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9/9/2010 (8:28) - COLLOQUIO
Ben Affleck: "Mi sono
ispirato a Gomorra"
Ben Affleck
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Nel suo "The Town"
rapine e sparatorie
MICHELA TAMBURRINO
INVIATA A VENEZIA
Forse non sarà un grande attore. Forse non avrà a disposizione un catalogo di espressioni. Forse, non tenesse la bocca sempre aperta, se ne gioverebbe. Ma Ben Affleck è talmente bello da farsi perdonare l’aria da bambolo all’american gigolo ed è talmente un bravo regista da potersi permettere l’aria da sciupafemmine. Alla Mostra di Venezia, fuori concorso, ci arriva con The Town, un poliziesco tratto dal romanzo omonimo di Chuck Hogan. Ritmo serrato, dialoghi convincenti, sparatorie non da cartoon, l’immancabile storia d’amore e d’amicizia contrapposte, la voglia di redimersi, la difficoltà di farlo. Protagonista assoluta quella Boston che produce trecento rapine l’anno e che lui voleva restituire in tutta la sua verità. «Per riuscirci - dice il regista - mi sono ispirato a Gomorra di Matteo Garrone. I suoi personaggi tanto netti hanno avuto una fortissima influenza su di me. Ho cercato di cogliere soprattutto lo stile di quel film, per come sono radicati i personaggi nel territorio, per l’ambientazione perfetta». Nessun riferimento specifico invece per l’accenno all’omertà, che lui avvicina però a una provocazione in codice fatta a un irlandese. Affleck a onor del vero, cita anche The Departed e Point Break in tema di ispirazioni, «Per imprimere una svolta adrenalinica alla carriera d’autore».

E da autore si incarica anche di cambiare il finale del libro: «Perché il mio “the end” risponde organicamente allo spirito del film. La storia è fantastica, i personaggi sono molto interessanti, la città, che dire, è la mia città». Ed è qui che il suo Doug, un rapinatore dal cuore tenero, vive la sua malavita con una gang di svitati. Ma poi rapina la banca sbagliata, conosce la direttrice giusta, la salva dai compagni, se ne innamora e tutto cambia. La bella di turno è Rebecca Hall, già interprete per Woody Allen di Vicky Cristina Barcelona e poi c’é Jeremy Renner nei panni dell’amico del cuore e il segugio dell’Fbi, Jon Hamm.

Affleck, che due anni fa proprio a Venezia vinse la Coppa Volpi, miglior attore per il suo Hollywoodland, sostiene di aver messo il trofeo in salotto, accanto all’Oscar, vinto per la migliore sceneggiatura originale di Will Hunting-genio ribelle nel 1997: «Il guaio è che la Coppa Volpi mi oscura l’Oscar che è molto più piccolo».

Felice di aver portato a termine il film in un momento così difficile per il cinema, Ben si sente più maturo e con una gran voglia di sperimentare. Ma possibile che ad Hollywood gli attori per fare quello che vogliono, debbano girarsi i film da soli? «No, ci sono ottimi registi in America». Come suo fratello Casey: «Ho visto il suo film su Joaquin Phoenix e l’ho trovato fantastico. Ma non è giusto fare i confronti, mi sento a disagio come quando lo fa nostra madre».

Sulle possibili indicazioni di regia date dall’autore, ci scherza su il bravo Jeremy Renner: «Innanzitutto spero che il talento dimostrato non sia inversamente proporzionale all’altezza - lui basso, Ben alto - quanto alle indicazioni, ci ha detto solo di non rompere. Ci ha portato a Boston e io sono andato nelle prigioni, ho parlato con la gente del quartiere Charlestown perché ci lasciassimo coinvolgere da quel luogo». Il regista però si è posto il problema, di come trattare un personaggio che è un malvivente. Dopo le polemiche legate a Vallanzasca ecco un altro gangster simpatico: «Un dubbio che ho avuto, glorificare un criminale ti pone domande ma il mio è un personaggio complesso che va capito come uomo e giudicato come criminale».
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