La fortuna del cinema coreano in Italia* di Gianluca Gibilaro
Lampi nel buio: Im Kwon-taek e
Bae Yong-kyun
Quando nel 1991 compare nelle sale italiane, distribuito da
Mikado, un film dal titolo Why Has Bodhi Dharma Left for
the East? (Perché Bodhi Dharma è partito per l'oriente?,
Bae Yong-kyun, 1989), in Italia il cinema coreano è, almeno
al grande pubblico, pressoché sconosciuto.
A differenza del cinema giapponese, del quale avevano trovato
distribuzione, a partire dal secondo dopoguerra, perlomeno
le opere maggiori del terzetto Mizoguchi-Kurosawa-Ichikawa
e, negli anni Sessanta, alcuni film di Ozu, Kobayashi e Oshima,
la produzione coreana non ha avuto alcuno sbocco commerciale
in Italia fino, appunto, al 1991.
Nel corso degli anni Ottanta, alcuni titoli sono stati visti
in diversi festival: la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema
di Pesaro nel 1983 e nel 1984 presenta, nell'ambito di una
ricognizione assai approfondita sulla produzione cinematografica
asiatica, rispettivamente quattro e sette film coreani, mentre
la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia
seleziona nel 1987 per il concorso Surrogate Mother
di Im Kwon-taek , il quale, nonostante abbia ottenuto un importante
riconoscimento (la Coppa Volpi a Kang Su-yeon per la migliore
interpretazione femminile), non ha trovato distribuzione.
Nel 1989 qualcosa sembra cambiare: presentato a Cannes, nella
sezione Un Cértain Régard, Perché Bodhi Dharma è partito
per l'oriente? passa quasi inosservato; ma a Locarno,
nell'agosto dello stesso anno, si aggiudica il Pardo d'oro,
ottenendo unanimi consensi di critica e, come detto, trovando
anche la via delle sale.
Si tratta di un episodio isolato. Bae Yong-kyun è un autore
appartatissimo, che non intrattiene alcun rapporto con il
sistema del cinema di Seoul ed è quanto mai distante dai fermenti
che muovono la società coreana in quegli anni: pittore affermato
e insegnante all'Accademia d'arte di Daegu, sua città natale,
è l'emblema di un'idea di autorialità quasi ascetica. Perché
Bodhi Dharma è partito per l'oriente?, che Bae ha sceneggiato,
diretto, fotografato, montato e prodotto - e che gli è costato
otto anni di lavoro - è un film assolutamente unico, ben lontano
dall'essere il rappresentante di un movimento che in Corea
del Sud esiste, ma del quale pochi in Europa sembrano accorgersi:
lo stesso anno di Bodhi Dharma, in concorso a Locarno
c'è Chilsu and Mansu (1988) di Park Kwang-su, opera
prima ben più rappresentativa della nascente nouvelle vague
coreana. Ma nonostante qualcuno noti "riflessi politici inconsueti
per una pellicola coreana" , i riflettori sono tutti puntati
sul "sublime poema mistico" di Bae Yong-kyung.
La prima ondata: Torino 1988 e
Pesaro 1992
Gli anni Ottanta sono, in Corea del Sud, il decennio in cui
si è realizzata una profonda trasformazione politica e sociale,
per la quale il cinema ha svolto un ruolo di primo piano.
Dopo la profonda crisi industriale degli anni Settanta e la
modesta ripresa della prima metà degli anni Ottanta, il 29
giugno del 1987 qualcosa davvero è cambiato: la dichiarazione
del segretario generale del partito di governo, Roh Tae-woo,
nota come "Dichiarazione per le riforme politiche del 29 giugno"
annuncia sia le elezioni presidenziali dirette, per la prima
volta dopo sedici anni, sia un'attenuazione della censura
politica.
Uno dei primi film a trarre vantaggio da questo mutamento
del clima politico è proprio Chilsu and Mansu di Park
Kwang-su: la scena finale del film, che evoca immagini di
una manifestazione di piazza, può essere assunta ad emblema
della rinascita della libera espressione politica nel cinema
coreano.
Ma già negli anni precedenti Park aveva trovato nel cinema
uno strumento di lotta sociale e politica, dando vita al Seoul
Film Collective. Nato nel 1982, il collettivo aveva prodotto
film indipendenti prima in 8mm, poi in 16mm, distribuendoli
gratuitamente nelle campagne e nelle Università, sfidando
la censura, proponendosi di mettere in scena la vita reale
delle classi meno abbienti e utilizzando il cinema come strumento
per portare alla luce le contraddizioni della società coreana.
Nuovi temi (la divisione tra il Nord e il Sud, il decollo
industriale, l'urbanizzazione e la crisi della famiglia tradizionale),
nuove ambientazioni (le fabbriche, i sobborghi degradati)
e nuovi personaggi (operai e studenti) vengono utilizzati
per infrangere ideologie e tecniche precostituite. Di questa
produzione indipendente e semi-clandestina della metà degli
anni Ottanta dà conto, già nel 1988, l'allora Festival Internazionale
Cinema Giovani di Torino, proponendo sette cortometraggi in
una sezione dal titolo "Cinema e politica in Corea" .
È però nel 1992 a Pesaro che la nouvelle vague coreana degli
anni Ottanta trova la sua prima vera occasione di visibilità
in Italia, con una retrospettiva che comprende trenta titoli
di sedici registi. Oltre ai tre film chiave della Golden Age
coreana (The Housemaid di Kim Ki-young, 1960; Mother
and Uncle Han di Shin Sang-ok, 1961; Aimless Bullet
di Yu Hyun-mok, 1961), a Pesaro viene presentato il lavoro
di alcuni degli autori più interessanti degli anni Ottanta
come Bae Chang-ho (People in a Slum, 1982; Hwang
Jin-i, 1986; Our Sweet Days of Youth, 1988), Lee
Doo-yong (The First Son, 1985; Eunuchs, 1986;
The Road to Chongsong, 1990), Lee Jang-ho (A Fine
Windy Day, 1980; The Man with Three Coffins, 1987)
e soprattutto Im Kwon-taek, che, con nove titoli proposti,
è l'autore al quale viene dato maggiore rilievo.
I film di Im non presentano forti elementi di rottura con
il cinema precedente, né sul piano formale né su quello tematico;
ma a dar conto della forza politica della nouvelle vague coreana
c'è, nella retrospettiva pesarese, un manipolo di giovani
autori capitanati da Park Kwang-su, del quale, oltre
a Chilsu and Mansu, viene proiettato Black Republic
(1990).
La 28° edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema
di Pesaro rappresenta un passaggio importante anche dal punto
di vista editoriale: il volume curato da Adriano Aprà in occasione
della retrospettiva , se non rappresenta in assoluto la prima
pubblicazione italiana sul cinema coreano , è senza dubbio
la più articolata.
La seconda ondata: Alberto Barbera
alla Mostra di Venezia 1999-2001
Nel volume succitato, Adriano Aprà afferma che "gli anni Ottanta
corrispondono in Corea - e non solo nel cinema - ai nostri
anni Sessanta, e [...] nell'aria si respira voglia di Sessantotto".
Anche se un vero e proprio Sessantotto coreano non arriva,
nella prima metà degli anni Novanta hanno luogo in Corea del
Sud nuovi significativi cambiamenti politici e sociali. Volendo
scegliere una data per segnare la cesura, non si potrà che
indicare il 25 febbraio 1993, giorno in cui si insedia l'amministrazione
del presidente Kim Young-sam: per la prima volta la Corea
del Sud ha un presidente che non proviene dalle forze armate.
Il cinema risente positivamente del cambiamento politico e
una nuova generazione di cineasti esordisce negli anni immediatamente
successivi. Occorrerà aspettare qualche anno perché in Italia
ci si accorga di loro: nel 1996 a Venezia nella sezione "Nuovi
territori" viene selezionato un film coreano, ma ancora una
volta si tratta di un film poco rappresentativo del cambiamento
in atto. Si tratta di People in White di Bae Yong-kyun:
ancora una volta scritto, montato, prodotto e diretto da Bae,
il film costituisce, così come il precedente Perché Bodhi
Dharma è partito per l'oriente?, un caso a sé. Si nota
tuttavia un'atmosfera più cupa: il film è un pellegrinaggio
sullo sfondo di un paesaggio urbano pieno d'insicurezza e
permeato di un senso di crisi e di desolata solitudine, alla
ricerca delle tracce di un passato ormai fagocitato dalle
industrie e dalla nebbia. Bae Yong-kyun mette in scena personaggi
tragicamente disperati che invocano salvezza, ora con sussurri
smorzati, ora gridando a squarciagola, che muovendosi come
fantasmi in uno scenario irreale.
Solo con la gestione Barbera (1999-2001) alla Mostra di Venezia
viene segnalata all'attenzione dei critici, dei media e del
pubblico l'esistenza di una "seconda ondata" coreana. Passata
la prima vague, il cinema coreano vive, infatti, a metà degli
anni Novanta una stagione di straordinaria vitalità, favorita
anche dall'introduzione di un programma di protezione della
cinematografia nazionale.
Oltre a numerosi esordi, questi anni sono segnati dall'affermazione
di autori già attivi nel decennio precedente, fra i quali
Jang Sun-woo, che aveva diretto il suo primo lungometraggio,
Seoul Jesus, nel 1985-86 e che, intorno alla metà degli
anni Novanta, realizza alcuni film molto controversi: A
Petal (1996), che pone al centro dell'attenzione la condizione
di una ragazzina la cui madre è rimasta uccisa negli scontri
di Kwangiu e Timeless, Bottomless, Bad Movie (1997),
che racconta, senza reticenze, la vita degli adolescenti coreani.
Al Lido di Venezia nel 1999 viene presentato proprio un film
di Jang Sun-woo, Lies (Bugie - Lies): un film
provocatorio, rischioso, politico ed estremo, coraggiosamente
proposto in concorso con la consapevolezza che "se i festival
non mettono in evidenza le novità, quello che si muove, quello
che cambia, allora non servono a nulla".
Sull'onda dello scandalo ("Venezia, adesso lo choc è sadomaso"
titola "Il Corriere della Sera" , "Scandalo alla Mostra per
il film sadomaso" conferma "La Repubblica" ) Bugie - Lies
esce, distribuito da Key Films, ma "alleggerito" da quelli
che, in una fredda recensione, Irene Bignardi definisce "siparietti
godardiani", e che rappresentano uno degli elementi chiave
del film.
Nonostante le polemiche giornalistiche dell'anno precedente,
nel 2000 Barbera propone nuovamente in concorso un film "scandaloso",
The Isle (L'isola) di Kim Ki-duk. Anche in questo caso
le reazioni della stampa sono contrastanti, ma il tempo darà
ragione all'intuizione del direttore del Festival: "Non c'era
dubbio che dietro la macchina da presa ci fosse un regista
con una forte personalità, con un suo sguardo, con un suo
modo di girare. Anche lì ci siamo chiesti se, come l'anno
precedente, valesse la pena di correre di nuovo lo stesso
rischio e ci siamo detti sì, che valeva la pena, che ci si
devono assumere delle responsabilità, fare delle scelte che
possono non essere immediatamente recepite, ma che poi sulle
lunghe distanze magari danno dei frutti".
Barbera dà fiducia al cinema coreano anche nel 2001, collocando
Address Unknown di Kim Ki-duk in concorso e l'opera
prima di Song Il-gon, Flower Island, nella sezione
"Cinema del presente". Il fatto che in Corea del Sud qualcosa
si stesse muovendo è ormai ben più di una sensazione: l'incremento
della produzione, l'innalzamento della qualità complessiva,
l'emergenza di nuovi autori ne sono segnali inequivocabili.
Ma se Venezia "scopre" i coreani, gli altri festival non stanno
a guardare. La Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, che non
aveva perso d'occhio né Im Kwon-taek né Jang Sun-woo, nel
2001 propone in piazza Barking Dogs Never Bite di Bong
Joon-ho, mentre lo stesso anno al Festival di Torino ci sono
in concorso ben due film coreani: Friend di Kwak Kyun-taek
e Tears di Im Sang-soo. E l'attenzione dei principali
festival italiani nei confronti del cinema coreano continuerà
a rimanere alta, confortata anche dalla presenza sempre più
consistente di lavori (sempre più frequentemente premiati)
nei principali festival internazionali.
Una storia a margine: Far East
Film e le rassegne di cinema asiatico
Nella conoscenza del cinema coreano in Italia gioca un ruolo
importante, benché appartato, il Far East Film di Udine (FEF),
nato nel 1999 quando, sull'onda del successo del cinema di
Hong Kong della seconda metà degli anni Novanta, il Centro
Espressioni Cinematografiche di Udine inizia un'esplorazione
del cinema dell'estremo oriente "che non discrimina le opere
commerciali di buona qualità e che mira a esibire l'intero
arco della produzione orientale, sia quella popolare sia quella
colta".
L'obiettivo sembra quello di collocarsi a metà strada fra
i festival "di genere", nei quali spesso la produzione orientale
(e in particolare hongkonghese) trova in questi anni ospitalità,
e i festival internazionali, nei quali era ed è la produzione
"colta" a farla da padrone.
Il Far East Film si candida ad essere, come afferma Derek
Elley "una specie di cinematografo virtuale dell'estremo oriente,
[che propone] quel tipo di film che i comuni spettatori dall'altra
parte del mondo vanno di solito a vedere".
Già a partire dalla seconda edizione la rappresentanza coreana
è decisamente nutrita. Anche a Udine viene riconosciuta una
vera e propria esplosione di questa cinematografia soprattutto
dal punto di vista della qualità dei prodotti commerciali:
d'altronde è l'anno di Shiri (Kang Je-gyu, 1999) (sei
milioni di spettatori in Corea del Sud, fino ad allora il
film di produzione nazionale più visto di tutti i tempi),
di Tell Me Something (Chang Yoon-hyun, 1999) e di Attack
The Gas Station! (Kim Sang-jin, 1999).
Negli anni successivi il Far East Film continua a crescere,
mantenendo fede alla propria mission di finestra sul
cinema commerciale di qualità, ma non disdegnando qualche
incursione nel cinema d'autore (Bad Guy di Kim Ki-duk,
ad esempio, presentato nel 2002), e dedicando attenzione anche
attraverso un prezioso lavoro di (ri)scoperta della produzione
della Golden Age, presentata nel 2003 in una ricca retrospettiva.
Nei primi anni del 2000 nascono altre manifestazioni dedicate
al cinema dell'estremo oriente, che danno spazio, più o meno
occasionalmente, anche alla cinematografia coreana, mentre
alla produzione della Corea del Sud è interamente dedicato
il Korea Film Festival di Firenze, nato nel 2003, che offre
ogni anno una panoramica di titoli di recente produzione.
L'informazione: carta stampata
e internet
Dal punto di vista dell'informazione cinematografica, non
sono molti i critici e i giornalisti che riconoscono il boom
del cinema coreano a cavallo del millennio. Si tratta per
lo più degli "orfani di Hong Kong", ovvero di quei critici
che avevano scoperto, nel corso degli anni Novanta, il cinema
hongkonghese e che, di fronte al brusco calo di vitalità del
loro oggetto di interesse nella seconda metà del decennio,
avevano allargato lo sguardo su quanto andava muovendosi in
estremo oriente e non avevano potuto fare a meno di imbattersi
nella produzione coreana.
Eccezion fatta per le corrispondenze dai festival sulle principali
riviste specializzate e di qualche approfondimento sui singoli
autori, il cinema coreano nel suo complesso non è oggetto
di particolare attenzione almeno fino allo speciale di "Segnocinema"
nel numero 116 di luglio-agosto 2002, in cui gli viene dato
ampio spazio con un paio di saggi e una ventina di schede
dei titoli più significativi degli ultimi anni.
Per molti versi analogo il percorso per ciò che concerne l'informazione
on-line: con Hong Kong in crisi, molte webzines italiane aprono
al cinema di altri paesi dell'estremo oriente e, quindi, anche
alla Corea del Sud, mentre il primo magazine on-line italiano
interamente dedicato al cinema coreano nasce nel novembre
del 2001.
DivX, Home video e TV
Se alla conoscenza indiretta del cinema dell'estremo oriente
forniscono un prezioso contributo le webzines, internet si
rivela un canale privilegiato anche per la conoscenza diretta
dei prodotti di queste cinematografie. Da un lato la diffusione
del formato di compressione video DivX, delle connessioni
internet ad alta velocità e dei sistemi peer to peer rendono
tecnicamente possibile (benché illegale) l'accesso diretto
alla conoscenza dei film, attraverso lo scambio di questi
file; dall'altro, la progressiva affermazione dello standard
DVD, e la nascita di siti dedicati alla loro vendita, consente
l'acquisto di prodotti on-line ad un numero crescente di appassionati.
Dell'esistenza di un possibile mercato in Italia si accorgono
alcune case di distribuzione home video, che inseriscono questi
film nei loro cataloghi: è il caso, fra le altre, di E-Mik
e di Dolmen. Decisamente meno rilevante la televisione: si
può solo segnalare RaiTre, che trasmette a Fuori Orario L'isola
di Kim Ki-duk e il documentario Cinema on the Road
(Cinema on the Road: un saggio sul cinema coreano di
Jang Sun-woo, 1995) di Jang Sun-woo, e MTV, che nell'ottobre
del 2004 presenta in prima serata Volcano High (Kim
Tae-kyun, 2001) e Bichunmoo (Kim Young-jun, 2000).
Analoga la situazione dei canali satellitari, almeno nei primi
anni del 2000, quando neanche la fame di contenuti portava
i responsabili degli acquisti sino in Corea del Sud e i titoli
proposti si limitano ai pochissimi distribuiti nelle sale
italiane: Perché Bodhi Dharma è partito per l'oriente?,
Bugie - Lies e Nowhere to Hide (Id., Lee Myung-se,
1999).
Negli anni successivi compare qualche altro titolo, fra cui
Bad Guy di Kim Ki-duk e Sympathy for Mr. Vengeance,
(Mr. Vendetta, Park Chan-wook), e nel febbraio del
2005 Rai Sat Cinema World propone un ciclo di undici film:
"Destinazione Corea: Kim Ki-duk e gli altri", che comprende,
oltre a quattro film di Kim (Crocodile, 1996; Birdcage
Inn, 1998; L'isola, 2000; Address Unknown,
2001) un pugno di titoli, tra cui Public Enemy (Kang
Woo-suk, 2002) e Libera Me (Yang Yun-ho, 2000).
La distribuzione commerciale
Anche l'interesse dei distributori
commerciali italiani è fenomeno recentissimo. Dopo Perché
Bodhi Dharma è partito per l'oriente?, distribuito nel
1991 da Mikado, bisogna aspettare Bugie - Lies, uscito
nel 2000 per vedere un film coreano nelle sale italiane. L'anno
successivo Mikado distribuisce, senza grande fortuna, Nowhere
to Hide, ma è solo a partire dal 2003 che le uscite si
fanno più frequenti: spinti dalla buona accoglienza della
critica e da prestigiosi riconoscimenti ai principali festival
internazionali, escono Oasis (Id.), di Lee Chang-dong
premio speciale per la regia alla Mostra di Venezia, e Chihwaseon
(Ebbro di donne e di pittura, Im Kwon-taek, 2002),
premio per la regia al Festival di Cannes, il primo distribuito
da Revolver, il secondo da BIM.
Il "film da festival" non è però l'unico prodotto interessante
per la distribuzione italiana: dopo il clamoroso successo
di Gin gwai (The Eye, Pang Brothers, 2002),
coprodotto da Gran Bretagna, Hong Kong, Singapore e Tailandia,
diventa appetibile tutta la produzione orientale, e quindi
anche coreana, di genere horror e affini: escono così nel
2004, con alterno successo, Phone (Id., Ahn Byung-ki,
2002) (Eagle Pictures), A Tale of Two Sisters (Two
Sisters, Kim Jee-won, 2003) (Medusa) e l'action-thriller
Tube (Id., Baek Woon-hak) (AB Film).
La stessa AB Film propone sul mercato italiano Resurrection
of the Little Match Girl (The Resurrection, Jang
Sun-woo, 2002): confidando nell'onda lunga del cinema orientale,
alla AB Film non si avvedono di avere tra le mani, prima che
un vertiginoso mix di generi a base fantascientifica, un costoso
esperimento linguistico d'autore non del tutto riuscito, che
già aveva deluso gli spettatori coreani. Sugli schermi italiani,
durante la sua brevissima permanenza, il film ottiene naturalmente
incassi assai modesti.
Se l'horror coreano in Italia sembra vivere tutto sommato
una buona stagione, minor fortuna sembra riscuotere il filone
presentato come "erotico": proposto al pubblico con una campagna
di comunicazione che definire allusiva risulta eufemistico,
A Good Lawyer's Wife (La moglie dell'avvocato,
Im Sang-soo, 2003), distribuito nel 2004 dal Luce, non ha
avuto buoni riscontri di pubblico, così come scarsi erano
stati i risultati di Bugie - Lies nelle sale, nonostante
la polemica veneziana.
Al contrario, sembra che riescano a trovare un proprio pubblico
i film di un filone che potremmo definire "esotico/spirituale",
ovvero "il monaco e il bambino": dopo Perché Bodhi Dharma
è partito per l'oriente?, con Spring, Summer, Fall,
Winter… and Spring (Primavera, estate, autunno, inverno…
e ancora primavera, 2003), Kim Ki-duk ha riconfermato
che il binomio film d'autore-tematiche spirituali ha un buon
appeal su una fetta consistente del pubblico italiano.
Nel 2004 il cinema coreano ottiene un'affermazione senza precedenti
ai principali festival internazionali e l'attenzione delle
case di distribuzione italiane aumenta. Nel 2005, per la prima
volta, vengono pre-acquistati per il mercato italiano due
film coreani: The Bow di Kim Ki-duk e A Thousand
Plateaus di Jang Sun-woo.
* Saggio orginariamente pubblicato
in AA. VV., Il cinema sudcoreano
e l'opera di Jang Sun-woo, a cura di Davide Cazzaro e
Giovanni Spagnoletti, Venezia, Marsilio, 2005.