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Vita Figlio di statali. Laurea in Lettere (110) con una tesi su
Elementi letterari nei testi dei cantautori italiani. «Mia madre ancora adesso si vergogna un po’ che io faccia televisione. Dovevo fare l’avvocato. M’iscrissi a Legge, anche se volevo fare Lettere. A scuola (
liceo classico Gabriello Chiabrera - ndr) ero piuttosto bravo, studiavo, non pensavo affatto a diventare presentatore. Sapevo solo questo: che a Savona non sarei rimasto. Avevo una vita normale, non mi mancava niente, sveglia la mattina, scuola, pranzo, riposino fino alle quattro, studio fino alle sette,
Happy days, cena, ripasso, sonno. D’estate le vacanze, tutti i giorni gli amici, dormire in camera col fratello più piccolo di sei anni, un fratello che io comandavo, rimproveravo, d’altra parte mio fratello era alto, atletico, forte, mentre io… all’ultimo anno mi esonerarono da ginnastica... Insomma, ero certo che me ne sarei andato, a Savona cosa potevo ottenere? La stessa vita che già conoscevo, al massimo con qualcosa in più. Ma non pensavo alla televisione, per niente. Più che altro lavoravo alle radio di Savona, sa come sono le radio locali, si fa di tutto, si apre la porta a chi suona e poi si va in voce a fare le imitazioni o a mettere musica. Ma era un gioco, quando ho cominciato avevo solo sedici anni. Radio Vecchia Savona, Radio Golfo Ligure. No, sa cosa pensavo piuttosto? Che avrei fatto il giornalista. Per i Mondiali dell’82 la Nazionale venne ad allenarsi ad Alassio. Con quest’idea di voler fare il giornalista andai con un amico mio che si chiama Paolo Foti a cercare di ottenere un accredito. Otteniamo questo accredito, che però vale solo per la mattina. Senonché, mettono la conferenza stampa al pomeriggio. Disperazione! Sa che facemmo? Entrammo dentro la mattina e quando vennero chiusi i cancelli e fatti uscire i giornalisti, ci nascondemmo in una siepe e restammo dentro. Così per tre o quattro ore, come Tom Sawyer e Huck Finn, acquattati tra i cespugli. E non perdemmo la conferenza stampa. Poi arrivò la Rai… Nell’82, per fronteggiare l’ascesa di
Berlusconi, organizzò un concorso alla ricerca di nuovi talenti. Beh, ci andai. Non avevo nessuna speranza, ma volevo vedere gli studi. Mamma mi mise il maglione a rombi girocollo e mi stirò i calzoni alla perfezione. Papà mi accompagnò con la 124 azzurra. Il provino si svolgeva nella sede
Rai di Genova, corso Europa. Entriamo e in anticamera c’è un sacco di gente disinvolta, abbronzata, ragazzi e ragazze sicuri di sé, forse addirittura mezzi professionisti, parlavano ad alta voce, insomma antipatici, mi facevano sentire un bambino di dodici anni... Mentre io di anni ne avevo diciassette… Quando arriva il mio turno, mi siedo davanti a una scrivania e dall’altra parte c’erano
Bruno Voglino e Guido Sacerdote. Voglino era molto materno, da allora lo chiamo mamma. Mi chiesero cosa sapevo fare. Io tirai fuori le voci, cioè le imitazioni. Imitavo gente a cui gli altri non pensavano, cioè Pertini,
Paolo Rossi, Gilberto Govi. Voglino diceva “bravo, bravo”, Sacerdote invece scuoteva il capo e faceva: “Ma se non gli somiglia per niente!”. Lo faceva apposta. In realtà li avevo colpiti, soprattutto perché i personaggi imitati erano strani. In ogni caso, non ci pensai più perché avevo ottenuto quello che volevo, vedere la
Rai. Tre mesi dopo mi fecero rifare un provino a Roma – a questo punto gli abbronzati della prima volta erano spariti – e alla fine mi mandarono un telegramma: “La informiamo che la
Rai si riserva di utilizzarla per le sue prossime produzioni televisive”. Sulle prime ero al settimo cielo. Poi, guardando meglio, pensai: perché “si riserva”? Se avessero voluto prendermi davvero, avrebbero scritto: “La
Rai la utilizzerà”. Dunque, mi hanno bocciato e me lo dicono in questo modo cortese. Presi il telefono e chiamai Voglino, per sapere che interpretazione bisognava dare a quel messaggio. Voglino si mise a ridere, tutto allegro mi disse: “Ma va là, ti abbiamo preso e ti chiameremo, sai quanti eravate all’inizio? Ottomila. E sai quanti siete adesso? Dieci”. Tra questi dieci c’erano Chiambretti, Iacchetti, Cecchi Paone, Faletti, Tedeschi, Poggi. Mi chiamarono in autunno per fare l’ospite in
Pronto Raffaella. La mamma mi vestì così: abito grigio cangiante, capelli lunghi, cravatta di pelle blu. Il Secolo XIX, nella sua pagina di Savona, fece il titolo: “Un savonese in tv!” Poi cominciò la cosiddetta gavetta, che a me però pare quasi di non aver fatto. Il programma della Goggi, la radio... Mi chiamò pure
Berlusconi. Mi offrì 150 milioni per andare a fare
Risatissima e
Drive in. In
Rai prendevo 80 mila lire a puntata, ma dissi di no. Pensai: qui sto come in una famiglia e poi, dopo il
Drive in, che cosa mi faranno fare? Diciamo che la indovinai. Però, quando arrivò Guglielmi venni praticamente licenziato. Avevo il contratto d’esclusiva, il che significa che, anche quando non lavori, ti mandano a casa regolarmente un assegno. A un certo punto questo assegno non arrivò più. Andai a chiedere, e alla fine mi ritrovai davanti a Guglielmi, direttore di Raitre. Il quale, molto brutalmente, disse queste testuali parole: “Fazio, la rete non ha più intenzione di utilizzarla”. Non rientravo nelle sue strategie, non corrispondevo alla tv che voleva fare. Non gliel’ho mai perdonata, lo considero con Freccero il più grande uomo di televisione in circolazione, ma non riesco a perdonargliela. È vero che è lui che poi m’ha recuperato e m’ha fatto fare
Quelli che il calcio e in questo c’è naturalmente della grandezza, perché ha saputo ricredersi. Io ero finito su Odeon tv a fare una trasmissione di intrattenimento sportivo che possiamo considerare un precursore di
Quelli che il calcio (si chiamava
Forza Italia -
ndr). L’inventore del programma però è
Marino Bartoletti che mi vide su Odeon e mi chiamò. Io m’ero fatto le ossa al talk-show alle feste di Cuore con Davide Riondino e Michele Serra».
• Tra i numerosi programmi televisivi realizzati in seguito
Diritto di replica (1991, con Sandro Paternostro),
Anima mia (1997, con
Claudio Baglioni),
Quelli che il calcio (dal 1993 su Raitre, con
Marino Bartoletti), vera invenzione televisiva capace dopo poche puntate di mettere in difficoltà (in termini di share) sia
Domenica In di Raiuno che
Buona Domenica di Canale 5 e del tutto diversa con quella che poi fece
Simona Ventura.
• Nel 1999 e nel 2000 condusse il
Festival di Sanremo, facendosi affiancare da
Renato Dulbecco e Laetitia Casta il primo anno, e da Luciano Pavarotti,
Teo Teocoli e Ines Sastre il secondo.
• Nel 2001 lasciò
Quelli che il calcio per andare a Tmc a fare un programma che poi, col cambio di proprietà della rete (passata da Cecchi Gori a Telecom), non si realizzò (si consolò con una liquidazione, in lire, plurimiliardaria).
• Da ultimo grande successo con
Che tempo che fa (dal 2003 su Raitre). Paolo Martini: «Nessuno può negare che per numeri e per influenza,
Che tempo che fa sta diventando, una settimana dopo l’altra, il vero potenziale
Porta a Porta della tv postmoderna di sinistra, l’antisalotto e pure l’antisalotto e mezzo». Cedono alle sue lusinghe, sia pure talvolta per presentare il loro ultimo libro o disco, anche personaggi molto lontani dalla tv come
Alberto Arbasino,
Maurizio Pollini,
Gillo Dorfles ecc. Nel novembre 2007
Nicoletta Mantovani raccontò a lui della sua malattia e del suo rapporto con Luciano Pavarotti. Record d’ascolti per la puntata monografica dedicata ad
Adriano Celentano (dicembre 2006): oltre sei milioni di telespettatori e il 24,81% di share (Celentano ci andò anche se nel 2001 aveva definito Fazio «un ipocrita dai modi gentilini e perbenini esperto in lavaggi del cervello»). Ha convinto a fare l’ospite anche Eco (è venuto a presentare il suo libro sulla bruttezza). Altri colpi: Biagi che annuncia il suo ritorno in tv, Montezemolo che smentisce di voler scendere in politica, Saviano che racconta com’è costretto a vivere sotto scorta, Sofri che parla del Sessantotto e del carcere.
• Nel 2006 vinse il premio “È giornalismo”.
• Vive a Celle Ligure (Savona), in una casa che
Teo Teocoli ha giudicato «abbastanza sfigata».
• Sposato dal 1994 con Gioia Selis, dal
4 novembre 2004 padre di Michele e dal 2009 di Caterina.
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Critica «Epigono della televisione abbastanza intelligente» (
Pietrangelo Buttafuoco).
• «In tutti i programmi a cui ha preso parte, ha confermato di avere la rarissima capacità di trasformare in meglio persone e cose a contatto con lui» (
Aldo Grasso).
• «Chissà dov’è il segreto di
Fabio Fazio, si chiedono i più sospettosi. Forse nel binomio di nome e cognome, direbbero gli enigmisti alla Bartezzaghi: cambio di consonante, cinque lettere, un presagio di abilità combinatoria fin dal battesimo» (
Edmondo Berselli).
• «Ormai per imporre un libro bisogna passare da Fazio» (
Sandro Curzi).
• «A quelli che non sopportano
Fabio Fazio: provate a dire perché. Barbetta odiosa. Cravattina taccagna. Sorrisetto eterno. Balbuzie studiata. Una volta aveva perfino la frangia. Ingenuo per finta. Savonese avaro e cortese. Non basta, non regge, non spiega il portentoso successo» (Il Foglio).
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Fabio Fazio non piace a nessuno. Non ai dalemiani, che lo trovano tutto figurine dei calciatori e sigle dei cartoni e insomma entelechia del veltronismo. Non a tutto-il-resto-della-sinistra, che sa bene che Fabietto è un insospettabile dalemiano. Non a destra, e figuriamoci: lì non piace mai nessuno che abbia più successo dei conduttori di destra e, siccome anche il monoscopio ha più successo dei conduttori con cui la destra fa goffi tentativi di riempimento dei palinsesti...» (Guia Soncini).
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Enrico Vaime ha detto che, quanto ad ansia, lo batte solo
Maurizio Costanzo. «Sul Messaggero smise di scrivere perché non riusciva a dir male dei programmi che non gli piacevano. E al contrario, se i giornali lo attaccano, se qualcuno lo critica, sta male: dissero (falsamente) che la sua villa di Celle era abusiva e gli venne la pitiriasi. Perfino la battutina di uno spettatore al cinema, che, seduto nella fila di dietro, rispose all’amico che gli diceva “Vedi? C’è Fazio!” con un sonoro “E chi se ne frega”, lo fece star male, prese subito a cantare la litania che la moglie Gioia deve conoscer bene, quella secondo cui bisogna sparire, bisogna nascondersi, bisogna fuggire da questo mondo brutto e televisivo» (Giorgio Dell’Arti).
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Frasi «Buonista io? Ma se detesto la beneficenza».
• «Le domande scomode sono un mito, che bisogno c’è di essere cattivi? Intanto non a caso parlo di “ospiti” e non di intervistati: nel talk show le persone sono appunto ospiti, io le tratto in modo gentile, non perché sia la strada più comoda, ma per educazione. Poi naturalmente ascolto le loro risposte – non come il giornalista potente che si ascolta la domanda e non la risposta – e se qualcosa non mi convince ribatto. Ma sempre con leggerezza: non voglio fare un interrogatorio ma una conversazione brillante».
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Politica «Stimo moltissimo Veltroni, non capisco la storia del buonismo, cosa sarebbe il buonismo?, il contrario del cattivismo? E come si potrebbe essere cattivisti? Del resto, non ho mai fatto la collezione delle figure Panini e non capisco questa mania di voler mettere a tutti i costi uno contro l’altro D’Alema e Veltroni. Veltroni rappresenta la sinistra che abbiamo sempre sognato e mentre lo affermo dichiaro anche che D’Alema è uno statista clamoroso, importantissimo, bravissimo».
• «Il centrosinistra capisce la tv meno del centrodestra. Ne diffida, la considera un genere minore».
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Tifo Sampdoria.