ARCHIVIO LA REPUBBLICA DAL 1984

L' ULTIMO SALUTO ROMANO

FIUGGI - Alle 16,30 del 27 gennaio 1995, tre quarti di secolo dopo la nascita dei Fasci di combattimento, Giulio Baghino, ex milite della Repubblica sociale, detta anche di Salò, presidente onorario del già quasi ex Movimento sociale italiano, leva il braccio destro verso la platea, le dita unite e tese. A decine gli rispondono con lo stesso gesto, a centinaia lasciano invece braccia e mani a riposo: è l' ultimo saluto romano dell' ultimo giorno fascista. Neanche troppe lacrime per le esequie littorie, al massimo un groppo alla gola. Neanche troppo dolore, la sofferenza è lenita, compensata, superata da un balsamo miracoloso: il futuro radioso che attende la Destra. Insomma, non ci si rimette, ci si guadagna, non sarà gratis, ma è un investimento e gli ex fascisti a congresso sanno far di conto. Sono con Fini, votano per Fini, accettano che Fini ponga una sorta di ' questione di fiducia' sull' addio al fascismo. Il segretario vince la sua battaglia personale e politica, la svolta c' è e non è un trucco, lo strappo avviene, ma è come levarsi un cerotto da una ferita. Fa male, però niente a che vedere col mettersi le mani in pancia e strapparsi le viscere. E, siccome chi è nato tondo non può morire quadrato, il partito che nasce ha la forma un po' ovale del pallone da rugby: le linee rette della democrazia liberale arrotondate dalle abitudini, dalle idee e dai vizi di sempre, il cerchio una volta di ferro dell' autoritarismo piegato e sconvolto dall' impatto col mondo nuovo e dalla genuina voglia di starci dentro. Nell' ultimo giorno dell' idea fascista, il fascismo resta attaccato a questi uomini e a queste donne, a questi anziani che hanno conosciuto il Duce e a questi giovani che lo hanno sognato: come la pelle, non se la possono levare. Cadrà questa pelle, perchè nessuno quasi la cura più, ma oggi è ancora qui. La deputata europea che ricorda con amore la frase imparata da Almirante: "Se il destino è contro di noi, peggio per lui". Non è un ricordo, giura, è un programma. Il deputato triestino che promette: "Ovunque andremo noi ci riconosceremo a fiuto". L' oratore che scambia la tribuna col balcone e chiama la folla al grido di: "Lo volete voi? Lo volete voi Fini presidente del Consiglio?". L' eco automatica e antica di un "sì" che vorrebbe essere ancora una volta oceanico. La beatificazione dei "campi dell' onore" che altro non sono che i campi di prigionia di chi restò fedele alla guerra fascista. Il dirigente della sezione Balduina a Roma che ancora oggi inquieto si chiede: "Come glielo spiego ai miei che l' antifascismo è buono?". L' applauso all' idea astuta esposta dal palco: "Le nostre idee d' ora in poi cammineranno su zampe di colomba, dolcemente, per arrivare fino ai moderati con passo e rumore che non li turbi". Infine l' inno di Alleanza nazionale dove resta una "fiamma che scalda i cuori". E' l' ultimo giorno ma, due ore dopo l' ultimo saluto romano, sono ancora lì a discutere di fascismo. Si considerano generosi, anzi fin troppo prodighi nel concedere una "pacificazione nazionale" che però non si estende agli "antifascisti comunisti". Disputano a lungo sulla "buona fede" di chi combatté dalla parte che non era la loro e fa una certa sensazione sentirli ammettere che "sì, buona fede c' era anche in chi, dall' altra parte, credeva di combattere per la libertà e per la democrazia". Sensazione di brivido, perchè il dubbio che libertà e democrazia non fossero proprio dalla loro parte non li sfiora, neanche nell' ultimo giorno. Eppure votano a stragrande maggioranza le tesi del nuovo partito, quelle che consegnano il fascismo alla storia, quelle che sconvolgono il pantheon del camerata. Eppure lasciano solo Rauti che pure parla la lingua di molti di loro. Non sono doppi, non fingono: il miracolo del fascismo che muore senza spargimenti di sangue e di idee si spiega con una sola parola: facile. Facile in fondo per il Msi diventare Alleanza nazionale senza mentire e insieme senza soffrire. C' è in Italia un' onda che li aiuta e li spinge: dopo decenni di delega politica alla Dc milioni di italiani si sono scoperti molto poco democristiani. Era l' Italia di destra anche se non votava a destra, erano molti di più dei missini, erano molto vicini ai missini, ma non votavano Msi. L' onda è quella dell' Italia di destra: per Fini il problema era salirci sopra, costruire una barca agile e nuova. Facile, relativamente facile. Bastava gettar via la zavorra: camicie nere, gagliardetti e poco più. Per stare sull' onda il Msi doveva cambiare vestiti, linguaggi e linea politica: lo ha fatto senza raccontar bugie. Ma, per incontrare l' Italia di destra, per parlare con questa fetta della società italiana, il Msi non ha avuto bisogno di cambiare i connotati, quelli veri. Un partito che del fascismo non sapeva più che farsene se non tenerlo come forma di culto e una parte dell' Italia profonda e di sempre si sono toccati: Fini è sulla cresta dell' onda, poco importa se intorno resta la spuma. La spuma di un fascismo abbandonato senza rimpianti perché roba vecchia di sicuro, roba sbagliata mica tanto. "Altri in Italia sono stati al pari dei fascisti amanti della libertà e della democrazia". Fini ascolta e non batte ciglio, a lui va bene, questa è la Storia. Ed è lo stesso Fini che ai suoi di oggi e di domani, ai missini e ad Alleanza nazionale che verrà, spiega l' assoluto obbligo della modernità, per tutti loro tesse le lodi della ' sfida' che la democrazia pone. E' proprio un pallone da rugby il partito che nasce. Forte, da subito sarà scagliato contro il nuovo avversario: il presidente della Repubblica e soprattutto ciò che rappresenta, la democrazia parlamentare e non "diretta" come piace al Polo. Nel giorno del suo battesimo Alleanza nazionale diventerà il quartier generale della prima offensiva: elettorale, politica e istituzionale. Arriva Berlusconi e arrivano gli alleati, sta per partire il treno dell' Italia di destra con tutti i suoi vagoni. Partito ambizioso, perché non nasconde la voglia di essere locomotiva di questo convoglio e di vedere prima o poi Fini e non Berlusconi con l' insegna del conduttore supremo. Partito inquieto perché una preoccupazione ce l' ha, a mezza strada tra il rimorso e il presentimento: "E se diventassimo noi i democristiani?". C' è in tutto il Congresso il fascino indiscreto della borghesia: quel palco fatto di chirurghi della politica, Fini stesso, Tatarella che non si scompone un attimo, Gasparri che sembra un manager. E quelli che arriveranno, i ' professionisti' della politica: Fiori ne è il capostipite. Li preoccupa e li attrae questo destino, non ci fosse Fini ad alzarsi in piedi a ripetizione, non ci fosse il leader a tenerli per mano, forse farebbero un passo indietro. Ma a Fini si consegnano con speranza illimitata, qualcuno per un governo, i più perché "avevamo ragione allora e per averla ancora, perché la verità sia riconosciuta...". Fini li consola tutti: "Come i nostri padri creeremo qualcosa". Per i padri si chiamò fascismo, per i contemporanei dovrà chiamarsi Italia di Destra: l' edificio è diverso, diversi l' architettura e l' ingegnere, ma molti mattoni sono rimasti, buttati solo quelli consunti, spezzati dall' uso. Il Congresso del Msi è finito, finito è anche il Msi: è stata come una confessione di massa, molto cattolica e molto italiana. Sono stati dichiarati i peccati antichi e veniali, qualche Ave Maria e Padre nostro di sincera penitenza e poi via come nuovi. Fino al prossimo peccato. Fino alla democrazia nuova dell' Italia vera e di destra, dice invece Fini. Due delegati siciliani s' interrogano sulla porta dell' ultimo Congresso: "Fascista partisti, antifascista ritorni?". Sì, Alleanza nazionale è proprio un pallone ovale. - MINO FUCCILLO