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Giorno
01/06/07
Gli ultras della Metis rispondono a Veltroni

Veltroni: «Myers insultato a Varese e Bossi non ha detto nulla» 

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Varese – L'assessore allo Sport, Marco Caccianiga, difende la sua città dall'accusa di razzismo e prende posizione sul caso Myers

«Il razzismo è il peccato originale di Varese»


(9 gennaio 2004) «Fini si è sdoganato. Noi purtroppo da  questo episodio non ci sdoganeremo mai, il razzismo è il nostro peccato originale». Il peccato originale di cui parla Marco Caccianiga è la gazzarra antisemita  di cui si rese protagonista la tifoseria della pallacanestro varesina oltre vent'anni fa, in occasione della partita contro gli israeliani del Maccabi di Tel Aviv. «Siamo lontani anni luce da quell'episodio, però puntualmente viene tirato fuori, non appena succede qualcosa». 
La polemica si è riaccesa il 28 dicembre scorso, quando nella partita tra Metis e Lottomatica Roma,  Carlton Myers, giocatore di colore, nonché ex capitano della nazionale italiana, è stato preso di mira dai cori non proprio amichevoli della curva biancorossa. L'assessore comunale allo Sport  difende con i denti la sua città dall’accusa di razzismo. Secondo lui i cori contro Myers, gli insulti all’ex calciatore del Varese Mohamed Benasshen, francese di origine magrebina, contestatissimo al suo arrivo, e l’aggressione allo stesso, al fratello minore e al portiere camerunese Joel Eboue, avvenuta due anni fa al ritorno da una trasferta, non sarebbero sufficienti per dire che Varese è una città razzista.
«Non bisogna confondere le cose. Se lei parla dell'episodio Benhassen, sono d’accordo nel dire che quello fu un caso di razzismo vergognoso. Il ragazzo fu insultato perché di colore diverso e fin da subito io ho preso una posizione forte difendendolo»

Invece nel caso di Carlton Myers?
«Myers, e lo dico da appassionato e  tifoso di pallacanestro, è insultato perché è Myers e non per il colore della sua pelle. Da sempre, quando viene a Varese questo giocatore ha degli atteggiamenti provocatori e allora il tifoso che sta in curva, a cui non si può chiedere di essere sportivo, perché lo sportivo è quello che sta in tribuna, lo insulta, ma non per il colore della pelle. I tifosi della pallacanestro li conosco tutti: sono persone rispettabilissime, tutte persone che lavorano».

Però nella realtà accade che al PalaIgnis si ascoltino cori del tipo: “Varese è la squadra più bianca che c’è” o “non esistono negri italiani”, indipendentemente dalla presenza di Myers.
«In linea di principio io non ho problemi a dire che questi sono cori idioti e inaccettabili, e l’ho sempre detto. Lo sport non ha colore e questi sono cori deficienti. Però di episodi del genere se ne contano a centinaia, purtroppo, in tutt’Italia. Quello che si vuol far pesare con questo clamore giornalistico è Varese in quanto culla della Lega e dipingere la città come razzista».

I giocatori della squadra di calcio del Treviso, in segno di solidarietà nei confronti del loro compagno nigeriano Akeem Omolade, contestato dai tifosi perché di colore, si presentarono in campo con il viso dipinto di nero. Lei lo farebbe?
«Sì, assolutamente. A Treviso fu un episodio razzista vero. A me però risulta che la Pallacanestro Varese abbia dei giocatori di colore, quindi mi sembra assolutamente idiota che un giocatore venga contestato per il colore della pelle. La verità è che noi ci trasciniamo da decenni l’episodio delle croci razziste e i cori antisemiti ai tempi della partita con gli israeliani del Maccabi. Sono passati tanti anni eppure siamo marchiati per sempre da quell’avvenimento. L’episodio di Myers non è di natura razzista».

Perché l’amministrazione comunale non esce allo scoperto e insieme alle società sportive dà un segnale chiaro contro il razzismo. Basterebbe far leggere ai giocatori un comunicato prima della partita.
«Sì , però farlo equivale ad ammettere che c’è stato un atto di razzismo. Se lo facessero in tutti i palazzetti d’Italia non avrei problemi a  farlo anch'io».

Umberto Bossi usa l'espressione bingo bongo quando parla di extracomunitari. Pensa che questo linguaggio possa legittimare altri comportamenti?
«Bossi non ha usato l'espressione bingo bongo in modo spregiativo, magari un po’ provocatorio sì. L'ha detta come molti di noi dicono vu cumprà e per la quale nessuno si scandalizza. Il giornalista fa il suo mestiere e deve riportare, giustamente, le dichiarazioni. Ma siccome queste cose le dice Bossi, diventa subito un insulto a tutta una razza. In realtà il ministro si esprime spesso in questo modo diretto e amichevole, direi colloquiale. Invece non ho condiviso per niente la presa di posizione di Veltroni. Che cosa poteva fare Bossi anche se quella sera era al PalaIgnis? Peraltro non mi risulta che lo stesso Veltroni quando gioca la Lazio abbia fatto dei sit-in sdraiandosi ai semafori per evitare gli insulti ad Aroon Winter, giocatore che è dovuto scappare da Roma per le sue origini. La verità è che l’episodio di Myers è stato strumentalizzato».

da sinistra: samir benhassen, joel eboue, mohamed benhassenPer lei è normale che dei giocatori, di calcio o di basket, vadano a esultare sotto la curva, dopo che dalla stessa si sono levati cori razzisti. Non sarebbe meglio che si astenessero per dare un segnale chiaro di condanna?
«Non si può caricare un giocatore di tutti questi aspetti sociologici ed extrasportivi. Il giocatore deve fare il suo mestiere: fare gol ed esultare per averlo fatto. È naturale  che vada sotto la curva, cosa dovrebbe fare, fermarsi e pensare da questi vado perché sono buoni, dagli altri no perché sono razzisti? Diverso deve essere invece l’atteggiamento della società sportiva e della società civile: quando c’è qualche coro razzista occorre che la tribuna fischi e faccia sentire tutto il proprio dissenso. Il segnale deve venire dal tifo sano».

Allo stadio il tifo razzista è presente e costante. Nella primavera del 2002  tre calciatori, due fratelli francesi di origine magrebina e un camerunese sono stati aggrediti. Di quell’episodio non si è saputo più nulla, l’unica cosa certa è che i tre giocatori, qualche mese dopo, lasciarono Varese. Secondo lei fu l'effetto di quell'aggressione o una scelta tecnica?
«C’è una frangia di tifosi del Varese Calcio che è razzista. Lo sappiamo tutti. Si tratta di gente conosciuta. È una loro scelta, e infatti quando succede qualcosa vengono condannati e fischiati dalla tribuna. Penso che i tre giocatori non siano più qui per una scelta tecnica e non per quell’episodio».  

In occasione della conferenza stampa, tenutasi a Villa Recalcati l'8 maggio del 2002  per condannare l'aggressione ai tre calciatori stranieri, i dirigenti del Varese ribadirono la loro vicinanza e quella della squadra ai tre ragazzi e dichiararono che non si sarebbero nascosti dietro il colore della pelle e che il futuro calcistico dei tre giovani era legato a Varese da un contratto pluriennale. 

Michele Mancino
michele@varesenews.it

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