Dente e "Io fra di noi": quando l'amore è indipendente

di Cristiano Sanna
Entrare e uscire dalla doccia per controllare se riesci a finire di cucinarti la frittatina lasciata sul fuoco, tra una telefonata e l'altra. Capita, quando è appena uscito il tuo nuovo disco, intitolato Io tra di noi e sei considerato tra le più interessanti nuove voci della musica d'autore. Protagonista della scenetta è Dente, vero nome Giuseppe Peveri. Dall'altra parte del filo telefonico ci siamo noi, a parlare con Giuseppe del suo quinto album e di molto altro.
Dente, molto spesso al centro delle sue canzoni ci sono i sentimenti. Il titolo dell'album Io tra di noi significa che stavolta  si è concentrato sulla difficoltà di smettere di essere soltanto persona per diventare coppia?
"E' che spesso a mandare a pezzi una coppia, o a complicarne la vita, ci si mette di mezzo un terzo. Invece stavolta quel terzo sono io, con tutta la mia inadeguatezza e le mie responsabilità. Il titolo è anche una citazione di un famoso brano di Aznavour".
Questo significa che subisce l'influenza dei grandi chansonnier francesi, come Brassens e Becaud?
"Non direi, li conosco ma non mi hanno mai particolarmente colpito. Aznavour mi 'risuona' diversamente, forse perché abituato ad ascoltare in suoi dischi in famiglia già da quando ero bambino. Lo trovo un grandissimo interprete".
C'è effettivamente in atto un rinnovamento del modo di fare canzoni d'autore in Italia?
"Non so se effettivamente ci sia un movimento che procede in questo senso. Io faccio quel che sento. Parlo delle cose attorno a me, ne parlo per come mi colpiscono. Dunque credo sia naturale che il linguaggio, mio e di altri autori più o meno della stessa età, sia simile. Siamo sganciati da un'Italia che non è più quella degli anni Sessanta-Settanta. E' cambiato tutto, dunque cambia il modo di scrivere canzoni e credo ci sia anche maggiore attenzione del pubblico, aiutata anche dal Web che spesso anticipa i media più tradizionali".
Dal percorso indipendente al lavoro come autore per Marco Mengoni, che è un tipico "animale" da talent show. Ha vissuto questa sorta di promozione serenamente o ci sono stati problemi di compatibilità con la logica delle major del disco?
"A me è stato chiesto di scrivere un testo per Marco, lui stesso ha chiesto di me perché evidentemente ha stima per le cose che faccio. Si trattava di preparare il testo in italiano di un brano originariamente in inglese. Ho scritto quel che mi piaceva e nessuno lo ha stravolto o mi ha imposto chissà quale condizione-capestro".
Quindi dopo cinque album da indipendente accetterebbe di partecipare ad un programma come X-Factor o di incidere per una etichetta multinazionale?
"Dipende. Dovrebbero convincermi che avrei la stessa libertà d'azione di cui ho goduto facendo le cose in piccolo, un passo alla volta. E che il progetto aggiunga qualcosa di significativo al mio percorso, che finora è andato in crescendo proprio perché mi sono tenuto alla larga dalle major e dalla loro invadenza".
Le sue canzoni stanno conquistando un pubblico che non ha come primi ascolti, di solito, le piccole produzioni italiane. Che effetto le fa?
"Ne sono felice, è veramente una bellissima cosa. Ed è la conferma che soltanto dalle nostre parte il termine indipendente è sinonimo di sfigato. Ormai sempre più produzioni che non hanno il marchio delle major, eppure entrano in classifica, vendono in modo incoraggiante e acquistano visibilità. Finalmente cominciamo a rendercene conto anche in Italia".
Cominciare per conto proprio vuol dire faticare molto, soprattutto all'inizio.  Che consigli di sopravvivenza darebbe agli aspiranti musicisti?
"L'unica cosa che mi sento di dire è: niente puzza sotto il naso, bisogna suonare molto, ovunque sia dignitosamente possibile, senza pretendere di arrivare chissà dove. L'importante è cominciare un percorso che va verificato passo dopo passo, e godendosela il più possibile nel frattempo".
 
24 ottobre 2011
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