Settimana 12 Marzo 1977
( da Musica & Dischi )

# TITOLO INTERPRETE Quotazione
1Furia Mal € 10
2Honky tonk train bluesKeith Emerson € 10
3Solo Claudio Baglioni € 12
4O ba ba lu ba Daniela Goggi € 10
5Alla fiera dell'est Angelo Branduardi€ 11
6Piu` Ornella Vanoni € 11
7If you leave me now Chicago € 10
8I wish Stevie Wonder € 10
9No woman no cry Boney M. € 11
10Mamma tutto Iva Zanicchi € 10
 

Daniela Goggi

Finalmente anche la brava Daniela Goggi, sorella della più nota Loretta, tocca con mano il suo primo vero successo di pubblico senza l’alone protettivo della sorella che l’ha voluta al suo fianco in tante occasioni spesso imponendola agli organizzatori di trasmissioni televisive. Del resto non è facile farsi largo nel mondo dello spettacolo quando si ha una sorella così famosa. Certo, oggi sarebbe differente. Basti pensare al fratello di Fiorello (che comunque è un bravo attore) o alle mogli di personaggi famosi. Ma fino a poco tempo fa, vuoi per pudore o perché era abbastanza normale pensare che il pubblico facesse 1 più 1 e dicesse: "ecco i soliti raccomandati", i parenti dei personaggi famosi avevano vita dura. Addirittura la Rai inventò una specie di clausola in cui per pulizia aziendale era sconsigliato l’ultilizzo di persone i cui congiunti lavorassero nelle medesime produzioni. Certamente questa regola veniva applicata solo per taluni (anche qui due pesi due misure). Tornando a Daniela, certamente non si può dire che non abbia fatto una lunga gavetta. A nove anni fu scelta da Anton Giulio Majano per una parte nello sceneggiato DAVID COPPERFIELD. Successivamente appare ne I PROMESSI SPOSI come pure in E LE STELLE STANNO A GUARDARE. Un’ apparizione in tv con la sorella Loretta (quando anche lei non era poi così famosa come lo sarebbe stata in seguito) e nello stesso anno, il 1970, diciassettenne, spuntò un contratto con l’Apollo, la casa discografica appena nata di Edoardo Vianello e fu lanciata col nome di Daniela Modigliani. Il suo look prevedeva una perlina disegnata sulla fronte, alla moda indiana, tanto che la sorella si adeguò e se la fece anche lei, facendosi vedere in giro con Daniela per tutto il biennio 1970-71 conciata in quel modo. Daniela continuava ad alternare periodi alti e bassi ma non si diede mai per vinta. Nella stagione 1974-75 prese parte alla prima edizione dello spettacolo teatrale AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA e, via via, altre cose importanti. Ma è alla fine del 1976 che il suo nome comincia a splendere di luce propria. Lo spettacolo in questione si chiama DUE RAGAZZI INCORREGGIBILI e i due ragazzi in questione sono Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, tornati assieme dopo qualche anno di separazione artistica. Il varietà è davvero poca cosa. Avuta un’idea, gli autori (Castellano & Pipolo) la spezzettano in sei come il numero delle puntate, la dividono in sei spicchi e la realizzano secondo schemi geometrici e poi fanno tante fotocopie della prima puntata. Spettacolo prevedibile con la medesima struttura. Addirittura le rubriche fisse vengono montate in successione così come nelle puntate precedenti (la parodia di Sandokan si chiama Sandogat, poi c’è il momento delle coppie celebri etc.) Certamente non un grande show ma accettabile considerando che a condurlo sono Franco & Ciccio che senza dubbio hanno grinta da grandi teatranti della commedia dell’arte pur avendo, anche loro, i propri limiti. E Daniela cosa fa in questa trasmissione? La fatuzza, così come la chiama Franco Franchi. E’ una fata buona, con i capelli alla cadetto dell’Accademia di Modena, ma comunque molto carina e simpatica. Una vera sorella d’arte. Veste con un body al quale vengono applicate un paio d’ali che la fanno sembrare Campanellino di Peter Pan. I balletti della trasmissione sono cosa sua ma è la sigla che colpisce l’immaginario dei più piccoli. Si chiama O BA BA LU BA e, come recitano le parole, è un’antica formula magica a cui basta credere un po’ per fare in modo che tutto quello che si vuole diventi realtà. La canzoncina è davvero carina e piace al primo ascolto. In breve tempo diventa un disco da Hit Parade e trovarlo nei negozi, che di certo non si aspettavano una massiccia richiesta da parte del pubblico, diventa cosa ardua. Certo, nella trasmissione la ragazza poteva essere utilizzata di più ma lo spettacolo era stato costruito su misura per Franco & Ciccio. Che poi sia diventato un superspot per la sigla finale (e quindi preferita al duo) fa parte dell’imprevisto. Daniela deve però ad AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA se è diventata famosa anche lontana dalla tv. Due anni di repliche per un musical di grande successo dà una popolarità immensa. E’ stato un colpo di fortuna che certamente non capita tutti i giorni. Ma un po’ di fortuna dopo tanti anni di gavetta non è cosa scandalosa. Un po’ più scandalosa è la denuncia a Ciccio Ingrassia. La madre di una sedicenne romana lo ha denunciato alla magistratura per corruzione di minorenne. I fatti risalgono all’ottobre precedente, quando Ingrassia avrebbe assunto come segretaria nella sua casa di produzione (la Ingra Cinematografica) la ragazza che avrebbe corteggiato. Il comico comunque si affretta a respingere le accuse della madre denunciandola per calunnia.

Keith Emerson

Altra sigla tv che diventa un successo formidabile, nonostante non presenti alcun segno di facile consumo, è quella del programma TG2 ODEON (il sottotitolo è TUTTO QUANTO FA SPETTACOLO) che va in onda tutti i mercoledì sulla Rete Due in prima serata. Si chiama HONKY TONKY TRAIN BLUES e raggiunge la posizione numero due, alle spalle di FURIA. La canzone è una vecchia composizione degli anni trenta, del jazzista Meade Lux Lewis e ad eseguirla è Keith Emerson, l’organista del gruppo inglese Emerson, Lake & Palmer che fece gridare al miracolo musicale tra il 1971 e il 1973. Keith ha registrato questo brano, nell’estate del 1976 e cercava un’occasione giusta per lanciarlo. Capita per l’appunto questa trasmissione e davvero non si sa chi è che porta fortuna, se la canzone sigla o la trasmissione tv. Il brano, così come è facile intuire, è un honky tonky dei più classici ma con un arrangiamento moderno. Intanto in questi giorni esce un nuovo LP del gruppo inglese dal titolo WORKS ed è diviso in quattro parti. Tre facciate del disco (è un doppio) sono dedicate ad ogni singolo componente, e loro danno grande sfoggio di bravura; la quarta facciata è un lavoro di equipe, così come si faceva ai bei tempi. Per preparare questo LP il trio ha impiegato circa due anni. Difatti il loro disco precedente era uscito agli inizi del 1975 (WELCOME BACK MY FRIENDS TO THE SHOW THAT NEVER ENDS). La loro popolarità, davvero imponente nei primi anni del decennio, va trovata nella straordinaria cultura musicale, nella eccelsa bravura come singoi strumentisti, nei grandiosi spettacoli dal vivo (ricercati effetti scenici, impianti d’amplificazioni mostruosi, mostri di cartapesta, la lotta tra organo e moog di Emerson etc).

Sigle televisive

Ma perché le sigle tv hanno così tanto successo? Forse dipende dal fatto che la gente non esce più di sera per paura delle aggressioni e della violenza gratuita dell’epoca. Avete presente il film di Paolo Villaggio IL BEL PAESE, proprio del 1977, o l’assurda morte di Luciano Re Cecconi, giocatore della Lazio ucciso per uno scherzo ai primi di gennaio ’77 da un orefice esasperato dalle rapine? Anche i cinema hanno un brusco stop nelle ore serali. E così, non uscendo più, la gente è costretta a sorbirsi ore e ore di televisione casalinga. Sta di fatto che il boom delle sigle tv ha riportato i 45 giri a livelli commerciali d’eccezione risultando essere i dischi più venduti. Le sigle musicali destinate ad un pubblico di bambini non le batte nessuno. In pochi mesi i vertici delle classifiche hanno visto alternarsi ai primissimi posti brani come LA TARTARUGA (Bruno Lauzi – sigla di UN COLPO DI FORTUNA), FURIA (da FURIA, cantata da Mal) prima in classifica questa settimana, JOHNNY BASSOTTO (di Lino Toffolo, da CHI?), SEI FORTE PAPA’ (di Gianni Morandi, da Rete Tre), BASTA, PRENDO, PARTO, VOLO VIA (Memo Remigi da A MODO MIO). Della Goggi abbiamo parlato poco fa, così come di Keith Emerson. Ma quali sono le altre sigle di successo di questo periodo? COSA FARAI DI ME, traduzione italiana di un successo cantato alla fine della guerra da Charles Trenet dal titolo VOUS QUI PASSEZ SANS ME VOIR, scelta come sigla di una serie di film dedicati a Jean Gabin interpretata dal duo Genova & Steffan. Poi c’è PIU’ di Ornella Vanoni (cantata insieme a Gepy) ex sigla di GRAN VARIETA’ condotto da Sandra Mondaini e Raimondo Vinello; SOMEBODY TO LOVE dei Queen, sigla del ciclo di film dedicato a Billy Wilder; eppoi MA..SE.. da DOMENICA IN cantata da Dora Moroni. Altre non riescono ad aver successo; vedi L’AMICO DELLA NOTTE cantata da Gianni Nazzaro e scritta da Enrico Simonetti che sicuramente avrebbe meritato più l’attenzione del pubblico, oppure SOGNO, da SCOMMETTIAMO, programma di quiz con Mike Buongiorno, cantata da Mino Reitano. E visto che sigla tv fa rima con successo, gli esclusi dicono che gli appalti per le sigle, stranamente, sono vinti sempre dalle grandi case discografiche che sono quelle che poi sganciano di più.

Sanremo 1977

Novità da Sanremo: dodici cantanti già affermati in gara, un’unica giuria in sala e un’appendice successiva in giro per l’Italia con possibilità di voto da parte del pubblico sugli stessi cantanti e sulle stesse canzoni per confrontare il verdetto della giuria del Festival con quello popolare. E ancora, un’altra manifestazione ad aprile col supervincitore o con i due vincitori (del pubblico e della giuria) e una quarta serata per festeggiare il centenario del supporto fonografico (1877). Queste è la formula del Festival di quest’anno per Sanremo ideato da Vittorio Salvetti, che dopo una lunga trattativa ha avuto il via libera dal consiglio comunale di Sanremo di organizzare anche questa edizione, la ventisettesima. Il Comune non ne voleva sapere in quanto tutto il dossier relativo all’edizione precedente era misteriosamente scomparso nonostante fosse riposto nella cassaforte del Palazzo Comunale. Salvetti, grazie a delle fotocopie ha dimostrato di essere creditore di 40 milioni di arretrati da parte dello stesso Comune. E’ al suo terzo festival, dopo quelli del 1974 e del 1976. Le date sono: dal 3 al 5 marzo per il Festival con l’aggiunta di domenica 6 per la celebrazione del centenario di cui si parlava poc’anzi e, per la prima volta, il Festival non si svolgerà più al Salone delle Feste del Casinò ma al teatro Ariston che è capace di circa duemila posti. I dodici protagonisti di questa edizione sono stati scelti il 15 di febbraio con la collaborazione delle case discografiche alle quali si era raccomandato possibilmente di segnalare un artista per ciascuna. Non ci saranno più nemmeno le serate di selezione del giovedì e venerdì. Le serate del 3 e 4 marzo si chiameranno Sanremo Incontro e saranno una specie di prologo alla serata conclusiva. In ciascuna serata i dodici cantanti avranno la possibilità di presentarsi al pubblico in quindici minuti recuperando anche i loro successi passati (se ne hanno avuti). A presentare lo spettacolo viene chiamato il veterano dei Festival, ossia Mike Bongiorno. Il cast degli ospiti è ben nutrito e si avrà occasione di assistere ad uno show nello show con Barry White, Marcella Bella, John Miles, Daniel Sentacruz Ensemble, Domenico Modugno ed Iva Zanicchi.

Domenico Modugno

Domenico Modugno è uno che si è saputo dosare per tutto questo decennio. Riacciuffato il successo nel 1970 dopo un periodo di crisi, non è solito strafare o inflazionare la sua immagine. Concilia la musica con il teatro, il cinema e gli sceneggiati televisivi, cercando di fare il meglio per mantenere un successo sempre difficile da dominare permanentemente. L’ultimo biennio lo ha visto protagonista di due grossi successi discografici che comunque non sono piaciuti agli addetti ai lavori che da lui si sarebbero aspettati molto di più. L’ultimo suo singolo lo presenta a Sanremo come ospite d’onore e si chiama IL VECCHIETTO. La canzone viene classificata come canzone per bambini sebbene non se ne capisca il motivo. E’ una ballata molto orecchiabile su un tema tra i più scottanti della nostra epoca, quello degli anziani. Il ritornello abbastanza scanzonato che dice "e il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa" entra subito nelle orecchie del pubblico e diventa quasi un modo di dire (che ancora fatica a morire). Lo spunto per questa canzone la prende da un fatto di cronaca: due novantenni si bastonano in un ospizio perché entrambi volevano sedersi sulla stessa sedia. Una canzoncina allegra che in realtà nasconde il dramma della vecchiaia: il non sapere dove andare, il sentirsi rifiutati dalla società perchè vecchi, l’incapacità di adeguarsi ai nuovi ritmi. Il vecchio diventa un peso e bisogna parcheggiarlo dove può fare meno danno possibile. Oppure sfruttato come baby sitter fin quando i bambini diventano grandi. Tanto che nella canzone Modugno amaramente conclude che anche dopo morto, il guardiano del cimitero non riesce a trovargli una sistemazione (avete presente la scena del parcheggio delle bare al Verano in UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO?). Vuoi vedere che anche nell’aldilà... Mentre il pubblico riesce ad apprezzare la canzoncina, i critici rimproverano Modugno di affrontare argomenti importanti e complicati per farne una canzone di facile consumo e con un testo, a sentir loro, ridicolo. In più c’è l’aggravante dei bambini sul palco, per il coro. Troppo stucchevole e piaciona come idea. L’interessato replica che non ha bisogno di questi mezzucci per entrare nelle grazie del pubblico (visto che lo conosce ormai da più di vent’anni) e che altri cantautori amati dalla critica sono sempre portati su un palmo di mano anche quando affrontano argomenti che bisognerebbe avere il buon gusto di non far scadere con una sola canzone perché richiedono spazio e diritto di replica. E lo fa citando un episodio che ha per protagonisti Dario Fo e l’onorevole Pajetta. Questi, dopo aver sentito Dario Fo a teatro, disse che lui questi discorsi li faceva da trent’anni senza far pagare il biglietto d’ingresso, naturalmente mandando su tutte le furie l’attore, l’ex repubblichino di Salò. Il disco di Modugno ha però avuto un parto difficile: alla sua casa discografica nemmeno lo volevano stampare perché non c’era fiducia nella sua commerciabilità. IL VECCHIETTO ottiene un buon successo di vendita perché la gente normale, quella che sa leggere fra le righe, sa che Modugno mette in musica esperienze e sensazioni indipendentemente da quanti dischi riuscirà a vendere. Sta a dimostrarlo parecchi singoli rimasti invenduti negli scaffali dei negozi di dischi, anche quando si chiamavano MERAVIGLIOSO o IL POSTO MIO.

Iva Zanicchi

Ancora una veterana della discografia italiana, Iva Zanicchi, che questa settimana raggiunge un buonissimo decimo posto con una canzone per bambini intitolata MAMMA TUTTO. La risposta musicale a SEI FORTE PAPA’. E’ la versione italiana del successo francese MAMAN BONHEUR che fu presentata allo Zecchino D’Oro 1976. In Francia era stata lanciata da Tino Rossi, un famoso cantante ormai anziano che aveva rinnovato il suo successo grazie a questo azzeccatissimo brano. Sempre nel 1976, l’Antoniano di Bologna organizza uno spettacolo al quale viene invitata anche la Zanicchi che interpreta la canzone accompagnata dal Piccolo Coro Dell’Antoniano. L’esibizione doveva finire lì, così com’era nata, cioè un’occasione particolare e basta. Ma il suocero, Ansoldi, padrone della RiFi che tra l’altro distribuisce i dischi dell’Antoniano decide di lanciare un disco a 45 giri ad ottobre e farlo interpretare alla nuora. E, poco a poco, il singolo comincia a vendere, complice qualche apparizione televisiva della stessa Iva Zanicchi. L’ambiente discografico storce un po’ il naso. Troppi cantanti in difficoltà, per risalire la corrente si affidano ai motivi per bambini: da Bruno Lauzi (LA TARTARUGA) a Gianni Morandi (SEI FORTE PAPA’), da Modugno (IL VECCHIETTO) a Mal (FURIA). Quindi, se la Zanicchi sfrutta il filone tanto in salute non deve essere o almeno questo è quello che si sono sussurrati dietro le quinte gli addetti ai lavori, ormai saturi di dischi per bambini che piovono da tutte le parti. Invece la Zanicchi pare non risentire di nessuna crisi particolare. Sarà che è rimasta l’ultima donna importante alla RiFi, tanto che tutto gira intorno a lei. E alla sua corte trova sempre parecchi autori che le danno i pezzi giusti da inserire in LP o nella facciata A dei singoli. Mentre sta per incidere il long playing MAMMA TUTTO, il precedente CARA NAPOLI, dove interpreta classici napoletani come ANEMA E CORE o PASSIONE o anche brani nuovi tipo ‘O DESTINO (scritta da Tullio De Piscopo), si muove discretamente nei negozi di dischi. Certo è strano che una cantante come la Zanicchi, fedelmente legata alla sua terra natia e al suo dialetto, incida un disco tutto in napoletano. Ma lo fa con grande umiltà e professionalità, interpretando un repertorio ostico (per la lingua) e senza dubbio impegnativo. Ne esce un 33 giri che arricchisce la tradizione partenopea di una voce "all’italiana" altrettanto schietta e calda. Anche il mercato estero sorride all’aquila di Ligonchio: la versione spagnola di MAMMA TUTTO si intitola MAMA AMIGA MIA ed è già nella lista dei dischi più venduti in Spagna e in America Latina. Cosa dire di MAMMA TUTTO? Che viene tradotta da Alberto Testa e che racconta il ruolo della madre nei momenti cruciali dell’infanzia di un bambino, dal primo giorno di scuola fino ad arrivare alla prima "passioncella". Non un capolavoro ma sicuramente al pubblico piace, come sta a dimostrare la notorietà della canzone e il suo piazzamento in classifica.

Mia Martini & Charles Aznavour

Successo di pubblico per il debutto al Sistina di Mia Martini e Charles Aznavour, due grandi della canzone d’autore, sebbene molto diversi l’una dall’altro. La tournèe organizzata da Franco Fontana prende il via proprio dalla prestigiosa sala romana. Lo spettacolo è in due tempi e vede affiancati i due cantanti per la prima volta. Seconda e fondamentale esperienza artistica a due per Mia Martini che già nel 1975 si era esibita al Sistina con Jorge Ben. Aznavour fa grandissimi complimenti alla Martini che comunque già conosce da tempo. Alla stampa dichiara che artisti come lei non ne esistono più nel suo paese e che proprio in Francia, durante un’esibizione televisiva, Aznavour ha pensato a lei come possibile partner di spettacoli in Italia. La prima parte dello spettacolo ha visto mattatrice Mia Martini, cantante nata in un festival di avanguardia (Festival Pop di Viareggio 1971) ed ora abituata a cantare davanti a platee di compassati signori, che ha già superato la fase dei Festivalbar, delle Gondole d’oro a Venezia ed è in cerca di una nuova dimensione artistica. Sta cercando di guadagnare un pubblico più vasto, sicuramente in grado di recepire i suoi cambiamenti repentini di gusto e di produzione musicale. Nella dimensione teatrale si assesterebbe volentieri ma in Italia non si ha una grossa tradizione di canzone per il teatro, a parte i casi rari come quelli di Gaber, di Milva o della Vanoni. Aggravante maggiore, lo snobismo culturale che pone tra le qualità essenziali per ottenere il successo l’ostentazione di un discorso politico. Impegno che, proprio perché destinato ad un pubblico orientato verso il largo consumo, è fittizio e soprattutto di facciata. Quel periodo è stato superato dalla Martini. PADRE DAVVERO potrebbe esserne un esempio anche se non si tratta di un testo politico. Lei è la seconda più bella voce italiana (e assolutamente la prima nelle interpretazioni), una carica e un feeling sorprendenti, una professionalità incredibile al servizio del pubblico (avete mai visto la Martini steccare in qualche trasmissione televisiva in cui cantava dal vivo? Un esempio di bravura l’interpretazione di DONNA CON TE a Senza Rete 1975 quando canta insieme alla Schola Cantorum salendo di tre toni sopra, con la Schola ferma al primo). Una cantante forse troppo raffinata per un pubblico davvero vasto. Nella sua parte di spettacolo presenta AMANTI, SE MI SFIORI, DONNA CON TE, VOLESSE IL CIELO, DONNA SOLA e il pubblico scelto del Sistina si infervora fino a richiederle un bis.

Poi tocca ad Aznavour che ha da far conoscere anche un brano inedito, PER GOLOSITA’, scritto da Giorgio Calabrese. Accompagnato da un gruppo di dieci elementi e tre ragazze al coro, Aznavour più che cantare racconta le proprie canzoni, mimando sentimenti ed emozioni da consumato professionista. Il problema è che ormai il pubblico conosce a memoria tutte le pause e tutte le espressioni facciali del cantante, l’uscita di scena in gran fretta come sempre dopo un ED IO TRA DI VOI impeccabile ma visto e rivisto non so quante volte sul teleschermo. Aznavour ha mosso i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo come attore e questo retaggio si avverte eccome. Da tempo vive in una specie di limbo artistico in cui il successo consacra e cristallizza. Niente da dire, ma sono sempre le stesse cose, gli stessi pezzi che fa da anni, con in più la novità del momento. Un repertorio, comunque, intoccabile, di gran classe, fatto di racconti del quotidiano: bilanci di vita e di amori, omosessualità, vecchiaia e abbandoni, rimpianti e ricordi di adolescenza. E mentre canta o recita vive partecipando fisicamente al brano che canta. Un gioco che ha sempre pagato. L’applauso più convinto arriva dopo l’esecuzione de L’ISTRIONE. Verso la metà dello spettacolo si sente una voce provenire da dietro le quinte (quando Aznavour canta MES AMIS), una voce che risponde a tono allo chansonnier francese. Naturalmente è Mia Martini. Mia interpreta DOPO L’AMORE insieme ad Aznavour, un momento di rottura nello spettacolo, quando l’emozione e la novità del fatto supera il mestiere e la gigioneria tipica dell’artista francese. Vi chiederete: come si può affermare questa tesi se non si è stati testimoni oculari della serata? Semplicemente visionando lo spettacolo teelvisivo UNA SERATA CON MIA MARTINI E CHARLES AZNAVOUR, che riprende proprio la serata d’inaugurazione al Sistina. Puntata replicata un paio di volte alla fine degli anni novanta da RaiUno.

Giorgio Gaber

Approda a Roma lo spettacolo di Giorgio Gaber LIBERTA’ OBBLIGATORIA, in programmazione per 5 sere ed eventuali repliche. Con lo spettacolo precedente, ANCHE PER OGGI NON SI VOLA, Gaber aveva praticamente finito un discorso nato con IL SIGNOR G e proseguito con FAR FINTA DI ESSERE SANI. Con questo nuovo spettacolo ha evitato la ripetizione. Il titolo vuole essere un monito: attenti che i tempi di pace, dopo quelli di lotta (da intendersi come sociale) sono i più infidi: tempi in cui la libertà è obbligatoria, vietato vietare, la violenza si ammanta di ideali nobili per poter scorrere senza provocare sdegno. Mai avrebbe pensato (forse) che questa sua teoria l’avrebbe dovuta sperimentare sulla propria pelle. Lo spettacolo dura solo due sere, trasformando il suo nome in sospensione obbligatoria dopo le classiche contestazioni di questi anni per motivazioni inesistenti. Alcune decine di ragazzi con eskimo d’ordinanza e scarsi impegni lavorativi, si assiepano davanti al Trianon al Tuscolano impedendo l’ingresso alla sala con slogan beceri, picchetti e azioni di disturbo, intimorendo la gente che ha fatto lunghe code per assicurarsi il biglietto. Che tra l’altro costa molto poco: duemila e cinquecento lire (un cinema di prima visione ne costava 1500-2000). Alla prima, un gruppo ridotto di contestatori, che comunque sia erano poco interessati allo spettacolo, si è presentato all’ingresso per chiedere che il prezzo del biglietto scendesse a 500 lire, praticamente il prezzo di un giornaletto dell’epoca!! Gaber aveva fatto notare che cinquecento lire era un prezzo davvero irrisorio e inadeguato proponendo alternativamente di offire 80 ingressi gratuiti ogni sera. La sera successiva, questo gruppuscolo che agiva per il bene del popolo, si è presentato in teatro occupando posti di persone che avevano fatto regolarmente la fila e acquistato il biglietto, circolando in sala durante lo spettacolo, interrompendolo con slogan e proclami: anzi, pretendevano di leggere il loro proclama e di aprire un dibattito alla fine del primo tempo (altro che Corazzata Potemkin di Fantozzi!). Naturalmente alla gente in sala di questi sfigati non importava assolutamente nulla e nascevano vivaci proteste e discussioni anche accese. Insomma - dicevano – abbiamo pagato il biglietto e non tolleriamo simili rotture di scatole da chi non ha sborsato una lira e oltretutto prende anche i nostri posti. Gli ingrati! Non capivano che lo facevano per il loro bene! Comunque, la polizia interviene e decide di applicare la disposizione che vieta l’ingresso in sala ad un numero di persone superiore a quello dei posti disponibili. Possibilità quindi di accedere solo per chi ha il biglietto regolarmente acquistato. La polizia, durante la serata successiva sorvegliava il teatro e l’atmosfera non era delle più allegre. Stessa cosa era successa un paio di settimane prima a Mestre e Padova (dove si erano verificati incidenti più vistosi) e per non ripetere quel clima teso e violento Gaber decide di sospendere i recital e di indire una conferenza stampa per spiegare la decisione del gesto. Ad evitare che la situazione degeneri (come successo nel Nord est) provocando danni al quartiere e alle persone, la compagnia si ferma perché non ci sono le condizioni giuste per poter lavorare tranquillamente. Ma andarsene sarebbe scorretto nei confronti di chi vorrebbe vedere lo spettacolo. Aggiungendo che sembra fortemente ingiusto che per colpa di alcune persone che giocano ai rivoluzionari e che cercano solo l’occasione giusta per uno scontro fisico con le forze dell’ordine a rimetterci debbano essere le circa trentamila persone che hanno acquistato il biglietto. Tra l’altro Gaber non è certo personaggio da guadagni favolosi, da dischi che vendono migliaia e migliaia di copie, di quei dischi che in una settimana smuovono un giro di soldi tale che lui riesce a tirare su con una tournèe di sei mesi. Oltre alla forma prevaricatrice e prepotente della protesta, ad essere sbagliato era anche il bersaglio da contestare. In LIBERTA’ OBBLIGATORIA Gaber trattava anche delle idee confuse della sinistra e questi episodi ridicoli non fanno che avvalorare le sue tesi. In quel momento sarebbe stato molto più giusto, se proprio si voleva contestare qualcosa, contestare l’aumento del canone della Rai che, come vedremo poi, era raddoppiato. Ma chi fa di questi gesti non arriva certamente a tanto. Gaber torna dopo due giorni e la forza la trova nella morte del padre che lo colpisce proprio quando si trova a Roma. "O Roma o cambio mestiere", dice Gaber soprattutto dopo le minacce di quel gruppo di balordi che continuavano a stuzzicarlo con frasi del tipo "ti conviene accettare quello che vogliamo, se accetti siamo in grado di garantirti la tranquillità oppure ti impediamo l’ingresso a Roma per sempre". Minacce che, giunte insieme alla notizia luttuosa, gli danno una carica maggiore e una marcia in più per reagire a queste intimidazioni di stampo mafioso. Sciolta la tensione con gli applausi, Gaber dice che "sì, a Roma è valso la pena restare".

Nuova Compagnia di Canto Popolare

Dopo Gaber, tocca alla Nuova Compagnia Di Canto Popolare sperimentare le gioie della contestazione. A Napoli, una folla di autoriduttori ha occupato il teatro San Ferdinando per protestare contro la Compagnia. Lo spettacolo in questione è LA GATTA CENERENTOLA. Il gruppo folk, fino a qualche anno prima, aveva dato rappresentazioni soprattutto in circoli di avanguardia o teatri tenda. Questo succedeva quando naturalmente erano poco conosciuti e richiamavano meno pubblico. Accrescendo in popolarità, anche le loro platee diventano più grandi e sempre meno "popolari" nel senso letterario del termine. Cosa che deve aver infastidito il solito gruppo di idioti che al grido di autoriduzione hanno interrotto lo spettacolo. Dopo un dibattito il direttore del teatro ha fatto entrare gratis tutto il gruppo di contestatori che, naturalmente, di vedere lo spettacolo non poteva fregargliene di meno. A quel punto è arrivata la polizia che, a piedi e con le jeep, ha circondato il teatro e le strade di accesso. Alle due di notte, quando lo spettacolo è potuto terminare (bontà loro) i poliziotti hanno sbarrato il passo agli spettatori che avevano lasciato il teatro chiedendo documenti e biglietti. Decine di persone sono state così tradotte in questura e per qualche decina di loro viene effettuato l’arresto per violenza privata e danneggiamenti. Gli arrestati, quasi tutti ventenni, sono stati portati a Poggio Reale.

King Kong

A Natale, in tutte le sale italiane impazzava l’ultimo kolossal hollywoodiano, KING KONG, il remake di una pellicola del 1933 che ebbe grandissimo successo all’epoca e che anche la distribuzione italiana si affretta a rimettere in circolazione quasi in contemporanea con la nuova versione. Come sempre succede in questi casi scoppia una king kong mania, soprattutto negli Usa e, di rimbalzo, anche da noi in Italia, brava colonia americana. Quindi libri, album di figurine, giornaletti (se non vado errato ce n’era uno edito della Editoriale Corno che all’epoca stampava i supereroi Marvel e Alan Ford), puzzle, magliette e naturalmente dischi. Che non riguardano solo quelli che comprendono la colonna sonora originale scritta da John Barry ma anche altre versioni soprattutto soul, funky e disco. Ad esempio, uno dei primi a tuffarcisi è stato il genio di Galverstone, Barry White, ed effettivamente stupisce come si sia (per così dire) "ridotto" ad incidere un tema non suo e di moda anche se lo fa interpretare dal complesso vocale della moglie, la Love Unlimited Orchestra. Lui si adopera ad arrangiare e produrre il disco preferendo non gettarsi di persona nella mischia. Il pezzo viene gradito moltissimo perché tutto quello che tocca Barry White si risolve in un successo (almeno fino al 1980 quando anche la sua stella comincia a tramontare parzialmente). Un altro interprete e di ottima fattura, seppur non prolifico, è Jimmy Castor Bunch. Vi ricordate TROGLODITE MAN, successo da discoteca del 1972? Dopo un titolo del genere pare anche logico riallacciarsi al filone preistorico-scimmiesco incidendo KING KONG. Il successo, anche per lui, non si fa attendere tanto e il disco ha mercato anche in Italia, soprattutto nel circuito delle discoteche. Ma chi si dimostra più scaltro di tutti è Rick Dees, quello di DISCO DUCK, grande successo discografico e nelle discoteche della fine del 1976. Il nuovo disco si chiama DISGGORILLA e nel video si vede l’ineffebile Rock Dees in giro con King Kong sempre attorniato dal suo branco di idioti (Rick Dees & His Cast Of Idiots). Potremmo chiamarla goliardia miliardaria: il termine disco (che sta a significare discoteca) si tramuta in disgo per unire le parole disco e gorilla. Tra le tante versioni è quella che probabilmente riscuote più successo anche perché il disc jockey Dees è reduce da un successo recentissimo. Quello che invece non ti aspetti è che il pacioso Demis Roussos incida anche lui una versione del celeberrimo tema musicale originale, MAYBE TOMORROW, piegandosi così alla moda e facendo vedere che le idee cominciano a scarseggiare anche da quelle parti. Complici gli ottimi arrangiamenti di J.Claudric, Demis tira fuori una canzoncina non male ma neanche tanto originale che difatti fatica parecchio ad inerpicarsi sulle vette della classifica che conta, cioè entrare fra i primi venti. E difatti manca l’aggancio, almeno per quel che riguarda le nostre classifiche discografiche. Ma forse il sintomo più significativo di questa moda è che un cantautore tra i più morbidi (in senso musicale) della scena italiana come Umberto Napolitano, si faccia prendere dall’euforia intitolando un suo spettacolo KING KONG FANTASIE (IL MALE E L’AMORE DEL NOSTRO SECOLO) dove King Kong rappresentato in scena da un gorilla (Napolitano stesso travestito) per conquistare la donna che ama deve gettare la maschera da scimmia. Non si capisce bene il senso di tutto questo: vorrebbe rappresentare cosa? di preciso? Una specie di LA BELLA E LA BESTIA? Come se per essere accettati da qualcuno che si ama fosse necessario snaturarsi e diventare quello che non si è. Molto strano. Il mercato degli LP in Usa ha visto ben 3 titoli differenti: il primo è naturalmente quello originale, cioè, l’intera colonna sonora del film. Il secondo è nientemeno che la ristampa della colonna sonora del 1933, un’operazione interessantissima dal punto di vista collezionistico. Il terzo è una trascrizione originale delle musiche di uno spettacolo radiofonico andato in onda anche questo nel 1933 in America, prendendo spunto dalla King Kong mania dell’epoca. Tornando al gorilla più famoso di tutti i tempi, un jumbo dell’Air France lo trasporta (a pezzi) da Los Angeles a Parigi per realizzare un servizio fotografico nel quale si vede lo scimmione fare irruzione nella redazione del Paris Match. Ma ciò che incuriosisce i parigini non è il bestione che prende nel palmo della mano una terrorizzata Jessica Lange (nel film) ma quello che vede cadere dall’Empire State Building nella parte finale del film. Quell’altro era troppo ingombrante da trasportare ed adagiare sui Champs Elysees. Oltre centomila francesi si sono dati appuntamento per vederlo e la polizia ha faticato per tenere lontana la gente, e non farla accalcare intorno al pupazzo. In Italia, dopo un mese di programmazione ha incassato un miliardo e 166 milioni. Un boom del tipo de LO SQUALO, uscito l’anno prima. Non dimentichiamo comunque l’artefice di questo successo e cioè Carlo Rambaldi, il creatore di King Kong (come fu per lo LO SQUALO e come sarà per ET). Per far muovere lo scimmione nella maniera più naturale possibile collega ad ogni punto di snodo naturale (cioè collo, ginocchio,fianchi e gomiti) dei tubi oleodinamici lunghi venti metri ciascuno collegati ad un supporto munito di un pannello di guida. Ogni movimento viene azionato da una leva. Una ventina di operatori hanno la possibilità di far fare a King Kong tutto quello che il regista richiede. Per le varie espressioni hanno invece usato una serie di teste intercambiabili: una per il riso, una per il pianto, una per la rabbia, una per lo stupore etc. Il segreto di questo estremo verismo risiedeva nel fatto che ogni testa possiede, sotto l’epidermide,delle fasce elastiche che imitano perfettamente i muscoli facciali. L’Accademia Delle Arti Cinematrografiche ha invece stabilito che il pupazzo di King Kong non potrà concorrere come miglior attore durante la notte degli Oscar. Il direttore dell’Accademia ha detto che il gorilla deve essere considerato a tutti gli effetti un effetto speciale e che solo in quella sezione può trovare collocazione. Era stato De Laurentis, il produttore, a chiedere se fosse stato possibile considerare quella del gorilla un’interpretazione degna di un oscar considerando che nella maggior parte delle scene nelle quali comprare il gorilla, sotto la pelliccia c’è un attore in carne ed ossa, ossia Rick Baker.

Disco music

La discomusic sta facendo sfracelli in Giappone dove le discoteche, nel giro di due anni si sono triplicate. Nelle sole zone di Tokio e Kioto (e provincia) da seicento discoteche siamo arrivati a 1200. L’ondata, iniziata nel 1974 con gli exploit commerciali di Stevie Wonder e George McCrae e con l’arrivo del Bump lanciato dai Commodores con l’omonima canzone, ha raggiunto il culmine con Van McCoy, restando in testa alle classifiche delle discoteche locali per 20 settimane di fila. Oggi, ad andare per la maggiore nel paese del Sol Levante sono i Kool & The Gang, i Cruseders, il nuovo corso di James Brown, le Silver Convention, gli Stylistics e naturalmente Mr. Barry White. Come si può facilmente notare, la disco che piace di più è quella con una venatura funky (eccezion fatta per la Silver Convention).
Restiamo in tema discomusic e ricordiamo che l’ingresso ufficiale in televisione dalla porta principale la fa il 23 febbraio 1977 nella trasmissione a tema PICCOLO SLAM, un programma condotto da Stefania Rotolo e Sammy Barbot che fungono anche da disc jockey. Il titolo non è stato scelto a caso: Piccolo Slam era il nome di un locale alla moda della Roma degli anni cinquanta che cercò di sostituire il night elegante dell’epoca con una sorta di discoteca ante litteram. Cinquanta ragazzi affollano lo studio dove si registra la trasmissione (tra questi anche un giovane Enzo Avallone non ancora Truciolo) i quali esprimeranno i loro gusti votando la canzone che diventa Disco Slam della settimana. Praticamente la stessa formula cara a Bandiera Gialla translata di dieci anni. Cinque dischi settimanali di cui, come si è detto, uno diventerà il campione della puntata e verrà ritrasmesso nella successiva rimanendo in gara fin quando i ragazzi ne sceglieranno un’altro. Nella trasmissione sono previsti ospiti (uno a puntata) ma non è facile reperire artisti italiani che facciano anche della discomusic e quindi è facile vedere personaggi come Luciano Rossi o Leano Morelli che non sono affatto da discoteca ma che vengono invitati per la carenza di artisti stranieri che in Italia arrivano solo quando debbono promuovere un disco nuovo. Anche se, ad esempio Rossi, quando ancora nelle discoteche si usava proporre brani lenti, fu in cima alle preferenze con la sua SENZA PAROLE. Lo spettacolo dimostra come una discoteca televisiva possa funzionare se animata da conduttori in gamba, briosi e simpatici così come lo erano la Rotolo e il giamaicano Sammy Barbot.

Il disco mix

Restiamo in tema discoteca: da qualche tempo in Italia, oltre ai 33 giri, ai 45 giri e alle musicassette bisogna fare i conti anche con i dischi maxi o comunemente detto dischi mix che hanno le dimensioni di un trentatrè ma che girano a quarantacinque. Il disco mix è nato naturalmente in Usa e nel gergo dei DJ americani viene chiamato disco giant o jumbo size. Il primo disco uscito di queste dimensioni è stato TEN PERCENT dei Double Exposure, pubblicato dall’Atlantic nel luglio 1975. Negli Usa è nato a scopo promozionale per uso esclusivo di radio e discoteche ma il successo è stato così grande che ormai è entrato nel normale circuito. Di solito contiene un pezzo per facciata ma a volte anche 3 o 4 pezzi per una durata ciascuno di 8-9 minuti e con un massimo di 12. La musica pop, e di conseguenza quella leggera, tende da qualche anno a superare la barriera dei tre minuti ed era inevitabile che, disponendo di un disco a 45 giri del diametro di 17 centimetri, la lunghezza del brano andava a discapito della qualità del suono (per questo motivo alcuni singoli si dividevano in parte prima e parte seconda). Per questo, il disco mix ha riscosso così grande successo esaltando il sound e rendendolo più brillante. Il termine mix viene da missaggio perché questa fase è curata in maniera particolare per creare la sonorità giusta per le discoteche. Le quali ormai traboccano di dischi mix, ideali per essere mixati fra loro per un pubblico che vuole soprattutto ballare. La differenza tra il disco singolo e quello mix dello stesso titolo è dato da un’arrangiamento differente, più lungo rispetto alle altre versioni uscite su altri supporti. In più, essendo i solchi più larghi rispetto al normale 45 giri, il risultato è migliore sotto il profilo dell’acustica. In Italia in questo periodo costano duemila lire e i titoli che vanno per la maggiore sono BLACK IS BLACK della Belle Epoque e FLYING FISH di Asha Puthli.

Classifica Juke-Box

A proposito di classifiche e di discoteche, questa settimana ecco un supplemento con la clasifica JukeBox Parade, a cura della SAPAR-AGIS. Classifica ricavata con la collaborazione dei noleggiatori, proprietari di alcune migliaia di jukebox iscritti alla SAPAR-AGIS. Questa classifica fa riferimento al mese di gennaio, quindi non settimanale:
1.DANCING QUEEN – ABBA (Punti 4.280)
2.DADDY COOL – BONEY M (Punti 4.245)
3.SPRING AFFAIR – DONNA SUMMER (Punti 4.075)
4.DUE RAGAZZI NEL SOLE – COLLAGE (Punti 3.325)
5.DISCO DUCK – RICK DEES (Punti 3.070)
6.BAMBOLA – LUCIANO ROSSI (Punti 2.400)

Daryl Hall & John Oates

L’Inghilterra ha trovato, in questo primo scorcio dell’anno, dei nuovi idoli. Si chiamano Daryl Hall & John Oates e sono americani. Dopo l’ubriacatura dovuta al complesso dei Bay City Rollers (che comunque da queste parti vanno ancora forte) ora tocca a questo duo di Philadelphia che non offre nulla di nuovo ma che sa valorizzare al massimo quello che scrive. Tutti i giornali anglosassoni parlano di loro in termini entusiastici, tanto che i loro spettacoli a Londra e in tutta l’Inghilterra sono sold out già dal mese precedente. Tracciamo un profilo artistico del duo, perché sarà ben difficile poterci ritornare su, considerando le scarse opportunità che avremo di parlarne: suonano insieme da molti anni e sono cresciuti con i dischi di Elvis, anche se la loro musica non si può catalogare in un genere preciso. Il loro primo album risale al 1972 ed esce per l’etichetta Atlantic. Il titolo era WHOLE OATES. Il secondo, l’anno dopo, si chiama ABANDONED LUNCHEONETTE, molto più articolato e maturo del precedente e ricco di spunti. Il terzo, del 1974, è in collaborazione con Todd Rundgren in veste di produttore ed è un disco più orientato verso il rock. Il titolo è WAR BABIES. Poi tocca all’album intitolato a loro stessi, DARYL HALL & JOHN OATES, il primo uscito per la Rca, nel quale il duo torna a sonorità morbide e rilassanti, certamente più adatte alla loro personalità. SARA SMILE è il singolo che rimane per cinque mesi nelle classifiche inglesi e arriva al quarto posto in quelle americane. Il pubblico gradisce molto questo nuovo corso e disco e ancora di più quello successivo, chiamato BIGGER THAN BOTH OF US e che li fa conoscere al pubblico italiano sebbene non venda abbastanza da entrare tra i primi 30 classificati. In questo disco c'è un po’ di tutto, dalla ballata al soul senza una vera soluzione di continuità, però senza dare la sensazione che le stanno provando tutte per piacere a più pubblico possibile. Diventa disco di platino e contemporaneamente l’Atlantic ristampa il singolo SHE’S GONE che nel 1973 faceva parte dall’album ABANDONED LUNCHEONETTE e che difatti lo trascina nuovamente in classifica. Da notare che quel singolo all’epoca arrivò in classifica solo grazie ai Taveres che ne fecero un hit. In questo periodo Daryl Hall incide il suo primo disco da solista con la supervisione e produzione di Robert Fripp. Si chiama SACRED SONGS ma la Rca lo ritiene troppo poco commerciale e forse deleterio per l’immagine del complesso e così non uscirà fino al 1980. Il cantante è il biondo Daryl che è anche il dominatore della scena, essendo il più avvenente dei due. Fascino unisex, così come questo decennio ci ha abituati (da Bowie a Bolan). L’altro, il moro (a metà tra Monzon e un sardo) è il cervello del duo. Il fatto curioso è che in America, Hall & Oates erano famosi, sì, ma non da giustificare gli entusiasmi che riscuotono nel Regno Unito, che di solito ha sempre accolto con riserva ogni cosa che non fosse tipicamente Made in England. In patria hanno l’appoggio di un discreto numero di ammiratori ma si sa, l’America è più grande e c’è più concorrenza. Comunque dal 1977 la loro fama diventa talmente vasta che anche in patria vengono considerati dei numeri uno. Le classifiche di vendita sono lì a dimostrarlo. La loro musica è facile anche se non come quella dei Bay City Rollers e attecchisce su un vasto pubblico. Bisogna anche dire che in Inghilterra sta calando un periodo di crisi. Il boom degli anni sessanta è finito da un pezzo, il rock progressive sembra ormai interessare a pochi eletti, il punk sta prendendo piede così come sta impazzando la discomusic. Manca un gruppo di riferimento in alternativa ad un ristretto parco artisti da copertina e quindi bisogna prendere quello che viene. Per questo motivo giornali come New Musical Express e Melody Maker spingono il duo oltre l’effettiva capacità artistica. Non dimentichiamoci che il mondo della musica pop è ricco di episodi di questo genere. Il boom dei Monkees nel 1967 in UK è frutto di una capillare strategia di mercato coordinata a tavolino tra casa discografica e stampa locale. Poi ci sono altri casi come quello di Jimi Hendrix o di Suzi Quatro, diventati famosi prima in Europa e poi, di rimbalzo, in Usa. Il tour europeo di Hall & Oates non include l’Italia e per questo i fan italiani del gruppo (ma ci sono?) devono accontentarsi del solo vinile. Grazie a questa massiccia campagna pubblicitaria diventano dei big anche in Usa. Negli anni ottanta il duo si muove verso un genere più soul e funky che frutta loro parecchi hit da classifica come PRIVATE EYES (molto famosa anche in Italia) e I CAN’T GO FOR THAT. Quaranta singoli negli US Top 10 non sono proprio da buttare via, direi... Daryl Hall nel decennio degli ottanta avrà anche un record personale: sarà il compositore che avrà ottenuto più primi posti in classifica (sette) con canzoni date ad altrettanti artisti: tanto per fare un esempio, Paul Young e EVERYTIME YOU GO AWAY, che nel 1984 divenne un successo formidabile anche da noi. Verranno poi varie volte in Italia durante gli anni ottanta ma, a parte rare eccezioni, non avranno mai uno zoccolo duro di aficionados, sebbene Ron nel 1983 incida la versione italiana di un loro successo a cui dà il titolo di HAI CAPITO O NO? che fa venire a molti la curiosità di ascoltarne la versione originale.

Dal resto del mondo

Un breve excursus sui dischi più venduti nel mondo in questo periodo: il 45 giri di maggior successo è ancora la splendida ballata dei Chicago IF YOU LEAVE ME NOW, seguita a ruota da DADDY COOL de Boney M. Poi è la volta degli Smokie con LIVING NEXT DOOR TO ALICE che in Italia non ha avuto successo. Ancora i Boney M con SUNNY, gli Abba con MONEY MONEY, le Ritchie Family con THE BEST DISCO IN TOWN che resiste nonostante 4 mesi di vita. E ancora gli Abba con DANCING QUEEN. Per quel che riguarda la classifica mondiale degli LP vediamo in testa sempre gli Abba con ARRIVAL, i Pink Floyd con ANIMALS al secondo posto, gli Eagles con HOTEL CALIFORNIA, ancora Stevie Wonder con uno dei dischi più famosi di tutti i tempi, SONGS IN THE KEY OF LIFE, uscito alla fine del ’76, i Queen con A DAY AT THE RACES, i Boney M con TAKE THE HEAT OFF ME (album che prende il titolo dalla canzone di Marcella NESSUNO MAI, tradotta in inglese) e WINGS OVER AMERICA, triplo live di Paul McCartney con il suo gruppo, i Wings.

Dalida festeggia all’Olympia i suoi vent’anni nella canzone. E lo fa con un recital di dodici canzoni nuove, repertorio del tour europeo che prende il via proprio da Parigi. Canzoni molto diverse fra loro che vogliono essere un bilancio di questi primi vent’anni di vita musicale. Il titolo è IL Y A TOUJOURS UNE CHANSON, che è anche il titolo di una canzone scritta da Serge Lebrail e da Pascal Sevran. Vi si ricordano alcuni dei brani che l’hanno resa celebre e che hanno segnato la sua carriera, da BAMBINO a J’ATTENDRAI (entrambe canzoni italiane: GUAGLIONE e TORNERAI). Ad un certo punto dello spettacolo Dalida intervalla le canzoni con un racconto della sua vita, della sua infanzia, scandito da cinque melodie diverse e due di queste sono ET TOUS CES REGARDS che tratta di una fanciullezza mediterranea e AMOUREUSE DE MA VIE, che diventa anche, per la cantante, un grosso successo a 45 giri in Francia, uscito dalla penna di Pierre Grosz. Questo tour Dalida l’aveva rodato con un piccolo giro in provincia per sperimentarlo su un pubblico meno sofisticato di quello dell’Olympia. Andato benissimo, è pronta ora per il giro europeo.

Ilona Staller

Ogni sera, sui 98.8 dell’etere romano, la radio privata Radio Luna fa il pieno di ascoltatori perché a quell’ora si trasmette VOULEZ VOUS COUCHER AVEC MOI (frase presa a prestito dal testo di una famosa canzone) con la voce e i sospiri erotici di una giovane ragazza ungherese, Ilona Staller, in Italia già da quattro anni (qui a lato in una copertina di Playmen del 1974). La trasmissione ha così successo che l’emittente romana diventa famosa e deve vendere le registrazioni del programma ad altre radio italiane. Nessun dubbio che la trasmissione radiofonica abbia il successo che ha per l’alto contenuto erotico e perché Ilona risponde di persona alle telefonate che arrivano da parte di camionisti allupati, guardiani notturni o giovanotti insonni. Un po’ come Telealto Milanese faceva con gli spogliarelli di mezzanotte. Però è anche la prima trasmissione del genere che sia mai stata fatta in Italia. Una cosa divertente è accaduta a Foggia, città dove Ilona non aveva neanche messo piede. Radio Luna vende alla consorella foggiana i primi nastri della trasmissione e a mezzanotte in punto la Staller dà il via con la sua voce morbida e piena di buoni propositi: buonasera cicciolini (era il grido di battaglia di Ilona Staller. Tutti erano cicciolini). Cosa fate? Volete venire a letto con me? Io sono qui e vi sento tutti vicini. Ho solo una cosetta leggera sopra le mie cosine. Alla parola cosine già tutto l’edificio della radio era circondata da una folla di foggiani che reclamavano Ilona Staller, tanto per farle vedere come le erano vicini veramente. Per di più la volevano nuda. All’una di notte, il direttore della radio deve ricorrere alla polizia perché vaglielo a spiegare a quei tizi là sotto che si trattava solo di una registrazione! In un’intervista su PLAYMEN dichiara di essere una donna fatta per il sesso e che la gente lo fiuta anche se non la vede. 23 anni, di origine unna (e difatti il fratello si chiama Attila!) ha provato la sua prima esperienza sessuale a dodici anni, a scuola. La mamma le diceva che se avesse perso la sua verginità glielo avrebbe letto sulla fronte. E così, la piccola Ilona vive nella paura di farsi scoprire e finalmente quando davvero succede (a 17 anni) il fattaccio, nota che la mamma non si accorge di niente. E con il suo buffo italiano dice mamma mi aveva raccontato favola. Io molto arrabbiata perché perduto tanti anni di amore. Ilona Staller quindi a 18 anni parte per l’Italia con una sua amica dai gusti simili: dopo qualche giorno comincia a lavorare come modella ed è la ragazza che sotto le mentite spoglie di Cappuccetto Rosso propaganda lo Stock 84 oppure recita la parte di ragazzina golosa per la Nutella. Ma sarà poi stata davvero la Nutella a farla ingolosire?

La TV a colori

Ugo La Malfa, dopo aver lottato per anni contro l’introduzione in Italia della televisione a colori ritenendola un incentivo alle spese voluttuarie degli italiani, alla fine ha capitolato. Negli anni sessanta c'erano parecchie industrie e marchi nazionali pronti a soddisfare la domanda. Per la ricerca e l'impiantistica, avevano impegnato grosse risorse. Tutto questo mentre le maggiori stazioni Tv attorno all'Italia (Svizzera in primis) trasmettevano già a colori e la televisione per la ricezione a colori la si trovava un po’ ovunque. Alcuni programmi venivano girati a colori. Quindi, dopo anni di no da parte dello stesso La Malfa (ma con la complicità del Pci e della Dc, altrimenti cosa mai avreppe potuto mai fare La Malfa da solo?) il primo febbraio 1977 comincia ufficialmente l’emissione di programmi a colori. E’ consentito al massimo un tetto di 42 ore settimanali, cioè sei al giorno, tre su ciascuna rete. Nei programmi annunciati per martedì 1 febbraio sono previste soltanto due trasmissioni a colori entrambe sulla Rete Uno: IL LIBRO DEI RACCONTI alle 17 e la rubrica ARGOMENTI alle 18.15. Già negli ultimi mesi la tv ha diffuso varie trasmissioni anche se in fase sperimentale, a colori per i possessori degli adatti apparecchi. Per la cronaca, le prime annunciatrici ad apparire a colori sono, per la Rete Due Rosanna Vaudetti, e Nicoletta Orsomando per la Rete Uno. Il primo film (2 febbraio) IL COMPROMESSO con Faye Dunaway, il primo sceneggiato STORIE DI CONTEA, il primo telefilm ARSENIO LUPIN, il primo spettacolo leggero DONNA PAOLA FERMO POSTA (con la Borboni).
E pensare che gli italiani erano già pronti dalle Olimpiadi del Messico 1968 (boom di vendite per le tv a colori)! Ma la vera ragione era che una famosa casa produttrice di televisori aveva sbagliato i calcoli e aveva prodotto qualche milione di televisori in bianco e nero. Cosa fare? Non si poteva mandarli al macero! Bisognava svuotare un po’ per volta i magazzini ma se la tv a colori avesse cominciato le trasmissioni chi mai si sarebbe comprato quei televisori ormai obsoleti? Telefonatina a Roma nei palazzi che contano ed ecco bloccate per quasi dieci anni le speranze degli italiani di vedersi finalmente le maglie delle proprie squadre con i colori visti allo stadio. La scusa però era ben altra: no ad una spesa voluttuaria così sciocca e minaccia di uscire dal governo se si procede in quel senso. Ad aziende con le tecnologie e gli impianti di produzione già pronte a competere con i migliori produttori mondiali non rimase che chiudere i battenti e guardare il resto d’Europa a colori. Sembra incredibile ma tutto questo è accaduto per uno sporco tornaconto politico. Ora che la tv a colori è arrivata, il governo decide di balzellare i possessori. Oltre al canone vero e proprio c’è una tassa di concessione governativa per ogni televisore. Era stabilita in 8000 lire ma ora passa a 28000. Quindi nel 1977 bisognerà pagare 69.650 lire dato che i nuovi costi entrano in vigore dal 1° febbraio 1977. E non finisce qui: già si sa la cifra che bisognerà pagare per il 1978, che ammonta a 72000 lire. Disagi per i teleutenti che già avevano fatto le canoniche file per pagare il canone. Ora si trovano a doverle rifarle per pagare il passaggio dal bianco e nero al colore. Cose del genere solo in Italia!

Carta 77

Continuano gli interrogatori e le minacce contro i 300 intellettuali dissidenti dell’est che hanno firmato il manifesto per i diritti umani noto come Carta 77, dove si chiede la fine delle persecuzioni da parte dei regimi comunisti e il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo. Commediografi, filosofi ed intellettuali (soprattutto cecoslovacchi) sono stati nuovamente fermati dalle autorità mentre l’organo di partito Rude Pravo in concomitanza con radio e tv inaspriva la campagna denigratoria contro i rinnegati al servizio dell’imperialismo occidentale. Un centinaio di dissidenti sovietici sono stati giudicati e condannati, internati in cliniche psichiatriche nei primi mesi del 1977, quando non fatti sparire addirittura nel nulla. Caso di cui si sta occupando Amnesty International, istituzione a quel tempo invisa alle sinistre italiane per ovvi motivi. Il nostro Ministro degli Esteri, Arnaldo Forlani, per protesta, rientrando dall’URSS evita lo scalo previsto a Praga per non incontrare i dirigenti del partito comunista cecoslovacco. Non è molto chiaro perché, stando a questi fatti, da Gromiko invece ci sia andato. Ma la chiarezza e la coerenza non hanno quasi mai contraddistinto i nostri cari politici.

Christian Calabrese