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La Nazione, 27/01/2006


"Nel libro dei Giusti tutti i non ebrei che aiutarono gli ebrei"


di Paola Pasquarelli

 

ROMA — In una specie di ‘elenco del bene’, scorrono in ordine alfabetico i nomi dei Giusti italiani riconosciuti dallo Yad Vashem, il più grande memoriale del mondo per le vittime dello Shoah: A come Aceti Giuseppina, B come Bartoleschi Vincenzo, C come Caronia Giuseppe… Sono i 384 protagonisti di tante storie di ordinario coraggio, coloro che, a rischio della propria vita, si prodigarono per aiutare gli ebrei perseguitati durante la Seconda Guerra mondiale.
C’è chi accompagnò gruppi di persone al confine, chi creò una rete di assistenza nel Monferrato, chi nascose bambini nei monasteri o negli orfanotrofi o chi per evitare la deportazione di dozzine di ebrei, li fece ricoverare in ospedale: in tutti l’umile convinzione di aver compiuto la cosa più naturale.
È la solidarietà che ha fatto la storia, l’altruismo che il tempo riporta alla ribalta dei sentimenti attraverso il libro ‘I giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945’, curato da Liliana Picciotto per Mondadori, con il messaggio del Presidente Ciampi e un’introduzione del ministro Fini. «È un’opera di grande valore storico ed umano — commenta Liliana Picciotto — costruita sulle buone azioni di tanta brava gente di ogni fede e ceto sociale, anziani, giovani, parroci, suore, atei, fascisti e antifascisti». Storie simili a quelle già note di Schindler, Perlasca o Peshev, che hanno volti anonimi e contorni un po’ scoloriti.
Come si è svolto il lavoro di individuazione di queste persone?
«Rientra in una grande indagine europea lanciata dallo Yad Vashem, l’Istituto per la Memoria dello Shoah di Gerusalemme che, attraverso un’apposita commissione, ha compiuto le indagini necessarie a verificare che le persone segnalate fossero realmente meritevoli del titolo di ‘Giusto delle Nazioni’. A loro sono stati quindi consegnati una medaglia e un diploma d’onore, prima che il loro nome fosse iscritto in un’apposita lapide, aperta al pubblico».
Tra le tante testimonianze, quale giudica la più eclatante?
«Quella del macellaio De Angelis di Roma che, durante la retata al Portico d’Ottavia, alle sei di mattina, riuscì a nascondere dentro il suo negozio tantissimi ebrei. Quando, alzando la saracinesca, si accorse di quello che stava accadendo, si mise di punta ad agguantare le persone per buttarle dentro».
Da storica dello Shoah, crede che ci sia ancora molto da scoprire?
«Anche oggi ho scoperto un’altra storia. Ogni giorno può venir fuori qualcosa di nuovo. I Giusti italiani sono persone di ogni ceto sociale, rappresentano un mosaico variegato della società italiana. Questo è servito a comprendere come ha reagito la società italiana di fronte all’emergenza della guerra. È la qualità del popolo che è venuta fuori da questa ricerca. Anche se, è bene comunque ricordare che i tanti Giusti non assolvono gli italiani di allora in blocco».
Che valore ha questo libro nell’attuale contesto storico minacciato dal terrorismo islamico?
«Rappresenta l’importantissima prova di come gli uomini in passato si siano aiutati al di là del credo religioso. È un importante messaggio di pace».