sono attive nella zona di Carrara formazioni partigiane libertarie,
complessivamente composte da oltre un migliaio di uomini, denominate:
"G.Lucetti", "Lucetti bis", "M.Schirru",
"Garibaldi Lunense", "Elio", SAP "R.Macchiarini",
SAP-FAI. Dopo l’8 settembre un gruppo di anarchici fra cui Romualdo
Del Papa guidano l’assalto alla caserma Dogali e spingono gli alpini
a disertare e ad aderire alla lotta partigiana. Nasce così la
"Lucetti" comandata da Ugo Mazzucchelli e che agisce
nell’ambito della BrigataApuana. Alla fine del 1944 lo stesso
Mazzucchelli, a seguito di un rastrellamento che costa la vita a sei
dei suoi uomini, ripara in Lucchesia salvo poi rientrare prima
dell’arrivo degli alleati a liberare Carrara con la sua formazione
"Schirru". Fra i partigiani anarchici più conosciuti
vi sono inoltre il comandante Elio Wochievich, Venturelli Perissino,
Renato Macchiarini, il giovanissimo Goliardo Fiaschi, Onofrio
Lodovici, Manrico Gemignani, i figli di Mazzucchelli Carlo e Alvaro,
Alcide Lazzarotti, ecc..
A Lucca ed in Garfagnana, sui cui
monti agiscono anche militanti pistoiesi e livornesi, gli anarchici
sono soprattutto presenti nella formazione autonoma comandata da
Manrico Ducceschi "Pippo". Fra i partigiani libertari
lucchesi noti vi sono: Federico Peccianti, nella cui casa si riunisce
il CLN; Luigi Velani, aiutante maggiore nella "Pippo".
A
Pistoia agisce la formazione anarchica "Silvano Fedi"
composta da 53 partigiani. Il primo gruppo di resistenza si
costituisce ad opera di Egisto e Minos Gori, Tito e Mario Eschini,
Tiziano Palandri e Silvano Fedi. Leggendaria la figura del giovane
comandante da cui prende il nome la banda, vittima di una imboscata
dai contorni poco chiari (come testimonierà il vicecomandante
Enzo Capecchi) -tesagli dai tedeschi su probabile "delazione di
italiani". La stessa formazione, con Artese Benesperi alla
testa, è la prima ad entrare in Pistoia liberata.
A
Firenze si costituisce, alle dipendenze del comando militare del
Partito d’Azione, una prima banda armata che agisce sul vicino monte
Morello comandata dall’anarchico Lanciotto Ballerini, caduto in
combattimento medaglia d’oro alla memoria. Al poligono di tiro delle
Cascine sono fra gli altri fucilati gli anarchici Oreste Ristori,
settantenne già coatto nel 1894, e Gino Manetti. In provincia
di Arezzo gli anarchici sono presenti nella resistenza in Valdarno,
con un’attiva partecipazione anche ai CLN locali, ed in Valtiberina
con Beppone Livi "Unico" che assolve compiti di
collegamento fra la formazione ’Bande Esterne’, i comitati di
liberazione aretino e toscano, ad Arezzo e a Firenze.
A
Ravenna si ha una folta presenza libertaria nella 28^ Brigata
Garibaldi e rappresentanza adeguata nel CLN provinciale. La prima
pattuglia partigiana che entra in Ravenna liberata è comandata
dall’anarchico Pasquale Orselli. Notevole il tributo di sangue.
In
provincia di Bologna e Modena gli anarchici contribuiscono alla
costituzione delle prime brigate partigiane a Imola con la
"Bianconcini", ed a Bologna con la "Fratelli Bandiera"
e la "7^ Gappisti". A Reggio Emilia cade fucilato Enrico
Zambonini; un distaccamento della ’Garibaldi’ prenderà il suo
nome. A Piacenza si ergono le figure di Savino Fornasari e di Emilio
Canzi, accomunati dal singolare destino di morire in incidenti
stradali causati da automezzi alleati. Canzi in particolare comanda
tre divisioni e 22 brigate, per un totale di oltre diecimila
partigiani!
Le formazioni di La Spezia e Sarzana agiscono in
stretto contatto con quelle della vicina Carrara con due gruppi
comandati dagli anarchici Contri e Del Carpio. Renato Olivieri, già
detenuto politico per 23 anni, e Renato Perini cadono durante uno
scontro a fuoco con i nazifascisti.
A Genova la presenza
libertaria nella resistenza supera i 400 partigiani ("Pisacane",
"Malatesta", SAP-FCL, SAP-FCL Sestri Ponente), di cui 25
caduti in combattimento. Qui la Federazione Comunista Libertaria,
fallita l’ipotesi di Fronte Unico, deve affidarsi per la lotta armata
unicamente alle proprie forze.
Nella Torino industriale,
particolarmente alla FIAT e durante l’insurrezione alle ’Ferriere
Piemontesi’, agisce la formazione anarchica denominata 33°
battaglione SAP "Pietro Ferrero". Fra i caduti: Dario
Cagno, fucilato per complicità nell’uccisione di un gerarca, e
Ilio Baroni, già ardito del popolo a Piombino. Nell’astigiano
si registrano invece presenze libertarie fra i ’garibaldini’.
A
Milano la lotta clandestina è iniziata da Pietro Bruzzi che
viene subito catturato ed ucciso dopo tortura dai nazifascisti. Gli
anarchici dopo la sua morte costituiscono le brigate "Malatesta"
e "Bruzzi" forti di 1300 partigiani, in un secondo momento
inquadrate nelle formazioni "Matteotti" e che avranno,
sotto il comando di Mario Perelli, un ruolo di primo piano nella
liberazione di Milano. A Como opera la "Amilcare Cipriani";
in provincia di Pavia la 2^ Brigata "Malatesta"; mentre nel
bresciano gli anarchici sono attivi in una formazione mista
G.L.-Garibaldi.
A Verona l’anarchico Giovanni Domaschi (11
anni di carcere e nove di confino, due evasioni) fondatore del locale
CLN, viene arrestato dai tedeschi e deportato a Dachau dove muore.
In Friuli Venezia Giulia alcuni anarchici sono inseriti in
formazioni comuniste come la Divisione Garibaldi-Friuli. A Trieste i
collegamenti con i partigiani sono tenuti da Giovanni Bidoli, poi
scomparso nei lager tedeschi insieme a Carlo Benussi, un altro
anarchico friulano. Attivo anche Nicola Turcinovic che ben presto
però si trasferisce da Trieste a Genova dove continua a
militare nelle formazioni partigiane della FCL. Nell’alta Carnia,
dove Italo Cristofoli muore durante l’assalto alla caserma tedesca di
Sappada, gli anarchici contribuiscono alla costituzione di una Zona
Libera autoamministrata.
"Le loro formazioni di
combattimento - ha scritto Cerrito in merito alla partecipazione
anarchica alla Resistenza - rimangono legate al Partito Comunista, al
Partito Socialista, al Partito d’Azione. Nei CLN ai quali partecipano
con delegati qualificati non riescono mai ad imporre una linea
politica rivoluzionaria, un atteggiamento in qualche modo orientato
in senso libertario. Anche se essi non sono secondi a nessuno nella
lotta armata contro il nazifascismo, non riescono a superare il
gradino di inferiorità psicologica in cui li pone la loro
carenza organizzativa e la mancanza di un programma politico
uniforme".
Dopo la liberazione - mentre al sud il
movimento si trovava già ad un buon livello organizzativo una
volta costituita l’Alleanza Gruppi Libertari - le federazioni
comuniste libertarie che man mano si erano costituite convocano a
Milano il primo convegno interregionale per l’alta Italia nel giugno
1945. All’odg: l’unità sindacale e il tema ostico della
collaborazione libertaria ai CLN; la riorganizzazione del movimento
giovanile e la convocazione di un congresso costitutivo della FAI..
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
-
AA.VV., Atti della giornata di
studi su L’Antifascismo rivoluzionario. Tra passato e presente, Pisa
25 aprile 1992, BFS 1993;
-
AA.VV., Giornali anarchici
della Resistenza 1943-’45 / Gli anarchici e la lotta contro il
fascismo in Italia / Il fuoriuscitismo in Francia e Spagna,
Ediz. Zero in Condotta, Milano 1995;
-
A. DADA’, L’anarchismo in
Italia: fra movimento e partito. Storia e documenti dell’anarchismo
italiano, Teti editore Milano 1984;
-
I.ROSSI, La ripresa del
movimento anarchico italiano e la propaganda orale dal 1943 al 1950,
RL Pistoia 1981;
-
P.BIANCONI, Gli anarchici nella
lotta contro il fascismo, Ediz. ArchivioFamiglia Berneri,
Pistoia 1988;
-
G.CERRITO, Gli anarchici nella
resistenza apuana, a cura di A.Dadà, Maria Pacini Fazzi
Editore, Lucca 1984;
-
M.ROSSI, "Avanti siam
ribelli..." Appunti per una storia del movimento anarchico
nella Resistenza, BFS, Pisa 1985;
-
M.LAMPRONTI, L’Altra
Resistenza. L’Altra Opposizione (comunisti dissidenti dal 1943 al
1951), Antonio Lalli Editore, Firenze 1984;
-
C.VENZA,Umberto Tommasini.
L’anarchico triestino, ediz. Antistato Milano 1984;
-
L.CAVALLI, C.STRADA, Nel nome
di Matteotti. Materiali per una storia delle Brigate Matteotti in
Lombardia, 1943-1945, Franco Angeli, Milano 1982,;
-
G.MANFREDONIA, Les Anarchistes
italiens en France dans la lutte antifasciste, in "Collection
de l’Ecole francaise de Rome", Roma n.94/1986;
-
M.R. BIANCO, Les anarchistes
dans la Resistance, vol. 2,
Témoignages1930-1945,in"Bulletin" C.I.R.A., Marseille,
n.23/25 del 1985;
-
L. DI LEMBO, Il movimento
anarchico a Firenze (1922-30), in "Città &Regione",
Firenze,n.6/1980;
-
I.TOGNARINI (a cura di), Guerra di
sterminio e Resistenza. La provinciadi Arezzo 1943-1944, E.S.I.,
Napoli 1990;
-
L.BETTINI, Bibliografia
dell’anarchismo, vol.1, tomi I e II, C.P. editrice, Firenze
1972-1976;
-
AA.VV., Italiani nella guerra
di Spagna 1936/1938. Un contributo di libertà, in
"Archivio Trimestrale", Roma, n.1/1982;
-
G. Manfredonia, La lutte
humaine. Luigi Fabbri, le mouvement anarchiste italien et la la
lutte contre le fascisme, Editions du Monde Libertaire, Paris
1994;
-
"Bollettino del Museo del
Risorgimento", Bologna a. XXXV 1990 (Atti del Convegno di
studi su Armando Borghi nella storia del movimento operaio italiano
e internazionale,Castelbolognese, dicembre 1988);
-
"Almanacco Socialista",
Milano, Ed. Avanti!,1962;
-
"A-Rivista anarchica"
Milano, n.4/1973;
-
"Rivista Storica dell’Anarchismo",Pisa, nn. 3 e 4
del 1995.
|