:: venerdì 08 luglio 2011
7/07/2011 

Il Vaticano II una miniera ancora da esplorare

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Il Concilio Vaticano II

Il Concilio Vaticano II

Intervista con il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, sulla scissione nella chiesa cattolica dopo il Vaticano II, una "cava" nella quale ognuno ha attinto con differenti intepretazioni

Guido Horst
Roma

Ha un lungo cammino alle spalle. Come teologo laico che in età adulta ricevette l’ordinazione sacerdotale e come professore di teologia a Lucerna. Il presule  svizzero non avrebbe mai pensato di vivere un giorno, come cardinale della curia, nel palazzo della Congregazione per la Dottrina della Fede.

 

L'inizio del suo ministero pastorale non è stato faciel. Una chiamata come docente di teologia a Coira fu impedita dall’allora Vescovo della città,  Johannes Vonderach con questa motivazione: con Kurt Koch l’ortodossia della fede non sarebbe stata più garantita.

 

Negli anni Ottanta arrivò la svolta. In particolare la “dichiarazione di Colona” dei teologi di lingua tedesca del 1989, fortemente critica nei confronti di Giovanni Paolo II, non fu sottoscritta da Koch, all’epoca professore di dogmatica. Da quel momento la considerazione nei suoi confronti mutò. Il suo equilibrio premiato. Prima come pastore superiore di Basilea – poi con la consacrazione di vescovo nel 1996 da Giovanni Paolo II. Koch sarebbe diventato il bastione dell’ortodossia contro il mainstream del cattolicesimo svizzero.

 

Naturalmente al vescovo Koch non sono mancati difficoltà e problemi, per esempio il caso di Franz Sabo, pastore nativo tedesco di Röschenz nel vescovado di Basilea, che attraverso una intensa attività pubblicistica per molti anni criticò aspramente le gerarchie ecclesiastiche. Quando Vescovo Koch nel 2005 gli ritirò la “missio canonica”, gran parte della parrocchia sostenne Sabo contro la decisione del vescovo. Il conflitto si estese, coinvolgendo nella questione tribunali laici, comitati ecclesiastici e soprattutto la stampa locale e nazionale. Grazie alla sua capacità di ascolto e mediazione nel settembre 2008 Koch riuscì, in diversi colloqui privati, a trovare una conciliazione con Sabo. Ci fu anche un momento pubblico di questa pace,  la messa della cresima a Röschenz nel maggio 2009 quando il vescovo e il pastore Sabo concelebrarono il rito. Ora la strada per Roma di Koch era libera.  

 

 

In breve tempo Koch, vescovo di Basilea, era diventato il candidato ideale di Benedetto XVI,  per successione del Cardinale Walter Kasper, al vertice del Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. E ciò è puntualmente avvenuto con la designazione il 1 luglio 2010 alla guida del Consiglio mentre a novembre il Papa accoglieva Kurt Koch nel collegio cardinalizio.

 

Come rettore del Consiglio dell’Unità Koch è l’unico cardinale di curia di lingua tedesca in servizio, con molte affinità con il l’attuale pontefice: riservato, modesto, ampiamente gentile, intellettualmente sovrastante, però chiaro e inequivocabile con le sue parole.

 

Koch è realista. Sa che le divisioni all’interno dell’ortodossia sono troppo profonde e che il grande scisma tra oriente e occidente potrà essere superato in tempi rapidi. E sa anche, che c’è molta differenza tra le chiese emerse dalla riforma – per esempio manca alle diverse denominazioni protestanti un termine comune di chiesa –, che anche qui non c’è da attendersi un  accordo imminente con Roma.

Kurt Koch come vescovo di Basilea ha sofferto tanto. Come cardinale della curia continuerà a soffrire le difficoltà post conciliari.

 

 

Dal 2012 ci sarà una serie di giubilei del Concilio Vaticano II. Ancora oggi si discute animatamente nella chiesa  per la supremazia dell’interpretazione dei testi del concilio, l’ermeneutica della rottura sta contro l’ermeneutica della continuità. Come è stato possibile che un’assemblea ecclesiastica nel XX secolo abbia lasciato un conflitto permanente di interpretazioni e opinioni?

 

 

A mio parere non fu il concilio ha creare il potenziale di conflitto, ma ciò che è avvenuto dopo. La causa principale risiede nel fatto che non si sono quasi più recepiti i testi del Concilio Vaticano II, ma ognuno aveva le proprio idee su che cosa ha portato il concilio. È stata praticata una sorta di “cava-esegesi”, ognuno prendeva cosa poteva servire, per poi contrastare chi la pensava in modo differente. I testi sono sempre meno presi in considerazione. Della Costituzione sulla chiesa per esempio è stato recepito il secondo capitolo del popolo di Dio. Ma tutta la struttura e soprattutto il quinto capitolo sulla vocazione universale alla santità non è molto conosciuto nella chiesa.

 

 

 

Come è potuto succedere tutto questo? Come mai il Vaticano II è stato un concilio che non ha lasciato unità e chiarimento, ma modi diversi di lettura dei suoi risultati?

 

Tra i padri conciliari vi erano certamente diverse correnti, e in tanti testi si cercò e fu trovato un compromesso. Dopo tanti anni molti studiosi cercano di leggere nel concilio quello che i protagonisti vissero in modo differente. Spesso non emerge il compromesso faticosamente ottenuto oppure non viene preso sul serio, anzi si torna a dividere quello che allora fu messo insieme.

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