(9 gennaio 2004) «Fini
si è sdoganato. Noi purtroppo da questo episodio non ci
sdoganeremo mai, il razzismo è il nostro peccato originale». Il
peccato originale di cui parla Marco Caccianiga è la gazzarra
antisemita di cui si rese protagonista la tifoseria della
pallacanestro varesina oltre vent'anni fa, in occasione della
partita contro gli israeliani del Maccabi di Tel Aviv. «Siamo
lontani anni luce da quell'episodio, però puntualmente viene tirato
fuori, non appena succede qualcosa».
La polemica si
è riaccesa il 28 dicembre scorso, quando nella partita tra Metis e
Lottomatica Roma, Carlton Myers, giocatore di colore, nonché
ex capitano della nazionale italiana, è stato preso di mira dai
cori non proprio amichevoli della curva biancorossa. L'assessore
comunale allo Sport difende con i denti la sua città dall’accusa
di razzismo. Secondo lui i cori contro Myers, gli insulti all’ex
calciatore del Varese Mohamed Benasshen, francese di origine
magrebina, contestatissimo al suo arrivo, e l’aggressione allo
stesso, al fratello minore e al portiere camerunese Joel Eboue,
avvenuta due anni fa al ritorno da una trasferta, non sarebbero
sufficienti per dire che Varese è una città razzista.
«Non bisogna confondere le cose. Se lei parla dell'episodio
Benhassen, sono d’accordo nel dire che quello fu un caso di razzismo
vergognoso. Il ragazzo fu insultato perché di colore diverso e fin
da subito io ho preso una posizione forte difendendolo»
Invece nel
caso di Carlton Myers?
«Myers, e lo dico da
appassionato e tifoso
di pallacanestro, è insultato perché è Myers e non per il colore
della sua pelle. Da sempre, quando viene a Varese questo giocatore ha degli
atteggiamenti provocatori e allora il tifoso che sta in curva, a cui
non si può chiedere di essere sportivo, perché lo sportivo è
quello che sta in tribuna, lo insulta, ma non per il colore della
pelle. I tifosi della pallacanestro li conosco tutti: sono persone
rispettabilissime, tutte persone che lavorano».
Però
nella realtà accade che al PalaIgnis si ascoltino cori del tipo:
“Varese è la squadra più bianca che c’è” o “non esistono
negri italiani”, indipendentemente dalla presenza di Myers.
«In linea di principio io non ho problemi a dire che questi sono
cori idioti e inaccettabili, e l’ho sempre detto. Lo sport non ha
colore e questi sono cori deficienti. Però di episodi del genere se
ne contano a centinaia, purtroppo, in tutt’Italia. Quello che si
vuol far pesare con questo clamore giornalistico è Varese in quanto
culla della Lega e dipingere la città come razzista».
I
giocatori della squadra di calcio del Treviso, in segno di
solidarietà nei confronti del loro compagno nigeriano Akeem Omolade,
contestato dai tifosi perché di colore, si presentarono in campo con il
viso dipinto di nero. Lei lo farebbe?
«Sì, assolutamente. A Treviso
fu un episodio razzista vero. A me però risulta che la Pallacanestro Varese abbia
dei giocatori di colore, quindi mi sembra assolutamente idiota che
un giocatore venga contestato per il colore della pelle. La verità
è che noi ci trasciniamo da decenni l’episodio delle croci
razziste e i cori antisemiti ai tempi della partita con gli
israeliani del Maccabi. Sono passati tanti anni eppure siamo
marchiati per sempre da quell’avvenimento. L’episodio di Myers
non è di natura razzista».
Perché
l’amministrazione comunale non esce allo scoperto e insieme alle società sportive dà un segnale chiaro contro il razzismo.
Basterebbe far leggere ai giocatori un comunicato prima della
partita.
«Sì , però farlo
equivale ad ammettere che c’è stato un atto di razzismo. Se lo
facessero in tutti i palazzetti d’Italia non avrei problemi a
farlo anch'io».
Umberto
Bossi usa l'espressione bingo bongo quando parla di extracomunitari.
Pensa che questo linguaggio possa legittimare altri comportamenti?
«Bossi non ha usato l'espressione bingo bongo in modo spregiativo,
magari un po’ provocatorio sì. L'ha detta come molti di noi
dicono vu cumprà e per la quale nessuno si scandalizza. Il
giornalista fa il suo mestiere e deve riportare, giustamente, le
dichiarazioni. Ma siccome queste cose le dice Bossi, diventa subito
un insulto a tutta una razza. In realtà il ministro si esprime
spesso in questo modo diretto e amichevole, direi colloquiale.
Invece non ho condiviso per niente la presa di posizione di Veltroni.
Che cosa poteva fare Bossi anche se quella sera era al PalaIgnis?
Peraltro non mi risulta che lo stesso Veltroni quando gioca la Lazio
abbia fatto dei sit-in sdraiandosi ai semafori per evitare gli
insulti ad Aroon Winter, giocatore che è dovuto scappare da Roma
per le sue origini. La verità è che l’episodio di Myers è stato
strumentalizzato».
Per
lei è normale che dei giocatori, di calcio o di basket, vadano a
esultare sotto la curva, dopo che dalla stessa si sono levati cori
razzisti. Non sarebbe
meglio che si astenessero per dare un segnale chiaro di condanna?
«Non si può caricare un giocatore di tutti questi aspetti
sociologici ed extrasportivi. Il giocatore deve fare il suo
mestiere: fare gol ed esultare per averlo fatto. È naturale
che vada sotto la curva, cosa dovrebbe fare, fermarsi e
pensare da questi vado perché sono buoni, dagli altri no perché
sono razzisti? Diverso deve essere invece l’atteggiamento della
società sportiva e della società civile: quando c’è qualche
coro razzista occorre che la tribuna fischi e faccia sentire tutto
il proprio dissenso. Il segnale deve venire dal tifo sano».
Allo stadio
il tifo razzista è presente e costante. Nella primavera del
2002 tre calciatori, due fratelli francesi di origine magrebina e un camerunese sono stati
aggrediti. Di quell’episodio non si è saputo più nulla,
l’unica cosa certa è che i tre giocatori, qualche mese dopo,
lasciarono Varese. Secondo lei fu l'effetto di quell'aggressione o
una scelta tecnica?
«C’è una frangia di
tifosi del Varese Calcio che è razzista. Lo sappiamo tutti. Si
tratta di gente conosciuta. È una loro scelta, e infatti quando
succede qualcosa vengono condannati e fischiati dalla tribuna. Penso
che i tre giocatori non siano più qui per una scelta tecnica e non per quell’episodio».
In occasione
della conferenza stampa, tenutasi a Villa Recalcati l'8 maggio del
2002 per condannare l'aggressione ai tre calciatori stranieri, i
dirigenti del Varese ribadirono la loro vicinanza e quella della
squadra ai tre ragazzi e dichiararono che non si sarebbero nascosti
dietro il colore della pelle e che il futuro calcistico dei tre
giovani era legato a Varese da un contratto pluriennale.
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