Comunicati

Lista completa dei comunicati pubblicati:

Comunicati del 2012

Comunicati del 2011

Comunicati del 2010

Comunicati del 2009

Comunicati del 2008

10 commenti a “Comunicati”

  1. Nando scrive:

    UNA BOCCATA D’OSSIGENO POPOLARE

    E’ stato un decennio duro, in cui abbiamo dovuto spesso arretrare la linea di contenimento dei continui attacchi portati dal capitalismo italiano, dai governi succedutisi, contro le condizioni di vita delle classi lavoratrici italiane.

    Le recenti aggressioni legislative a beni comuni quali l’acqua pubblica e l’imposizione dell’energia nucleare al puro scopo di trarne profitto, incuranti della salute e dei luoghi di vita di milioni di persone, nascevano da questa sicumera, da questa arrogante sicurezza di poter dissipare e disfare tutto un patrimonio di tutele e di garanzie, di beni condivisi e disponibili, certi che le classi popolari fossero ormai in ginocchio, prese alla gola e soffocate dalla crisi, dal populismo della destra governativa, dai ricatti dei padroni, dalla complicità di troppi figuri del sindacato e del centro-sinistra.

    La crisi della democrazia che aveva da tempo colpito le istituzioni, rendendo la politica parlamentare un questione di lobbies e di maggioranze a cachet, aveva colpito anche le parti più sane della società civile, lasciando erroneamente e subdolamente intendere che i movimenti dal basso, i comitati vertenziali, i coordinamenti, gli organismi e le azioni sindacali di base, la democrazia di base fossero strumenti inutili di rappresentanza popolare.

    Ebbene, dalle lotte in Val di Susa contro l’alta velocità alle lotte di Vicenza contro la base USA al centro della città, dalle rivolte degli immigrati di Rosarno alle recentissime forme di lotta e di auto-organizzazione operaie e di tantissimi lavoratori precari contro la crisi, al diffondersi dei comitati in tutto il paese contro i tagli alla scuola ed all’università, si è dimostrato che dalla crisi può ri-nascere protagonismo dal basso e voglia di riscatto e di resistenza vincente.

    Il risultato di questo referendum era nell’augurio di tutti coloro che si sono impegnati in una campagna lunga e difficile, in cui il pericolo maggiore era dare per scontato il non raggiungimento del quorum e accontentarsi, come mera testimonianza, della larga maggioranza del SÌ tra i voti espressi di fronte a questioni come l’acqua pubblica ed il nucleare. E’ stata invece costruita una mobilitazione capillare, grazie ai comitati referendari, grazie a tutte le forze sociali e politiche che hanno sostenuto la campagna per i SÌ, in cui per una volta le differenze sono state tasselli e non ostacoli, costituendo per una volta un tessuto unitario di presenza e di proposta nel territorio a cui anche diverse forze organizzate dell’anarchismo hanno dato un contributo sia politico che di presenza nei comitati.

    Per una volta è bello poter dire abbiamo vinto! Che abbiamo vinto abrogando pezzi di leggi dall’evidente logica di classe, approvate per colpirci nell’acqua, nell’aria, nella salute, nel portafogli, nei diritti.

    Da oggi, sarà bene tornare a svolgere il nostro consueto ruolo di lievito nelle lotte e negli organismi di base, perché la spinta dal basso che si è creata non si esaurisca con la sbornia al 57%, perché i provvedimenti abrogati non vengano geneticamente modificati per essere ripresentati da questo o quel governo nazionale o locale. Abbiamo ancora in mente i progetti Lanzillotta sui beni pubblici del precedente governo di centro-sinistra e di alcune giunte regionali rosé, come pure abbiamo in mente l’anemica tradizione antinuclearista del centro-sinistra e del sindacato confederale italiano, tanto da non poterci sentire sicuri, neanche per i prossimi 5 anni.

    Non abbiamo smesso di lottare prima e durante la campagna referendaria. A maggior ragione non smetteremo ora. A modo nostro, da comunisti anarchici, dal basso, costruendo rapporti di forza alla base, sedimentando coscienza di ciò che ci appartiene e di ciò che vogliamo come lavoratori e come classi popolari.

    Fino all’alternativa libertaria.

  2. nando scrive:

    I sindacati della Confederación General del Trabajo (CGT), Confederación Nacional del Trabajo (CNT), Solidaridad Obrera (SO) e Coordinadora Sindical de Clase (CSC) si sono incontrati il 24 giugno a Madrid per valutare le risposte da dare all’attacco senza precedenti contro i lavoratori che soffrono per i tagli e la perdita dei diritti politici imposti dal governo e dalle istituzioni europee, per volere dei padroni e dei mercati, a cui dobbiamo opporre una campagna coordinata dall’unità e dall’azione di classe.

    I vari sindacati partecipanti condividono il rifiuto netto di politiche che ancora una volta, con il succedersi di riforme del lavoro, i tagli al sistema pensionistico, la riforma della contrattazione collettiva e sociale e i tagli ai servizi pubblici, pretendono che siano i lavoratori e le fasce più deboli della società a pagare la crisi del capitalismo.

    Condividiamo anche la necessità di attuare una risposta comune, al di sopra delle differenze, per progredire verso l’unità dei lavoratori in mobilitazione ed in lotta, con la partecipazione di tutti i sindacati, dei collettivi dei lavoratori e dei movimenti sociali contrari alla politica di smobilitazione e al patto sociale promosso dai sindacati istituzionali CCOO e UGT.

    Abbiamo bisogno di operare una rottura con un modello di sindacato che negli ultimi 30 anni ha portato alla continua perdita dei diritti e che in questo momento di crisi acuta del capitalismo ha dimostrato la sua complicità e la mancanza di volontà e di capacità nel dare una risposta agli attacchi contro la classe operaia. Un modello di sindacato che ha promosso un sindacato istituzionalizzato, dipendente dallo Stato, volto a impedire la mobilitazione e la partecipazione effettiva della classe lavoratrice nelle organizzazioni sindacali autonome che vogliono lottare.

    La riforma della contrattazione collettiva, che è in corso in parlamento e che porterà ulteriori tagli gravi ai diritti, rappresenta un altro giro di vita per cercare di controllare la conflittualità nel mondo del lavoro e di lotta sociale, consolidando il bisindacalismo istituzionale e il suo ruolo come gestore della crisi a favore degli interessi capitalistici, diminuendo ulteriormente la capacità di azione di altre organizzazioni sindacali, e la libertà dei lavoratori e delle lavoratrici.

    L’incontro del 24 giugno è il primo passo in un processo che nei prossimi mesi dalla mobilitazione unitaria farà rivendicazioni comuni, discusse e approvate dai lavoratori e dalle lavoratrici, con l’obiettivo di uno Sciopero Generale con la capacità di affrontare l’attuale offensiva e avanzare la conquista di nuovi diritti sociali.

    Gli eventi dopo la manifestazione del 15 Maggio hanno rotto il clima di passività e ci han messo in una fase di mobilitazione senza precedenti da quando è emersa la crisi, che ora deve passare ai luoghi di lavoro, e mettere le rivendicazioni sociali ed economiche dei lavoratori e delle lavoratrici al centro del dibattito pubblico, contribuendo a questo movimento con gli strumenti necessari al confronto e alla lotta in campo economico e sindacale, accompagnando le rivendicazioni socio-politiche con l’azione concreta contro il capitalismo.

    La situazione ci impone di rispondere proporzionalmente altrettanto fortemente quanto le misure imposte ai lavoratori e alle lavoratrici e, pertanto, si ritiene necessario non solo continuare con le lotte sindacali in corso, ma fare un passo avanti per rompere definitivamente con il modello del sindacalismo istituzionalizzato e creare un precedente: quello in cui i sindacati di classe iniziano a segnare i tempi di azione dell’offensiva per raggiungere i nostri obiettivi.

  3. nando scrive:

    NoTAV! e beni collettivi

    Ormai abituati alle missioni di pace, l’esercito italiano occupa la Val di Susa per proteggere i cantieri della TAV. In fondo anche questo è portare il progresso e la democrazia. Come quando negli anni venti si costruivano le strade e i ponti in Eritrea a colpi di iprite. E come nelle missioni di pace con cui portiamo la democrazia in giro per il mondo gli effetti collaterali sono da mettere nel conto. Così abbiamo la prima vittima civile di questa guerra interna non dichiarata, travolta a 65 anni da un blindato che “faceva manovra”. La prima vittima civile, se non ci ricordassimo di Sole e Baleno.

    Una guerra civile non dichiarata non è altro che questo, l’esercito mosso a sedare una rivolta pacifica e coerente che nasce nel 1991 (sì, venti anni fa) e a occupare militarmente zone ribelli.

    La lotta dei valsusini contro la costruzione della linea TAV non è solo la lotta di una comunità locale contro la rovina del proprio territorio: è anche questo ma è anche qualcosa di molto più importante.

    La lotta noTAV è un’opposizione globale che travalica il territorio della Valle di Susa, in quanto riproduce non solo la contrarietà locale all’occupazione devastante e socialmente inutile del territorio da parte dell’industrialismo capitalista, ma è capace di delinearla come opposizione al mito dello sviluppo infinito, bandiera bipartisan sia del liberismo che del Capitalismo di Stato.

    Mito la cui adorazione senza riserve porta con se il sacrificio incondizionato delle nostre vite, del nostro lavoro, della qualità della nostra vita, sul sacro altare del profitto. Modello di sviluppo tanto caro non solo alla destra ma anche a quella sinistra istituzionale che, con la scusa del benessere, oltre a garantire il completo asservimento e sfruttamento economico della gran parte della popolazione, ha consegnato il territorio e l’ambiente nelle mani rapaci e distruttive del Capitale.

    E per quanto la propaganda di regime cerchi di spacciare da decenni la TAV come fondamentale, facendo adesso appello ai €600 milioni di finanziamento europeo persi in caso di mancata apertura dei cantieri, e continuando a millantare le enormi prospettive economiche, come i nuovi posti di lavoro che si creerebbero in valle, sappiamo che i circa €12 miliardi di soldi pubblici che occorreranno a completare l’opera serviranno esclusivamente a dirottare i soldi dei lavoratori e delle lavoratrici italiane, i principali contribuenti fiscali, nelle tasche dei grandi imprenditori privati e dei burocrati statali loro amici.

    Potremmo ripetere ancora fino allo sfinimento, anche rimanendo nell’ambito del puro ragionamento economico di sviluppo infrastrutturale, quello che da anni gli abitanti della Val di Susa sanno e ripetono: che esiste già una linea ferroviaria che è sottoutilizzata, sia per quanto riguarda il trasporto delle merci che delle persone, che in buona parte dell’Italia esistono delle linee in pessimo stato, che avrebbero bisogno, loro si, di essere rimodernate, e che le centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici pendolari che viaggiano tutti i giorni in treno per far arricchire i soliti pochi, sono costretti a spostarsi in condizioni di assoluto disagio. Ci si potrebbe chiedere, come si fa da anni, perché non spendere, molto più oculatamente, i miliardi di risorse pubbliche in opere di ammodernamento delle attuali linee ferroviarie, col conseguente miglioramento delle condizioni di viaggio dei lavoratori e delle lavoratrici pendolari, progetto questo si ambizioso e che creerebbe nuovi posti di lavoro, keynesiamente più intelligente, soprattutto ora che per siamo in un’era di contrazione dei consumi e della produzione di merci.

    Sappiamo tutti che invece l’opera va iniziata per arricchire la solita casta industriale italiana, col beneplacito e l’appoggio, ovviamente interessato, dell’apparato legislativo ed esecutivo dello Stato e con la scontata violenza delle forze di repressione, naturali diramazioni dell’oligarchia dei poteri economico e politico.

    Ma non siamo disposti ad accettare la violenza che per l’ennesima volta si è riversata sull’autodeterminazione della comunità locale della Val di Susa, violenza che, oltre a garantire con la forza l’occupazione della valle da parte della piovra capitale-stato, ha anche lo scopo di cancellare l’elemento politico per loro più pericoloso che nasce e che permea la lotta delle comunità locali degli sfruttati, e cioè l’autogestione delle scelte sulle proprie vite, a partire dalla gestione ambientalmente e socialmente sostenibile dei territori, che si lega alla grande battaglia per la gestione dei beni comuni e delle risorse collettive, nell’ambito della più generale lotta verso una società egualitaria, libera e solidale.

    L’occupazione militare in Val di Susa testimonia la debolezza di uno Stato costretto a ricorrere alla forza per dimostrare il proprio controllo sul territorio, sbugiardato di fronte alla comunità internazionale nelle proprie politiche di pianificazione e di concertazione.

    Una prova di forza e una vittoria di facciata, la dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che il Capitale e lo Stato sono subito pronti a gettare la maschera della democrazia quando si attenta alla loro possibilità di gestione delle risorse territoriali. Pena la loro liquidazione.

    La lotta della Val di Susa dimostra questo, e per questo la lotta contro la devastazione della TAV è la lotta di tutti/e.

    Federazione dei Comunisti Anarchici

  4. nando scrive:

    Il gruppo dirigente che ha occupato la CGIL ha fatto una scelta definitiva: collocare la Confederazione all’interno del processo di ristrutturazione capitalista in atto ponendo una seria ipoteca sulla possibilità dei lavoratori ad una azione indipendente nei conflitti che si verificheranno nei mesi e negli anni futuri.

    Per uscire dall’isolamento in cui le scelte di capitolazione e collaborazionismo di CISL e UIL l’avevano collocata, incapace di cogliere i frutti politici delle battaglie di resistenza condotte dalla FIOM e attorno a cui si è saldata e mobilitata la parte migliore di questo paese, la Segreteria ha scelto la via più facile, accettando di rientrare nel grande gioco, a costo di giocare il ruolo di garante delle scelte politiche del governo e di Confindustria. Accettando di fatto di svolgere un ruolo attivo per salvare il paese, la patria, anche contro gli interessi dei lavoratori, i quali devono essere gli unici a pagare in termini di diritti, tutele, salari, perché ciò che va salvato sono le imprese, le banche.

    La Nazione, la patria della borghesia, contro la classe: è in questa situazione che si gioca l’agire del capitale, quanto meno in aree economiche e sul piano globale; a questo attacco senza precedenti il sindacato dovrebbe guidare un’azione della classe quantomeno a scala europea: fatta la scelta di giocare solo sulla crescita nazionale e sul ciclo del debito, significa sancire la necessità di continuare a far profitti per i padroni, garantendo il comando autoritario dell’impresa e del governo sul lavoro, diventando così una pura variabile nella competizione imperialistica del capitale.

    E questo accordo è il tassello che mancava dalla “riforma” della contrattazione del 2009 (a suo tempo non firmato da CGIL); ora si norma il tutto in modo coerente, sanando i tre punti rimasti allora in sospeso: la democrazia, le intese modificate (nuova definizione di deroghe), il depotenziamento del CCNL e sua progressiva sostituzione.

    Su questi tre punti si costruisce il funzionamento dell’accordo che Confindustria chiedeva da tempo.

    La democrazia

    La parte più estesa dell’accordo norma la rappresentatività delle organizzazioni sindacali, parificando le rappresentanze aziendali elette dai lavoratori a quelle nominate dalle organizzazioni sindacali.

    Scompare la validazione degli accordi attraverso il voto dei lavoratori e rende sufficiente il consenso 50%+1 dei rappresentanti aziendali alla esigibilità degli accordi; si stabilisce la tregua sindacale e si vincolano i firmatari dei contratti stabilendo sanzioni sia per i firmatari che per i rappresentanti dissenzienti, il tutto in sede aziendale: chi si trova in minoranza non può richiedere il voto dei lavoratori e nemmeno scioperare.

    Viene quindi eliminato il potere di controllo dei lavoratori esercitato attraverso l’auto-organizzazione e il voto democratico sia sui contenuti, sia sulle stesse organizzazioni sindacali, sia sulla rappresentanza.

    Le intese modificate o deroghe

    I contratti aziendali possono derogare (intese modificate) dai CCNL, la materia viene specificata nella norma transitoria: si possono fare accordi in deroga su prestazione lavorativa, orari, organizzazione del lavoro, salario (in pratica su tutto); i titolari sono le rappresentanze aziendali di concerto con le organizzazioni sindacali territoriali.

    Il CCNL

    Si completa lo svuotamento del livello nazionale ridotto nel ruolo salariale e normativo dalle deroghe, inoltre il suo depotenziamento è contenuto nella richiesta di incrementare e rendere strutturali la detassazione e la decontribuzione dei salari aziendali; viene reso nullo l’elemento unificante che il CCNL rappresenta. La scelta dell’abbandono del contratto nazionale viene a seguito delle dinamiche in atto (l’80% dei lavoratori non ha il contratto aziendale e la stragrande maggioranza degli occupati è in piccole e piccolissime aziende) e distrugge le forme di solidarietà che il contratto nazionale ha garantito fino ad ora.

    La scelta della Segreteria è quella di passare alla complicità con governo e industriali: ha rifiutato di porsi su di un terreno di ricomposizione di classe costituendo un punto di riferimento per le realtà sociali in movimento, costruendo così rapporti di forza utili per poter agire su un piano di autonomia e rivendicazione sociale nel processo in atto, ha invece scelto di scaricare quelle soggettività e quelle categorie, come la FIOM, che negli ultimi anni hanno saputo contribuire a costruire la vera alternativa sociale in questo paese.

    La scelta operata dal gruppo dirigente CGIL lascia fuori milioni di lavoratori precari, disoccupati, in nero, giovani, studenti, separando dagli altri lavoratori, da quelli che hanno la rappresentanza, quei milioni di lavoratori e lavoratrici che ormai non hanno contratti, né stato sociale, né reddito continuativo e sono in aumento.

    L’antagonismo che si svilupperà rischia di non trovare più nella CGIL un riferimento, ma di vederla schierata nell’altro campo pronta a condannarlo; la scelta di campo fatta, oltre alle ricche prebende degli enti bilaterali, ne farà una mostruosità burocratica, in grado solo di gestire i servizi e le ricadute caritatevoli che l’offensiva del capitale produrrà.

    La scelta pare quindi, in termini sindacali/politici, del tutto suicida, con al suo interno un tentativo in corso di omicidio: quello della FIOM e dell’area di opposizione “La CGIL che vogliamo”.

    L’involuzione autoritaria della Confederazione, resa possibile dalle modifiche allo Statuto votate a maggioranza alla fine dell’ultimo Congresso, indica di fatto nella Segreteria l’unico momento decisionale della Confederazione, impedendo in buona sostanza ogni discussione e l’esistenza di punti di vista alternativi che le possano sfuggire, come è apparso evidente nell’ultimo Comitato Centrale della FIOM del 30 giugno scorso, dove la minoranza filo-Camusso ha ricordato all’assemblea che le questioni in discussione riguardavano solo la Segreteria, appunto la sola che può avere il comando sulle politiche sindacali, ed alla quale tutti si devono uniformare.

    La scelta fatta condanna alla irrilevanza sociale e alla dipendenza politica la CGIL, ormai schierata al fianco della politica di un futuro governo che sta, già da ora, gettando ombre sinistre sui lavoratori e sui ceti subalterni di questo paese e di questa Europa.

    Di fronte a questo accordo che assomiglia sempre più a quello di Palazzo Vidoni, e che piegò i lavoratori italiani al capitalismo fascista, dobbiamo organizzare forme di resistenza, fuori e dentro la confederazione, che rifiutino l’accordo, sostenere la FIOM e l’area di minoranza, in un lungo processo di riconquista degli spazi politici e di agibilità interna alla CGIL, e quella solidarietà di classe che permetta di agire, sindacalmente e politicamente, in una situazione sempre più complessa per uscire dalla morsa di padroni, governo e collaborazionisti vari.

    Raccogliere questa sfida significa dover essere capaci di articolare percorsi unitari dal basso che attraversino e raccolgano tutte le istanze di opposizione nei luoghi di lavoro e nel territorio.

    Commissione Sindacale Federazione dei Comunisti Anarchici

  5. nando scrive:

    Articoli

    giovedì 7 Luglio 2011 (18h50) :
    Presentazione del libro “Un Rivoluzionario di Ponente”

    Di : nando

    Presentazione del libro “Un Rivoluzionario di Ponente” dedicato a Franco Salomone, comunista anarchico e dirigente CGIL Giovedì 14 luglio 2011 – alle ore 17,30 presso SMS Serenella, Corso V. Veneto 73 R Savona

    Partecipa il curatore del libro Donato Romito

    Durante la manifestazione sarà possibile acquistare il libro. Sono previsti interventi di: Marchioni Mario – Presidente SMS Serenella Franco Astengo, Tiziana Casati, Fulvio De Lucis, Pippo Giudice, Angelo Rebora

    A chiusura della manifestazione è possibile cenare in SMS.

    Per info e prenotazioni: tel. 019.801165

    Organizza: Circolo Culturale Asso di Cuori Associazione Culturale “Alpi del mare”

    Con il patrocinio di: ISREC della Provincia di Savona

    http://www.fdca.it

    http://www.anarkismo.net/article/19989

  6. nando scrive:

    “Sarete ancora voi a pagare la nostra crisi”. Questo è il beffardo messaggio contenuto nella manovra varata dal governo, che colpisce chirurgicamente in profondità e fa strazio degli interessi delle classi popolari, mentre salvaguarda privilegi e prebende delle classi al potere. Per 3 anni il governo di centro-destra ha lasciato credere che il paese fosse fuori dalla crisi ed ora presenta un conto salatissimo da €47 miliardi che, scaglionati con tempi e modalità che vanno ben oltre le prossime elezioni politiche, verranno trovati estirpando dalla scena sociale diritti, tutele e garanzie delle classi sfruttate.

    Gli interessi di classe ed i bisogni popolari vengono duramente colpiti proprio in quei settori decisivi per una vita dignitosa o per la mera sopravvivenza di decine di milioni di italiani a cui è stato chiesto con forza negli ultimi anni di votare per il più forte, di non scioperare contro il più forte, di non pretendere di partecipare alle scelte politiche del paese, di non organizzarsi autonomamente, di lasciar perdere la democrazia. C’è da pensare che gli esiti delle ultime elezioni amministrative e del referendum abbiano fatto crescere una sorta di sentimento di vendetta nell’animo del governo nei confronti del popolo italiano, tanta è la violenza classista dei provvedimenti decretati.

    Un bisturi che taglia la sanità, la scuola, i lavoratori e le lavoratrici del pubblico impiego, i servizi, le pensioni. Non rimane proprio niente!

    Nella sanità, tornano dal 2012 i super ticket sulla specialistica ambulatoriale (€10) e sulle prestazioni di pronto soccorso senza ricovero (€25). Dal 2014 nuovi ticket su farmaci e prestazioni sanitarie compresi i ricoveri. Un taglio di €3,2 mld nel 2013 più €6,5 mld nel 2014 porta ad un taglio complessivo di €10 mld, dunque: una scelta nettamente di classe in violazione del diritto alla salute ed incurante di colpire gli sprechi nel settore e quelle strutture esistenti solo per assegnare posti di potere. Viene privatizzata la Croce Rossa ed il suo personale messo in cassa integrazione o licenziato a fine anno se precario.

    Nella scuola pubblica, con l’accorpamento di infanzia, primaria e media inferiore in mega istituti di difficile gestione, con il blocco degli organici e la riduzione del sostegno per gli alunni disabili, la stangata governativa si somma ai tagli della Gelmini ad impoverisce ancora di più uno dei settori cruciali per gli interessi delle classi popolari.

    Per le pensioni tra €18.500 e €30.500 (cioè tra €1.400 e €2.300 lordi mensili), cioè quelle dei pensionati della fascia medio-bassa, la rivalutazione viene ridotta al 45%, provocando così un ulteriore impoverimento a fronte di un vasto impiego sociale di tali assegni (protezione dei figli che non trovano lavoro, emergenze sociali e sanitarie familiari,…).

    Dal 2014 sale nel settore privato la soglia della pensione di vecchiaia (un anno ogni tre mesi) in relazione al previsto aumento di vita e… di sfruttamento! Dal 2020 poi le lavoratrici del privato dovranno aggiungere 1 mese in più ai 60 anni per poter andare in pensione, fino a raggiungere i 65 anni nel 2032. Ora la parità tra le lavoratrici del pubblico e del privato è stata raggiunta, ma dei risparmi previsti nel settore pubblico non c’è stata alcuna redistribuzione ancorché promessa dal quel signore di Sacconi!

    I lavoratori del pubblico impiego subiscono un nuovo blocco del contratto nazionale fino al 2014 con annesso congelamento degli scatti di anzianità; pesante anche il blocco totale delle assunzioni con prevedibile non stabilizzazione e licenziamento delle decine di migliaia di precari che fanno realmente funzionare i settori pubblici nell’interesse della collettività. Sempre contro i precari la cancellazione per legge delle sentenze passate in giudicato a favore di chi aveva chiesto la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro precario.

    Se ridurre gli organici del settore pubblico e della scuola si riflette sulla qualità dell’assistenza e dell’istruzione, non meno preoccupanti sono i tagli che colpiscono gli enti locali ed indirettamente tutti i servizi che da questi vengono erogati. Si tratta di €9,5 mld in meno di trasferimenti dallo Stato, con evidente danno per asili nido, assistenza agli anziani, trasporti, cultura, e conseguente aumento delle imposte locali. Anche in questo caso, sono i lavoratori precari di tutto quel settore di servizi, esternalizzato e privatizzato dagli enti locali nel nome della sussidiarietà, ed affidato a cooperative, agenzie, associazioni, fondazioni e quant’altro, a rischiare di non vedersi rinnovato il contratto o di averlo a condizioni ricattatorie di mero sfruttamento.

    Per i lavoratori precari (co.co.co., a progetto, ecc.) si profila anche l’aumento dei contributi che sale dal 27,5% al 33% della retribuzione. E pensare che nel 1999 erano del 12,5%! Ma questo aumento non andrà certamente a rimpinguare un assegno pensionabile… di €300 mensili a 70 anni compiuti! Ed ancora per i lavoratori precari, che sono la maggioranza nella grande distribuzione, arriva la liberalizzazione di apertura e di sfruttamento per negozi e attività commerciali.

    Infine dal 2012 parte la fumosa “spending review” per le amministrazioni centrali dello Stato, il che comporterà una ulteriore cura dimagrante per una spesa pubblica già al limite di funzionamento del sistema.

    C’è qualcun altro che paga oltre ai soliti proletari e proletarizzati?

    No! La fumosa riforma delle tre aliquote fiscali, unitamente all’aumento dell’IVA sui beni di largo consumo, finisce per colpire alla fine sempre i più poveri.

    Il patrimonio degli alloggi dello IACP verrà venduto, ma delle 600mila famiglie che ne avrebbero diritto, nessuna ha avuto riscontro, preferendo venderlo a buon mercato ad illustri privati ed immobiliaristi.

    Le spese per le guerre in corso, pari a €700 milioni per il 2011 sono prorogate.

    La famosa tassa dello 0,15% sulle transazioni finanziarie: sparita. Invece verranno razionalizzate le detrazioni sul reddito legate a voci come quelle assistenziali-sanitario-previdenziale, indennità di accompagnamento di invalidi, pensioni di reversibilità…

    La riduzione dei costi della politica? Una barzelletta rinviata alla prossima legislatura.

    Infine la solita norma salva-premier per la questione del Lodo Mondadori, che verrà presentato in parlamento.

    Eh no! Non saremo ancora una volta noi a pagare la vostra crisi!!

    Contro questa manovra da macelleria sociale, occorre mobilitare tutte le forze sociali di base, occorre puntare ad una grande dimostrazione di unità delle realtà che si oppongono alle misure di austerità, per creare nelle città, nei quartieri, nei luoghi di lavoro, dissenso ed opposizione, alternativa sociale e libertaria.

    A partire dallo sciopero e dalla mobilitazione del 15 luglio, in piazza lavoratori e lavoratrici, precari ed immigrati, movimenti sociali e associazionismo di base uniti!

    Segreteria Nazionale
    Federazione dei Comunisti Anarchici

  7. nando scrive:

    Val di Susa con il sangue agli occhi

    Filo spinato, blindati, cellulari, perimetri escludenti, recinzioni, truppe di indifferenza: questo è lo “stato della repressione” che abbiamo visto in Val di Susa.

    Disciplinati ordinano: c’è la crisi, devi pagarla; c’è lo sviluppo, devi inginocchiarti e se serve, devi anche perirne.

    Nei giorni successivi allo sgombero della Maddelena del 27 giugno e della guerriglia seguente, è complicato trovare le parole adatte per far conoscere la violenta aggressione che ha subito il movimento No Tav domenica 3 luglio, per mano dell’esercito, di carabinieri, finanzieri e poliziotti.

    Sentimenti di rabbia e preoccupazione si mischiano al pensiero della propria vita messa in gioco e ai compagni feriti e arrestati, poco dopo aver subito atroci percosse e lanci di lacrimogeni, sparati ad altezza uomo.

    Noi che eravamo presenti abbiamo il diritto di rendere pubblica la strategia di guerra messa in atto dal Potere, per reprimere le forze sociali che vogliono riappropriarsi del proprio futuro.

    Tutti apparteniamo a questa terra! Reclamiamo diritti e libertà! Ci siamo uniti al desiderio di decidere come vivere in comune e con quale ambiente circostante, muovendoci nella valle alla ricerca, non del ghiaccio dello stato difeso dai servi in divisa, ma nel fuoco della rivolta per accedere a quel senso comune libero ed uguale che tutto il movimento ha sprigionato in questa insorgente giornata di lotta.

    La risposta è stata intrisa di lacrimogeni sparati ad altezza uomo, proiettili di gomma, lancio di ghiaccio da 30 metri di altezza sopra i manifestanti, di cui tanti hanno sfiorato le nostre teste, tante hanno colpito in pancia, in viso e sulle gambe.

    Le botte e i calci sui corpi dei feriti a terra dopo cariche non di contenimento, ma in stile mattanza cilena, sui quali hanno pisciato e minacciato di morte.

    Ha ragione il ministro che dice di difendere il popolo della Valle (???) Maroni, insieme a tutto il PD compatto alla ricerca del profitto facile: ci sono stati tanti tentati omicidi domenica 3 luglio… Si,da parte delle forze dell’ordine. Noi, valsusini e solidali, i comunardi della Valle, volevamo e fortissimamente vogliamo buttare giù le reti, tutti i muri e quei dannati plotoni da omicidio chiamati sbirri in tenuta antisommossa.

    Con il “sangue agli occhi” ci abbiamo provato ed abbiamo espugnato un parte di presidio sorvegliato dal Potere che vuole sottomettere soggettività ribelli che non ci stanno a farsi rubare i propri sogni.

    Saremo sempre contro il saccheggio dei beni comuni e la decapitazione della volontà di ribellarsi ad una decisione presa sulle teste della popolazione valsusina.

    Questa Terra è la terra di tutti!

    Come diceva un cartello alle barricate per arrivare alla Maddalena, la paura non abita più qui. In nessuno!

    Violento è chi arma i manganelli e spara su esseri umani lacrimogeni CS scaduti che provocano intossicazione e probabili malattie congenite future.

    Libertà per la Val di Susa, libertà per tutte e tutti. Subito!

    Sempre nella lotta ,
    CSA Kavarna, Cremona

  8. nando scrive:

    Isaac Puente: Il Comunismo Libertario e altri scritti

    Gli scritti di Isaac Puente sul comunismo libertario, che presentiamo in questo Quaderno, non ci risulta che siano stati pubblicati in italiano, ed è con legittimo orgoglio che li portiamo a conoscenza dei libertari del nostro paese, nel quadro delle nostre celebrazioni del settantennale della rivoluzione spagnola. Il lavoro di Puente è stato della massima importanza per la messa punto dell’ideario e della progettualità del Comunismo Libertario in Spagna a ridosso di quella breve, ma intensa, stagione rivoluzionaria che Magnus Enzensberger definì poeticamente “la breve estate dell’anarchia”. Essi ci riportano ad un periodo – che se rapportato ad oggi sembra lontano secoli – in cui il sogno di una società libertaria senza Stato animava consistenti masse, proletarie e non, la sua concretizzazione appariva possibile a breve termine, e questo stimolava tutta una serie di riflessioni e progettualità in ordine a quello che sarebbe stato il momento di costruzione della nuova società. Fermo restando – come poi effettivamente accadde – che sarebbero state le masse rivoluzionarie, nella loro spontanea creatività, a modellare in concreto il nuovo assetto. E così in buona parte avvenne al momento delle grandi collettivizzazioni agricole e industriali, che coinvolsero liberamente alcuni milioni di esseri umani.

    Indice:

    * Premessa * Isaac Puente Amestoy – cenni biografici * La società dell’avvenire – Il Comunismo Anarchico (1933) * Concetti del comunismo libertario (1936) * Verso l’interpretazione collettiva del Comunismo Libertario (1933) * Il Comunismo Libertario (1933) Segue su: http://www.fdca.it/

    II testo dell’opuscolo è tratto e tradotto da ISAAC PUENTE, El comunismo libertario y otras proclamas insurreccionales, Edita Likiniano Elkartea, Bilbao 2003. Premessa e traduzione a cura di Pier Francesco Zarcone.

    E’ possibile ordinare “Il Comunismo Libertario e altri scritti” inviando una e-mail al seguente indirizzo: fdca G6L fdca.it, oppure scrivendo a: Alternativa Libertaria, CP 27, 61032 Fano (PU). Puoi anche rivolgerti alla sezione FdCA più vicino a te.

    Prezzo €4,00.

    Per altri titoli di questa serie, vai alla pagina I Quaderni di Alternativa Libertaria.

    Chi fosse interessato alla distribuzione dei quaderni è pregato di contattarci all’indirizzo fdca G6L fdca.it.

  9. nando scrive:

    SE N’E’ ANDATO ANCHE FRANCO

    Rivedere il suo inconfondibile viso nei necrologi de “La Stampa” me lo ha riportato alla mente, pur se era molto che non ci si vedeva. Aveva con me, di cui ero stato il “ripetitore”, un rapporto insieme di stima e duramente canzonatorio, come di chi abbia acquisito una verità, una moralità monocordi e sorde e tutto il resto non sia che dialettica sofista e rumore.

    Mi sono chiesto tante volte come ci fosse finito in questa “fede” intransigente: forse la solidità proletaria delle sue origini, forse l’amicizia con quel maestro sereno e colto che fu Umberto Marzocchi o, forse, un destino innato.

    La scuola per lui era tutt’altro che una palestra di riscatto. Era una delle tante, troppe superfetazioni “sovrastrutture” borghesi ingannevoli e che tendono a fare di un individuo che ha l’obbligo etico di rivoltarsi un non rivoluzionario, perché se ne ha paura. La sua “anarchia” era totale, generosa, senza cedimenti, ma mai violenta. Mai una volta che, nelle infinite discussioni con lui, si sia rivoltato:eppure ci andavo giù anche duro, io che ero e sono convinto del detto gramsciano “Istruitevi perché avremo bisogno di tutto il vostro sapere”. Franco, paziente, mi ascoltava a lungo senza nulla dire se non scuotere appena la gran testa capellona e lasciarsi andare ad un sorriso che sarebbe potuto sembrare di compatimento, ed era invece il rinsaldarsi continuo del suo punto di vista assoluto sui rapporti sociali.

    Non è vero che il rapporto docente-discente sia univoco: io con Franco ho conosciuto l’uomo di “classe” totale, il grado zero della lotta politica, colui per il quale nulla è impossibile, anche se sa benissimo di avere poco numerosi sodali verso i quali rivolgeva generosissimamente le sue pulsioni sociali. Si isolava dalle compromissioni ed io non so come possa aver fatto, e bene, mi dicono, il sindacalista, arte, se ce n’è una, della ricerca faticosa e tattica di accordi continui.

    I Salomone erano conosciuti da tutto il quartiere delle Fornaci. Abitavano nelle case vecchie di via Saredo e da loro c’era sempre odore di detersivi, di pulizia. La madre lottava per mandar vestito il figlio; mancata lei, Franco, più che vestirsi, si infagottava in qualcosa.

    Vita dura, quella dei genitori, con minime risorse e che volevano – soprattutto la mamma – mandarlo a scuola per riscattarlo e riscattarsi. Lui si ribellava a questa “figura” che sentiva inautentica. Intelligente, di buone e non scolastiche letture, era un critico feroce del “sistema” scuola, che sentiva ipocrita e di falsa o reticente trasmissione di cultura e di scarso riguardo per il discente schiacciato dal formalismo. Pensava queste cose prima che don Milani le mettesse per iscritto in quel manifesto-terremoto (finalmente!) che fu la “Lettera ad una professoressa”

    Per lui era un discorso parziale ed anche un poco patetico; per me fu una “rivelazione” che mi costrinse non certo ad abbandonare la scuola, ma a militarvi senza incrostazioni né verità di comodo né, soprattutto, autoritarismo. I risultati? Mah! Non lo saprò mai, ora che non potrò discutere più col tanto diverso da me (borghese? Forse sì!) Franco.

    Veniva a lezione accompagnato dalla madre. Abitavo ed abito al sesto piano, allora senza ascensore e la povera donna, pesante e non certo agile, si raccomandava a me perché gli insegnassi a non “rispondere” (detto alla savonese) ai professori, ad accontentare le loro esigenze ed a rispettarli: Ma Franco non è che non li rispettasse: semplicemente, era al di là del loro cauteloso dire e pretendere. Franco “ci” ascoltava per rispetto,zitto ma lontano, per nulla convinto e soltanto infastidito dall’insistenza di sua madre e, forse, anche dalla mia.

    Non voleva che lo accompagnasse da me, come si arrabbiò quando lei andò a casa Marzocchi e chiese che l’anarchico maestro ed amico del figlio intercedesse per accontentarla. So che Marzocchi lo fece, dicendogli che un vero anarchico rispetta il bene che gli vuole sua madre, lo capisce e non la rattrista. Franco andò in bestia, a modo suo, chinando la testa come un torello zitto e tirando fuori soltanto qualche frase stirata e cocciuta.

    Né Marzocchi né io pensavamo che Franco sarebbe diventato un “dottorino” ( e ce l’aveva, eccome, il sale in zucca!) per vendicare la condizione proletaria dei suoi ed essere più felice e rispettato di loro. E’ andato per la sua strada, fino ad ieri,”orso” ispido e dolcissimo, uguale, per tutto il breve corso della sua vita, a se stesso ed a quelle radici che l’hanno tenuto fedele e che egli non ha mai neppure scalfito.

    Se dovere dell’uomo è dare un senso alla propria vita attraverso la pratica di valori etici, Franco lo ha assolto.

    Sergio Giuliani

  10. nando scrive:

    La paura fa 90
    L’UE corre ai ripari

    La paura fa 90 in tutte le lingue dell’Unione Europea ed ecco che il famoso EFSF (European Financial Stability Fund), nato per tenere sotto controllo i bilanci dei singoli Stati dell’UE, diventa esattamente quella “cupola” che paventavamo l’anno scorso [1].

    Cosa è cambiato? Moltissimo. Il cosiddetto “Fondo salva Stati” si era limitato finora a garantire prestiti agli Stati membri della zona euro. Ora viene autorizzato a intervenire sui mercati comprando i titoli di Stato dei paesi membri e non solo di quelli sottoposti ai piani di risanamento di bilancio. Il Fondo può sostenere le ricapitalizzazioni delle banche. Diventa di fatto il difensore dell’euro e delle sue economie intervendo a stabilizzare i mercati. Qualcosa di simile al ruolo della statunitense Fed o della Banca d’Inghilterra.

    L’affidabilità dell’euro era legata a quella delle singole economie nazionali ed al rispetto dei famosi parametri di Maastricht in merito a debito e deficit.

    Ma proprio la violazione del patto di stabilità (Maastricht) e la crescita dei debiti sovrani avevano posto una seria ipoteca sulla tenuta dell’euro e rilanciato gli interessi nazionali, mentre la BCE mostrava sempre di più i limiti del suo operato, dal momento che – occupandosi di liquidità e non di solvibilità dei singoli bilanci europei – rischiava perdite di bilancio legate alle decisioni politiche dei singoli governi nazionali. Aggiungiamo che la BCE, pur acquistando titoli di Stato, lo faceva in modo surrettizio.

    L’intervento tramite l’ESFS sembra aver allontanato le minacce di contagio dovute all’insolvenza della Grecia.

    Resta la questione dello scambio interno all’UE tra Francia e Germania. Quest’ultima voleva il coinvolgimento dei privati nel processo di ristrutturazione del debito greco, dietro pressioni di carattere interno. Ha ottenuto la clausola della “volontarietà” della partecipazione dei creditori nel salvataggio della Grecia.

    Da un lato, la BCE non voleva il coinvolgimento dei privati per timore che facesse scattare il default greco e quindi mettesse la Grecia nelle condizioni di non poter più accedere ad operazioni di liquidità presso la BCE proprio a causa dell’insolvibilità del suo debito pubblico. Dall’altro, l’adesione dei privati e l’intervento UE che abbassa il costo del debito greco allungandolo nel tempo, potrebbero evitare un rischio default.

    Occorre vedere ora se il rimborso dei titoli greci in scadenza avviene senza perdite per i sottoscrittori e se eventuali perdite nel breve periodo vengono compensate con guadagni sul lungo periodo.

    Altrimenti già si teme un rischio di default circoscritto nel tempo.

    Le banche europee (quei volenterosi privati cari alla Merkel) possono per ora tirare un sospiro di sollievo.

    Le classi lavoratrici dell’Unione Europea delle isole, del continente e del Mediterraneo non possono invece solo sospirare nel ricordo delle conquiste perdute nel giro di 2 anni.

    Il tempo di prendere fiato ed occorre ripartire per una nuova riconquista di salario, diritti, tutele, per la costruzione di un’alternativa senza Stati e senza capitalisti.

    Donato Romito

    Nota:
    1. Vedi “I lavoratori europei svenduti per uno scudo di 750 miliardi”, “Contrastare l’Unione Europea” e “La crisi della Grecia smaschera l’inganno dell’Unione Europea”, documenti della FdCA.

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