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CALABRESI DA RICORDARE
Mario Squillace
Una vita dedicata alla fede e allo studio
 

 

 

A poco più di tredici anni dalla morte rimangono vive la figura e l'opera di Mario Squillace, lo studioso campanelliano e prete impegnato in politica a promuovere il cattolicesimo democratico. Il Comune di Montepaone infatti, la terra che gli diede i natali, lo ha da poco celebrato con l'intestazione del locale istituto comprensivo. Una manifestazione solenne alla quale hanno preso parte sindaco di Montepaone e Pazzano, rispettivamente Massimo Rattà e Salvatore Fiorenza, la dirigente scolastica Maria Spanò e l'onorevole Rosario Chiriano che ha tenuto la relazione introduttiva.
Canonico nella cattedrale di Squillace, insegnante di sociologia al seminario pontificio e di religione al liceo «Galluppi» di Catanzaro, don Squillace amava bensì lo studio di tutto ciò che riguardava la Calabria. Andava fiero del suo essere calabrese. Una calabresità integrale, la sua, che affondava le radici in molto lontano. Un ideale filo rosso che si snodava da Ibico a Zaleuco, da Pitagora ad Alcmeone, da Nilo da Rossano a Gioacchino da Fiore, da Cassiodoro a San Bruno, da Tommaso Campanella a Bernardino Telesio, dal santo suo concittadino Basilio Scamardì a San Francesco di Paola, da Galluppi ad Alvaro.
A chi gli faceva osservare la triste realtà contemporanea; come anche in questa illustre e nobile terra i valori che quegli uomini avevano impersonato fossero in caduta libera, egli rintuzzava citando colui che più di tutti lo aveva avvinto e affascinato: Tommaso Campanella. Le radici dei grandi mali del mondo, rispondeva con il filosofo di Stilo, «nel cielo amor proprio, figlio degno d'ignoranza, radice e fomento hanno». E aggiungeva, con disarmante candore, che dal decadimento morale, caratteristica, a suo dire, non soltanto di una specifica regione e nemmeno di una singola nazione, essendo il fenomeno di dimensioni planetarie, si sarebbe potuto uscire mediante «un nuovo umanesimo»; attraverso la ricollocazione dell'uomo, del suo essere microcosmo e del suo mistero al centro del mondo.
Grande fu l'entusiasmo con cui accolse l'enciclica Redemptor hominis di Giovanni Paolo II. Ne fu persino lusingato, non tanto per aver visto giusto, quanto per aver trovato nel papa venuto dal freddo un autorevole sostegno alle sue convinzioni. Un altro suo punto fermo, che forse si può definire il denominatore di tutta la sua vita di studioso, la peculiarità che contraddistingue la sua figura di prete «impegnato», è il binomio tra cultura ed evangelizzazione. In lui è forte la convinzione che la cultura fine a se stessa è poca cosa, sterile erudizione. Al contrario essa si carica di significato se è mirata a precise finalità. Ed ecco che diviene strumento per un più ampio progetto di evangelizzazione. Questo rapporto, egli scrive nella sua ultima fatica letteraria Nostalgia di una terra, «è stato ed è il punto nodale sul quale si misura l'impegno della Chiesa e del cristiano oggi».
E questa la chiave interpretativa per capire appieno Mario Squillace prete-scrittore-giornalista, studioso della realtà sociale in cui vive e opera, decisamente convinto che la cultura e un uso razionale dei mass media possano rivelarsi un valido supporto al ministero pastorale. Nel suo essere sacerdote fino in fondo, Mario Squillace non vide mai vacillare le sue convinzioni. Prova ne è che, allorquando si trovò in disaccordo con le gerarchie diocesane e ne subì gli ingiusti furori, egli rimase coerente con se stesso accettandone i provvedimenti con serenità di coscienza e fede in Dio. Fu una pagina triste per la vita di don Mario quella che vide lui, giovane prete nel suo pieno rigoglio, oggetto di improbabili quanto anacronistici provvedimenti disciplinari da parte di una Chiesa locale ancora riluttante ad accogliere le grandi novità del Concilio Vaticano II.
Nato a Montepaone (CZ) il 7 dicembre 1927, Francesco Salvatore Mario Squillace, terminata l'istruzione primaria e secondaria, frequentò con profitto gli studi teologici nell'istituto «Pio XI» di Reggio Calabria; il seminario di Catanzaro era ancora inagibile per l'incendio del 21 settembre 1941 che lo aveva pressoché distrutto. Di questa sua permanenza nella città dello Stretto, Squillace ricorda la «nobiltà d'impegno» dei padri gesuiti che «hanno educato diverse generazioni di sacerdoti calabresi», e l'affetto di suoi compagni seminaristi che rispondono ai nonni di Mauro Fotia, Giuseppe Agostino, Serafino Sprovieri, Andrea Cassone. E poi ancora, «il taglio di un ciuffo di capelli da parte di mons. Antonio Lanza, il diaconato conferitomi dal metropolita mons. Giovanni Ferro il 23 dicembre 1950». Infine l'ordinazione sacerdotale, il 1. gennaio 1952, da parte di mons. Armando Fares, arcivescovo di Catanzaro e vescovo di Squillace.
Da questo momento incomincia per il neosacerdote un'intensa opera pastorale sorretto da uno «smisurato bisogno di conoscere e di sapere». Nell'ottobre dello stesso anno venne destinato a Pazzano (RC) in qualità di parroco e vi rimase quasi trent'anni. Dal suo paesetto adottivo alle falde delle Serre, don Mario strinse rapporti di amicizia con le personalità più rappresentative del movimento cattolico democratico e con uomini di cultura calabresi. Sulla scia dell'opera e dell'insegnamento di religiosi schierati nel promuovere la presenza cristiana nel sociale, come Carlo De Cardona, Luigi Nicoletti, Francesco Caporale, si trovò immerso quasi spontaneamente in un movimento di intellettuali e uomini politici intenzionati a continuare l'opera. Gli furono vicini a Riccardo Misasi e Antonio Guarasci, Sebastiano Vincelli e Rosario Chiriano. E ancora, Luigi Firpo e Gaetano Cingari, Umberto Caldora e Francesco Russo, Fortunato Seminara e Sharo Gambino.
Nel novembre del 1981 l'arcivescovo di Catanzaro mons. Antonio Cantisani lo volle nel capoluogo calabrese perché si dedicasse completamente all'insegnamento di sociologia e religione, nominandolo, poco dopo, canonico del Capitolo cattedrale di Squillace. Questi suoi nuovi incarichi non sminuirono affatto la sua opera pastorale e culturale che continuò a essere intensa come prima con prediche, conferenze e dibattiti dappertutto in Calabria.
Nel frattempo aveva dato alle stampe una gran mole di scritti fra i quali vanno ricordati Calabria democratica, Calabria vecchia e nuova, Il Patto Gentiloni in Calabria, Un impegno per la Calabria, I cattolici e la Calabria. Giornalista pubblicista, molto prolifica fu la sua collaborazione a giornali e riviste come L'avvenire di Calabria, Gazzetta del Sud, L'Avvenire, L'Osservatorio Romano, oltre a essere stato il fondatore e direttore di Vivarium, la rivista dello studio teologico di Catanzaro, e del quindicinale Comunità nuova. Di temperamento pugnace, si mantenne intraprendente e instancabile, animato da un fervore giovanile in tutte le cose che faceva, finché la morte lo colse quasi all'improvviso a Montepaone il 10 novembre 1992.

Francesco Pitaro