RASSEGNA STAMPA

29 LUGLIO 2000
MAURIZIO CECCHETTI
Un saggio rilancia il pensiero della santa sull'empatia
La "notte oscura" di Edith Stein
Bisogna "rendersi conto" di ciò che accade all'altro
Laura Boella, Annarosa Buttarelli, "Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein", Cortina. Pagine 120. Lire 16.000
L'empatia fu il tema della tesi di laurea di Edith Stein, presentata il 3 agosto 1916. Il relatore della tesi non era un nome qualunque dell'Università di Friburgo: era il padre della fenomenologia, Edmund Husserl, del quale furono in vario modo discepoli nomi come Heidegger, Scheler, Ingarden. È anche noto, lei stessa ne era consapevole, che Husserl pur stimandone l'intelligenza e la mente speculativa, non ebbe per Edith una particolare predilezione. E lei, a sua volta, si tenne a distanza, fino a quando, con la svolta trascendentale di Husserl che lo portò ad abbracciare una via di nuovo idealistica, il disaccordo col maestro divenne esplicito segnando il distacco definitivo tra loro. Il libro di Laura Boella e Annarosa Buttarelli, Per amore di altro, sviluppa un pensiero critico che ha come ultimo riferimento la mistica della notte oscura che Edith, assunto dopo la conversione il nome di Teresa Benedetta della Croce, sperimenta a partire da un itinerarium vitae condotto sotto la guida spirituale di Teresa d'Avila e del suo discepolo Giovanni della Croce. La Scientia crucis, titolo dell'incompiuto saggio che la Stein stava scrivendo sul mistico spagnolo poco prima di essere portata ad Auschwitz dove ben presto morirà (1942), è il grado ultimo della spogliazione di sé davanti a Dio, che la spinge infine verso quella visione di Dio che, per lo Pseudo Dionigi (e poi anche per Cusano, ma si potrebbe, arrivando a noi, aggiungere il nome di Wittgenstein come espressione estrema della linea apofatica), avviene come attraverso una caligine, poiché Egli è l'assoluto ineffabile. La fede, per Edith, è immersione in questa condizione notturna, che non va intesa in senso fenomenico come tenebra che ci spaesa e ci copre di angoscia o terrore, bensì come quel luogo dove si accede alla vera visione di Dio senza chiuderlo nelle nostre misure. Si sfiora insomma l'eternità dell'essere e la sua presenza reale. Anche il rapporto con l'altro, con quello che mi sta di fronte (fil rouge di tutta la speculazione levinassiana, per esempio, che parla del volto come di qualcosa o qualcuno che mi sta davanti e non va violato), anche la condivisione del suo dolore o del suo gioire, estensivamente: del suo vivere, si spiega per Edith Stein nella logica di un legame che non identifica mai né può rendere sostituibili tra loro l'"io" e il "tu". L'empatia è esperienza di come questa importantissima "differenza" non venga abolita, ma trovi una singolare profondità ontologica proprio portando alla luce la dimensione dell'alterità comune a me e all'altro. La precoce presa di distanza della Stein da Husserl era contenuta in nuce già nella tesi di laurea, poi pubblicata col titolo Il problema dell'empatia (in italiano edita da Studium), soprattutto quando la Stein critica la teoria dell'Einfühlung di Theodor Lipps, ovvero di uno degli esponenti più tipici dell'idealismo tedesco, che pensa l'empatia come immedesimazione e identificazione di due soggetti. Ma questo universalismo è lontano dalla visione personalistica della Stein: l'identificazione nega, implicitamente, la libertà del soggetto e la sostanziale differenza tra il dolore dell'altro e ciò che io provo davanti a esso. Solo a partire dall'alterità che ci lega, possiamo condividere la gioia o il dolore l'uno dell'altro. La Stein riassume questa intuizione quando afferma che l'empatia è "rendersi conto" di ciò che accade all'altro, e conclude: quel che interessa non è perché o come accada questo, ma proprio che cosa è, alla radice, cioè ontologicamente, questo "rendersi conto". Secondo le autrici di questo saggio, l'itinerario della Stein resta comunque e suo malgrado incompiuto. Molte domande sul suo pensiero restano aperte. Si potrebbe concludere, per ora, che quel "rendersi conto" è appunto l'esperienza dell'alterità dentro noi stessi che ci dispone ad accogliere l'altro, è "amore per l'altro". Che rende possibile l'incontro "da persona a persona".
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