Come tutti sanno, i fantasmi sono morti che non riposano in pace e che non lasciano in pace nemmeno i vivi, perché continuano a manifestarsi chiedendo loro di onorare un debito, o di liberarli dalla maledizione che consiste proprio nel dover ritornare. Penso che la nostra vita pubblica sia attraversata da molti fantasmi degli Anni Settanta. Il più ovvio e ingombrante di questi fantasmi è quello di Aldo Moro.
Nel suo ultimo libro, Anni Settanta, uscito lo scorso 16 ottobre, Giovanni Moro, quarto figlio dello statista ucciso dalle BR, indirizza parole durissime contro i dirigenti politici di allora, in particolare contro Cossiga e Andreotti.
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In una democrazia normale, il ministro dell' Interno avrebbe probabilmente passato il resto della sua vita a coltivare rose o a scrivere libri di memorie per riscattare la sua immagine. In Italia, invece, egli è stato quasi subito nominato primo ministro per due volte, quindi per due volte presidente del Senato e infine presidente della Repubblica. Difficile non sentire in tutto ciò il sapore di un premio, naturalmente di consolazione.
La risposta non si fa attendere e i toni della replica sono altrettanto aspri. Secondo Cossiga, ministro dell’Interno nei giorni tragici del sequestro e dell’assassinio del Presidente della DC, sostiene che “Giovanni Moro ha ereditato dal padre soltanto il cognome; che certo non porta con molto onore”.
Giovanni, quarto e ultimo figlio di Aldo Moro, a vent’anni dal sequestro e dalla tragica scomparsa del padre, ha rilasciato a Giovanni Minoli un’importante intervista in cui affronta anche questi temi. In occasione della sua riproposizione, nel marzo del 2003,“La storia siamo noi” ha chiesto a Giovanni Moro se volesse aggiungere qualcosa al confronto di allora. Ha detto di no, quello era ed è ancora il suo pensiero.
Nel 1978, Giovanni Moro aveva vent’anni.
Nel corso del “Faccia a faccia” con Giovanni Minoli, l’unico figlio maschio del Presidente della DC rapito dalle Brigate Rosse evita volutamente qualunque ricordo personale e familiare. Del “caso Moro”, egli sottolinea soprattutto il significato storico e politico, puntualizzando i molti aspetti dell’intera vicenda rimasti ancora oscuri, sui quali Giovanni Moro chiede con forza che venga fatta chiarezza.
Nelle sue parole, si delinea un ritratto di Aldo Moro come di un uomo riservato, che in famiglia parlava poco dei problemi e delle preoccupazioni legate al suo ruolo di primo piano sulla scena politica italiana e internazionale.
Ma Giovanni Moro ricorda anche che nei mesi precedenti al sequestro, il padre manifestò forti preoccupazioni per sé e per la sua famiglia, in particolare dopo che nel 1977 le Brigate Rosse avevano rapito il figlio dell’onorevole Francesco De Martino (fino all’anno precedente, Segretario del Partito Socialista) e che tutta la famiglia Moro era stata messa sotto scorta.
Giovanni Moro legge il “caso Moro” come una profonda battuta di arresto nel viaggio della società italiana verso una democrazia compiuta, processo che il padre cercò di accelerare attraverso una politica di avvicinamento al PCI di Enrico Berlinguer. La grande intuizione di Aldo Moro, secondo il figlio, è stata quella di aver colto prima degli altri, forse perfino troppo presto, il tramonto dell’epoca della Guerra Fredda, anche per la sua lunga esperienza di Ministro degli Esteri (1969-‘74).
E proprio perché la Guerra Fredda stava finendo, non c’era ragione di mantenere un assetto, anche interno, legato alle logiche della contrapposizione Est-Ovest.
Ma il processo di transizione da una democrazia bloccata a una democrazia compiuta, in cui la politica avviasse un dialogo con una società civile che era divenuta ormai autonoma dalla politica dei partiti, fu interrotto bruscamente dal rapimento di Aldo Moro e dal suo assassinio, il 9 maggio 1978. Dice Giovanni Moro: “Abbiamo perso 15 anni, questo processo è ricominciato solo a partire dagli anni Novanta”.
D’altra parte, l’apertura verso il PCI procurò ad Aldo Moro l’ostilità di molti ambienti internazionali e di ampi settori della politica interna italiana. E molti si domandano, ancora oggi, se proprio questa ostilità possa essere stata all’origine di molti misteri che – ritengono i più – ancora circondano il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro.
Per parte sua, Giovanni Moro ricorda il senso di confusione che avvolse le indagini. La famiglia Moro, in quei 54 giorni, ebbe la sensazione di trovarsi nell’occhio del ciclone, dove tutto appariva calmo, ma dove però non era possibile avere una visione chiara di ciò che si stava tentando per arrivare alla liberazione del Presidente della DC. Rimane, nel ricordo di Giovanni Moro, la sensazione che le autorità preposte alle indagini abbiano prodotto “atti simbolici”, più che agire in modo efficace. Un esempio per tutti: nel covo di via Gradoli, il 18 aprile 1978 furono trovati materiali che avrebbero potuto condurre alla tipografia di Via Pio Foà e, di lì, a Mario Moretti (il brigatista che ebbe il compito di “gestire” il sequestro Moro e che materialmente “interrogò” il prigioniero), e, probabilmente a via Montalcini. Perché, si chiede Giovanni Moro, questa pista non fu seguita in modo adeguato?
E ancora, per quanto riguarda invece i terroristi: “Perché”, vorrebbe chiedere Giovanni Moro a Moretti, “fu decisa l’esecuzione, proprio quando si stava discutendo di un eventuale scambio di prigionieri tramite la concessione della grazia ad un terrorista e alla vigilia di una riunione della Democrazia Cristiana in cui Fanfani si sarebbe espresso a favore della trattativa, con una conseguente rottura della linea della fermezza?”. E poi: perché, pur avendo nelle loro mani informazioni esplosive, provenienti dal cosiddetto “Memoriale Moro”, (ad esempio su Gladio), le Brigate Rosse decisero di non diffonderle? I terroristi, secondo Giovanni Moro, non hanno detto ancora tutta la verità, la somministrano in pillole anno dopo anno; eppure, prosegue il figlio del Presidente democristiano, malgrado queste reticenze usufruiscono dei benefici giudiziari, riguardo ai quali Giovanni Moro non può che dirsi perplesso.
Ma a chi giova che il caso Moro rimanga ancora avvolto nel mistero? Per Giovanni Moro, nessun vero cambiamento potrà avvenire in Italia se prima non sarà definitivamente chiarito l’episodio che ha spaccato in due la storia della Repubblica Italiana: “Non si può pensar di passare dalla prima alla seconda Repubblica senza chiudere serenamente con il passato”, conclude Giovanni Moro: “occorre costruire una verità condivisa, altrimenti ci sarà sempre questo fantasma che ci insegue”.