(ordinario di
bioetica all’Università di Varese, membro del Comitato Nazionale per la
Bioetica)
(ordinario di bioetica
all’Università di Genova, membro del Comitato Nazionale per la Bioetica)
Prof. Michele Schiavone. Le diverse prospettive
culturali della bioetica devono necessariamente confrontarsi senza scontri,
senza guerre ideologiche. La bioetica è un sapere più pratico che teorico:
riguarda, infatti, i comportamenti da tenere di fronte ad eventi drammatici
della nostra vita (si pensi alla bioetica di fine vita) e, comunque, ad eventi
fondamentali (si pensi all’inizio della vita). E’ necessario trovare un
accordo, cercando di mettere in soffitta, per quanto è possibile, i propri
convincimenti filosofici. E’ chiaro che quando si tratta di esigenze
invalicabili, ognuno ha il dovere di seguire i propri convincimenti profondi,
ma quando si fa bioetica, bisogna avere flessibilità, abbandonare rigidità che
impediscono un punto di vista comune.
Prof. Paolo Cattorini. Non esiste divaricazione
assoluta tra chi ha un punto di vista “religioso” e chi no: come è noto,
all’interno dello stesso orizzonte cristiano abbiamo posizioni diametralmente
opposte su certi temi come all’interno del mondo laico troviamo posizioni che
sono in sintonia con quelle presenti in ambito cristiano. La divaricazione tra
cattolici e laici dà l’idea che la “fede” sia di pertinente solo ai credenti. E
questo non è vero: c’è una fede religiosa, ma c’è anche una fede filosofica. Va
poi aggiunto che non è vero che la fede schiaccia la ragione: la sollecita. La
presunta divaricazione tra credenti o no, inoltre, dà l’impressione che da una
parte ci sono gli assoluti morali, dall’altra no. Non è così: sappiamo che la
morale laica kantiana è assoluta, come è assoluto il comando – da parte
dell’utilitarismo – di promuovere il maggior bene per il maggior numero di persone.
E’ falso, poi, che per i cattolici i comandi non prevedano eccezioni: il “non
uccidere” prevede, ad esempio, le eccezioni della legittima difesa e della
guerra giusta; lo stesso divieto di rubare può prevedere situazioni eccezionali
per cui, ad esempio, potrebbe essere considerato buono il rubare ad un despota.
Perfino il divieto di sterilizzazione potrebbe prevedere situazioni particolari
in cui sia consentita.
Prof. Michele Schiavone. Si tratta di un problema
estremamente delicato. Dal punto di vista giuridico l’embrione non può essere
definito “persona”: tale attributo, infatti, viene riconosciuto solo dopo la
nascita. Dal punto di vista biologico, poi, solo dopo la nascita ci sono tutte
le premesse perché si costituisca un sistema nervoso centrale che è la base
biologica della razionalità. Dal punto di vista etico, tuttavia, l’embrione –
proprio per il suo essere qualcosa di autenticamente umano – merita tutela e
rispetto, una tutela e rispetto su cui – credo – convergono sia i laici che i
cattolici. Riconoscere il carattere umano all’embrione non significa, però,
attribuirgli il carattere di persona. Io, personalmente, non me la sentirei di
fare un passo del genere: questo perché – richiamandoci alla formula di Severino
Boezio, poi ripresa da S. Tommaso (persona è una sostanza che ha il carattere
della individualità e quello della razionalità) – l’embrione non ha né il
carattere della individualità (la totipotenza delle cellule nella sua
primissima fase ne è una prova), né quello della razionalità (la placca
neuronale non è immediata, ma è tardiva). Possiamo parlare di “individualità” e
di “razionalità” come sbocchi naturali dell’embrione, non come suoi caratteri
costitutivi. Non riconoscere il carattere di persona all’embrione tuttavia, non
significa che debba venire meno il dovere di rispetto nei suoi confronti: c’è
un finalismo intrinseco nel processo biologico che condurrà alla costituzione
di una persona. Da qui, ad esempio, il rifiuto di produrre degli embrioni a scopo
di ricerca. Dal punto di vista etico, quindi, non c’è alcuna differenza tra chi
considera persona l’embrione e chi no: ambedue, infatti, sono d’accordo nel
considerarlo degno di tutela e di rispetto, sono convinti, cioè, che l’uomo
abbia il dovere di tutela nei suoi confronti.
Prof. Paolo Cattorini. Io propendo a considerare
l’embrione una persona, anche se non ne ho la certezza teorica assoluta.
Propendo, cioè, a credere che l’embrione sia un “individuo” perché non c’è un
salto di qualità tra le prime cellule e il loro sviluppo, anche se il carattere
totipotente delle cellule staminali costituisce un problema serio. Considerarlo
un “individuo” già subito implica un concetto radicalmente nuovo: nel caso di
gemelli significa pensare che l’embrione-individuo ad un certo punto dia
origine per gemmazione un altro individuo, significa cioè che la generazione di
un certo soggetto umano non avviene solo da un rapporto sessuale, da una storia
d’amore. E’ il caso di pensare che gli stessi embriologi non vedano al microscopio
le stesse cose perché – come è noto – lo scienziato non “vede” mai in modo
neutrale, ma sulla base di teorie, o ipotesi congetturali, o metafisiche
influenti..
Così propendo ad attribuire all’embrione il
carattere di “razionalità” perché siamo di fronte ad un ente che ha una natura
razionale, che appartiene, cioè, alla famiglia degli esseri umani che sono
razionali (anche se la razionalità in questo momento non è ancora dispiegata).
Dal punto di vista morale, poi, non ho dubbi: abbiamo il dovere di rispettare
l’embrione come una persona.
Prof. Michele Schiavone. La maternità – a mio avviso
– non è da considerare un diritto. E’ in questa ottica che nutro ampie riserve
su determinate tecniche di procreazione assistita. E’ il caso, ad esempio,
dell’utero in affitto. Si tratta un caso che solleva perplessità sia di
carattere etico che giuridico: saremmo di fronte ad una doppia madre biologica
(con la possibilità di un contenzioso in sede legale). Un eccessiva
disinvoltura nel maneggiare gli embrioni può condurre ad aberrazioni o,
comunque, a tecniche che sollevano forti perplessità dal punto di vista morale.
Forti perplessità che sollevano anche le attuali tecniche che richiedono la
produzione di embrioni in soprannumero: si tratta di tecniche che possono
portare ad un alto costo, al venire meno, cioè, del dovere di tutela
dell’embrione. Ritengo, invece, eticamente lecita l’inseminazione eterologa,
purché siano salvaguardati i diritti del nascituro. La maternità può essere un
desiderio, non un diritto, ma il nascituro ha dei diritti che vanno tutelati:
questo è il punto che consente di selezionare le varie tecniche di procreazione
assistita.
Prof. Paolo Cattorini. La posizione cattolica esprime tre principi riguardo le tecniche
di procreazione assistita: non ci deve essere lesione della vita nascente (vedi
sacrificio, perdita di embrioni); ci deve essere un contesto matrimoniale, di
storia d’amore; l’eccessiva medicalizzazione rischia di snaturare il percorso
procreativo. Vi sono coppie, del resto, che decidono di sospendere il
trattamento non per ragioni economiche, ma psicologiche, morali contro
l’invadenza della tecnica. Questa è la posizione cattolica. Il punto di vista
giuridico, tuttavia, è un altro: è necessario costruire una via intermedia che
prenda le distanze dalle posizioni integraliste da un parte e dall’altra (io
stesso ho proposto una legislazione alla francese con una correzione tedesca
per quanto riguarda l’embrione). La Chiesa cattolica condanna moralmente anche
l’inseminazione omologa, ma in genere i moralisti cattolici non sono contrari
ad una legge in tal senso. E’ inutile prendersela col parlamento: il gioco del
tiro alla fune che abbiamo riscontrato alla fine della passata legislatura non
è che la conseguenza della nostra incapacità di dialogare eticamente , della
nostra incapacità di superare opposti integralismi. Io sono cattolico, ma non
vorrei prevaricare ad ogni costo su chi la pensa diversamente. Perché non
seguire l’esempio francese, introdurre cioè una legge a termine per poi
valutarne le conseguenze? Devo dare spazio alla maturazione di altri e, magari,
anch’io avrò da imparare nel frattempo.
Prof. Michele Schiavone. Aggiungo qualche
precisazione. Una legge dello Stato non può sposare una indicazione etica
precisa, ma deve essere formulata in modo tale da rendere possibili diverse
scelte etiche sulla base dei propri convincimenti. La legge 194 ne è un
esempio: non si schiera a favore dell’interruzione della gravidanza, ma ammette
la possibilità di detta interruzione a certe condizioni. Si tratta di un testo
che può essere accettato anche da chi ha riserve sull’aborto. Personalmente
credo che l’interruzione della gravidanza – in quanto soppressione di una vita
– sia qualcosa di illecito sotto il profilo etico, ma ritengo ugualmente
illecito negare la libertà di coscienza, negare la possibilità di scelte
diverse motivate da convincimenti diversi (emendando, tuttavia, le posizioni
troppo rigide). E’ il caso, poi, di aggiungere che la 194, consentendo la
libertà di scelta, ha avuto come conseguenza la diminuzione di casi di aborto.
Questo potrebbe succedere anche nel caso di una buona legge sulla procreazione
assistita: potrebbe, cioè, favorire il miglioramento della coscienza etica
collettiva.
Prof. Michele Schiavone. Si tratta di un problema
accademico, puramente teorico in quanto il codice penale considera reato
l’eutanasia e il cosiddetto suicidio assistito. Un problema che prescinde dalla
fede religiosa, dal credere che la vita sia un dono di Dio. Che la vita sia un
bene non del tutto disponibile è un fatto: l’uomo ha una natura essenzialmente
sociale, ha oggettive relazioni con altre persone. La forte resistenza di
fronte all’eutanasia proviene dalla tradizione ippocratica che chiede ai medici
di fare il bene ai pazienti. Questo, tuttavia, non significa avvalorare
l’accanimento terapeutico. Lo stesso Pio XII, in un’allocuzione ai medici
(siamo negli anni ’40), ha manifestato il suo assenso alla somministrazione di
analgesici forti (tipo morfina), pur nella consapevolezza che tale
somministrazione avrebbe comportato un’abbreviazione della vita (il fine deve
essere l’eliminazione delle sofferenze inutili, anche se la conseguenza può
essere una morte anticipata). L’eutanasia è un falso problema anche dal punto
di vista bioetico: basterebbe, appunto, eliminare le ragioni che sono alla base
delle richieste di eutanasia, cioè fondamentalmente le sofferenze. Non c’è
niente di più disumanizzante che la sofferenza inutile di un malato terminale.
Prof. Paolo
Cattorini.
Io, come credente, non credo alla lettera ad espressioni del tipo “Dio è
padrone della vita”, naturalisticamente, materialmente intese, perché di fatto
l’uomo programma la vita ed in certe circostanze decide i tempi della morte (si
pensi alla decisione di non ricorrere alla nutrizione artificiale, di staccare
una macchina dal paziente). Quando uno, poi, dice di voler lasciare decidere
alla natura, di fatto identifica Dio con la natura (Weber diceva che la prima
secolarizzazione – nel senso di de-sacralizzazione – della natura si ha proprio
nel Vecchio Testamento antiidolatrico) e cade nel fatalismo. E’ l’uomo che ha
il compito di amministrare responsabilmente la sua vita: non può rinunciare a
questo dovere lasciando fare la natura.
Secondo me sarebbe, poi, un errore affidare la
scelta dei tempi del morire ai medici,
medicalizzare ciò che non può essere medicalizzato. In certi casi,
inoltre, anche un cattolico vede come una scelta obbligata quella di
interrompere un esasperato accanimento terapeutico: non è sempre vero che la
morte rimandata a domani sia meglio che la morte oggi: non si può pensare di
prolungare la durata della vita a prezzo di una grave disumanizzazione, della
perdita delle residue abilità di relazione del paziente.
Ecco perché vedo bene il movimento di idee che si
batte per le “direttive anticipate” (nonostante sue sbavature e
contraddizioni): è il segnale di una sensibilità giusta. In questo modo si
toglie terreno all’eutanasia: se io ho ragione di credere che verranno prese in
considerazioni le mie scelte, non ho alcun motivo di far ricorso all’eutanasia.
E’ il caso, comunque, di aggiungere che non si può escludere che in situazioni
molto pesanti, estreme, questa possibilità continuerà ad essere fatta oggetto
di richiesta.
Prof. Michele Schiavone. L’affermazione – condivisa
da laici e da cattolici – secondo cui vi è il dovere di rispettare e di
tutelare l’embrione mette in discussione la legge 194, la legge cioè che consente
l’interruzione della gravidanza? Occorre precisare che esistono doveri “prima
facie” e doveri “assoluti”. Il dovere di tutelare l’embrione è – a mio avviso –
un dovere “prima facie”, un dovere cioè che ammette delle deroghe se si è di
fronte ad un conflitto di doveri: vedi il dovere di tutelare la vita della
madre nel caso dell’aborto terapeutico.
E’ un caso che prova come, talvolta, la distinzione tra cattolici e laici si
fonda non su argomentazioni più o meno robuste, quanto su convincimenti profondi
che uno studioso ha: vedi mons. Sgreccia che, pur avendo molti meriti nel campo
della bioetica, a proposito dell’aborto terapeutico pone una serie di riserve
che di fatto escludono la possibilità di ricorrervi, riserve che si basano su
una premessa fideistica che tutti rispettiamo, ma che non mi sento obbligato a
condividere.
Prof. Paolo Cattorini. La posizione di mons.
Sgreccia, pur autorevole, non eaurisce il ventaglio delle posiizoni
teologico-morali. Lo stesso autore dà conto di una serie di tentativi
argomentativi svolti a favore dell’interruzione di gravidanza nel caso estremo,
in cui la prosecuzione della gravidanza condurrebbe certamente a morte
entrambi, madre e feto (questo è il caso che io qualifico come “terapeutico” in
senso stretto). E’ il caso, poi, di aggiungere che il dovere di tutelare
l’embrione – che è condiviso da tutti – non ha nel concreto lo stesso
significato per tutti: per il prof. Michele Schiavone è lecito utilizzare gli
embrioni congelati per fini di ricerca, per fini terapeutici a vantaggio
dell’umanità; per me, invece, no, anche se si tratta di embrioni destinati a
morire poiché sono soggetti viventi.
Prof. Michele Schiavone. Vi sono in bioetica
problemi di frontiera. Si tratta di problemi delicatissimi. E’ il caso, ad
esempio, di dementi nella fase terminale: in loro non c’è più alcuna vita di
relazione, non c’è più alcuna umanità (l’area corticale, infatti, è
completamente atrofica), ma dal punto di vista etico io non me la sento di
considerare questi pazienti non più come persone, non più come uomini. Un
conto, cioè, può essere la posizione teorica ed un conto il punto di vista
morale. Ho paura a non considerare tali pazienti come non più persone. Lo so:
la paura è un sentimento irrazionale. Ma so anche che è un sentimento umano da
cui non possono prescindere.