Anish
Kapoor " il tempo, grande scultore"
Anish Kapoor nasce il 1954 a Bombay, India, da padre indiano e da
madre ebrea irachena. All'età di diciannove anni, dopo avere speso
due anni in Israele in una scuola di elettronica, si trasferisce in
Inghilterra e si iscrive alla scuola d'arte, spinto dal desiderio
di approfondire una ricerca che lo portasse a rispettare maggiormente
le sue ragioni interiori. Legge Jung e si appassiona alle macchine
celibi di Marcel Duchamp; conosce colui che diverrà il suo maestro
Paul Neàgu e produce una serie di installazioni volte a indagare i
temi portanti nel suo percorso artistico: l'androgino, ovvero la dicotomia
femminile-maschile, la sessualità, il rito e naturalmente un uso "allargato",
del mezzo scultoreo, che se da una parte pone l'artista in sintonia
con certe ricerche degli anni sessanta, come l'arte povera o Joseph
Beuys, dall'altra ci mostra l'intima intenzione di aprire la scultura
ad una molteplicità di nuove forme. Nel 1979 si reca in India per
una sorprendente riscoperta del suo essere indiano e della progressiva
presa di coscienza di un'extraterritorialità, del situarsi sulla sottile
linea di un confine, sul limite estremo di due culture, quella orientale
e quella occidentale. Kapoor torna in Inghilterra con il colore puro,
il pigmento, e comincia ad eseguire la serie dei 1000 Names, oggetti
scultorei instabili, forme tra l'astratto e il naturale, completamente
ricoperte di pigmento puro, il cui intenso colore nasconde l'origine
di manufatto e suggerisce l'idea di sconfinamento. Sono anni produttivi:
il 1980 a Parigi Kapoor ha la sua prima personale presso lo studio
di Patrice Alexandre. L'anno successivo è la volta di una personale
a Londra, alla Coracle Press e poi della nascita della fiorente collaborazione
con Nicholas Longsdail, titolare della Lisson Gallery di Londra, fucina
degli scultori della Nuova Scultura Britannica. In quegli anni la
sua ricerca è orientata verso l'uso del colore, che conferisce ai
suoi lavori la qualità di superficie infinitamente investigabile:
" La pelle, la superficie esterna, è sempre stata per me il posto
dell'azione. E' il momento di contatto tra l'oggetto e il mondo. La
pellicola che separa l'interno dall'esterno." (Francesco Bonami, Anish
Kapoor: Jumping into Void, in "Flash Art International", nov-dic 1994)
La pelle è per l'artista anglo-indiano, il momento della tensione
e dell'azione dell'opera; è il luogo nel quale avvertiamo il cambiamento.
Le opere sono configurazione di oggetti, diventano giardini o meglio
luoghi, invadono lo spazio della sala e lo assorbono fino a renderlo
parte dell'opera stessa. Hanno titoli che suggeriscono immagini mitologiche
induiste, tuttavia l'impatto con l'opera ci riporta sempre verso una
dimensione fisicamente percettiva, in cui l'unico mezzo di conoscenza
sono i nostri sensi ed il nostro corpo. Verso la metà degli anni '80,
le dualità vanno a poco a poco risolvendosi attraverso il riassorbimento
nell'unità, come se la vagheggiata unione degli opposti, maschile
e femminile, tangibile e immateriale, interiore ed esteriore, si fosse
finalmente avverata e vedessimo congiunti i poli in una configurazione
unica. Nascono Place, 1983, Pot for Her, 1984, Mother as a Mountain,1985,
ed altre opere. Lo spettatore viene colpito da una superficie di pigmento
puro, poi osservando meglio, posando lo sguardo sul manto dell'opera,
scopre che essa rivela un'apertura, una fenditura, una cavità pronta
a suggerire altro. Tra le coppie di opposti quella interiore/esteriore,
gioca un ruolo molto importante, soprattutto alla luce del crescente
interessamento da parte dell'artista verso il tema della rivelazione
e dissimulazione, argomento centrale delle sperimentazioni degli anni
'90. Il 1990 segna una nuova svolta: è l'anno della partecipazione
alla XLIV Biennale di Venezia, come rappresentante della Gran Bretagna
e del conseguimento del "Premio Duemila". Nel 1992 ottiene il Turner
Prize, premio britannico più ambito. E' il successo. Si susseguono
mostre in tutto il mondo; commissioni pubbliche e private. Sperimenta
con diversi materiali, dal granito, al marmo di Carrara, dall'ardesia,
all'arenaria, per una serie di lavori rivolti alla verità innata nella
pietra; da Void Field, 1989; fino a Ghost, 1998. Lavora con le superfici
riflettenti, per le creazioni di specchi deformanti o che addirittura
annullano l'immagine stessa, come in Double Mirror, 1997; o che la
inghiottono verso un limite vertiginoso come in Turning the World
Upside Down, 1995 o Suck, 1998. " Il mio lavoro è una lotta, un'inarrestabile
combattimento." Dichiara Kapoor. Le sue opere hanno a che fare con
la materia, la trasformano, la deformano, nel senso letterale di privare
di una forma. When I'm Pregnant, è un'opera del 1992; essa consiste
in un bulbo che emerge dalla parete come una protuberanza; a seconda
della posizione assunta dallo spettatore è possibile vedere l'opera
o meno. Tutta la grande produzione dell'artista di questa fase consiste
nella messa in scena del vuoto, un vuoto reso tangibile da una cavità
che si riempie o da una materia che si svuota. L'opera di Kapoor,
come sottolineano i critici Homi K. Bhabha e Pier Luigi Tazzi, consiste
nella rivelazione di un'apparizione interna, innata alla materia,
in un farsi originario dell'opera, verso la messa in scena di una
realtà profonda, avvertibile in una transizione, in un passaggio,
in una visione diagonale. Nel 1999 Kapoor realizza un'opera per il
Baltic, Centro per l'Arte Contemporanea di Gateshead: Taratantara.
Realizzata in pvc rosso, consiste in un'enorme doppia tromba, della
lunghezza di cinquantuno metri per trentadue di altezza massima. Essa
è la più grande messa in scena di un enorme vuoto. Attualmente l'artista
sta lavorando alla creazione di un monumento per il Millennium Park
di Chicago. Si tratta di un grande struttura a forma di fagiolo, della
lunghezza di diciotto metri per nove, fatta di acciaio inossidabile.
Essa è un grande specchio deformante pronto a mettere in scena il
tempo dell'esperienza, riflettendo il paesaggio e il cielo in una
superficie unica. Opera senza centro, è la rappresentazione di un
continuo divenire, riflesso di un vivere fatto di momenti distinti
e frammentati.