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Le origini del calcio in Italia

Le origini del calcio in Italia

Le origini del calcio in Italia vengono fatte risalire alla presenza di cittadini soprattutto inglesi, ma anche svizzeri, residenti per motivi commerciali o diplomatici in alcune città del Nord, come Genova e Torino, e alla loro passione e pratica sportiva. Le prime società calcistiche furono l’International Football Club di Torino, fondato nel 1891, e, nel 1893, il Genoa Cricket and Athletic Club. Ma accanto a questa attività ufficiale per tradizione – dal consorzio di queste società nacque infatti la Federazione Italiana del Football – altrettanto importante fu il ruolo svolto dal movimento delle società ginnastiche, che già potevano godere di una notevole diffusione sul territorio e che accolsero in sé e promossero la pratica del nuovo sport.

Non vi è nessun documento che permetta di dare una data precisa ai primi insediamenti del football in Italia. Al 1886 risalgono le prime, vaghe notizie di alcuni matches giocati tra equipaggi della marina britannica a Genova, a Livorno, a Napoli, a Palermo. Si trattava di marinai della flotta mercantile inglese o più spesso di ufficiali della marina militare. Queste partite si giocavano in spazi erbosi e appartati a ridosso dei moli, alla presenza degli equipaggi e di qualche raro, occasionale spettatore italiano. La tradizione ha sopravvalutato gli effetti mimetici che questi incontri avrebbero provocato. La loro presenza raramente promosse la pratica sportiva locale.

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La memoria storica del primo insediamento del calcio in Italia conduce a Torino. La ex capitale del Regno aveva una antica tradizione di cultura fisica ed era la città dell’aristocrazia meno pigra d’Italia e della borghesia più amante del moto. A Torino, come si è visto, era stata fondata nel 1844 la prima società ginnastica italiana ed era nato nel 1863 il primo Club Alpino. L’aria delle Alpi non era la sola risorsa per i polmoni della città. Il parco del Valentino vedeva nei giorni di festa le famiglie operaie, tutte di recente provenienza rurale, ricercare il sapore degli spazi liberi della campagna e dei giochi all’aria aperta. Torino era allora un grande centro di transito del commercio estero e numerosi erano gli agenti stranieri e italiani delle società commerciali inglesi e svizzere che vi risiedevano.

Il primo nome del calcio italiano, secondo la tradizione, fu quello di Edoardo Bosio. Questi era nato a Torino nel 1864 e, conseguito il diploma in ragioneria, aveva cominciato a lavorare in una ditta britannica di prodotti tessili, la Thomas Adams di Nottingham, che gli diede la opportunità di un lungo soggiorno in Inghilterra, durante il quale ebbe l’occasione di frequentare gli ambienti calcistici di oltre Manica. Tornò a Torino nel 1887 con il ricordo seducente dei rettangoli verdi inglesi e con qualche pallone. Il possesso di una sfera di cuoio era allora un fatto eccezionale, ma non una novità in assoluto in Italia. Nell’autunno dello stesso anno Gabriele D’Annunzio raccontava le sue disavventure romane con una “palla di ottimo cuoio, con camera d’aria inglese”, acquistata a Londra dal suo amico e musicista Paolo Tosti, che gli produsse una caduta e la perdita di due denti. A differenza del poeta di Pescara, Bosio possedeva una buona attitudine al football. e le cognizioni necessarie per organizzarlo. Fu spontanea l’intesa con i colleghi inglesi della filiale torinese della sua ditta e con le sue amicizie giovanili. Nacque così un gruppo sportivo che praticava il canottaggio d’estate e il football d’inverno. Secondo la tradizione, l’iniziativa di Bosio si incrociò con quella di alcuni giovani esponenti dell’aristocrazia di avventura sportiva piemontese che praticavano lo stesso gioco e che facevano capo al principe Luigi di Savoia, duca degli Abruzzi e al marchese Alfonso Ferrero di Ventimiglia. Ne nacque nel 1891 la prima società calcistica italiana, l’International Football Club. L’aggettivo che caratterizzava la denominazione del club derivava dal fatto che in esso “giocheranno persone di varia nazionalità”.

Ogni inizio agonistico postula la creazione di un sistema di competizione. Che stentava a formarsi: era allora difficile trovare avversari. Le prime squadre italiane “erano costrette a battersi contro i pali della porta in mancanza di avversari”, secondo una testimonianza dell’epoca. È perciò probabile che i primi incontri di football in Italia si svolgessero tra diverse squadre dello stesso club o con teams errabondi di footballers inglesi e svizzeri, sparsi tra Torino, Genova e Milano.

Quale gioco si giocasse non è facile dire. Vale al proposito la testimonianza di Herbert Kilpin, uno dei pionieri internazionali del calcio in Italia: “Non avevo ancora vent’anni quando venni in Italia, stabilendomi dapprima a Torino. Era il settembre del 1891. Ero arrivato da poche settimane quando, una domenica, il mio carissimo amico e compatriota Savage, valentissimo giocatore, mi invitò ad accompagnarlo in piazza d’armi, per partecipare ad un match. Il football era da pochissimi anni praticato a Torino e a Genova. Quel giorno, si disputava un match amichevole fra la squadra inglese e quella italiana del FC Torinese. Mi invitarono a occupare un posto nella prima linea della squadra inglese. Mi rimboccai i calzoni, deposi la giacca ed eccomi in gara. Mi avvidi di due cose curiose; prima di tutto, che non c’era ombra dell’arbitro; in secondo luogo, che mano a mano che la partita si inoltrava, la squadra avversaria italiana andava sempre più ingrossandosi. Ogni tanto uno del pubblico, entusiasmatosi, entrava in gioco, sicché ci trovammo presto a lottare contro una squadra formata almeno da venti giocatori”.

L’International Football Club di Torino fu una delle poche società che praticò fin dalle origini la sola specialità del calcio, secondo una singolarità che si ripeté nel 1894 con la nascita del Football Club Torinese. Intanto era sorto nel 1893 il Genoa Cricket and Athletic Club, un insediamento sportivo rigorosamente riservato ai residenti inglesi nella città ligure, che solo qualche anno dopo la sua fondazione cominciò a praticare il football. Era un caso tipico del “calcio dei consolati”, nato all’ombra delle autorità diplomatiche della città ligure. Si hanno poche notizie sull’attività del club fino al 1897, l’anno in cui giunse a Genova James R. Spensley, medico di una compagnia marittima inglese, appassionato scautista, con qualche esperienza del football dei collegi universitari della sua terra. Fu Spensley che nel 1897 introdusse nel club genovese la pratica del football, aiutato da Edoardo Pasteur, un medico italo-svizzero della famiglia del fondatore della immunologia.

Dopo i primi matches disputati con i teams della marina britannica i footballers genovesi iniziarono i contatti con le società sportive piemontesi, che condussero all’incontro che il 6 gennaio 1898 vide la squadra genovese battersi contro il Football Club Torinese. Il match fu giocato nella pista di Ponte Carrega a Genova e terminò con la vittoria dei piemontesi. Pochi giorni dopo fu disputato a Torino un confronto a tre fra le squadre che si erano incontrate a Genova e la Unione Pro Sport di Alessandria. Non si hanno notizie sicure di questa competizione, ma è probabile che in quella occasione si presero gli accordi per la fondazione della Federazione Italiana del Football.

Gli storici dello sport hanno percorso finora un solo versante della memoria del football in Italia: quello tramandato dalla tradizione ufficiale, e hanno trascurato ogni altra variante delle origini del gioco. È così andata smarrita la storia del calcio giocato sotto insegne diverse da quella della federazione calcistica e in particolare del football praticato dalle società ginnastiche.

Si è visto come la diffusione del calcio nel mondo fu favorita là dove esistevano precedenti tradizioni di cultura fisica. In Italia le società di ginnastica e scherma, i circoli nautici, le associazioni ciclistiche, i centri di attività podistica costituirono il terreno sul quale il calcio piantò le sue radici e crebbe. Il fenomeno ha le sue eccezioni, ma non è pura coincidenza che le aree forti delle palestre fossero le stesse in cui fu promossa l’attività calcistica. Molte squadre della provincia piemontese, lombarda e veneta vennero dall’esperienza ginnastica. Un fatto analogo era riscontrato anche nei centri metropolitani. A Torino la Società Ginnastica, a Genova la Andrea Doria, a Milano la Mediolanum, a Bologna la Virtus, ebbero un ruolo fondamentale nella nascita e nella promozione del football. La prima squadra di calcio della capitale, fondata nel 1897, il Football Club di Roma, faceva parte del movimento ginnastico.

Tutto era cominciato quando nel 1895 la Federazione Ginnastica Nazionale aveva invitato le sue società ad adottare il nuovo gioco, così come suggeriva una memoria, pubblicata nel 1892 dal senatore Gabriele Luigi Pecile, un prestigioso uomo politico friulano, dirigente della FGN ed esponente di spicco degli ambienti ginnastici di Udine. Pecile era stato tra i promotori dell’inserimento dei giochi inglesi nei programmi “ludici” promossi nel 1893 dal ministro della Pubblica Istruzione Ferdinando Martini.

Si profilava così tra gli ambienti ginnastici un’attitudine più favorevole nei confronti dei giochi sportivi. Non mancarono tuttavia i contrasti. Alcune società ginnastiche (la stessa Mediolanum ebbe un sussulto anticalcistico, quando espulse alcuni suoi soci perché praticavano “un gioco di società con i piedi importato dall’Inghilterra”) furono recalcitranti; altre accolsero con entusiasmo il football. Tra queste faceva spicco la Società di Ginnastica e Scherma di Udine, dove si era cominciato a praticare il calcio fin dalla primavera del 1895. Nel settembre successivo, in occasione del III concorso nazionale ginnastico di Roma e delle celebrazioni del venticinquesimo anniversario di Porta Pia, le squadre di calcio delle società ginnastiche di Udine e di Bologna si incontrarono alla presenza del re Umberto I.

Il mondo della ginnastica, a differenza dei primi club di football, non aveva esperienza diretta del nuovo gioco. Le società ginnastiche non ammettevano atleti stranieri, né, per la loro natura istituzionale, potevano affidarsi alla pura tradizione orale. Bisognava ricavare il calcio dalle leggi scritte, provenienti dall’estero. Perciò risale agli ambienti ginnastici la pubblicazione del primo regolamento del calcio in Italia, che apparve nel 1895 a Udine, dove il football “comincia a popolarizzarsi fra la gioventù, ed il pubblico vi assiste con diletto”. A questo regolamento, che rifletteva correttamente lo spirito e la forma del gioco praticato in Gran Bretagna, si aggiunse nello stesso anno un manuale della Società Editrice Hoepli, che conteneva una più completa trattazione dei giochi sportivi, ad opera di Francesco Gabrielli, un maestro di ginnastica di Rovigo, che nel 1896 scrisse il primo manuale italiano sul nuovo sport.

Intanto era iniziata la stagione dei grandi concorsi nazionali ginnastici. La loro cadenza triennale consentiva di disputare nel periodo intermedio tra un concorso nazionale e l’altro i campionati interregionali e interprovinciali, nei quali si attribuiva il titolo di campione nazionale dell’anno. Accadde così che, quando nel settembre 1896 il torneo interprovinciale ginnastico di Treviso comprese per la prima volta un campionato di football, il titolo di campione italiano di calcio fu assegnato alla squadra della Società Udinese di Ginnastica e Scherma, che nella partita finale della competizione aveva battuto quella della Società Ginnastica di Ferrara.

Nel torneo ginnastico del 1897 fu proclamata campione d’Italia di calcio la Società Ginnastica di Torino. A Torino fu disputato nell’agosto 1898 il campionato di football del IV concorso nazionale della Federazione Ginnastica. Fu un torneo ad eliminazione, al quale parteciparono quattro squadre e 67 giocatori, con una finale disputata tra la Società Ginnastica di Ferrara e la Società Ginnastica di Torino, che conquistò il terzo titolo nazionale di calcio.

Non si ha notizia dei campionati di football disputati in seno ai concorsi ginnastici del 1899 e del 1900. Ciò non significa che l’attività calcistica del mondo della ginnastica tacesse. Non c’erano solo i tornei tra le società federate alla FGN. Spesso esse organizzavano incontri tra squadre della più diversa provenienza. Nel maggio 1897, sotto le insegne della sezione ginnastica figure, si erano incontrate a Genova l’Unione Pro Sport di Alessandria, l’Unione Football Club di Torino, e alcune squadre di studenti dei due istituti tecnici della città e del Ginnasio di Pavia.

Non esistevano differenze radicali tra le regole del calcio ginnastico e quelle dei club di più stretta ispirazione sportiva. Le uniche varianti del calcio dei ginnasti consistevano nella durata delle partite (30 minuti per tempo, con due tempi supplementari di 10 minuti ciascuno in caso di parità) e nella facoltà di battere il calcio di inizio in tutte le direzioni.

Del resto le difformità formali del gioco erano frequentissime tra gli stessi club di stretta osservanza inglese. Non bisogna dimenticare che solo nel 1896 l’International Football Association Board (IFAB) aveva fissato in 90 minuti la durata delle partite e che in quello stesso anno fu definito il ruolo dell’arbitro come giudice unico. Né vi era allora uniformità di misure e di peso del pallone. Le vecchie misure del 1872 non parvero più adatte ai progressi del materiale e della tecnica di costruzione della sfera di cuoio, il cui peso fu ridefinito dall’IFAB nel 1900: tra i 360 e i 425 grammi. Non prima del 1897 l’IFAB aveva stabilito le misure minime del terreno di gioco, mentre nel 1902 furono adottate le segnature rettangolari dell’area di rigore e di porta, fino ad allora disegnate da due emicicli concentrici.

Non si insisterà mai abbastanza sulla incertezza delle regole del calcio nell’età dei pionieri. Non esistevano criteri sicuri per quantificare la sconfitta della squadra assente per rinunzia. Le partite interrotte per invasione di campo erano ripetute, fino a che non intervenne il provvedimento della sconfitta de jure. Fino al 1907 la regola dell’off side vigeva in tutto il campo. Prima della nascita della FIFA, le decisioni dell’International Board erano scarsamente conosciute e affidate allo zelo informativo delle federazioni nazionali. Giocare al “football association”, così si diceva allora, significava avere un generico riferimento al gioco praticato in Gran Bretagna, che solo in quegli anni raggiungeva nella sua stessa isola completezza formale. Oltre ai regolamenti delle società ginnastiche e a qualche libretto in inglese, in francese o in tedesco, tradotto e adattato per uso dei club, valevano la memoria e l’esempio dei giocatori stranieri, non sempre attendibili o disinteressati.

Antonio Papa e Guido Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Il Mulino, Bologna 1993.

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