PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA ESPOSIZIONE INTRODUTTIVA DEL PUBBLICO MINISTERO nel processo penale n. 3538/94 N.R., instaurato nei confronti di Giulio ANDREOTTI, nato a Roma il 14.1.1919, per il reato di cui all'art. 416 C.P. (fino al 28.9.1982), e per il reato di cui all'art. 416 bis c.p. (dal 29.9.1982 in poi). CAPITOLO 1 L'OGGETTO DELLA PROVA. CAPITOLO 2 LE FONTI DI PROVA. LE DICHIARAZIONI DEI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA. CAPITOLO 3 I RISCONTRI DELLE DICHIARAZIONI DI FRANCESCO MARINO MANNOIA CAPITOLO 4 I RISCONTRI DELLE DICHIARAZIONI DI BALDASSARE DI MAGGIO. L'INCONTRO DEL 1987. CAPITOLO 5 I RAPPORTI TRA ANDREOTTI E I CUGINI SALVO. CAPITOLO 6 I RAPPORTI TRA CLAUDIO VITALONE ED I CUGINI SALVO. CAPITOLO 7 I RAPPORTI TRA COSA NOSTRA ED ESPONENTI DELLA CORRENTE ANDREOTTIANA NELLE PROVINCE DI ENNA, TRAPANI, CATANIA E CALTANISSETTA. CAPITOLO 8 I RAPPORTI TRA ANDREOTTI ED ALTRI ESPONENTI MAFIOSI CAPITOLO 9 I RAPPORTI TRA ANDREOTTI, IL GIUDICE FALCONE E IL PRESIDENTE CARNEVALE. I TENTATIVI DI AGGIUSTAMENTO DEL MAXIPROCESSO. PREMESSA. CAPITOLO 10 I RAPPORTI TRA CARNEVALE, VITALONE ED ANDREOTTI. LE FONTI DI PROVA. CAPITOLO 11 L' INTRECCIO SEQUESTRO MORO-PECORELLI-DALLA CHIESA. PREMESSA. PARAGRAFO 1 RAPPORTI TRA ANDREOTTI E COSA NOSTRA. Elenco dei principali fatti che verranno dimostrati in dibattimento. Oggetto di questo processo è la dimostrazione della responsabilità dell'imputato Giulio ANDREOTTI in ordine ai reati contestatigli di partecipazione all'associazione mafiosa Cosa Nostra. Attraverso prove testimoniali, documentali e reali l'Accusa dimostrerà che il sen. ANDREOTTI ha avuto rapporti di complicità con l'organizzazione mafiosa Cosa Nostra, e che tali rapporti si sono costituiti e sviluppati nel tempo attraverso i seguenti principali fatti: nel 1968 - subito dopo le elezioni politiche - l'on. Salvo LIMA aderisce alla corrente di ANDREOTTI, che grazie al nuovo contributo si trasforma da semplice corrente laziale (2% circa degli aderenti al partito della DC) in corrente di rilievo nazionale (10% circa), determinante per gli equilibri interni della DC(1); in quel periodo Salvo LIMA - figlio dell'uomo d'onore Vincenzo LIMA - è uno dei politici più fortemente appoggiati da Cosa Nostra (in particolare da Stefano BONTATE), ed è legatissimo ai cugini SALVO, dei quali è il principale candidato(2) ; nel 1976, dopo LIMA, ANDREOTTI accetta un accordo con Vito CIANCIMINO, legatissimo ai Corleonesi. Il patto viene stipulato a Palazzo Chigi, in un incontro cui partecipano ANDREOTTI, Salvo LIMA, Vito CIANCIMINO, Mario D'ACQUISTO, Giovanni MATTA(3). CIANCIMINO viene anche finanziato dalla corrente andreottiana (tramite Gaetano CALTAGIRONE) e a Palermo LIMA gli paga le tessere(4) ; questo accordo, in forme più o meno palesi, dura certamente fino al congresso regionale della DC di Agrigento del 1983(5) i rapporti tra ANDREOTTI e gli esponenti di Cosa Nostra dei quali l'on. LIMA è già espressione si intensificano, e diventano diretti, nel periodo 1978-1979, quando si verificano delle situazioni gravemente critiche, che inducono ANDREOTTI a servirsi di Cosa Nostra; la prima di tali situazioni è il sequestro MORO. In una prima fase della vicenda, per input di Salvo LIMA e dei cugini SALVO, BONTATE si attiva per favorire la liberazione di MORO, ed a tal fine incarica BUSCETTA di contattare le BR(6) Poi arriva il contrordine(7). Il motivo del contrordine si può individuare nel contenuto dei documenti scritti da MORO durante il sequestro: documenti in cui MORO attacca pesantemente ANDREOTTI con rivelazioni che in parte saranno rinvenute soltanto 12 anni dopo il sequestro (nel covo di via Montenevoso a Milano nell'ottobre 1990); nel periodo compreso tra il dicembre 1978 ed il gennaio 1979, il Gen. DALLA CHIESA cerca di acquisire informazioni nel circuito carcerario anche sugli scritti di MORO(8) ed ha contatti con PECORELLI(9) , il quale è pure interessato allo stesso argomento; PECORELLI viene a conoscenza di parti omesse del memoriale MORO, e dall'ottobre del 1978 sulla rivista OP intensifica gli attacchi contro ANDREOTTI e VITALONE (scandali ITALCASSE, SINDONA etc(10).); VITALONE cerca di indurlo a cessare gli attacchi (cena alla Famiglia piemontese(11) ed EVANGELISTI gli offre denaro (subito 30 milioni datigli da Gaetano CALTAGIRONE) per non fargli pubblicare il numero di OP con la copertina dedicata agli assegni del Presidente(12); il 20 marzo 1979 PECORELLI viene ucciso a Roma da Massimo CARMINATI, un killer neofascista incaricato da Danilo ABBRUCIATI (esponente della banda della Magliana ed uomo di Pippo CALO'), e da Michelangelo LA BARBERA (uomo d'onore della famiglia di Boccadifalco, a quell'epoca assai vicino anche a Stefano BONTATE). L'omicidio è stato commissionato a Cosa Nostra dai cugini SALVO per conto di ANDREOTTI(13) ed agli uomini della banda della Magliana da Claudio VITALONE(14); nello stesso periodo del 1979, presumibilmente per gli stessi motivi che determinano l'omicidio di PECORELLI (segreti di MORO riguardanti ANDREOTTI), Stefano BONTATE - "per ragioni legate a questioni che riguardavano ambienti politici cui lo stesso BONTATE era vicino" - matura il disegno di eliminare DALLA CHIESA, attribuendo il delitto alle BR; viene incaricato BUSCETTA di contattare le BR, ma queste rifiutano(15) ; in quello stesso periodo (1978-1979) si verificano altri fatti significativi; tra la fine del 1978 e il 1979 ANDREOTTI incontra in USA SINDONA, benchè questi sia già latitante per la magistratura italiana(16); sempre verso la fine del 1978 ANDREOTTI - utilizzando come tramite EVANGELISTI (allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) - fa ripetute pressioni sulla Banca d'Italia (in particolare su Mario SARCINELLI, allora Capo della Viglianza), in favore di SINDONA(17); sempre tra il 1978 ed il 1979 ANDREOTTI incontra ben 10 volte (25 luglio 1978; 1o settembre 1978; 5 ottobre 1978; 15 dicembre 1978; 8 gennaio 1979; 23 febbraio 1979; 22 marzo 1979; 26 giugno 1979; 5 settembre 1979; 21 maggio 1980) il difensore di Michele SINDONA, avv. Rodolfo GUZZI, mostrandosi più che disponibile a tutte le iniziative volte a favorire lo stesso SINDONA, sia per il salvataggio finanziario, sia per evitargli l'estradizione. A favore di SINDONA si muove, d'intesa con ANDREOTTI, anche Licio GELLI(18); nel 1979 nasce in Sicilia il caso MATTARELLA. Il presidente della Regione Siciliana, fino ad allora partecipe di equilibri politici con LIMA e lo stesso CIANCIMINO, comincia ad andare concretamente contro gli interessi di Cosa Nostra(19); nella primavera-estate del 1979 (sicuramente dopo l'omicidio di Michele REINA, commesso a Palermo il 9 marzo 1979) ANDREOTTI - in una riunione svoltasi in una riserva di caccia con Stefano BONTATE, Salvo LIMA, i cugini SALVO - viene informato del nuovo corso della politica di MATTARELLA. Prende tempo, e BONTATE commenterà: Staremo a vedere(20); 17. sempre nella primavera-estate del 1979 (tra il 1 o maggio ed il 31 agosto) - a riprova dell'intensità dei rapporti che ormai lo legano a Cosa Nostra - ANDREOTTI ha a Catania un incontro con Benedetto SANTAPAOLA, cui partecipa l'on. LIMA(21); verso la fine di ottobre del 1979 MATTARELLA - insistendo nella sua linea politica che lo ha ormai contrapposto agli interessi di Cosa Nostra e dei suoi referenti politici - ha un incontro con Virginio ROGNONI (allora Ministro dell'Interno) per manifestargli le gravi preoccupazioni che gli derivavano dall'interno del suo stesso partito; al suo capo di gabinetto, dott.ssa Maria Grazia TRIZZINO, riferisce: "Se dovesse succedere qualcosa di molto grave per la mia persona, si ricordi questo incontro con il Ministro ROGNONI, perchè a questo incontro è da ricollegare quanto di grave mi potrà accadere(22)"; proprio nello stesso periodo, si era infatti consolidato il rapporto di alleanza tra gli andreottiani e CIANCIMINO; CIANCIMINO - per input dei Corleonesi - aderisce alla corrente andreottiana(23); il 6 gennaio 1980 viene ucciso a Palermo Piersanti MATTARELLA. L'omicidio - secondo quanto riconosciuto dalla recente sentenza della Corte di Assise di Palermo -è deliberato dalla Commissione; sono d'accordo, anche se non formalmente partecipi della decisione, i cugini SALVO(24); pochi mesi dopo, ANDREOTTI ritorna in Sicilia e - in una villetta alla periferia di Palermo - incontra BONTATE, LIMA, i cugini SALVO. ANDREOTTI protesta per l'omicidio ma - quando BONTATE lo minaccia di ritirare il sostegno elettorale di Cosa Nostra alla sua corrente politica - accetta la situazione(25); ANDREOTTI - dopo aver pensato di poter utilizzare Cosa Nostra per i suoi fini di potere, e dopo le vicende del sequestro MORO, di SINDONA e di PECORELLI - non può più ritrarsi dal patto criminoso con l'organizzazione mafiosa, ma è anzi costretto a consolidarlo; infatti, anche dopo l'omicidio MATTARELLA, permangono intensi i suoi rapporti personali e politici non soltanto con l'on. LIMA, ma anche con i cugini SALVO; ANDREOTTI ha sempre negato - contro ogni evidenza - di conoscere i SALVO; e ciò ben si comprende, poichè questi rapporti rappresentano un riscontro non soltanto dei suoi rapporti con Cosa Nostra, ma anche del suo possibile coinvolgimento in gravissimi fatti specifici quali gli omicidi di PECORELLI e del gen. DALLA CHIESA; i rapporti tra ANDREOTTI e i cugini SALVO saranno invece inconfutabilmente provati mediante fotografie, e numerose testimonianze(26). Così come saranno inconfutabilmente provati i rapporti intrattenuti con i cugini SALVO dal sen. Claudio VITALONE, coinvolto infatti nell'omicidio PECORELLI(27); il 3 settembre 1982 viene ucciso a Palermo il gen. DALLA CHIESA. Il Generale - in un colloquio avuto con ANDREOTTI il 5 aprile 1982, e sempre incredibilmente negato da ANDREOTTI - aveva chiaramente detto a quest'ultimo che che non avrebbe avuto riguardi per quella parte di elettorato alla quale attingevano i suoi grandi elettori(28); e successivamente aveva definito la corrente andreottiana a Palermo la famiglia politica più inquinata del luogo, aggiungendo che gli andreottiani c'erano dentro fino al collo(29); dopo la presa del potere in Cosa Nostra da parte dei Corleonesi, i rapporti tra ANDREOTTI e Cosa Nostra diventano più difficili(30); ma - quando la corrente andreottiana non si impegna a sufficienza contro il maxi-processo, e soprattutto quando viene approvata la legge MANCINO-VIOLANTE del 17 febbraio 1987, che sostanzialmente preclude la possibilità della scarcerazione degli uomini d'onore detenuti - Cosa Nostra reagisce in occasione delle elezioni politiche del 16 giugno 1979 pilotando i consensi elettorali a favore del P.S.I.(31); la posizione di LIMA e di Ignazio SALVO - che sono sopravvissuti alla guerra di mafia del 1981-82 proprio perchè utilizzati dai Corleonesi quali tramiti con ANDREOTTI - si fa pericolosissima. ANDREOTTI è costretto ad incontrarsi con RIINA, sia per salvare la vita a LIMA, sia per non compromettere il potere della sua corrente; l'incontro con RIINA, LIMA ed Ignazio SALVO avviene a Palermo nell'autunno del 1987(32); in quel periodo, e precisamente il 20 settembre 1987, ANDREOTTI si trova a Palermo per partecipare alla Festa dell'Amicizia, e nella sua giornata c'è un vuoto di circa 4 ore (dall'ora di pranzo al tardo pomeriggio) in cui nessuno, neppure il suo abituale personale di scorta, sa dove egli sia andato(33); nel 1987 inizia l'opera di sgretolamento del maxi-processo con una lunga serie di provvedimenti della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione basati su una tecnica di valutazione delle prove (e soprattutto delle dichiarazioni dei pentiti) "che apprezzava atomisticamente ogni singolo indizio, e concludeva per ciascuno che di per sè non era idoneo a confortare le circostanze che intendeva provare, nè; a contribuire ad una valutazione di attendibilità del complesso indiziario(34)"; nel maggio-giugno 1991 il Presidente CARNEVALE designa, per la trattazione in Cassazione del maxi-processo, un collegio che - secondo le previsioni dello stesso CARNEVALE - non potrà che annullare le condanne(35); questo disegno fallisce per iniziativa del Presidente BRANCACCIO che - nell'ottobre 1991 - designa come Presidente del collegio il dott. Arnaldo VALENTE, il quale determina la conferma delle condanne, senza che gli altri componenti del collegio - come dirà lo stesso CARNEVALE - abbiano il coraggio di mettersi contro; a riprova delle dichiarazioni dei collaboranti sulla esistenza di un canale politico diretto a condizionare l'esito del maxi-processo in senso favorevole a Cosa Nostra, canale politico costituito dall'on. LIMA, Ignazio SALVO, ANDREOTTI, CARNEVALE, si dimostreranno i rapporti tra ANDREOTTI e CARNEVALE - attuati per tramite di Claudio VITALONE (e sempre negati dagli interessati) - attraverso prove fotografiche, documentali e testimonianze(36); il 30 gennaio 1992, quando la Cassazione conferma le condanne del maxi- processo, RIINA impazzisce(37); si scatena la vendetta di Cosa Nostra contro i politici che hanno tradito(38); il 12 marzo 1992 viene ucciso a Palermo Salvo LIMA; nell'estate del 1992, dopo la strage di Capaci, BRUSCA e BAGARELLA concepiscono un attentato contro ANDREOTTI, appunto perchè - dopo avere usato Cosa Nostra - ha tradito(39); il 17 settembre 1992 viene ucciso a Santa Flavia Ignazio SALVO. Nella presente esposizione introduttiva si indicheranno dunque i mezzi di prova, attraverso i quali l'Accusa dimostrerà i fatti che precedono, anche e soprattutto al fine di sottoporre al Tribunale gli elementi necessari per valutare la ammissibilità, e la pertinenza al thema decidendum: dei collaboranti, testimoni, imputati di reato connesso, ufficiali di polizia giudiziaria, consulenti dei quali si chiederà l'ammissione; dei verbali di altri procedimenti, delle sentenze, dei documenti e delle intercettazioni ambientali e telefoniche di cui si chiederà l'acquisizione. Nella esposizione verranno quindi illustrati i mezzi di prova riguardanti: L'origine e il fondamento del patto di scambio tra ANDREOTTI e Cosa Nostra; i fatti risultanti dalle convergenti dichiarazioni di ben 26 collaboratori di giustizia ed imputati di reato connesso, già appartenuti non soltanto a Cosa Nostra, ma anche ad altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (`Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Banda della Magliana, ecc.), e precisamente di: Leonardo MESSINA, Gaspare MUTOLO, Giuseppe MARCHESE, Francesco MARINO MANNOIA, Tommaso BUSCETTA, Baldassare DI MAGGIO, Mario Santo DI MATTEO, Gioacchino LA BARBERA, Salvatore CANCEMI, Gioacchino PENNINO, Vincenzo MARSALA, Antonino CALDERONE, Giovanni DRAGO, Giuseppe PULVIRENTI, Rosario SPATOLA, Bartolomeo ADDOLORATO, Paolo SEVERINO, Vito CIANCIMINO (Cosa Nostra); Antonio MAMMOLITI (`Ndrangheta calabrese); Orlando GALATI GIORDANO, Gaetano COSTA (mafia e `Ndrangheta messinese); Marino PULITO, Salvatore ANNACONDIA (`Ndrangheta pugliese e Sacra Corona Unita); Antonio MANCINI, Fabiola MORETTI, Maurizio ABBATINO (Banda della Magliana); I riscontri delle dichiarazioni di Francesco MARINO MANNOIA, concernenti gli incontri di ANDREOTTI con Stefano BONTATE, i cugini SALVO ed altri esponenti di Cosa Nostra avvenuti nel 1979 e nel 1980, con specifico riferimento: ai luoghi degli incontri; alla motivazione degli incontri, determinata dal caso MATTARELLA; I riscontri delle dichiarazioni di Baldassare DI MAGGIO concernenti l'incontro tra ANDREOTTI, LIMA, Ignazio SALVO e RIINA avvenuto nel 1987, con specifico riferimento: al luogo dell'incontro; alla possibilità dell'incontro; alla motivazione dell'incontro, susseguente alle elezioni politiche del 1987; I rapporti tra ANDREOTTI ed i cugini Antonino ed Ignazio SALVO; I rapporti tra Claudio VITALONE ed i cugini SALVO; I rapporti tra Cosa Nostra e i principali esponenti della corrente andreottiana nelle province di Enna, Trapani, Catania e Caltanissetta; I rapporti di ANDREOTTI con esponenti mafiosi di Mazara del Vallo, ed in particolare il suo incontro con Andrea MANCIARACINA; L'incontro tra ANDREOTTI e Benedetto SANTAPAOLA avvenuto a Catania nel 1979; Un intervento di Stefano BONTATE nei confronti di Mommo PIROMALLI per fare un favore ad un industriale amico di ANDREOTTI; I tentativi di aggiustamento del maxi-processo, con specifico riferimento: alla gestione del maxi-processo in Cassazione; al monitoraggio ministeriale delle sentenze della Prima Sezione penale della Corte di Cassazione, ed alle intuizioni del Giudice FALCONE; alla ricostruzione finale di una vicenda, certamente lacerante dal punto di vista istituzionale, in cui la posta in gioco era costituita dall'esito della lotta mortale intrapresa dal Giudice FALCONE e dagli altri magistrati del pool antimafia di Palermo contro Cosa Nostra; I rapporti tra CARNEVALE, VITALONE e ANDREOTTI; L' intreccio sequestro MORO-omicidio PECORELLI-omicidio DALLA CHIESA, con specifico riferimento: agli attacchi di PECORELLI contro ANDREOTTI e VITALONE; all' affare ITALCASSE; agli assegni del Presidente; al memoriale MORO ed ai rapporti tra PECORELLI e DALLA CHIESA; al ruolo di Tommaso BUSCETTA durante il sequestro MORO; ai rapporti tra ANDREOTTI e il Generale DALLA CHIESA; I rapporti tra Cosa Nostra, Michele SINDONA, Giulio ANDREOTTI, Licio GELLI e Massoneria deviata. (1) Il fatto risulta da documenti, ed è stato ammesso dallo stesso ANDREOTTI nel suo interrogatorio del 14 dicembre 1993. (2) V. tra i collaboranti BUSCETTA, MARINO MANNOIA, MUTOLO, PENNINO, CANCEMI; tra i testi Mario FASINO, Attilio RUFFINI, Vito DI MAGGIO, Francesco FILIPPAZZO, Francesco MANIGLIA etc. (3) V. in particolare dichiarazioni di D'ACQUISTO e di CIANCIMINO. (4) V. dich. CIANCIMINO e PENNINO. (5) Teste D'ACQUISTO, dich. PENNINO. (6) V.BUSCETTA, MARINO MANNOIA. (7) Ancora BUSCETTA, MARINO MANNOIA, M.llo INCANDELA - al quale ne parlano Francis TURATELLO ed il camorrista Luigi BOSSO -, il teste Giuseppe MESSINA - al quale ne parla Flavio CARBONI. (8) Testi M.llo INCANDELA, Col. Angelo TATEO. (9) Documenti, agenda PECORELLI, testi Franca MANGIAVACCA, Egidio CARENINI etc. (10) V. documenti, numeri di OP, testimonianze di collaboratori di PECORELLI. (11) Testi Walter BONINO, Carlo Adriano TESTI, Gen. Donato LO PRETE. (12) Testi EVANGELISTI, CALTAGIRONE, collaboratori di PECORELLI, etc. (13) BUSCETTA. (14) ABBATINO, MANCINI, MORETTI. (15) V. BUSCETTA, MARINO MANNOIA. (16) V. teste Edward G. HOLIDAY, agente del FBI che lo apprende dalla segretaria di ANDREOTTI in USA, Della GRATTON. (17) V. testi SARCINELLI, Avv. Rodolfo GUZZI, diario BAFFI, atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso SINDONA. (18) Teste GUZZI. (19) V. BUSCETTA, MARINO MANNOIA. (20) MARINO MANNOIA. (21) L'episodio viene riferito da un imprenditore alberghiero, Vito DI MAGGIO, il quale conosceva benissimo l'on. LIMA per averne frequentato la casa nella sua giovinezza. (22) Testi TRIZZINO, Sergio MATTARELLA, Irma CHIAZZESE. (23) V. Gioacchino PENNINO. (24) MARINO MANNOIA. (25) MARINO MANNOIA. (26) Tra gli altri, CALABRO', DE MARTINO, CIANCIMINO, FASINO, RUFFINI, SANGIORGI, IACOVONI, ACCORDINO, FORLEO, CANINO, CULICCHIA, PAZIENZA, FILIPPAZZO. (27) V. testi SBARDELLA, PALMA, SCOTTO, EVANGELISTI, DI PIERRI, BENEDETTI, PAZIENZA, CONTE. (28) V. diario. (29) V. teste Fernando DALLA CHIESA.000 (30) MARINO MANNOIA. (31) V. tra i collaboranti MARINO MANNOIA, CANCEMI, DI MAGGIO, PENNINO, DRAGO, e tra i testi lo stesso MARTELLI. (32) Baldassare DI MAGGIO. (33) V. testimonianze degli uomini di scorta, nonchè di Luca DANESE, Giuseppe CIARRAPICO, Francesco VULCANO. (34) V. testimonianze dei magistrati incricati del c.d. monitoraggio delle sentenze della Prima sezione. (35) V. dichiarazioni del Presidente Antonio BRANCACCIO, e dei magistrati di Cassazione Paolino DELL'ANNO, Umberto FELICIANGELI, Francesco PINTUS. (36) Vittorio SBARDELLA, Giuseppe CIARRAPICO, Tito BAIARDI, Mario ALMERIGHI, Claudio LO CURTO. (37) CANCEMI. (38) CANCEMI, DI MATTEO, LA BARBERA. (39) LA BARBERA. PARAGRAFO 2 LA NATURA DELLE CONDOTTE CONTESTATE NEI CAPI DI IMPUTAZIONE. L'ORIGINE E IL FONDAMENTO DEL PATTO DI SCAMBIO TRA ANDREOTTI E COSA NOSTRA. Nei capi di imputazione formulati nella richiesta di rinvio a giudizio - che perimetrano rigorosamente il thema decidendum ed il thema probandum - questa sequenza di fatti specifici è stata riassuntivamente contestata nel fatto di avere l'imputato "messo a disposizione dell'associazione mafiosa denominata Cosa Nostra, per la tutela degli interessi e per il raggiungimento degli scopi criminali della stessa, l'influenza ed il potere derivanti dalla sua posizione di esponente di vertice di una corrente politica, nonché dalle relazioni intessute nel corso della sua attività, partecipando in questo modo al mantenimento, al rafforzamento e all'espansione dell'associazione medesima". Nei medesimi capi di imputazione è stato inoltre specificato che l'imputato ha realizzato la condotta incriminata sia partecipando personalmente - in contingenze eccezionali che richiedevano il suo personale intervento - ad incontri con esponenti di vertice di Cosa Nostra, sia intrattenendo rapporti continuativi con l'associazione mafiosa tramite altri soggetti alcuni dei quali aventi posizioni di rilevante influenza politica in Sicilia, sia ponendo in essere - in varie forme e modi, ache mediati - condotte volte ad influenzare, a vantaggio dell'associazione mafiosa, individui operanti in istituzioni giudiziarie ed in altri settori dello Stato. Negli stessi capi di imputazione si sono, in particolare, sottolineati i seguenti fatti specifici, evidenziati dalle indagini e riconducibili all'imputato: personale partecipazione ad incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra, nel corso dei quali venivano discusse condotte funzionali agli interessi dell'organizzazione (in particolare, gli incontri svoltisi in Palermo ed in altra località della Sicilia nel 1979 e nel 1980, prima e dopo l'omicidio del Presidente MATTARELLA; nonchè l'incontro svoltosi a Palermo nel 1987 con il latitante Salvatore RIINA, con Salvo LIMA e con Ignazio SALVO); mantenimento di rapporti continuativi con l'associazione mafiosa per il tramite di soggetti - pur essi uomini d'onore - aventi posizioni di rilevante influenza politica a Palermo ed in Sicilia (in particolare, l'on. Salvo LIMA ed i cugini Nino ed Ignazio SALVO); rafforzamento della potenzialità criminale dell'organizzazione, in quanto, tra l'altro, l'imputato determinava nei capi di Cosa Nostra ed in altri suoi aderenti la consapevolezza della disponibilità di esso ANDREOTTI a porre in essere (in varie forme e modi, soprattutto mediati) condotte volte ad influenzare, a vantaggio dell'associazione per delinquere, individui operanti in istituzioni giudiziarie ed in altri settori dello Stato; rafforzamento, ancora ed in particolare, della capacità di intimidazione dell'organizzazione, fino al punto da ingenerare uno stato di condizionamento persino in vari collaboratori di giustizia; i quali difatti - pur dopo essersi dissociati da Cosa Nostra ed averne rivelato la struttura e le attività delittuose, ivi comprese quelle riferibili ai componenti della Commissione - si astenevano tuttavia a lungo dal riferire fatti e circostanze (relativi anche a gravi omicidi, quali ad esempio quelli di PECORELLI, MATTARELLA, DALLA CHIESA) concernenti rapporti fra Cosa Nostra ed esponenti politici, tra i quali appunto esso ANDREOTTI, per il timore - peraltro esplicitamente manifestato - di poter subire pericolose conseguenze. In sintesi - secondo le risultanze evidenziate dalle indagini, e che formeranno oggetto di prova in questo dibattimento - la condotta di partecipazione contestata si è concretata in un patto di scambio tra l'imputato e Cosa Nostra; patto di scambio che traeva origine e continuo alimento dal potere che l'imputato aveva acquisito, anche grazie all'importante contributo di Cosa Nostra, in quanto capo di una delle più importanti correnti del partito della Democrazia Cristiana. L'origine e la natura di questo patto di scambio sono intimamente connessi alle varie fasi evolutive, in termini di potenza politica, della corrente andreottiana. Come si dimostrerà in questo dibattimento, la corrente fondata dal sen. ANDREOTTI, fino al 1968, aveva una dimensione ed un respiro quasi esclusivamente regionali, con epicentro nel Lazio. La corrente compie un salto di qualità, ed assume un peso nazionale, accrescendo in modo determinante il proprio potere contrattuale all'interno del partito, quando, a far data da quell'anno, l'on. Salvo LIMA, già più volte venuto alla ribalta delle cronache nazionali e della Commissione Parlamentare Antimafia per i suoi collegamenti mafiosi, transita dalla corrente fanfaniana a quella andreottiana nella ricerca di nuovi e più ampi spazi di potere personale. L'on. LIMA porta infatti con sè, all'interno della corrente, non solo il corredo delle vaste e ramificate relazioni di potere che aveva costruito nel corso della sua pregressa attività politica all'ombra dell'on. Giovanni GIOIA ma anche, e soprattutto, il corredo delle sue organiche e risalenti relazioni con alcuni dei più importanti esponenti mafiosi, tra i quali Stefano BONTATE, Antonino e Ignazio SALVO, uomini d'onore della famiglia di Salemi a capo di un impero economico finanziario tra i più potenti dell'isola. Costoro, da quel momento, pongono al servizio della corrente andreottiana la loro enorme capacità di controllo di larghe fasce dell'elettorato e della vita interna del partito della Democrazia Cristiana, nella quale trapiantano il vasto repertorio della violenza mafiosa. Tutto questo avviene con la piena consapevolezza e volontà del sen. ANDREOTTI, il quale, infatti, da allora - come si dimostrerà - avrebbe iniziato anche ad avere rapporti diretti con BADALAMENTI, BONTATE, i cugini SALVO, e, dopo l'ascesa dei corleonesi, anche con il nuovo capo di Cosa Nostra, Salvatore RIINA. Il patto di potere tra l'imputato e Cosa Nostra diventa così indissolubile e si cementa nel tempo per la reciprocità dei vantaggi che ne conseguono. Il vantaggio personale del sen. ANDREOTTI consiste in una crescita esponenziale del suo potere all'interno del partito e, conseguentemente del suo potere tout court che, in diverse occasioni, diviene determinante per l'elezione del segretario nazionale del partito e che gli consente di sedere da protagonista al tavolo delle trattative con gli altri capicorrente per la spartizione lottizzatoria dei posti di potere in tutto il circuito politico-istituzionale. D'altra parte l'interesse di Cosa Nostra a sostenere la corrente andreottiana in Sicilia non era collegato solo agli illeciti vantaggi che l'organizzazione poteva ottenere direttamente da interventi personali del sen. ANDREOTTI, al quale ci si rivolgeva solo in casi particolari, ma soprattutto alla possibilità di avvalersi, per soddisfare gli svariati interessi dell'organizzazione che spaziavano in tutti i settori della vita politica ed amministrativa, di una struttura di potere articolata a livello nazionale e ramificata in tutti i principali settori istituzionali. Mediante l'inserimento dei propri terminali locali in tale struttura nazionale di potere, Cosa Nostra poteva infatti gestire i propri multiformi interessi all'interno del medesimo circuito in cui operava il personale politico andreottiano, utilizzando le stesse leve di potere e la stessa ragnatela di relazioni interpersonali correntizie attivabili dal personale politico di estrazione non mafiosa. Se per ANDREOTTI il sostegno di Cosa Nostra era divenuto uno dei pilastri del suo potere personale, per l'organizzazione mafiosa ANDREOTTI costituiva la chiave di accesso per entrare da coprotagonista, mediante la sua corrente, nell'area dei più importanti centri decisionali e la possibilità di uscire dal ghetto della politica di piccolo cabotaggio esercitata ai margini delle grandi correnti nazionali. Ciò che interessava a Cosa Nostra, per l'ordinaria amministrazione degli interessi dell'organizzazione, era solo che ANDREOTTI continuasse a mantenere il suo potere di capocorrente e che la sua corrente fosse a disposizione dell'organizzazione. Era sufficiente che sotto l'egida del suo potere, al cui rafforzamento Cosa Nostra aveva contribuito, operassero per conto e nell'interesse dell'organizzazione gli uomini della corrente. Solo nei momenti di crisi, veniva richiesto l'impegno diretto di ANDREOTTI. In questa prospettiva logica, l'Accusa si propone di dimostrare la natura e l'essenza giuridica della partecipazione di ANDREOTTI a Cosa Nostra. Il contributo, che l'imputato ha dato alla realizzazione degli scopi propri dell'associazione mafiosa, è consistito proprio nell'avere messo a disposizione, con la consapevole volontà di contribuire così stabilmente alla vita dell'associazione medesima, la struttura articolata di potere della sua corrente, della quale Cosa Nostra poteva usufruire direttamente per le sue molteplici necessità quotidiane senza la necessità che egli intervenisse di volta in volta personalmente. In quest'ottica, la partecipazione di ANDREOTTI ad incontri con esponenti di vertice di Cosa Nostra, i suoi rapporti con l'on. LIMA e con i cugini SALVO, ed in genere i suoi interventi personali, non vanno considerati riduttivamente solo come i momenti in cui si è esplicata ed esaurita la sua partecipazione a Cosa Nostra, ma piuttosto ed essenzialmente come momenti rivelatori: della sua piena consapevolezza dell'avvenuta e stabile trasformazione della sua corrente in Sicilia in una struttura di servizio di Cosa Nostra; della sua volontà, permanente nel tempo, di contribuire personalmente alla creazione di tale struttura di servizio, sponsorizzando l'ingresso e la crescita nella corrente di esponenti espressi direttamente da Cosa Nostra, accettando l'innesto nella vita della corrente della metodologia mafiosa, e riservandosi, infine, di intervenire personalmente solo nei casi in cui gli interventi richiesti erano necessari per mantenere o rafforzare la predetta struttura di Servizio(1) o superavano le capacità degli uomini della corrente in Sicilia(2). E' evidente, alla luce di tutto ciò, che il contributo dell'imputato alla vita dell'associazione mafiosa è stato molto più rilevante di quello fornito da molti uomini di onore formalmente "combinati", già condannati, la cui partecipazione si è esplicata nel mettere a disposizione di Cosa Nostra risorse personali enormemente più modeste di quelle dell'imputato. E' altresì evidente che tale contributo dell'imputato - per la sua rilevanza, per la sua sistematicità e per la sua continuità nel tempo - travalica ampiamente gli angusti limiti della fattispecie di cui agli artt. 110 e 416 bis C.P., ed integra invece pienamente tutti gli elementi strutturali delle fattispecie contestate nella richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 C.P. sino al 28.9.1982 e art. 416 bis C.P. per il periodo successivo), formulata a seguito della conclusione delle indagini e della valutazione delle fonti di prova acquisite. (1) Ad esempio partecipando a comozi di politici espressi da Cosa Nostra, o imponendo nella direzione nazionale del partito l'inserimento in lista degli stessi. (2) Per es. l'intervento per l'aggiustamento del maxi-processo CAPITOLO 2 LE FONTI DI PROVA. LE DICHIARAZIONI DEI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA. In questo processo le fonti di prova saranno costituite, innanzi tutto, dalle convergenti dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, appartenenti non soltanto a Cosa Nostra, ma anche ad altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (`Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Banda della Magliana, ecc.). In particolare, il contesto probatorio iniziale, acquisito a carico dell'imputato, risulta innanzitutto dal coordinamento logico-giuridico di dichiarazioni rese da numerosi collaboranti di giustizia già appartenuti a Cosa Nostra (Tommaso BUSCETTA, Vincenzo MARSALA, Antonino CALDERONE, Francesco MARINO MANNOIA, Leonardo MESSINA, Gaspare MUTOLO, Giuseppe MARCHESE, Baldassare DI MAGGIO), i quali le hanno rese in tempi diversi, senza alcun collegamento tra loro, ed in condizioni tali da assicurarne la reciproca indipendenza e la massima genuinità. Si tratta di collaboranti di grande spessore, la cui altissima attendibilità risultava già - oltre che dall'accurato vaglio di numerosi organi giudiziari, tra cui anche la Suprema Corte di Cassazione - dal fatto che l'organizzazione Cosa Nostra aveva già scatenato contro taluni di loro (Tommaso BUSCETTA, Francesco MARINO MANNOIA) la più feroce delle reazioni, con lo sterminio dei rispettivi familiari e di quanti erano stati a loro comunque vicini (1). E' particolarmente significativo che tali prime acquisizioni siano state raccolte nell'ambito delle indagini su unomicidio politico, quello dell'on. Salvo LIMA. Invero - come già poteva desumersi dalle indagini svolte nell'ambito del maxi-processo e del procedimento relativo agli omicidi REINA, MATTARELLA e LA TORRE - gli omicidi degli esponenti delle Istituzioni costituiscono uno dei segni più tangibili del profondo mutamento della politica delle "relazioni esterne" di Cosa Nostra a seguito dell'ascesa, al vertice dell'organizzazione mafiosa, della corrente corleonese agli inizi degli anni `80. Fino a quell'epoca, la corrente "moderata", facente capo a Stefano BONTATE ed a Gaetano BADALAMENTI, aveva attuato una politica di infiltrazione occulta ed orizzontale nei più vari segmenti del tessuto politico- istituzionale mediante la costruzione di una rete di complessi e variegati rapporti, ora di collusione, ora di contiguità, ora di cointeressenza con esponenti della politica e delle Istituzioni. Un rapporto di coesistenza contrattata con lo Stato, dunque, all'interno di una "logica di scambio". L'espressione di Gaetano BADALAMENTI "noi non possiamo fare la guerra allo Stato" riassumeva, nella sua plastica sinteticità, questa concezione dei rapporti tra Cosa Nostra e lo Stato. Conquistato il potere assoluto con la sistematica eliminazione di tutti gli esponenti della corrente "moderata", i corleonesi impongono - dagli inizi degli anni Ottanta in poi - la loro concezione assolutistica ed egemonica dell'esercizio del potere, non solo all'interno di Cosa Nostra, ma anche nei rapporti con il mondo politico-istituzionale. Inizia così una stagione di "terrorismo mafioso", che falcidia rappresentanti delle Istituzioni ed esponenti politici impegnati a contrastare, nei rispettivi settori, l'attività criminale di Cosa Nostra; per la prima volta, divengono bersagli anche quei politici che, a differenza del passato, non mantengono gli impegni assunti in una "logica di scambio" con l'organizzazione mafiosa. Per quanto riguarda, in particolare, l'omicidio dell'on. LIMA, le indagini compiute da quest'Ufficio hanno consentito la ricostruzione del contesto, delle motivazioni e delle finalità di questo delitto nell'ambito di una sequenza di gravissimi fatti criminosi, deliberati dall'organo di vertice di Cosa Nostra nel 1992. Come successivamente é stato confermato da acquisizioni processuali di questa e di altre Procure Distrettuali in indagini relative alle stragi di Capaci e di Via D'Amelio, nonché alle stragi dell'estate del 1993, il delitto LIMA non era che l'inizio di una "strategia di guerra", deliberata da Cosa Nostra non soltanto contro gli esponenti delle istituzioni dello Stato che avevano irriducibilmente contrastato questa organizzazione, ma anche contro quegli altri soggetti del mondo politico che, dopo avere usato" Cosa Nostra - ed avere comunque convissuto con essa in un rapporto di illecito scambio - l'avevano "tradita", non avendo più avuto la possibilità di continuare la tradizionale attività di copertura, e comunque di compiacente connivenza. Nella lista depositata da quest'Ufficio, é stato già precisato che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia verteranno, volta per volta, su vari, specifici temi di prova. (1) Per una valutazione più approfondita della personalità e della attendibilità intrinseca dei collaboranti citati nella presente esposizione, v. la richiesta di autorizzazione a procedere del 27 marzo 1993, Cap. 1. PARAGRAFO 1 LE DICHIARAZIONI DI LEONARDO MESSINA Nell'ambito della sua collaborazione con questo Ufficio - concernente in particolare l'omicidio dell'on. Salvo LIMA, ed i rapporti tra Cosa Nostra ed esponenti del mondo politico nel settore degli appalti - il collaborante Leonardo MESSINA é stato il primo a riferire notizie di rilevante interesse riguardanti direttamente anche il sen. Giulio ANDREOTTI. In questo dibattimento, il MESSINA potrà riferire circostanze di interesse processuale sui seguenti temi di prova: rapporti tra Cosa Nostra, Michele SINDONA, Giulio ANDREOTTI, Licio GELLI e massoneria deviata; interferenze di Cosa Nostra e di ANDREOTTI in procedimenti giudiziari, ed in particolare nel maxi-processo; interferenze di Cosa Nostra nelle consultazioni elettorali; la corrente andreottiana in Sicilia. In particolare - per quanto riguarda le interferenze di Cosa Nostra e di ANDREOTTI nel maxi-processo - attraverso le duchiarazioni del MESSINA l'Accusa si propone di dimostrare che: inizialmente il maxi-processo non aveva destato particolari preoccupazioni in Cosa Nostra, poiché "se le cose fossero andate male, sarebbe intervenuta la Cassazione ad annullare tutto e, al massimo, sarebbero rimaste le pene più modeste"; tutte le assicurazioni provenienti da altri importanti uomini d'onore concordavano nel senso che il processo sarebbe stato assegnato alla fine alla Prima Sezione penale della Cassazione, e quindi al presidente CARNEVALE, il quale - per Cosa Nostra - "costituiva una garanzia e non certo soltanto per le sue idee giuridiche, ma perché si diceva che era manovrabile"; quando, invece, si seppe che il processo sarebbe stato assegnato ad altro Presidente, si diffuse in Cosa Nostra un palpabile disorientamento, poichè - contrariamente alle aspettative - i capi dell'organizzazione non erano riusciti a garantire il "buon esito" del processo; ciò costituiva un affronto e, contemporaneamente, una grave preoccupazione, per cui, quando effettivamente il processo andò male, una reazione divenne - per Cosa Nostra - assolutamente necessaria al fine di "dare coraggio" agli uomini d'onore e di riaffermare la forza dell'organizzazione; tale reazione non poteva non riguardare anche i politici, i quali non avevano più garantito il "buon esito" del processo, ed anzi "avevano tollerato che CARNEVALE venisse messo da parte"; "era diffuso un ben preciso malcontento nei confronti, soprattutto, dell'ala andreottiana della Democrazia Cristiana e del gruppo craxiano del Partito Socialista, ai quali si rimproverava di essersi fatti prevaricare dalle altre correnti, formate generalmente da personaggi emergenti e più giovani, compreso fra questi ultimi il ministro della Giustizia MARTELLI". Per quanto riguarda in particolare l'on. LIMA, il MESSINA riferirà di aver saputo - per il tramite di altri uomini d'onore, tra cui l'avv. Raffaele BEVILACQUA (esponente nisseno della corrente andreottiana) - che l'uomo politico non era uomo d'onore anche se "molto vicino ad uomini di Cosa Nostra per i quali aveva costituito il tramite presso l'on. ANDREOTTI per le necessità della mafia siciliana". Egli quindi potrà precisare che: il riferimento all'on. ANDREOTTI era stato formulato nell'ambito di sue conversazioni con altri uomini d'onore in occasioni diverse; in particolare, in due circostanze gli era stato detto che "l'on. LIMA era il contatto con l'on. ANDREOTTI per le cose che interessavano Cosa Nostra, e specialmente per gli "interessamenti" concernenti processi giudiziari a carico di esponenti dell'organizzazione"; in una prima occasione queste notizie gli furono date da vari uomini d'onore - tra cui VARA Ciro (della famiglia di Vallelunga, poi ucciso), TERMINIO Cataldo (della famiglia di San Cataldo), FERRARO Salvatore (della famiglia di Caltanissetta) e VACCARO Domenico - i quali tutti affermarono che l'on. Salvo LIMA era, appunto, il tramite per l'on. ANDREOTTI e gli dissero che la loro "sicurezza sulla Cassazione erano Salvo LIMA ed ANDREOTTI"; ciò avvenne nel corso di una conversazione che si era svolta nella casa di esso MESSINA, avente per oggetto la distribuzione delle somme - provenienti da appalti - effettuata in favore delle varie famiglie di Cosa Nostra dalla "provincia", distribuzione di cui era appunto incaricato FERRARO Salvatore, ambasciatore di "Piddu" MADONIA ("rappresentante provinciale") in questo settore; dopo che si discusse di questo argomento, i presenti iniziarono a commentare l'andamento del maxi-processo, in cui era interessato - sia pure marginalmente - VARA Ciro, e spiegarono ad esso MESSINA che "non c'erano problemi"; infatti, vi erano precise garanzie che il processo in Cassazione si sarebbe risolto in una "cazzata", e tali garanzie provenivano dall'on. LIMA, dall'on. ANDREOTTI e dal Presidente della Cassazione CARNEVALE, con il quale "era stato tutto sistemato"; la seconda occasione va collocata nella giornata successiva, in cui esso MESSINA ebbe a recarsi a Bagheria da "Piddu" MADONIA (a quel tempo latitante) per riferirgli il contenuto della riunione e per narrargli compiutamente anche i commenti sulle "garanzie" fornite da LIMA, ANDREOTTI e CARNEVALE per l'esito del maxi-processo, ricevendo dal MADONIA conferma che "in effetti, non c'erano problemi". PARAGRAFO 10 LE DICHIARAZIONI DI GIOACCHINO PENNINO Ulteriori conferme dei rapporti tra l'imputato e Cosa Nostra verranno poi dalle dichiarazioni di Gioacchino PENNINO. Il PENNINO ha iniziato a collaborare con quest'Ufficio il 30 agosto 1994. Mediante l'esame di Gioacchino PENNINO, affermato professionista palermitano, medico con varie specializzazioni, militante politico dapprima nella corrente di Vito CIANCIMINO e poi in altre correnti democristiane e uomo d'onore della famiglia di BRANCACCIO, il Pubblico Ministero si propone di dimostrare in questo dibattimento la natura, le modalità e i processi di evoluzione dei rapporti tra Cosa Nostra e il mondo politico ricostruendo il quadro impressionante del potere di controllo pressochè globale esercitato dall'organizzazione mafiosa sul mondo politico palermitano anche nelle sue proiezioni nazionali. Un mondo a sovranità limitata. E ciò nel senso che anche ai più importanti esponenti dei partiti, o delle correnti dei partiti, veniva riconosciuto uno spazio di autonoma determinazione ed iniziativa soltanto nei settori attinenti alle strategie e tattiche nazionali che non coinvolgevano gli interessi dell'organizzazione mafiosa. Laddove, invece, erano comunque in gioco questi interessi - in tutti i settori politici, istituzionali e subistituzionali (Comuni, Province, Regione, Enti ed aziende pubbliche, aziende di credito, etc.) - l'autentica ed unica sovranità era quella di Cosa Nostra, che contribuiva a gestire e a determinare organigrammi, scelte ed equilibri. Questa tragica realtà verrà in particolare evidenza, allorchè si ricopercorreranno il vissuto personale del PENNINO e le sue personali conoscenze su uno dei più grandi protagonisti di questa pluridecennale egemonia: Salvo LIMA, a partire dal periodo in cui egli faceva parte, insieme a Giovanni GIOIA ed a Vito CIANCIMINO, della corrente fanfaniana, cioè di quella corrente che a Palermo aveva rappresentato tout court il potere, almeno fino al 1968, anno in cui LIMA aveva fondato in Sicilia la corrente andreottiana. In particolare, il Pubblico Ministero, nel ricostruire la natura e la ramificazione dei rapporti esistenti negli anni `50 e `60 tra uomini di Cosa Nostra e la borghesia professionale e politica di Palermo nel segno di una ordinaria convivenza, si propone di dimostrare: che particolarmente carismatica, oltre che profondamente inserita in questo contesto di ordinaria convivenza tra Cosa Nostra e borghesia dell'epoca, era la figura di Gioacchino PENNINO uomo d'onore e zio omonimo del collaboratore di giustizia, il quale aveva avuto dei trascorsi giudiziari di notevole rilievo, essendo stato implicato nel processo dei "114", fatti per i quali egli aveva subito circa due anni di detenzione nel carcere dell'Ucciardone; che persone molto vicine al predetto PENNINO senior erano Tommaso BUSCETTA, Angelo LA BARBERA, il fratello di quest'ultimo Salvatore LA BARBERA, Giacinto MAZZARA uomo d'onore della famiglia di Brancaccio, i fratelli Enzo e Saro MANCINO, Enzo SAVOCA della famiglia di Brancaccio, Gioacchino TESTA, Pietro CONTE, uomo d'onore della famiglia di Conte Federico(1), Nicola GRECO, ed un altro GRECO detto"l'ingegnere"; che negli anni `50 e `60 il Circolo di Tiro a Volo , uno dei circoli più esclusivi di Palermo, e il circolo della stampa, che aveva sede all'interno del teatro Massimo di Palermo, frequentati da Gioacchino Pennino yunior, erano luoghi di incontro e di socialità non solo di esponenti della nobiltà e della buona borghesia cittadina, ma anche da vari e qualificati esponenti di Cosa Nostra, tra i quali Michele GRECO, suo cognato Giuseppe CASTELLANA e lo stesso Tommaso BUSCETTA, circondati da rispetto ; che tra i soci del circolo della stampa vi era l'avvocato Giuseppe CERAMI,uomo d'onore della famiglia di Conte Federico(1) poi divenuto senatore e divenuto molto vicino a PENNINO yunior. che gli antichi orientamenti politici della famiglia mafiosa del PENNINO furono dapprima in favore del Partito Liberale, e poi in favore della Democrazia Cristiana a partire dal 1956, epoca in cui Francesco BARBACCIA, uomo d'onore della famiglia di Gaetano BADALAMENTI, avendo sposato qualche tempo prima una cugina del PENNINO, aveva incominciato ad interessarsi di politica, su richiesta esplicita di Salvo LIMA e del vecchio Gioacchino PENNINO, candidandosi per le comunali e divenendo assessore, primo eletto; che lo stesso PENNINO, progredendo nella sua attivit` professionale e politica, cominciò a destare le attenzioni di vari esponenti di Cosa Nostra, interessati al sempre più cospicuo pacchetto di voti che il giovane medico riusciva ad orientare. che, a questo proposito, nel 1972-73 il PENNINO fu iscritto presso la sezione D.C. di Ciaculli su iniziativa di Rosario ZARCONE, dipendente dell'azienda del gas; che in quella sezione tutti venivano iscritti da Salvatore GRECO, detto il senatore; che nel 1973 le potenzialità elettorali del PENNINO si quintuplicarono in quanto questi era stato nominato capo reparto della generica INAM per tutta provincia sicchè divennero pi[[breve]] pressanti le attenzioni di Cosa Nostra tant'Ë che anche Gaetano BADALAMENTI, allora membro dell'organo di vertice di Cosa Nostra, il c.d. Triumvirato, aveva voluto conoscere il giovane e promettente medico, che era nipote, oltretutto, del suo fidato uomo d'onore Francesco BARBACCIA; che i voti di cui il PENNINO poteva disporre vennero poco dopo (1975) richiesti ed ottenuti dall'organizzazione per uno dei suoi candidati, quel Salvatore BRONTE noto alle cronache soltanto per essere sempre stato un fedelissimo di Vito CIANCIMINO; che il BRONTE, delegato del Sindaco a Villagrazia ed impiegato alle Imposte Dirette, venne rieletto anche alle successive elezioni del 1980; mentre in un primo momento aderiva alla corrente "fanfaniana", successivamente era transitato nella corrente di CIANCIMINO. che in quel periodo, appunto, il PENNINO si avvicinò alla corrente di Vito CIANCIMINO; che tale avvicinamento si verificò in occasione di di un accordo spartitorio tra Salvo LIMA e Vito CIANCIMINO riguardante, in quel caso, l'AMAP (Azienda Municipale Acquedotti di Palermo) e la Cassa di Soccorso e Malattie per i dipendenti dell' AMAT (Azienda Municipale Autotrasporti), in forza del quale il PENNINO, con il consenso del LIMA da lui conosciuto sin da prima del 1960, fu nominato Presidente della Cassa di Soccorso e Malattie per i dipendenti AMAT ( Azienda Municipale Autotrasporti ), ente che, nella ripartizione dei centri di potere, era attribuito al CIANCIMINO con il consenso dell'on. LIMA. Il Pubblico Ministero si propone altresì di provare: che alla fine degli anni `70 il PENNINO venne formalmente combinato, assumendo la qualità di uomo d'onore riservato con una cerimonia che si svolse nell'abitazione di Giuseppe SAVOCA ed alla presenza oltre che dello stesso SAVOCA di Giuseppe DI MAGGIO, DI CACCAMO GIOACCHINO, peraltro cugino del PENNINO, e di DI PERI Pietro, tutti naturalmente uomini d'onore; che, dopo la sua affiliazione, il PENNINO conobbe personalmente o quasi tutti gli uomini d'onore della famiglia di Brancaccio, e tra questi alcuni che , avevano rapporti diretti con esponenti del mondo politico, quali, ad esempio, i fratelli LO IACONO, intimi amici e sostenitori elettorali del sen. Giuseppe CERAMI, nonchè Gioacchino Gino DI CACCAMO, cugino dello stesso PENNINO. che il DI CACCAMO, sia per le sue cospicue proprietà terriere, sia per l' influenza di Cosa Nostra nel settore della produzione e della trasformazione agricola - era diventato Presidente dell'AS.PO. (Associazione delle Cooperative dei Coltivatori Diretti) e dell'Ente che era poi subentrato a questa Associazione; che in questa attività, in un primo tempo, insieme al DI CACCAMO erano impegnati anche Giuseppe ABBATE, capo della famiglia di Roccella ed uno dei fratelli SACCONE (Orazio o Michele), uomo d'onore della famiglia di Santa Maria di Gesù che per la sua attività il DI CACCAMO aveva anche rapporti con Salvatore GRECO, uomo d'onore ed esponente di spicco della famiglia mafiosa di Ciaculli; che, a causa di questa sua particolare posizione, il DI CACCAMO aveva acquisito un notevole ascendente sulla categoria dei coltivatori diretti, e disponeva quindi di un cospicuo patrimonio di voti, che riversava su vari esponenti politici, nell'ambito della consueta logica di scambio tra Cosa Nostra e mondo politico; che i suoi candidati - a seconda delle varie contingenze elettorali - il cianciminiano Salvatore BRONTE, l'avv. Antonino COTTONE, l'on. Calogero MANNINO e l'on. Attilio RUFFINI. Il Pubblico Ministero si propone altresì di dimostrare, mediante l'esame del PENNINO, dei testi di riscontro e di documenti che saranno indicati, il completo controllo delle attività politiche svolte nel territorio da parte di Cosa Nostra, e così ad esempio,il controllo della gestione delle iscrizioni al partito, delle deleghe per le votazioni congressuali, della scelta dei candidati. In proposito, il Pubblico Ministero si propone di provare: che prima del 1980 molte erano le sezioni della DC sparse nella provincia ed in città dal 1980 in poi invece, con la istituzione dei consigli di quartiere - in numero di 25 -, a Palermo si instaurò il sistema della coincidenza delle sezioni con il quartiere stesso; che nel 1978 il PENNINO fu nominato segretario della sezione D.C. di Ciaculli, carica che mantenne fino al 1980; che accettò la nomina solo dopo avere ottenuto il benestare, da lui espressamente richiesto tramite Giuseppe DI MAGGIO , capo della famiflia mafiosa di BRANCACCIO, a Salvatore GRECO , esponente di vertice del mandamento di Ciaculli; che durante la gestione del PENNINO la sezione si riunÏ una volta sola alla "Favarella", nella tenuta del GRECO, in occasione del congresso provinciale della D.C. del 1979; che la gestione di quella sezione di partito era un mero fatto cartolare, ed era totalmente controllata da Cosa Nostra, anche nella ripartizione delle deleghe congressuali; che in proposito il GRECO stabilì che, delle cinque deleghe che spettavano alla sezione in proporzione al numero degli iscritti per partecipare alle votazioni al congresso provinciale, due andavano al PENNINO per la corrente CIANCIMINO, tre erano riservate ad esso GRECO per la sua corrente, facente capo a FANFANI, deleghe che sarebbero poi state cedute a Giuseppe INSALACO, di cui era un accanito sostenitore; che il congresso provinciale si tenne presso l'Hotel "La Zagarella", ed allo stesso partecipò anche Salvatore GRECO; che gli appartenenti alla sezione di Ciaculli erano stati quasi tutti iscritti dallo stesso Salvatore GRECO, o perlomeno con il suo consenso; che Salvatore GRECO detto il senatore svolgeva allora un ruolo molto attivo in politica, ed aveva come suoi protetti l'on. Giovanni GIOIA, l'on. Franco RESTIVO, Giuseppe INSALACO e intratteneva altresì un buon rapporto con Vito CIANCIMINO; che Salvatore GRECO, detto il "senatore", si occupava attivamente di politica, usufruendo in modo esasperato dei criteri clientelari che in quegli anni, così come nei successivi, connotavano il sistema politico; che egli girava casa per casa per procurare voti ai suoi protetti, ed in particolare all'onorevole GIOIA ed a Giuseppe INSALACO (che il PENNINO conosceva sin da ragazzino in quanto, insieme a lui ed ai suoi fratelli, frequentava i gesuiti di "Casa Professa"); che il rapporto tra GRECO ed INSALACO derivava, dal fatto che l'INSALACO era stato al seguito del ministro Franco RESTIVO; per la vicinanza con quest'ultimo, che all'epoca era un personaggio politico molto influente, egli era riuscito ad aiutare il GRECO, forse evitandogli l'irrogazione di una misura di prevenzione; Più in generale, dopo la ricostruzione delle vicende della sezione della D.C. di Ciaculli, in ordine al tema del metodo di gestione delle elezioni interne di partito, il Pubblico Ministero si propone di dimostrare che ta metodo si basava: sulla gestione verticistica, e spesso del tutto fittizia, delle iscrizioni, compiute dai capicorrente spesso all'insaputa degli interessati, ovvero con domande false, e comunque manipolate anche con la cancellazione degli iscritti sgraditi; sulla manipolazione delle elezioni interne, mediante la formazione di verbali in bianco riempiti in conformità a pregressi accordi di vertice, ovvero mediante la formazione di verbali successivamente alterati; sulla conseguente predeterminazione dei risultati dei congressi provinciali, regionali e nazionale, in relazione agli accordi di vertice. Tale metodo veniva poi avallato dalla c.d. commissione di garanzia, nella quale erano rappresentati, direttamente o tramite loro fiduciari, tutti i capicorrente. All'interno di questo sistema di gestione del partito, la c.d. base degli iscritti - quella che avrebbe dovuto teoricamente costituire la legittimazione democratica del partito - era non solo prevalentemente fittizia, ma anche e soprattutto l'espressione di investimenti finanziari certamente non leciti, e il frutto di accordi occulti tra le correnti. Nello specifico palermitano, dominato da Cosa Nostra, uno di questi accordi occulti, estremamente inquietante, era intervenuto tra Vito CIANCIMINO e Salvo LIMA. Su questa particolare circostanza - che per il suo significato ai fini delle indagini sui reali rapporti tra CIANCIMINO, LIMA e ANDREOTTI verrà approfondita più oltre, il Pubblico Ministero si propone di dimostrare: che per quanto riguarda le tessere, le relative quote venivano pagate solo da pochissimi iscritti; per il resto erano i leaders del partito a finanziare il tesseramento; che a Palermo per CIANCIMINO pagava LIMA, secondo un accordo intercorrente tra i due politici; accordo noto tra gli altri anche a GRAFFAGNINI, segraterrio provinciale della D.C. e uomo di LIMA; che la spesa sostenuta annualmente non era certo indifferente, in quanto solo per le tessere accreditate a CIANCIMINO il LIMA doveva sborsare non meno di 50 milioni di lire all'anno, per non parlare delle tessere degli "andreottiani", che erano un gran numero; che in compenso, gli uomini di CIANCIMINO in occasione dei congressi votavano per ANDREOTTI, sebbene dalla corrente "andreottiana" il predetto si fosse formalmente distanziato. In ordine ai rapporti tra LIMA, i cugini SALVO, il sen. ANDREOTTI e Vito CIANCIMINO, il Pubblico Ministero, tramite l'esame del PENNINO e di testi di riscontro, si propone di dimostrare: che sin dagli anni `60 le scelte determinanti relative alle elezioni ed alla formazione delle giunte degli organi rappresentativi venivano fatte in riunioni tra alcuni esponenti politici, tra i quali LIMA, ed uomini di Cosa Nostra; che le liste dei candidati venivano decise da LIMA, PENNINO senior e BRANDALEONE; che i rapporti tra PENNINO senior e l'onorevole Salvo LIMA erano di grande affinità sia sul piano personale che su quello politico; che ai due erano altresì molto legati Tommaso BUSCETTA e i fratelli LA BARBERA e che la loro frequentazione era molto assidua; che ,ad esempio, LIMA, GIOIA, PENNINO e Nino SORCI "u riccu" gestirono in piena armonia una speculazione edilizia su un terreno vicino il parco di Orleans; che in una riunione, Gioacchino PENNINO senior, Salvo LIMA, Tommaso BUSCETTA e il sen. CERAMI discussero della prossima formazione della Giunta Comunale di Palermo; che la riunione si svolse nella casa di Salvo LIMA, un appartamento ubicato in un palazzo del Banco di Sicilia, al quale si accedeva oltre che da un ingresso principale che dava in viale Piemonte o viale Campania, anche da un ingresso laterale che dava su viale Lazio; che scopo della riunione era quello di convincere il CERAMI ed Ernesto DI FRESCO a non entrare nella giunta comunale; che l'ascesa politica di LIMA fu determinata da Cosa Nostra, con pubbliche riunioni di politici e di uomini d'onore a Monreale, nella casa paterna dei GRECO di Croceverde Giardini e in altre località del palermitano; che nei primi anni `60, Salvo LIMA, già Sindaco di Palermo, era personalmente accompagnato a quelle riunioni dagli esponenti più noti ed autorevoli dell'organizzazione. che durante la seconda campagna elettorale per le comunali affrontata da LIMA nei primi anni `60, quando già il predetto rivestiva la carica di Sindaco essendo subentrato al sindaco in carica, deceduto, il PENNINO partecipò ad alcune riunioni tenutesi per sostenere LIMA elettoralmente, su invito di Ferdinando BRANDALEONE; che in particolare una volta a "La Rocca" poco prima di Monreale, presso la locale sezione D.C. si tenne una manifestazione alla quale il LIMA partecipò accompagnato e sostenuto da vari esponenti mafiosi tra i quali i fratelli LA BARBERA, Gioacchino PENNINO senior e PENNINO yunior, Tommaso BUSCETTA, i fratelli MANCINO e Ferdinando BRANDALEONE, compagno inseparabile del LIMA; che in un'altra occasione, sempre con le stesse persone e con LIMA, si tenne una riunione a Croce Verde Giardini a casa del padre di Michele GRECO ("e;Piddu"GRECO); che insieme al solito gruppo vi erano anche tale Arturo VITRANO, che frequentava anch'egli il Circolo della stampa ed era amico di Cecè SORCE, e Nicola GRECO, detto "Cola", uomo di notevole statura e possanza fisica; che altre riunioni con gli stessi partecipanti vennero indette in altre borgate di Palermo, ma il PENNINO non vi partecipò; che che i rapporti tra il giovane PENNINO e LIMA si erano quindi diradati, e tornarono poi più intensi e frequenti alla fine degli anni `70, allorchè Cosa Nostra aveva deciso un temporaneo riavvicinamento dei cianciminiani alla corrente andreottiana, in funzione di un nuovo equilibrio funzionale agli interessi dell'organizzazione. Al riguardo il Pubblico Ministero si propone di dimostrare che nel 1968 si verifica un evento che determina un mutamento radicale sia nell'assetto dei rapporti tra Cosa Nostra e correnti politiche della D.C., sia negli equilibri di potere della D.C. siciliana, sia - infine - negli equilibri di potere tra le correnti nazionali della D.C. Salvo LIMA, il candidato allora privilegiato di Cosa Nostra, rompe con il fanfaniano Giovanni GIOIA, e diviene il capocorrente di ANDREOTTI in Sicilia. Per converso, la corrente di ANDREOTTI, da semplice corrente laziale, si trasforma col nuovo apporto siciliano in un gruppo di potere sempre più rilevante per gli equilibri nazionali del partito. Con riferimento a questo snodo fondamentale, il Pubblico Ministero si propone di dimostrare, mediante l'esame del PENNINO e di testi di riscontro: che dal 1968 in poi si consolidò il legame tra l'onorevole LIMA e l'onorevole ANDREOTTI; che alle elezioni nazionali di quell'anno, infatti, LIMA conseguì un numero di voti superiore a quello del suo capo-corrente GIOIA; ciò determinò una frattura tra i due, che trapelò vistosamente anche all'esterno, ed il conseguente avvicinamento alla corrente "andreottiana", dalla quale LIMA non si staccò fino alla morte; che, in base all'esperienza personale del PENNINO, LIMA non aveva rapporti diretti con il suo elettorato, in quanto il suo ruolo era quello di capo corrente, e lui lasciava le incombenze relative alla gestione ed all'organizzazione dei suoi problemi elettorali e di partito a degli uomini chiave, di sua fiducia, ai quali tali compiti venivano completamente delegati pur sempre sotto il suo controllo; che tra le persone di fiducia di LIMA vi erano Ferdinando BRANDALEONE, che curava i suoi rapporti con Cosa Nostra. Francesco MINEO, che svolgeva in parte lo stesso compito, preoccupandosi altresì di organizzare tutta la politica elettorale ed economica del bagherese. Nicola GRAFFAGNINI, segretario provinciale del partito (DC), presidente dell'AMAT e dirigente dell'AMAP, e Giuseppe BLANDA di Partinico, del comitato regionale, già presidente dell'EPT, i quali ultimi si occupavano di organizzare il partito, le elezioni, i rapporti con le sezioni, i rapporti con i componenti del partito eletti nei vari consigli di amministrazione. Sebastiano PURPURA e Nando LIGGIO, che negli ultimi tempi erano le persone più vicine a LIMA, svolgendo gli stessi compiti degli ultimi due. Un altro evento personalmente vissuto dal PENNINO nel 1980 Ë stato quello dell'adesione di CIANCIMINO alla corrente di ANDREOTTI. Al riguardo il Pubblico Ministero si propone di dimostrare: che tale adesione fu decisa dagli esponenti di vertice di Cosa Nostra, in un momento storico in cui le due correnti D.C. governate dall'organizzazione - la cianciminiana dai corleonesi, e l'andreottiana dal gruppo moderato capeggiato da Stefano BONTATE - si coalizzarono per far fronte comune dinanzi al pericolo rappresentato dal nuovo corso politico di Piersanti MATTARELLA, che rischiava di sconvolgere il pluridecennale dominio dell'organizzazione sulla politica e sugli affari di Palermo e di tutta la Sicilia; che, in particolare, tra il 1979 ed il 1980 Giuseppe DI MAGGIO, capo della famiglia di Brancaccio, facendosi portavoce di una decisione dei corleonesi trasmessa tramite Michele GRECO, in quel periodo Capo della Commissione Provinciale di Palermo di Cosa Nostra, anticipò al PENNINO che alla riunione che si sarebbe tenuta di lì a poco a casa di CIANCIMINO sarebbe stata avanzata dallo stesso CIANCIMINO la proposta di aderire alla corrente di ANDREOTTI; che effettivamente alla successiva riunione venne decisa la adesione del gruppo di CIANCIMINO alla corrente di ANDREOTTI; che ANDREOTTI era al corrente, anche perchè al congresso nazionale i delegati cianciminiani votarono per lui; che lo stesso CIANCIMINO, dopo tale adesione, decise l'inserimento di alcuni suoi uomini nelle liste comunali, insieme a LIMA; che i suoi sette uomini erano CALDERONE, LO JACONO, SALVAGGIO, BRONTE, MIDOLO, MAZZUCCO (che poi non fu eletto), CIRA', a cui si aggiunse l'avvocato Nino COTTONE, proposto dai coltivatori diretti, di cui era il legale; che i consiglieri provinciali invece erano ABBATE, MAZZARA e LIBERTI; che l'avvocato COTTONE, il quale aderì al gruppo di CIANCIMINO, era parente di Salvatore GRECO detto il senatore. che qualche tempo dopo, però, il gruppo di Vito CIANCIMINO riacquistò la sua autonomia in quanto dopo l'omicidio di Piersanti MATTARELLA ed un congruo periodo di normalizzazione, era cessata la necessità del fronte comune; che dopo il conflitto interno a Cosa Nostra scoppiato nel 1981 e 1982, e la definitiva vittoria dei Corleonesi, cambiaronono nuovamente gli equilibri in quanto i Corleonesi si impossessano delle amicizie politiche dei loro avversari. E' in tale nuovo contesto di rapporti tra Cosa Nostra ed i suoi referenti politici che si spiega quanto accade - due anni dopo - al Congresso regionale della D.C. di Agrigento. I cianciminiani - ufficialmente emarginati - votarono in realtà per ANDREOTTI. Come si dimostrerà al di sotto degli apparenti contrasti tra LIMA e CIANCIMINO, i Corleonesi impongono un accordo sotterraneo tra i due gruppi e si legano ad ANDREOTTI, subentrando definitivamente in quel rapporto con questi che prima era stato gestito dai perdenti BONTADE e BADALAMENTI. Mediante l'esame del PENNINO, del collaboratore di giustizia Giovanni DRAGO, dei testi indicati ai n 189-199 dela lista depositata e di documenti che saranno indicati, il Pubblico Ministero si propone di dimostrare ulteriormente che in occasione delle elezioni politiche nazionali del 1987 il vertice di Cosa Nostra adottò la linea di penalizzare la D.C. e di sostenere il P.S.I.; linea determinata - per un verso - dall'esigenza di lanciare un pesante avvertimento ai propri referenti che, in seno alla Democrazia Cristiana, non si impegnavano a sufficienza contro il maxi-processo, e - per altro verso - dall'aspettativa che tale impegno venisse svolto dal P.S.I.. Al riguardo il P.M. si propone di provare: che nel 1987 Giovanni DRAGO, uomo d'onore della famiglia di Corso dei Mille e componente del gruppo di fuoco del mandamento di Brancaccio, comunicò al PENNINO che, per le elezioni nazionali che di lÏ a poco si sarebbero svolte, la parola d'ordine del vertice di Cosa Nostra, in tutte le sue componenti, era quella di votare per il PSI, abbandonando la DC, in quanto vi era tra l'altro un impegno del PSI e di MARTELLI in particolare di "risolvere i problemi dei mafiosi"; che in particolare si doveva quindi votare per i candidati socialisti, che erano MARTELLI, FIORINO, ALAGNA e REINA; che esponenti mafiosi svolsero in occasione di quelle elezioni un'azione di intimidazione nei confronti di attivisti della D.C. ,del P.C.I e di altri partiti, mai verificatasi negli anni precedenti nè ripetutasi negli anni successivi, impedendo l'affissione dei manifesti elettorali, la diffusione di volantini, imponendo la chiusura di comitati elettorali; che i medesimi esponenti svolsero una concreta ed incisiva azione di sostegno elettorale per il P.S.I. organizzando e finanziando con denaro dell'organizzazione mafiosa riunioni elettorali con centinaia di persone per esponenti del P.S.I. e svolgendo una capillare propaganda per quel partito; e consigliere comunale e regionale; che in effetti in effetti alle elezioni del 1987 il PSI ebbe una buona affermazione particolarmente elevata nei quartieri a più alta densità mafiosa. IL Pubblico ministero si propone altresì di fornire acquisiretramite l'esame del PENNINO, il quale ha avuto rapporti personali di conoscenza e di frequentazione con i cugini Antonino ed Ignazio Salvo, ulteriori elementi di prova circa: il notevole spessore mafioso degli esattori, nonchè i rapporti politici che determinarono la loro straordinaria potenza finanziaria, fino a renderli un nevralgico gruppo di pressione, con il quale tutto il mondo politico siciliano era costretto a confrontarsi ed a scendere a patti; la esistenza di rapporti diretti tra i cugini SALVO ed il sen. Giulio ANDREOTTI; la circostanza, già emersa da precedenti indagini, del regalo di nozze fatto dal sen. ANDREOTTI alla figlia di Nino SALVO, in occasione del suo matrimonio con Gaetano SANGIORGI. In particolare si dimostrerà: che il PENNINO conobbe personalmente i cugini SALVO qualche tempo dopo la sua affiliazione in Cosa Nostra; che l'incontro fu richiesto, per tramite di un altro uomo d'onore, dagli stessi SALVO in quanto il genero di Nino SALVO, Gaetano SANGIORGI, intendeva avviare un laboratorio di analisi nella centralissima via Principe di Belmonte di Palermo, ed a questo scopo chiedeva l'ausilio dell'esperto collega Gioacchino PENNINO; che il PENNINO fornì al SANGIORGI l'ausilio richiestogli, e da allora si instaurò tra lui, il SANGIORGI e gli stessi cugini SALVO un rapporto molto cordiale, che durò almeno fino al 1983-1984; che in un successivo incontro, anche Gaetano SANGIORGI fu presentato al PENNINO come uomo d'onore della famiglia di Salemi. che politicamente i SALVO erano vicinissimi all'on. Salvo LIMA, che era loro intimo amico e che giudicavano affidabilissimo; eguale rapporto di amicizia entrambi asserirono di avere con l'on. Giulio ANDREOTTI, che del LIMA era il principale referente; che a proposito di ANDREOTTI, i cugini SALVO specificarono che il loro rapporto di amicizia con lo stesso era diretto, nel senso che non era necessariamente mediato da LIMA; che invitarono infatti il PENNINO, qualora questi avesse avuto bisogno del detto uomo politico, a rivolgersi senz'altro a loro; che i due uomini d'onore della famiglia di Salemi, parlando del sen. ANDREOTTI, usavano un lessico quasi familiare: lo chiamavano Giulio, zio Giulio; che più precisamente, mentre Nino SALVO, riferendosi ad ANDREOTTI, lo chiamava "zio Giulio", manifestando del rispetto nei suoi confronti, Ignazio SALVO invece lo chiamava semplicemente "Giulio", quasi che i loro rapporti fossero contrassegnati da maggiore intimità ed amicizia... ; che ANDREOTTI, in occasione del matrimonio tra Angela SALVO (figlia maggiore di Nino) e Gaetano SANGIORGI, regalò agli sposi un pregiato vassoio d'argento. A proposito dei regali effettuati ai coniugi SANGIORGI-SALVO in occasione delle loro nozze, è poi emersa un'altra significativa circostanza. Mediante l'esame del noto fotografo palermitano Nicolò SCAFIDI si dimostrerà che questi svolse il servizio fotografico, comprensivo di ripresa cinematografica, delle nozze SANGIORGI-SALVO, e fotografò nella circostanza anche i regali di nozze. Tuttavia, custodì i negativi soltanto per alcuni mesi perchè - su richiesta di Nino SALVO - li consegnò a lui, compresi i provini e facendoseli pagare. Il regalo di ANDREOTTI, però, non è stato trovato. Mediante l'esame del PENNINO si chiarirà il motivo di tale mancato ritrovamento, si proverà infatti: che tra il PENNINO e Gaetano SANGIORGI detto "Tani" vi sono sempre stati ottimi rapporti, sia sul piano professionale che su quello personale, anche perchè il SANGIORGI è stato sempre grato al PENNINO per l'aiuto datogli all'inizio della sua attività professionale; negli ultimi mesi del 1993, quando già andava e veniva frequentemente dalla Croazia, dove aveva deciso di trasferirsi, esso PENNINO incontrò il SANGIORGI diverse volte presso il suo laboratorio di via Principe di Belmonte; in uno di questi incontri, nel novembre del 1993, il SANGIORGI asserì che poco tempo prima aveva subito una perquisizione da parte di agenti della DIA i quali non avevano trovato quel che cercavano, e cioè un regalo che egli aveva ricevuto dall'onorevole ANDREOTTI in occasione del suo matrimonio con la figlia di Nino SALVO; che SANGIORGI confermò che in realtà per il matrimonio il detto uomo politico gli aveva regalato un enorme vassoio d'argento, che tuttavia egli era riuscito a nascondere proprio per evitare che venisse individuato. (1) Brancaccio. PARAGRAFO 11 LE DICHIARAZIONI DI VINCENZO MARSALA Sul contesto dei rapporti tra Cosa Nostra ed esponenti politici, tra i quali l'on. Salvo LIMA, quest'Ufficio ha chiesto - nalla lista - di acquisire le dichiarazioni rese - nell'ambito del processo contro ABDEL AZIZI AFIFI + 79 (c.d. maxi-bis) - dal collaborante Vincenzo MARSALA. Questi è stato uomo d'onore della famiglia di Vicari e figlio di Mariano MARSALA, rappresentante della stessa famiglia, e la sua attendibilità è stata passata al vaglio della Corte di Assise di Palermo che, anche sulla base delle sue dichiarazioni, ha emesso sentenza di condanna per reati associativi a carico di vari esponenti mafiosi, sentenza divenuta definitiva. Da queste dichiarazioni risulterà infatti che: a proposito delle elezioni politiche ed amministrative in Sicilia, la "mafia" seguiva alcune precise regole; da sempre, l'unico partito politico per il quale si era votato era quello della Democrazia Cristiana, in quanto i suoi uomini e rappresentanti "erano quelli che proteggevano maggiormente la mafia"; in particolare Peppe MARSALA (capomandamento di Vicari) appoggiava sempre Salvo LIMA; tutta l'organizzazione appoggiava inoltre diversi altri uomini politici della D.C., come D'ACQUISTO, CAROLLO e FASINO; la regola fondamentale era che veniva ammessa propaganda politica da parte degli uomini d'onore solo in favore della D.C., mentre era severamente vietato fare propaganda e votare per i comunisti e per i fascisti; era tuttavia ammesso che si potesse talvolta votare in favore di esponenti di altri partiti politici, ma ciò a titolo puramente personale, per ricambiare favori ricevuti, e comunque con divieto di propaganda; in effetti, i contatti con gli uomini politici erano mantenuti soltanto da Peppe MARSALA, al tempo in cui egli era il capomandamento; infatti, il contatto con gli uomini politici non può essere mantenuto da un qualsiasi uomo d'onore, ma è necessariamente mantenuto soltanto da quelle persone della famiglia che, come i capimandamento, hanno un grado elevato nella gerarchia dell'organizzazione; in particolare Peppe MARSALA dava a tutti l'indicazione di votare per D'ACQUISTO, PERGOLIZZI, Salvo LIMA e Vito CIANCIMINO, e Lello OCELLI si adoperava particolarmente per le campagne elettorali di LIMA. In ordine alla attendibilità delle citate dichiarazioni del MARSALA, va ricordato quanto è stato osservato nella motivazione della richiamata sentenza emessa in data 16 aprile 1988, nel procedimento penale contro ABDEL AZIZI Afifi + 79 (c.d. maxi-bis), dalla Corte di Assise di Palermo: "Nel rapporto giudiziario del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Palermo dell'11.3.1985 sono specificamente indicati i riscontri che le indagini condotte hanno offerto alle indicazioni del MARSALA, sovente generiche a causa del modesto ruolo dell'imputato svolto in seno all'organizzazione che gli impediva di venire a conoscenza di fatti e circostanze relative ai rapporti con esponenti politici, riservati ai personaggi più autorevoli di Cosa Nostra. E se gli episodi ed i collegamenti emersi dalle dichiarazioni del MARSALA e riscontrati dalle indagini non appaiono sufficienti ad integrare illeciti aventi rilevanza penale, vanno tuttavia, sia pure per sintesi, rassegnati non solo al fine di verificare ancora una volta la sostanziale attendibilità del pentito su fatti di cui è stato spesso mero testimone, ma anche perchè attraverso essi si delinea compiutamente una realtà nella quale l'associazione mafiosa oggetto del presente procedimento risulta immersa e mediante la quale estende la sua nefasta influenza. Premesso che MARSALA Giuseppe ("Peppe"), conosciuto anche da BUSCETTA Tommaso che lo ha indicato come componente della commissione negli anni '60 (confr. interrogatorio negli U.S.A. udienza del 27.10.1987, pagg. 20-21), viene dal MARSALA Vincenzo accusato di essere stato capo-mandamento nonchè rappresentante della famiglia di Vicari, fino all'invio nel 1969 al soggiorno obbligato a Conigliano d'Otranto dove morì il 26.9.1972, risulta dalle indagini svolte che il predetto è stato in rapporti frequenti con diversi esponenti politici, così come riferito dal MARSALA Vincenzo. Ed infatti egli risulta avere intrattenuto rapporti con l' ex-esponente democristiano CIANCIMINO Vito (oggi imputato dei reati di cui agli artt. 416, 416 bis C.P. ed altro nel proc. pen. n. 1817/85 R.G. U.I. pendente in istruttoria, ma ora già definito con condanna del CIANCIMINO: nota del P.M.), secondo quanto specificamente e documentalmente indicato negli atti della I^ Commissione Parlamentare d'Inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. << Alla lista va aggiunto MARSALA Giuseppe, capo-mafia di Vicari, sottoposto al soggiorno obbligato per 4 anni. MARSALA Giuseppe è assegnatario di un quartino dell'Istituto Autonomo Case Popolari, ottenuto su segnalazione di CIANCIMINO. D'altra parte, il figlio del MARSALA, MARSALA Salvatore, è dipendente comunale, è stato autista di CIANCIMINO ed è assegnatario di un appartamento della case popolari. A sua volta il genero di MARSALA, FARINA Carlo, è impiegato all'azienda municipalizzata dell'Acquedotto e vi fu assunto per chiamata diretta. CIANCIMINO, nel corso di un procedimento penale, non negò di conoscere MARSALA e non negò che costui si fosse occupato delle sue elezioni >> Emergono, poi, contatti anche con altri esponenti di spicco della Democrazia Cristiana isolana dell'epoca. Prosegue infatti la relazione della Commissione Antimafia : <>. E dell'interessamento del DI FRESCO e del LIMA in favore del figlio del noto capo-mafia di Vicari vi è traccia scritta in una emblematica lettera datata 27.6.1959 (Vol. 6/y, Fot. 183276) ed indirizzata al predetto DI FRESCO, all'epoca consigliere comunale di Palermo, dal noto esponente democristiano LIMA Salvatore, all'epoca presidente della commissione comunale per l'assegnazione degli alloggi popolari, con la quale si comunicava che era stato assegnato un alloggio popolare al MARSALA Salvatore (<>)". Come ben si vede, le dichiarazioni del MARSALA costituiranno un significativo e puntuale riscontro ante litteram di tutte le acquisizioni successive sulla natura del rapporto instaurato - fin dagli anni `60 - da Cosa Nostra con il mondo politico e, particolarmente, ai fini che qui interessano, con esponenti della corrente andreottiana. PARAGRAFO 12 LE DICHIARAZIONI DI ANTONINO CALDERONE Particolarmente utili - per la comprensione del contesto dei rapporti mafia-politica in cui si inserisce l'oggetto di questo giudizio - saranno anche le dichiarazioni di Antonino CALDERONE. Attraverso la sua testimonianza, l'Accusa potrà fornire informazioni precise sulla forza elettorale dell'organizzazione, e, dunque, sul suo potere di scambio e di condizionamento. Risulterà infatti che: nel periodo considerato dal CALDERONE, la famiglia di Santa Maria di Gesù era la più numerosa e contava circa 200 membri; si trattava di una forza d'urto terrificante, se si tiene presente che ogni uomo d'onore, tra amici e parenti, può contare almeno su 40-50 persone, che ne seguono pedissequamente le direttive (cfr. su tale punto quanto riferirà Gaspare MUTOLO); ciò può dare la dimensione dell'importanza del ruolo che gioca la mafia nelle competizioni elettorali; é sufficiente che la regione indichi per quale partito bisogna votare, perchè su quel partito si riversino almeno decine di migliaia di voti, con l'elezione di molti candidati non ostili, anzi favorevoli, alla mafia; se si pensa che a Palermo vi erano almeno 18 mandamenti e che ognuno di essi comprende non meno di due o tre famiglie, ci si rende immediatamente conto di che cosa significhi l'appoggio della mafia nelle competizioni elettorali; a titolo di esempio, un episodio significativo avvenne a Catania quando Tino Castro, e cioè Agatino Francesco FERLITO, prese a schiaffi, in piena assemblea provinciale della Democrazia Cristiana, l'on. Giuseppe DRAGO (già capo della corrente andreottiana a Catania); e ciò perchè - mentre Tino Castro stava vantando il proprio appoggio elettorale e quello del suo gruppo - l'on. DRAGO cercò di prendere le distanze, minimizzando quell'appoggio. Attraverso la testimonianza del CALDERONE, l'Accusa dimostrerà poi un altro fatto specifico, riguardante proprio l'on. Salvo LIMA ed i cugini Antonino ed Ignazio SALVO. L'on. Salvo LIMA era elettoralmente "portato avanti" dai cugini SALVO, ai quali era legatissimo. Di conseguenza, i fratelli Giuseppe ed Antonino CALDERONE - dopo aver tentato invano di far trasferire da Catania un funzionario di Polizia, il dott. Francesco CIPOLLA, che li disturbava con le sue indagini - si rivolsero a Nino ed Ignazio SALVO, andandoli a trovare negli uffici dell'Esattoria di Palermo ed esponendo loro il problema. I cugini SALVO fissarono allora un appuntamento con "Salvino" (l'on. LIMA) a Roma. L'incontro avvenne negli uffici di Francesco MANIGLIA, siti in una via del centro storico di Roma, e vi parteciparono i fratelli Antonino e Giuseppe CALDERONE (all'epoca rappresentante della provincia di Catania), Nino SALVO e l'on. Salvo LIMA. L'on. LIMA ascoltò la loro richiesta, dicendo poi che si sarebbe interessato della faccenda. Successivamente, Giuseppe CALDERONE fu informato dai cugini SALVO che l'on. LIMA aveva tentato di far trasferire il CIPOLLA senza successo, ma che il ministro competente dell'epoca aveva detto al LIMA di pazientare un pò perchè tanto quel funzionario, di lì a poco, sarebbe andato via spontaneamente per motivi forse inerenti al lavoro di sua moglie. Ciò accadde prima che Antonino CALDERONE si desse a volontaria "clandestinità", andandosene via da Catania per Palermo, dopo aver subìto una visita dei poliziotti a casa, e quindi nell'autunno del 1976. L'on. LIMA, a suo tempo escusso dal Giudice Istruttore, ha negato di avere mai incontrato i fratelli CALDERONE, nonchè di avere ricevuto delle sollecitazioni per il trasferimento del dott. CIPOLLA. L'ing. Francesco MANIGLIA, del pari, escluderà che nei locali del suo ufficio in Roma sia avvenuto l'incontro riferito dal CALDERONE, ma ammetterà, tuttavia, alcune circostanze che avvalorano significativamente l'attendibilità delle dichiarazioni del CALDERONE. Attraverso la testimonianza del MANIGLIA si dimostrerà infatti che: gli uffici romani dell'impresa MANIGLIA e l'appartamento-studio del LIMA erano ubicati sullo stesso piano di uno stabile di via Campania n. 31, in Roma, ovvero nei pressi di via Veneto; il MANIGLIA ha intrattenuto lunghi ed intensi rapporti con i cugini SALVO, di cui era pure stato socio nella CO.SI.TUR., società che gestiva l'Hotel ZAGARELLA; i SALVO utilizzavano talvolta - anche a sua insaputa - gli uffici romani della sua impresa per incontri riservati, e lui non aveva la forza per chiedere loro spiegazioni di alcun genere, come peraltro accadeva per l'uso, in quegli anni, dell'aereo privato della sua impresa. PARAGRAFO 2 LE DICHIARAZIONI DI GASPARE MUTOLO Come si è già ricordato, Gaspare MUTOLO - coerentemente con la sua scelta di integrale e leale collaborazione - qui riferirà anche fatti concernenti esponenti del mondo politico e delle Istituzioni. In verità, alle dichiarazioni concernenti tali delicatissimi argomenti egli non è giunto immediatamente, poichè ha esternato al P.M., lealmente, la propria convinzione che la trattazione di questi temi avrebbe potuto far sorgere il rischio di strumentalizzazioni e di reazioni, suscettibili di depotenziare l'efficacia complessiva dell'azione giudiziaria contro Cosa Nostra. Tuttavia, attraverso le parole del MUTOLO, si entrerà nel contesto dei rapporti tra Cosa Nostra ed esponenti del mondo politico e di altre Istituzioni dello Stato. Secondo quanto già precisato nella lista, il MUTOLO riferirà sui seguenti temi di prova: rapporti dei cugini Antonino ed Ignazio SALVO con Giulio ANDREOTTI ed altri soggetti a lui collegati; rapporti tra Cosa Nostra, Michele SINDONA, Giulio ANDREOTTI, Licio GELLI e massoneria deviata; interferenze di Cosa Nostra e di ANDREOTTI in procedimenti giudiziari, ed in particolare nel maxi-processo; interferenze di Cosa Nostra nelle consultazioni elettorali (in particolare, nelle elezioni politiche del 1987); la corrente andreottiana in Sicilia; rapporti tra `ndrangheta e Cosa Nostra. In particolare - per quanto riguarda il tema dei rapporti tra Cosa Nostra ed esponenti del mondo politico, e specificamente dei rapporti con il sen. ANDREOTTI - attraverso le dichiarazioni del MUTOLO l'Accusa si propone di dimostrare che: negli anni `70 Cosa Nostra aveva realizzato molteplici infiltrazioni nel mondo politico e negli stessi Uffici giudiziari; la linea politica allora seguita da Cosa Nostra nei confronti di questa realtà era quella della mediazione e della convivenza; a quel tempo, era assolutamente pacifico in Cosa Nostra che si dovesse sostenere elettoralmente la Democrazia Cristiana, poichè questa era considerata il partito che poteva dare maggiori garanzie per gli interessi dell'organizzazione; la convinzione unanime era che si potesse utilmente influire, attraverso i politici, sull'operato dei tribunali; e che, inoltre, la funzione dei politici locali fosse determinante per la "politica romana" nei riguardi delle cose della Sicilia concernenti Cosa Nostra; negli anni `70, avevano "aderenze" negli ambienti del Palazzo di Giustizia di Palermo - tra gli altri - principalmente gli onorevoli Salvo LIMA e Giovanni MATTA; il LIMA era stato amico di Salvatore LA BARBERA e di suo fratello Angelo, nonchè di Francesco Paolo BONTATE (padre di Stefano); il MATTA era buon amico di Rosario RICCOBONO, il quale lo aveva anche ricevuto più volte in visita nel suo villino di Partanna Mondello; i rapporti tra Cosa Nostra e gli esponenti del mondo politico si svolgevano secondo precise regole, per cui non ogni uomo d'onore aveva facoltà di prendere contatto direttamente con l'uomo politico per i favori di cui avesse bisogno, ma il contatto doveva avvenire attraverso canali precisi - di alto livello - stabiliti dalla Commissione; prima dell'avvento dei "Corleonesi" e, comunque, prima degli anni `80, detti "canali" erano Gaetano BADALAMENTI, Salvatore GRECO"il senatore", Stefano BONTATE, Girolamo TERESI e Giacomo VITALE (cognato del BONTATE); gli esponenti politici ai quali si faceva riferimento attraverso i detti canali erano, principalmente, gli onorevoli Salvo LIMA e Giovanni GIOIA; dall'epoca in cui era divenuto parlamentare nazionale (1968) e poi europeo (1979), all'on. LIMA ci si rivolgeva per "tutte le esigenze che comportavano decisioni da adottare a Roma"; dopo l'eliminazione del BONTATE (23 aprile 1981) e l'avvento al potere dei "Corleonesi", il tramite utilizzato per rivolgersi all'on. LIMA era divenuto - pressocchè esclusivamente - Ignazio SALVO (ucciso in Santa Flavia il 17 settembre 1992). Con riferimento al tema probatorio delle interferenze di Cosa Nostra in procedimenti giudiziari, ed in particolare nel maxi-processo, attraveso le dichiarazioni del MUTOLO, debitamente riscontrate, l'Accusa si propone di dimostrare che la causale dell'omicidio dell'on. Salvo LIMA è connessa alle vicende del maxi-processo. Secondo tutti gli uomini d'onore il maxi-processo era un "processo politico", nel senso che l'andamento e l'esito sarebbero stati quelli desiderati dal "governo di Roma". Quando - contrariamente alle aspettative dei vertici di Cosa Nostra - il processo si era concluso con la conferma delle condanne e, soprattutto, con la conferma del c.d. teorema BUSCETTA, l'on. LIMA era stato ucciso perchè considerato il maggior simbolo di quella componente politica che, dopo avere attuato per moltissimi anni un rapporto di pacifica convivenza e di scambio di favori con Cosa Nostra, che riversava su di questa i propri voti, non aveva più tutelato gli interessi dell'associazione proprio in occasione del processo più importante ed aveva mostrato, anzi, di voler proseguire in una politica contraria. Il segnale lanciato nel 1987, quando tutti gli uomini d'onore avevano votato per il P.S.I., non era bastato e, quindi, era stata decisa una strategia di "rottura aperta". L'omicidio era - ad un tempo - una punizione per LIMA ed un avvertimento per ANDREOTTI. Infatti, il sen. ANDREOTTI era esattamente la persona alla quale l'on. Salvo LIMA si rivolgeva costantemente per le decisioni da adottare a Roma, che coinvolgevano interessi di Cosa Nostra. Invero, dopo l'eliminazione di Stefano BONTATE e la presa di potere dei "Corleonesi", per tutti gli interessi di Cosa Nostra che dovevano essere tutelati con decisioni o interventi da attuare a Roma, il "circuito normale" era costituito da Ignazio SALVO, dall'on. Salvo LIMA e dal sen. Giulio ANDREOTTI. Il rapporto privilegiato tra Cosa Nostra ed il sen. ANDREOTTI era, peraltro, antecedente alla presa di potere dei "Corleonesi", ed anche prima il tramite normale era costituito dall'on. LIMA. Questo rapporto privilegiato si era consolidato nel tempo con l'instaurazione di un accordo di "pacifica convivenza" e di scambi di favori tra Cosa Nostra e parte del mondo politico, di cui era componente essenziale la corrente andreottiana. Durante la prima fase del maxi-processo, già dopo l'ordinanza di rinvio a giudizio del Giudice FALCONE, alcuni fra i più autorevoli esponenti di Cosa Nostra (ad es., Mariano AGATE, Salvatore MONTALTO, Giuseppe CALO', Giuseppe BONO), alle varie rimostranze dei diversi uomini d'onore detenuti, avevano risposto lanciando un preciso messaggio di rassicurazione. Essi dicevano che bisognava continuare ad avere fiducia nella Democrazia Cristiana, poichè alla fine tutto si sarebbe risolto, grazie all'interessamento dell'on. LIMA e del sen. ANDREOTTI, confidando, in particolare, nel giudizio della Corte di Cassazione, presieduta dal dott. Corrado CARNEVALE. Secondo quanto assicuravano i predetti esponenti di Cosa Nostra, con il presidente CARNEVALE non ci sarebbe stato alcun problema per più motivi. Da un lato, secondo quanto riferivano alcuni avvocati che avevano con lui un rapporto di particolare dimestichezza, il presidente CARNEVALE poteva essere "manovrato", anche se il MUTOLO non ha mai saputo, però, poichè non gli interessava, se vi fosse una "merce di scambio" rappresentata dal versamento di somme di denaro. Per altro verso, poi, per arrivare al dott. CARNEVALE vi era appunto il canale politico, ben distinto dal primo. Questo canale politico era rappresentato dal sen. ANDREOTTI, il quale avrebbe dovuto interessare il presidente CARNEVALE per il "buon esito" del maxi-processo. Si diceva, infatti, che il sen. ANDREOTTI aveva uno speciale rapporto personale con il dott. CARNEVALE. Nonostante le assicurazioni date agli uomini d'onore, un notevole malumore era stato ovviamente determinato, in successione di tempo, da varie proposte di legge, che sembravano andare contro gli interessi di Cosa Nostra, adottate da Governi dei quali faceva parte anche il sen. ANDREOTTI. Anche in questo caso, però, gli esponenti di Cosa Nostra già indicati (MONTALTO, CALO', BONO etc.) avevano ribadito che bisognava attendere con pazienza e con fiducia. Infatti, a loro dire, queste proposte legislative erano delle "iniziative di facciata", rese necessarie dalle pressioni delle "sinistre" e dell'opinione pubblica (su tal punto, testimonierà anche Tommaso BUSCETTA). Dunque, l'on. LIMA era stato ucciso perchè simbolo di quella componente politica che, dopo essersi servita di Cosa Nostra, aveva tradito i suoi impegni proprio in occasione del maxi-processo. Dopo la sentenza del maxi, come era ovvio, il clima di "tranquillità" precedente era cambiato radicalmente. In particolare, proprio alcuni di quelli, che avevano prima predicato la pazienza ed invitato ad avere fiducia nei referenti politici dell'organizzazione, mutarono radicalmente orientamento (ad es., Salvatore MONTALTO). La frase che si sentiva ripetere era "ora ci rumpemu i corna a tutti", ed il MUTOLO preciserà che il senso vero della frase era "rompiamo le corna ad ANDREOTTI ed a tutti gli amici suoi". Fu per questo che venne ucciso l'on. LIMA, perchè bisognava mandare un "segnale al suo padrone". Nell'ambito della stessa strategia, si spiega il successivo omicidio di Ignazio SALVO. Nei riguardi del sen. ANDREOTTI, l'omicidio di LIMA costituiva, in effetti, sia una sanzione - poichè gli procurava un grave danno politico - sia un avvertimento per i suoi comportamenti futuri. Questo fatto era assolutamente pacifico tra gli uomini d'onore, e, d'altra parte, si evinceva chiaramente dai discorsi, dai comportamenti e dalle reazioni degli importanti esponenti di Cosa Nostra già menzionati. PARAGRAFO 3. LE DICHIARAZIONI DI GIUSEPPE MARCHESE A riscontro delle dichiarazioni del MUTOLO, il collaborante corleonese Giuseppe MARCHESE potrà riferire sui temi di prova concernenti: la strategia attuata da Cosa Nostra, e particolarmente da Salvatore RIINA, per condizionare l'esito del maxi-processo attraverso un preciso canale politico; la individuazione dell'on. Salvo LIMA come tramite per il "livello" politico romano; il significato dell'omicidio dell'on. LIMA nella più recente strategia di Cosa Nostra. Attraverso le sue dichiarazioni, l'Accusa si propone di dimostrare che: i vertici di Cosa Nostra (in particolare i componenti della famiglia MADONIA di Resuttana e Salvatore RIINA) avevano cerceto in ogni modo di condizionare lo svolgimento e l'esito del maxi-processo; quel che importava, soprattutto, al RIINA ed ai MADONIA era che venisse smontato il c.d. "teorema BUSCETTA" e, quindi, che venisse esclusa la responsabilità dei componenti la Commissione per tutti i gravissimi delitti attribuiti a questo organo di vertice; in particolare, i MADONIA e RIINA avevano incaricato l'on. LIMA di interessarsi del buon esito del maxi-processo, facendo un discorso molto pesante, sintetizzato nella frase "o stai ai patti o ammazziamo te e la tua famiglia"; sempre gli stessi MADONIA ed il RIINA avevano preso contatto a Roma anche con altre persone, diverse dai politici, versando loro ingenti somme di denaro, ai fini del buon esito del maxi-processo; nonostante le assicurazioni ricevute, il maxi-processo, invece, era andato poi male; in particolare, era stato confermato il c.d. "teorema BUSCETTA"; i MADONIA ed il RIINA, quindi, si erano sentiti traditi e, a causa di questo "voltafaccia" era stato deciso, quindi, l'omicidio dell'on. LIMA; la decisione, naturalmente, era stata adottata dalla Commissione provinciale di Palermo. Il MARCHESE aggiungerà poi notizie di estremo interesse per la comprensione della pi[[breve]] recente strategia dei "Corleonesi", solo apparentemente incuranti delle conseguenze delle loro azioni, ovvero che: Giuseppe MADONIA, proprio parlando dell'omicidio LIMA e, in generale, dei delitti molto eclatanti, gli aveva spiegato che "loro" (i MADONIA ed il RIINA) non nutrivano eccessive preoccupazioni sulle conseguenti reazioni dello Stato, poichè in questi casi curavano prima di assicurarsi una "base forte" a livello di politici, intendendo così fare riferimento ad appoggi di quella natura che potessero "metterli al riparo" dalle possibili conseguenze; per le ragioni già spiegate, però, il MADONIA non gli aveva precisato quali fossero questi appoggi politici a loro disposizione. E che tale ragionamento del MADONIA non fosse per nulla illogico fra il giugno ed il luglio 1992, può desumersi dal fatto che, proprio in quel periodo, pur dopo la "strage di Capaci", negli ambienti parlamentari, forensi e perfino giudiziari, nonchè sui "media", si andava ricreando un clima favorevole ad una revisione del c.d. "decreto MARTELLI" dell' 8 giugno 1992, volta a snaturarne l'efficacia e l'originario rigore. PARAGRAFO 4 LE DICHIARAZIONI DI FRANCESCO MARINO MANNOIA Altri importanti elementi di accusa contro il sen. ANDREOTTI il Pubblico Ministero si propone di acquisire in questo dibattimento mediante l’esame di Francesco MARINO MANNOIA con particolare riferimento alle dichiarazioni rese nell’interrogatorio del 3 aprile 1993, avvenuto presso l'U.S. Attorney's Office del Distretto Meridionale di New York, alla presenza - oltre che dei magistrati italiani e dei difensori del collaborante - dell'Assistant U.S. Attorney Patrick FITZGERALD. In quanto reso nell’ambito di commissione rogatoria internazionale, il verbale di interrogatorio è già stato inserito tra gli atti del fascicolo del dibattimento. La deposizione di MARINO MANNOIA verterà sui seguenti temi di prova: rapporti dei cugini Antonino ed Ignazio SALVO con Giulio ANDREOTTI ed altri soggetti a lui collegati; sequestro dell’on. Aldo MORO (circostanze attinenti al coinvolgimento di Cosa Nostra e di soggetti collegati a Giulio ANDREOTTI; rapporti tra Cosa Nostra, Michele SINDONA, Licio GELLI; interferenze di Cosa Nostra e di ANDREOTTI in procedimenti giudiziari, ed in particolare nel maxi-processo; incontri di ANDREOTTI con esponenti di Cosa Nostra; in particolare, incontri del 1979 e del 1980; interferenze di Cosa Nostra nelle consultazioni elettorali (in particolare, nelle elezioni politiche del 1987); viaggi aerei di ANDREOTTI in Sicilia; la corrente andreottiana in Sicilia; rapporti tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra; l’interessamento di Giuseppe CALO’ per l’acquisto di un quadro da parte di Giulio ANDREOTTI. Attraverso le sue dichiarazioni - e con riferimento al tema probatorio generale riguardante i cugini SALVO - l’Accusa si propone di dimostrare : che Antonino ed Ignazio SALVO erano uomini d’onore della famiglia di Salemi e che la loro appartenenza a Cosa Nostra veniva tenuta riservata all’interno della stessa organizzazione mafiosa, stante i loro importanti legami con il mondo della politica ; che entrambi i cugini SALVO frequentavano, specie negli ultimi anni precedenti alla guerra di mafia, Stefano BONTATE, ma il più assiduo dei due era Nino SALVO; che quest'ultimo era altresì grande amico di Gaetano BADALAMENTI, con cui si frequentava assiduamente e che fu proprio il BADALAMENTI a presentare i SALVO a Stefano BONTATE; che anche l'on. Salvo LIMA frequentava Stefano BONTATE ed era il personaggio politico con il quale il BONTATE aveva maggiore intimità; che più volte l’on. LIMA si incontrò con Stefano BONTATE in una casa, adibita ad ufficio, di Gaetano FIORE, pure appartenente a Cosa Nostra, nonchè, nei giorni di chiusura, nei locali del Baby Luna, locale di proprietà del predetto FIORE; che in detto locale, nel 1979, parecchi uomini d’onore della famiglia di S. Maria di Gesù si incontrarono con John GAMBINO e con un altro uomo d'onore, zio di Salvatore INZERILLO, che si chiamava anch'egli GAMBINO e che era un personaggio molto influente di Cosa Nostra americana; che nel passato, generalmente, Cosa Nostra votava per la Democrazia Cristiana, ma non vi erano particolari pressioni od organizzazioni elettorali per votare per quel partito; che nelle elezioni politiche del 1987, invece, pervenne all'interno del carcere un ordine preciso con cui si responsabilizzavano tutti gli uomini d'onore affinchè si votasse e si facessero votare familiari ed amici per il Partito Socialista Italiano; che inoltre, un po' prima, quando al Partito Radicale occorrevano, per evitare lo scioglimento, almeno 10.000 iscrizioni, dentro il carcere dell’Ucciardone gli uomini d’onore si erano quotati su iniziativa di Pippo CALO'; che quest'ultimo versò 100.000.000 di lire a detto partito; la famiglia di Santa Maria di Gesù versò 50.000.000, di cui 30.000.000 sborsati direttamente da Giovanni BONTATE; che l'iniziativa di finanziamento del Partito Radicale fu esclusivamente interna al carcere dell'Ucciardone, anche se i finanziamenti furono raccolti anche all'esterno; che per quanto concerne l'appoggio elettorale al P.S.I., l'ordine era generalizzato a tutta Cosa Nostra in Sicilia. Sul tema del coinvolgimento di Cosa Nostra nel sequestro MORO, Il Pubblico Ministero si propone di dimostrare, anche mediante l’esame del predetto collaboratore di giustizia, degli ufficiali di Polizia Giudiziaria che hanno esperito le indagini di riscontro, dei testi indicati alle pagine 21-23 della lista depositata, dei documenti che saranno indicati nel prosieguo: che dopo il sequestro dell'on. Aldo MORO, Cosa Nostra fu sollecitata da influenti esponenti della Democrazia Cristiana ad intervenire per tentare di salvarlo, e che il BONTATE - come altri - si attivò; che, a tal fine, 10-15 giorni dopo il sequestro fu tenuta una riunione della Commissione, l’organo di vertice di Cosa Nostra che la maggior parte dei componenti della Commissione, tra cui Michele GRECO, il quale all'epoca svolgeva funzioni di coordinatore, era di fede democristiana ed in contatto con i politici democristiani che "comandavano" l'economia regionale; che in sede di Commissione Giuseppe CALO', capo del mandamento di Porta Nuova, conoscitore (insieme ad Angelo COSENTINO, capo della "decina" romana di Santa Maria di Gesù) dei problemi politici romani in quanto da anni si era trasferito a Roma, dopo avere tergiversato affermando di non avere modo di intervenire, alle contestazioni del BONTATE rappresentò che esponenti di vertice della D.C. non volevano che MORO venisse liberato; che, comunque,in sede di Commissione il CALO’ era stato incaricato di operare affinchè il BUSCETTA fosse spostato in un carcere del nord , sì da potere contattare alcuni terroristi di sinistra, che aveva conosciuto durante la detenzione; che dopo poco tempo il BUSCETTA fu trasferito in altro carcere, però diverso da quello che aveva chiesto (Cuneo o Torino); che in seguito, il BONTATE apprese che il trasferimento di BUSCETTA ad un carcere diverso da quello segnalato era stato opera di CALO', e che quest'ultimo si giustificò attribuendo la responsabilità alla persona cui si era rivolto che aveva compreso male quanto richiestogli; che, in sostanza, in ordine alla posizione da assumere con riferimento alla vicenda MORO si verificò all’interno di Cosa Nostra una spaccatura in quanto da una parte vi erano Stefano BONTATE, i cugini SALVO, Gaetano BADALAMENTI ed altri, i quali, dati i loro legami politici ed al fine di acquistare maggiore prestigio, erano propensi ad intervenire per ottenere la liberazione di MORO; dall'altra parte vi erano CALO', RIINA, Michele GRECO ed altri, che, non interessati al problema, sfruttavano la vicenda per contrastare l'influenza politica di BONTATE e ridimensionare ulteriormente il suo potere mafioso. Sullo stesso tema, il Pubblico Ministero, si propone di dimostrare mediante l’esame di Tommaso BUSCETTA: che il BUSCETTA fu incaricato di prendere contatti in carcere con detenuti politici, e precisamente con appartenenti alle Brigate Rosse, per tentare di ottenere la liberazione di Aldo MORO; che, a tal fine, fu preordinato il suo trasferimento nel carcere di Torino, ove avrebbe potuto incontrare CURCIO ed altri detenuti politici, ma che inopinatamente, invece di essere trasferito a Torino, il Buscetta fu tradotto nel carcere di massima sicurezza di Cuneo, sicchè non ebbe la possibilità di contattare alcuno dei brigatisti. Sempre sullo stesso tema, il Pubblico Ministero si prone di dimostrare, mediante l’esame del teste Giuseppe MESSINA: che Flavio CARBONI, faccendiere che aveva rapporti con esponenti della banda della Magliana e interessi in affari riconducibili a Giuseppe CALO’, svolse un ruolo di "mediatore" con la mafia nel corso del sequestro dell'on. MORO (1) , incontrandosi con esponenti mafiosi, e che il vertice di Cosa Nostra, dopo avere offerto la propria collaborazione per la liberazione dell’on. Moro, ritornò sulla propria decisione non volendo più occuparsi dell’affare MORO. In connessione con lo stesso tema il Pubblico Ministero si propone di dimostrare mediante l’esame dei testi indicati alla pagina 27 della lista depositata, del teste Paolo UBERTI ( n.208 a pag. 37 della lista ), dei testi n. 68,69,70 , degli ufficiali della DIA ( p.64 e Domenico Farinacci) che hanno effetuato indagini sui viaggi aerei: che alcuni assegni riconducibili a società inserite in un circuito di interessi facenti capo a Flavio CARBONI e Giuseppe CALO’ pervennero all’on. ANDREOTTI; che l’on ANDREOTTI in occasione di uno dei suoi viaggi in Sicilia fu trasportato a bordo di un aereo privato della AIR CAPITOL, appartenente a Guseppe CIARRAPICO, aereo pilotato da Paolo UBERTI, iscritto alla P2 assunto dalla AIR CAPITOL e coinvolto nell’organizzazione della fuga di Roberto CALVI a Londra in occasione della quale aveva trasportato il boss DIOTALLEVI, esponente della banda della Magliana, a bordo di un aereo privato del predetto Flavio CARBONI, faccendiere legato al CALO’. Nella prospettiva accusatoria la ricostruzione in sede dibattimentale di questa vicenda è finalizzatta ad acquisire un riscontro "ex ante" a quanto diranno i collaboranti sul contesto dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico non soltanto siciliano ma anche nazionale. Ed infatti, la richiesta formulata da alcuni esponenti politici a Cosa Nostra, direttamente o tramite i cugini SALVO, volta ad intervenire per tentare di liberare l'on. MORO - considerata l'enorme incidenza del sequestro dello statista sulla situazione politico-istituzionale del Paese - risulterà indicativa del livello di interscambio tra Cosa Nostra e settori del mondo politico. Alla luce di tale chiave di lettura retrospettiva, e degli altri elementi sin qui evidenziati, si comprenderà vieppiù perché l'organizzazione ritenesse di poter fare pieno affidamento sulla disponibilità dei suoi referenti politici agli interventi necessari per garantire i propri interessi, e - fra questi - anche ad interventi volti a condizionare l'esito del maxi-processo. E si capirà perché il mancato rispetto di tali promesse sia stato interpretato da Cosa Nostra come una inammissibile violazione del patto di scambio esistente da molti anni. Sul tema dell’origine dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico - nei quali sarebbe stato successivamente coinvolto ANDREOTTI - il Pubblico Ministero si propone di dimostrare attraverso le dichiarazioni di MARINO MANNOIA e i testi di riscontro: che in origine, i rapporti con gli uomini politici erano tenuti principalmente da Paolino BONTATE, Vincenzo RIMI e Antonino SALAMONE; che il BONTATE, dapprima favorevole al regime monarchico, si rese poi conto delle necessità determinate dall'evoluzione dei tempi, e quindi della opportunità di stabilire un collegamento organico con la Democrazia Cristiana, la quale era allora il partito politico più importante in Italia e in Sicilia; che i rapporti con il mondo politico furono intensificati da Stefano BONTATE, dopo che egli divenne rappresentante prendendo il posto del padre; che Stefano BONTATE, al pari di Salvatore RIINA e di Giuseppe CALO', era uno degli uomini di Cosa Nostra che meglio conosceva la realtà dei rapporti di potere in campo nazionale , per cui sapeva bene che il potere di Cosa Nostra sarebbe rimasto limitato se almeno alcuni esponenti dell'organizzazione non avessero stabilito rapporti di alleanza con poteri esterni; che fu proprio per questo motivo che il BONTATE, in contrasto con l'opinione prevalente in Cosa Nostra, decise di affiliarsi ad una loggia massonica, ben comprendendo che in tal modo avrebbe potuto giovarsi di relazioni importanti che avrebbero accresciuto il suo potere ed il suo prestigio personale; che BONTATE dapprima stabilì relazioni assai strette con l'onorevole Rosario NICOLETTI (che disponeva di una villa adiacente al fondo Magliocco), e - attraverso il canale del vecchio Matteo CITARDA e di Giuseppe ALBANESE - con l'on. Salvo LIMA, appunto uomo d'onore della famiglia del CITARDA; che questi rapporti con i detti uomini politici erano intrattenuti non soltanto da Stefano BONTATE, ma anche da altri esponenti di Cosa Nostra, quali ad esempio Salvatore RIINA e Giuseppe CALO'; che in particolare, RIINA, CALO' ed altri esponenti di Cosa Nostra vicini al RIINA avevano rapporti di "intimità" con l'on. LIMA e con Vito CIANCIMINO; che nelle mani di Cosa Nostra vi era, del resto, quasi tutto l'ambiente politico di Palermo; che verso la fine degli anni ‘70, si determinò nell'ambito di Cosa Nostra una sorta di concorrenza e di antagonismo tra varie componenti, ciascuna delle quali aspirava a stabilire un rapporto privilegiato con il mondo politico; che lo stato dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico cominciò a mutare nel periodo immediatamente precedente agli omicidi di Michele REINA e di Piersanti MATTARELLA; che la ragione di quest’ultimo delitto risiede nel fatto che Piersanti MATTARELLA - dopo avere intrattenuto rapporti amichevoli con i cugini SALVO e con Stefano BONTATE, successivamente aveva mutato la propria linea di condotta; che il MATTARELLA, entrando in violento contrasto - ad es. - con l'on. Rosario NICOLETTI, voleva rompere con la mafia ed intraprendere una azione di rinnovamento della Democrazia Cristiana in Sicilia, andando contro gli interessi di Cosa Nostra; che Rosario NICOLETTI riferì l’intendimento al BONTATE e, attraverso l'on. LIMA, del nuovo atteggiamento di MATTARELLA fu informato anche l'on. ANDREOTTI; che ANDREOTTI scese a Palermo, ed incontrò BONTATE, i cugini SALVO, l'on. LIMA, l'on. NICOLETTI, Gaetano FIORE ed altri uomini d’onore; che nel corso di questo incontro - che si verificò tra la primavera e l'estate del 1979, e comunque in epoca sicuramente posteriore all'omicidio di Michele REINA (9 marzo 1979) - BONTATE e gli altri si lamentataronoi con ANDREOTTI del comportamento di MATTARELLA; che alcuni mesi dopo fu deciso l'omicidio del MATTARELLA da tutti i componenti della Commissione provinciale di Palermo, e su ciò erano perfettamente concordi, anche se formalmente estranei alla decisione, i cugini Antonino ed Ignazio SALVO; che in quel periodo gli esponenti di Cosa Nostra dei diversi schieramenti avevano "fatto la pace", anche se si trattava, come gli avvenimenti successivi avrebbero dimostrato, di una pace provvisoria e fittizia; che alcuni mesi dopo l'omicidio del MATTARELLA, Stefano BONTATE e Salvatore FEDERICO "pinzetta", Francesco MARINO MANNOIA si recarono in una piccola villa nei pressi di via Pitrè, intestata ad uno zio di Salvatore INZERILLO, ove trovarono l’on. LIMA, Salvatore INZERILLO, Michelangelo LA BARBERA, Girolamo TERESI e Giuseppe ALBANESE (cognato di Giovanni BONTATE) e forse anche Santino INZERILLO; che circa un'ora dopo il loro arrivo, sopraggiunse un'Alfa Romeo blindata di colore scuro, e con i vetri pure scuri, a bordo della quale vi erano i due cugini SALVO e l'on. ANDREOTTI; che si svolse un incontro tra l’on.ANDREOTTI e i predetti esponenti di Cosa Nostra, incontro al quale non parteciparono, poiché rimasti fuori in giardino, Francesco MARINO MANNOIA, Salvatore FEDERICO, Michelangelo LA BARBERA e, forse, Santino INZERILLO, i quali udirono però chiaramente delle grida provenire dall'interno; che quando ANDREOTTI andò via con i SALVO a bordo della citata autovettura blindata e tutti loro rimasero nella villa, BONTATE, LIMA, INZERILLO, ALBANESE e TERESI rimasero ancora un po' a discutere tra loro appartati; che ANDREOTTI partecipò al predetto incontro per avere chiarimenti sull'omicidio di MATTARELLA e che fu diffidato dall’ assumere iniziative contro la mafia in quanto, in tal caso, Cosa Nostra avrebbe ritirato il sostegno elettorale alla D.C. non solo in Sicilia ma in tutto il meridione. Per quanto riguarda il tema della successiva evoluzione dei rapporti tra ANDREOTTI e Cosa Nostra,il Pubblico Ministero, anche mediante le dichiarazioni di MARINO MANNOIA, si propone di dimostrare: che dopo l’uccisione di Stefano BONTATE, Salvatore RIINA subentrò nelle relazioni politiche intessute in precedenza dal BONTADE, le quali divennero più strette perchè anche prima LIMA e CIANCIMINO erano già vicini a RIINA; che vi fu un interessamento di Cosa Nostra per il maxi-processo; che RIINA aveva fatto sapere a pochi (fra cui Pietro LO IACONO, sua fonte) che alla fine il processo sarebbe stato annullato per interessamento del presidente CARNEVALE, in quanto questi avrebbe trovato dei vizi nel rinvio a giudizio, conseguendo il risultato di far annullare il processo; che LIMA è stato ucciso perché non era stato in grado di mantenere la promessa dell’aggiustamento del maxi-processo. (1) Sul punto, v. già l’edi ordinanza-sentenza, emessa dal G.I. di Palermo il 17.7.1987, nel proc. pen. n 112/87 R.G.U.I., vol. 2 pagg. 396 e segg., di cui si chiederà l’acquisizione. PARAGRAFO 5 LE DICHIARAZIONI DI TOMMASO BUSCETTA Per la ricostruzione del quadro complessivo dei rapporti mafia-politica sarà chiamato a testimoniare Tommaso BUSCETTA, attraverso il quale il P.M. si propone di dimostrare i seguenti temi di prova: rapporti dei cugini Antonino ed Ignazio SALVO con Giulio ANDREOTTI ed altri soggetti a lui collegati; rapporti dei cugini Antonino ed Ignazio SALVO con Claudio VITALONE; circostanze generali sull’omicidio di Carmine PECORELLI; circostanze attinenti il coinvolgimento di Cosa Nostra e di Giulio ANDREOTTI nel sequestro dell’on. Aldo MORO; interferenze di Cosa Nostra e di ANDREOTTI in procedimenti giudiziari; incontri di ANDREOTTI con esponenti di Cosa Nostra, e in particolare con Gaetano BADALAMENTI; interferenze di Cosa Nostra nelle consultazioni elettorali; corrente andreottiana in Sicilia. In particolare, attraverso il BUSCETTA, l’Accusa si propone di dimostrare - oltre all’origine dei rapporti tra Cosa Nostra e pezzi del mondo politico - che: negli anni ‘60, Cosa Nostra a Palermo sosteneva elettoralmente - in prevalenza - la Democrazia Cristiana, in quanto ritenuta il partito capace di opporsi più efficacemente alla minaccia comunista; non vi erano indicazioni vincolanti per un determinato candidato, ma che ciascun uomo d'onore aveva facoltà di sostenere elettoralmente un candidato di sua scelta, purchè nell'ambito dei partiti indicati; naturalmente, ricevevano maggiori consensi i candidati che erano essi stessi uomini d'onore, come il monarchico Giuseppe GUTTADAURO (rappresentante della famiglia di Corso Calatafimi), i democristiani Giuseppe TRAPANI (consigliere della sua famiglia), Antonino SORCI (della famiglia di Villagrazia di Palermo, omonimo del cugino detto "Ninu u riccu") e Giuseppe CERAMI (poi divenuto senatore e "combinato" nella famiglia di Santa Maria di Gesù); i cennati democristiani, in quel periodo, erano assessori o consiglieri del Comune di Palermo, mentre sindaco era Salvo LIMA ed assessore all'edilizia Vito CIANCIMINO; naturalmente, vi erano uomini d'onore - anche se in una proporzione minore - pure nel negli anni ‘60, Cosa Nostra a Palermo sosteneva elettoralmente - in prevalenza - la Democrazia Cristiana, in quanto ritenuta il partito capace di opporsi più efficacemente alla minaccia comunista; non vi erano indicazioni vincolanti per un determinato candidato, ma che ciascun uomo d'onore aveva facoltà di sostenere elettoralmente un candidato di sua scelta, purchè nell'ambito dei partiti indicati; naturalmente, ricevevano maggiori consensi i candidati che erano essi stessi uomini d'onore, come il monarchico Giuseppe GUTTADAURO (rappresentante della famiglia di Corso Calatafimi), i democristiani Giuseppe TRAPANI (consigliere della sua famiglia), Antonino SORCI (della famiglia di Villagrazia di Palermo, omonimo del cugino detto "Ninu u riccu") e Giuseppe CERAMI (poi divenuto senatore e “combinato” nella famiglia di Santa Maria di Gesù); i cennati democristiani, in quel periodo, erano assessori o consiglieri del Comune di Palermo, mentre sindaco era Salvo LIMA ed assessore all'edilizia Vito CIANCIMINO; naturalmente, vi erano uomini d'onore - anche se in una proporzione minore - pure nell'Assemblea regionale siciliana; allora Salvo LIMA era il candidato della famiglia dei fratelli Salvatore ed Angelo LA BARBERA (Palermo centro), alla quale apparteneva il padre del parlamentare, Vincenzo, mentre altro candidato della stessa famiglia era il deputato nazionale Giovanni GIOIA; i rapporti tra BUSCETTA e LIMA erano così cordiali che, nel 1961 o 1962, dovendo il LIMA recarsi negli U.S.A. quale componente di una delegazione del Comune di Palermo, BUSCETTA gli fece una lettera di presentazione per Joe BONANNO e Charles GAMBINO; per questa presentazione LIMA, al ritorno dal viaggio, ebbe a ringraziarlo in una sua villa di Mondello; in un'altra occasione BUSCETTA prese contatti con LIMA; e fu quando BUSCETTA e Salvatore LA BARBERA ottennero - con l’intervento di LIMA - una "variante di destinazione" nel piano regolatore per un'area in via Brigata Verona dapprima prevista come verde agricolo e, poi, tramutata in zona edificabile; in una successiva occasione, il LIMA rese un altro favore illecito, permettendo l'elevazione di due piani in una costruzione di via Cirrincione, cui BUSCETTA era interessato insieme al costruttore Giuseppe ANNALORO; nel 1972 l’on. LIMA era divenuto "il candidato" dei cugini Antonino ed Ignazio SALVO; i cugini SALVO, a loro volta, erano grandissimi amici di Stefano BONTATE e Gaetano BADALAMENTI e non avevano difficoltà a far pervenire al parlamentare le loro richieste, per il tramite dei SALVO; nell'estate del 1980, vi fu un incontro personale a Roma con il LIMA, in un albergo di via Veneto, su richiesta dello stesso uomo politico e per il tramite di Nino SALVO; Nino SALVO avanzò la richiesta proprio nella casa di Pippo CALO', ove si trattenne a pranzare, insieme a BUSCETTA, a CALO' ed alla moglie di quest'ultimo; nel corso di quest'incontro, l’on. LIMA parlò di affari politici concernenti Palermo, esponendo che Vito CIANCIMINO continuava ad essere un problema spinoso; Nino SALVO rappresentò che il vero problema era costituito dai "Corleonesi", i quali gestivano in maniera assoluta il CIANCIMINO per tutte le questioni politiche e per gli affari; il SALVO, inoltre, in sintonia con BONTATE, RICCOBONO, INZERILLO e Gigino PIZZUTO, sollecitò BUSCETTA ad accettare un posto in Commissione che lo stesso CALO' aveva già offerto, in sua sostituzione; il motivo della proposta mirava a far sì che BUSCETTA potesse così contenere l'invadenza dei Corleonesi e ricomporre, quindi, un equilibrio accettabile per tutti; Nino SALVO, in particolare, si aspettava da ciò di moderare i Corleonesi e le pretese del CIANCIMINO nell'ambito della Democrazia Cristiana, così agevolando la posizione di LIMA nel partito. Si passerà, quindi, a provare - sempre attraverso BUSCETTA - i rapporti con i "referenti romani" dell’on. LIMA, esplicitando i seguenti temi: che Salvo LIMA era effettivamente l'uomo politico a cui principalmente Cosa Nostra si rivolgeva per le questioni di interesse dell'organizzazione, che dovevano trovare una soluzione a Roma; che il "referente politico nazionale", cui Salvo LIMA si rivolgeva per le questioni di interesse di Cosa Nostra che dovevano trovare una soluzione a Roma, era Giulio ANDREOTTI; che il LIMA non era l'unico tramite tra i più importanti esponenti di Cosa Nostra e l'on. ANDREOTTI; che Gaetano BADALAMENTI stesso si era personalmente incontrato a Roma con Giulio ANDREOTTI, accompagnato da Filippo RIMI ed uno dei cugini SALVO. Il livello del rapporto esistente tra Cosa Nostra e questo pezzo del mondo politico, anche con riferimento alla persona dell'onorevole ANDREOTTI costituirà un altro specifico tema di indagine dibattimentale, finalizzata a provare attraverso il BUSCETTA : che, con riguardo all’omicidio DALLA CHIESA, il BUSCETTA nel 1979 ebbe l’incarico - su mandato del BONTATE - di contattare qualche esponente delle Brigate Rosse, per verificare se queste erano disponibili a rivendicare l’omicidio del Gen. DALLA CHIESA, in caso di uccisione di quest’ultimo; che all’uopo fu avvicinato il brigatista Lauro AZZOLINI; che l’AZZOLINI declinò l’offerta; che il BONTATE, nel 1980, manifestò il sospetto che DALLA CHIESA volesse diventare capo dello Stato italiano con "un'azione di forza"; che l'omicidio PECORELLI era stato deciso da BONTATE e da BADALAMENTI, su richiesta dei cugini SALVO; che analoga versione di questo omicidio fu data da Gaetano BADALAMENTI; che si era trattato di un delitto politico richiesto ai SALVO dall'on. ANDREOTTI; che PECORELLI stava appurando intrighi politici collegati al sequestro MORO; che ANDREOTTI era preoccupato che potessero trapelare segreti inerenti al sequestro dell'on. MORO, che anche il DALLA CHIESA conosceva; che i SALVO avevano con ANDREOTTI un rapporto addirittura più intenso di quello dello stesso on. LIMA; che i SALVO chiamavano confidenzialmente Giulio ANDREOTTI "lo zio"; che PECORELLI e DALLA CHIESA erano a conoscenza di segreti sul sequestro MORO, così infastidendo l'on. ANDREOTTI. Su questi temi verrà chiamata a testimoniare una fonte probatoria di grande autorevolezza: Richard MARTIN, già stretto collaboratore di Giovanni FALCONE nella sua qualità di magistrato della Procura Federale del Distretto Meridionale di Manhattan (New York City), poi Rappresentante Speciale dell' U.S. General Attorney, ed infine Special Assistant U.S. Attorney presso la Procura Federale del Distretto Meridionale di New York, per contribuire alle indagini sulla strage di Capaci. Attraverso l’avv. MARTIN il P.M. si propone di provare i seguenti temi: che, già nel corso di un colloquio svoltosi nel 1985 negli USA, Tommaso BUSCETTA aveva indicato che c'era un "livello politico" dei rapporti di Cosa Nostra; che l’incontro con il BUSCETTA avvenne durante la preparazione della sua testimonianza nel processo "pizza connection"; che al colloquio assistette soltanto l'Agente Speciale D.E.A. Anthony PETRUCCI, il quale si è sempre occupato della protezione negli USA del BUSCETTA; che, secondo la legislazione statunitense, BUSCETTA non poteva sottrarsi a nessuna domanda di esso Procuratore Federale; che, avendo ben compreso la spiegazione di esso MARTIN sull’obbligo di dire la verità nel processo "pizza connection", BUSCETTA rappresentò subito che ciò avrebbe comportato un problema difficilissimo da affrontare in quel periodo storico, non soltanto in Italia ma anche negli U.S.A., aggiungendo che se comunque gli fosse stata posta quella domanda, egli avrebbe detto la verità, facendo il nome di ANDREOTTI; che del colloquio avuto con BUSCETTA esso MARTIN aveva avvertito gli altri magistrati della Procura federale che si occupavano del processo "pizza connection", cioè Louis FREEH (attuale Direttore del F.B.I.), Robert STEWART (adesso in pensione, e fino a poco tempo fa capo della Sezione Anticrimine organizzato della Procura Federale del New Jersey) e Robert BUCKNAM (attuale capo ufficio presso il F.B.I.); che, nel 1992, dopo la strage di Capaci, essendo egli stato nominato "Special Assistant U.S. Attorney" presso la Procura Federale del Distretto Meridionale di New York per contribuire alle indagini sul piano internazionale, BUSCETTA gli comunicò che era pronto a "parlare di tutto". PARAGRAFO 6 LE DICHIARAZIONI DI BALDASSARE DI MAGGIO Gli elementi di prova acquisiti nei confronti dell'imputato troveranno ulteriore conferma nelle dichiarazioni che verranno rese, in questo dibattimento, da Baldassare DI MAGGIO, il collaborante "corleonese" che ha fornito un contributo decisivo per la cattura di Salvatore RIINA, eseguita dai Carabinieri del R.O.S. il 15 gennaio 1993; e ciò per quanto attiene, in particolare: alla determinazione di Cosa Nostra di lanciare un avvertimento alla D.C. in occasione delle consultazioni politiche nazionali del 1987; alla strategia perseguita dall'organizzazione per il condizionamento del maxi-processo, attraverso un circuito costituito da Ignazio SALVO, dall'on. LIMA e dal sen. Giulio ANDREOTTI. Con riferimento al primo tema, attraverso la testimonianza del DI MAGGIO ed i relativi riscontri l'Accusa dimostrerà che i capi di Cosa Nostra decisero il comportamento da seguire in occasione delle elezioni politiche del 1987 in una riunione cui presero parte - tra gli altri - lo stesso DI MAGGIO, Salvatore RIINA, Antonino MADONIA, Salvatore CANCEMI. La riunione era stata convocata dal RIINA per stabilire se i voti di Cosa Nostra dovessero confluire sulla D.C. ovvero sul P.S.I., poichè i democristiani "non facevano il loro dovere". Infatti, il RIINA lamentava che la D.C. non aiutava l'organizzazione in relazione all'andamento del maxi-processo. L'incontro si concluse con la decisione di votare per il P.S.I. e, in particolare, per l'on. MARTELLI, non già perchè quest'ultimo avesse legami con Cosa Nostra, ma per "dare uno schiaffo" alla D.C. Fu consentito tuttavia, a seguito di un'osservazione in tal senso di Antonino MADONIA, di continuare a votare singoli candidati democristiani, purchè fossero "amici" e si prestassero ancora ad aiutare le famiglie con cui avevano rapporti. Risulterà, inoltre, che il DI MAGGIO ebbe ad incontrare personalmente i cugini Antonino ed Ignazio SALVO, congiuntamente o separatamente, in tre occasioni successive: una prima volta, in epoca anteriore all'arresto di Bernardo BRUSCA (24 novembre 1985), il DI MAGGIO aveva accompagnato i SALVO in una casetta di campagna - in località Aquino di Monreale - ove li attendeva appunto il BRUSCA, che ebbe con loro un colloquio privato; in una seconda occasione, sempre in epoca anteriore all'arresto del BRUSCA, egli aveva accompagnato i SALVO in località Dammusi di San Giuseppe Jato, ove erano attesi da Bernardo BRUSCA e da Salvatore RIINA. Anche in questo caso, il DI MAGGIO non aveva partecipato al colloquio, che durò circa 2 o 3 ore; infine, nella terza occasione (in epoca, questa volta, successiva all'arresto di Bernardo BRUSCA), il DI MAGGIO era stato incaricato dal RIINA di portare personalmente un messaggio ad Ignazio SALVO. Qual era il contenuto di questo messaggio? RIINA voleva un appuntamento per incontrare l'on. ANDREOTTI. L'incontro era poi effettivamente avvenuto nella casa palermitana di Ignazio SALVO nel pomeriggio di un giorno collocato alcuni mesi dopo le elezioni politiche del giugno 1987 (quindi nell'estate-autunno). Quel giorno Salvatore RIINA, tramite Michelangelo LA BARBERA, convocò il DI MAGGIO per le ore 14.30 in un magazzino vicino ad un "pollaio" dietro la Casa del Sole (individuato dalla p.g.). RIINA giunse all'appuntamento accompagnato da Giuseppe SANSONE (1) con una utilitaria, e prese posto con il DI MAGGIO a bordo della Golf bianca di quest'ultimo, dicendogli che, da soli, dovevano andare da Ignazio SALVO. Giunti davanti al cancello del garage dell'edificio in cui abitava il SALVO, essi trovarono Paolo RABITO, che aprì loro il cancello e fece parcheggiare la macchina nel garage. Con un ascensore privato, RIINA, DI MAGGIO e RABITO salirono nella casa di Ignazio SALVO, il quale li fece entrare in una stanza, ove si trovavano l'on. Giulio ANDREOTTI e l'on. Salvo LIMA, i quali si alzarono e li salutarono; il DI MAGGIO strinse la mano ai due deputati, e baciò Ignazio SALVO. RIINA, invece, salutò con un bacio tutte e tre le persone (ANDREOTTI, LIMA e Ignazio SALVO), mentre il DI MAGGIO subito dopo andò, insieme al RABITO, in un'altra stanza. Dopo un po' di tempo (circa 3 ore - 3 ore e mezza), richiamato da Ignazio SALVO, il DI MAGGIO ritornò nel salone-studio, salutò le persone che erano ancora lì presenti (e cioè l'on. ANDREOTTI e l'on. LIMA), stringendo loro la mano, e se ne andò con il RIINA. Egli non aveva mai visto prima, né rivide più in seguito, di presenza, né l'on. ANDREOTTI, né l'on. LIMA, e dopo quell'incontro non rivide più neanche Ignazio SALVO. Come si vede, anche le dichiarazioni del DI MAGGIO confermeranno integralmente l'esattezza del quadro che forniranno gli altri collaboranti in ordine: alla strategia politica adottata da Cosa Nostra, in occasione delle competizioni elettorali del 1987; al livello del "rapporto di scambio" tra Cosa Nostra e taluni esponenti politici. Inoltre, le precisazioni che fornirà il DI MAGGIO sulla collocazione temporale dell'incontro e sull'oggetto del colloquio (a lui del tutto ignoto) appaiono coerenti con una ricostruzione delle linee evolutive di quel rapporto di scambio che, anche secondo altri collaboranti, cominciava ad incrinarsi già nel 1987, e comunque in epoca anteriore alla sentenza emessa dalla Corte di Cassazione nel maxi-processo. (1) tratto in arresto per appartenenza a Cosa Nostra, poco dopo la cattura di RIINA Salvatore, e recentemente condannato per il reato di cui all'art.416 bis c.p. PARAGRAFO 7 LE DICHIARAZIONI DI MARIO SANTO DI MATTEO Altri elementi a sostegno dell'accusa risulteranno dalle dichiarazioni del collaborante Mario Santo DI MATTEO, il quale - esponendo quanto a sua conoscenza sull'omicidio dell'on. Salvo LIMA - riferirà anche circostanze riguardanti il sen. ANDREOTTI e i tentativi di aggiustamento del max- processo. Con riferimento alla motivazione dell'omicidio LIMA, attraverso la testimonianza del DI MATTEO l'Accusa dimostrerà la connessione di questo delitto con la strategia adottata da Cosa Nostra nei confronti del mondo politico durante lo svolgimento del maxi-processo. Risulterà infatti che: la causale dell'omicidio LIMA si collega all'esito del maxi- processo, negativo, come è noto, per Cosa Nostra; in presenza del DI MATTEO, più volte Antonino GIOE' e Giovanni BRUSCA, ed una volta anche Leoluca BAGARELLA, discussero di tale argomento sia prima che dopo l'omicidio, indicando senza equivoci nella decisione della Corte di Cassazione il motivo della morte di LIMA; subito dopo la sentenza "la macchina si è messa in moto"; in quelle occasioni, BRUSCA, BAGARELLA e GIOE' discutevano anche del perchè l'on. LIMA non avesse potuto o voluto influire sull'esito del processo, e la risposta che essi si davano era che era stato il capo-corrente del parlamentare, e cioè il sen. ANDREOTTI, che non glielo aveva consentito, dato che ormai lo stesso sen. ANDREOTTI aveva assunto delle posizioni chiaramente contrarie a Cosa Nostra sia con l'emanazione di leggi, sia con altri provvedimenti; gli uomini politici in rapporti con Cosa Nostra erano i già citati Salvo LIMA e Ignazio SALVO, nonchè Vito CIANCIMINO; quest'ultimo era l'uomo che teneva le fila degli affari di Cosa Nostra a Palermo, e che rispondeva direttamente a Salvatore RIINA. Attraverso questa testimonianza, si dimostrerà dunque che: l'omicidio LIMA era stato soltanto l'inizio di una strategia di attacco, provocata dalla rottura del "patto di scambio" già convenuto tra Cosa Nostra e taluni politici, con particolare riferimento all' "aggiustamento" del maxi-processo; dopo l'esito negativo del maxi, bisognava eliminare quei politici (LIMA ed Ignazio SALVO) che non erano riusciti a procurare a Cosa Nostra un risultato positivo, e poco importava che ciò fosse avvenuto perchè essi non avevano voluto, o perchè essi non avevano potuto; l'on. LIMA e Ignazio SALVO, invero, non avevano potuto fare niente perchè l'on. ANDREOTTI aveva ormai cambiato politica in senso sfavorevole a Cosa Nostra; dopo l'esito negativo del maxi-processo, e dopo l'omicidio LIMA, BAGARELLA aveva deciso di uccidere anche Ignazio SALVO, proprio perchè anche lui era uno dei "politici" legati a Cosa Nostra che non era riuscito ad "aggiustare" il maxi-processo. Attraverso la testimonianza del DI MATTEO, l'Accusa fornirà quindi ulteriori particolari sulla strategia seguita da Cosa Nostra al fine di condizionare l'esito del maxi-processo, e sulle sue ripercussioni nei rapporti con il mondo politico, evidenziando che: effettivamente, nel 1987, gli uomini d'onore ricevettero dall'organizzazione l'ordine di votare il partito socialista, ed in particolare l'on. MARTELLI; in proposito, fu spiegato che bisognava dare un segnale alla Democrazia Cristiana, che non si era impegnata per un esito favorevole del maxi-processo, che era allora in corso di trattazione; per quanto riguarda l'andamento del maxi-processo, da parte di Cosa Nostra venne accettato senza particolare sorpresa, né desiderio di reazione, l'andamento della fase istruttoria, così come era avvenuto in tanti altri casi; non ci fu una particolare attività di Cosa Nostra sull'andamento del processo durante le fasi di primo grado e di appello, anche se è da ritenere probabile che vi sia stata un'opera di avvicinamento dei giudici popolari, così come è normale per qualsiasi processo importante; l'esito del primo grado fu, per la verità, più pesante del previsto per Cosa Nostra, ma comunque la convinzione generale era che il problema sarebbe stato risolto dalla Cassazione; e ciò anche grazie al fatto che il maxi-processo sarebbe stato presieduto, nella fase di Cassazione, dal dott. Corrado CARNEVALE; infatti in Cosa Nostra il dott. CARNEVALE era considerato una persona "agganciata"; la sentenza definitiva della Cassazione fu un'assoluta sorpresa per Cosa Nostra, i cui esponenti "si sentirono franare il terreno sotto i piedi"; per questo motivo Leoluca BAGARELLA e Giovanni BRUSCA cominciarono subito dopo la detta sentenza a dire che bisognava uccidere l'on. LIMA ed Ignazio SALVO, e cioè i politici che non avevano assicurato l'esito positivo del processo. PARAGRAFO 8 LE DICHIARAZIONI DI GIOACCHINO LA BARBERA Anche Gioacchino LA BARBERA esporrà quanto ha appreso, sul sen. ANDREOTTI, da taluni degli esponenti più importanti e pericolosi di Cosa Nostra: Giovanni BRUSCA, Leoluca BAGARELLA ed Antonino GIOE'. Anche attraverso queste dichiarazioni, l'Accusa si propone di dimostrare che l'omicidio dell'on. Salvo LIMA si inquadra in una strategia precisa di Cosa Nostra, volta ad eliminare sia i nemici più accaniti dell'organizzazione (fra i membri delle Istituzioni, principalmente i Magistrati, ma non soltanto loro), sia gli amici del passato che non avevano mantenuto le promesse fatte a Cosa Nostra, o che addirittura avevano tradito. Il LA BARBERA riferirà poi dettagliatamente altre circostanze che pongono chiaramente in evidenza come l'omicidio del parlamentare siciliano fosse solo l'inizio di una strategia, comprendente l'ideazione e programmazione di vari attentati, costituenti, nella "politica" dei vertici di Cosa Nostra, una risposta alla rottura del tradizionale "patto di scambio"; rottura di cui l'organizzazione aveva ricevuto la definitiva conferma con il negativo esito del maxi-processo. Dalla testimonianza del LA BARBERA risulterà infatti che Cosa Nostra aveva ideato un attentato in danno del sen. Giulio ANDREOTTI, ovvero di taluno dei suoi figli. In particolare, erano stati Giovanni BRUSCA e Leoluca BAGARELLA a parlare tra loro di questo attentato, sempre nel contesto di più ampie e ricorrenti conversazioni riguardanti la decisione di Cosa Nostra di attaccare sia gli avversari dell'organizzazione, sia gli amici del passato che non avevano mantenuto le promesse o avevano "tradito". Secondo BRUSCA e BAGARELLA, infatti, ANDREOTTI era "un cornuto", il quale, anche per l'opinione pubblica, dopo tutto quello che era successo, non poteva o non voleva mettersi contro le iniziative di MARTELLI. BRUSCA e BAGARELLA consideravano ANDREOTTI un "traditore", nel senso che "aveva girato loro le spalle". PARAGRAFO 9 LE DICHIARAZIONI DI SALVATORE CANCEMI Informazioni di estremo interesse sui rapporti tra il sen. ANDREOTTI e Cosa Nostra verranno fornite, in questo dibattimento, da un altro collaborante che ha fatto parte, fino a tempi recentissimi, dell'organismo di vertice dell'associazione mafiosa, in quanto componente della Commissione provinciale di Palermo: Salvatore CANCEMI. In particolare, il CANCEMI verrà richiesto di riferire quanto a sua conoscenza sui seguenti temi: il condizionamento delle elezioni politiche del 1987 in Sicilia ad opera dei capi di Cosa Nostra; le motivazioni dell'omicidio dell'on. Salvo LIMA; le interferenze svolte da Cosa Nostra per l'aggiustamento del maxiprocesso e di altri procedimenti giudiziari; le attività di Giuseppe CALO', anche con riferimento al suo periodo romano (1975-1985) ed alle sue amicizie romane; l'omicidio del giornalista Carmine PECORELLI, commesso a Roma nel 1979; le relazioni politiche di Salvatore RIINA e di Bernardo PROVENZANO. Per quanto riguarda il tema riguardante le elezioni politiche del 1987, dalla testimonianza del CANCEMI, e dai relativi riscontri, risulterà che: nella imminenza delle elezioni politiche del 1987, Salvatore RIINA intervenne personalmente, con notevole impegno e determinazione, per indurre tutti gli esponenti di Cosa Nostra di Palermo a sostenere elettoralmente il P.S.I.; a tal fine il RIINA convocò una riunione, che si svolse in una villa, procurata dallo stesso CANCEMI su richiesta di Domenico GANCI (figlio di Raffaele); alla detta riunione erano presenti Salvatore CANCEMI (per il mandamento di Porta Nuova), Domenico GANCI (per il mandamento della Noce), Baldassare DI MAGGIO (per il mandamento di San Giuseppe Jato), Antonino MADONIA (per il mandamento di Resuttana), Salvatore BIONDINO (per il mandamento di San Lorenzo) , forse anche Michelangelo LA BARBERA , e - naturalmente - Salvatore RIINA ; nel corso della riunione RIINA disse che occorreva votare per il P.S.I., ed in particolare per i candidati MARTELLI, FIORINO e LOMBARDO; questa decisione di RIINA rappresentava una novità poichè da sempre l'orientamento generale degli uomini d'onore era nel senso di votare esponenti del partito della Democrazia Cristiana (anche se era consentito votare per esponenti di altri partiti minori diversi); RIINA spiegò questa decisione affermando che vi era un interessamento dell'on. MARTELLI per riforme legislative, riguardanti il nuovo Codice di Procedura Penale e la regolamentazione delle misure di prevenzione, che erano utili a Cosa Nostra; RIINA non spiegò in particolare i motivi per i quali le preferenze dovevano orientarsi a favore dei candidati MARTELLI, FIORINO, e LOMBARDO; era però chiaro che RIINA aveva avuto dei contatti quantomeno con FIORINO e LOMBARDO, attraverso persone sue. Queste circostanze, riferite dal CANCEMI già in un interrogatorio del 19 ottobre 1993, riceveranno un eccezionale riscontro nella testimonianza dello stesso Claudio MARTELLI. Secondo quanto potrà qui riferire l'ex Ministro della Giustizia, infatti, la candidatura a Palermo, per le elezioni del 1987, gli era stata proposta proprio dagli onorevoli Filippo FIORINO e Giuseppe REINA, i quali erano andati a trovarlo a Roma prospettandogli una linea di "rinnovamento" del P.S.I. siciliano. Le informazioni riferite dal CANCEMI sul punto risulteranno, dunque, più che attendibili. E, sulla linea politica allora adottata dai capi di Cosa Nostra nelle loro "relazioni esterne" con il mondo politico nazionale, attraverso le dichiarazioni del CANCEMI risulterà confermato che: dopo le elezioni del 1987 il RIINA mutò nuovamente opinione, poichè non apparve del tutto soddisfatto della linea politica del P.S.I.; di conseguenza, nelle consultazioni politiche successive, egli impartì nuovamente la disposizione di votare per la Democrazia Cristiana. Sulle vicende successive alle elezioni politiche del 1987, l'Accusa dimostrerà quindi che Cosa Nostra "non si era trovata bene" con i socialisti. Ed in effetti, il Ministro MARTELLI non aveva corrisposto alle attese dell'organizzazione, ed in particolare non aveva intrapreso contro il maxi-processo di Palermo la stessa azione demolitoria già realizzata, invece, sull'onda del "caso TORTORA", contro il maxi-processo di Napoli. Inoltre, era intervenuto un nuovo "patto" tra l'organizzazione ed i suoi tradizionali referenti politici, i quali non avevano evidentemente sottovalutato il "segnale" loro inviato in occasione delle elezioni politiche del 1987. Verrà quindi evidenziata la effettiva ragione di un evento, come quello dell'incontro a Palermo, nella casa di Ignazio SALVO, tra il supremo capo di Cosa Nostra, Salvatore RIINA, ed il supremo referente politico nazionale dell'organizzazione; incontro avvenuto proprio dopo le elezioni politiche del 1987. A causa del mutato atteggiamento di Cosa Nostra sul piano elettorale, le sorti del potere andreottiano in Sicilia (e quindi anche in Italia) erano in grave pericolo. Occorreva rassicurare RIINA, ma questi non si accontentava più, evidentemente, delle facili promesse dell'on. LIMA. Occorreva una garanzia al massimo livello, e, dunque, l'intervento personale di ANDREOTTI. Questo fu chiesto ed ottenuto da RIINA in quel giorno di autunno del 1987. Cosa Nostra ritornò a sostenere elettoralmente i suoi antichi referenti; e, quando questi "tradirono", fu ucciso l'on. LIMA in maniera tale da compromettere irreversibilmente il coronamento del quarantennale disegno di potere di ANDREOTTI: la elezione a Presidente della Repubblica. Attraverso la testimonianza del CANCEMI, l'Accusa dimostrerà quindi che: per quanto riguarda la scelta dei candidati della Democrazia Cristiana da sostenere, vi era sempre stata in Cosa Nostra una certa libertà, e nell'ambito di ciascuna famiglia, gli uomini d'onore avevano facoltà di appoggiare i candidati che di volta in volta preferivano; uomini politici particolarmente sostenuti elettoralmente da Cosa Nostra erano ad esempio gli onorevoli Giovanni GIOIA, Salvo LIMA e Vincenzo CAROLLO; negli ultimi tempi, il tramite tra RIINA e l'on. LIMA erano soprattutto Salvatore BUSCEMI, imputato e condannato nel maxi- processo, e il di lui fratello Antonino BUSCEMI, proprietario della società Calcestruzzi; a proposito del maxi-processo, RIINA disse che se ne interessava per tramite dell'on. Salvo LIMA; più precisamente, RIINA disse che avrebbe interessato l'on. LIMA per "arrivare" alla Cassazione; sullo stesso argomento, successivamente, Raffaele GANCI e Michelangelo LA BARBERA confermarono che l'on. LIMA era "nelle mani" dei BUSCEMI, cioè che i BUSCEMI erano in grado di fargli fare tutto quello che volevano; il GANCI e il LA BARBERA aggiunsero che l'on. LIMA sarebbe "arrivato" alla Cassazione attraverso l'on. ANDREOTTI, e più precisamente che aveva avuto l'incarico di interessare l'on. ANDREOTTI per arrivare alla Cassazione. Ancora una volta, l'informazione fornita dal collaborante troverà riscontro nelle altre risultanze processuali. L'on. LIMA, diretto "referente" di Cosa Nostra in Sicilia, non avrebbe avuto, da solo, concrete possibilità di influenzare il giudizio della Corte di Cassazione. Ciò poteva fare, invece, il suo "referente" nazionale, il sen. ANDREOTTI, o direttamente, o indirettamente, attraverso il collaudato canale rappresentato da Claudio VITALONE; quel VITALONE che - secondo quanto risulta dalle dichiarazioni di SBARDELLA, e risulterà inoltre da varie altre testimonianze, tra cui quella di Claudio MARTELLI -era la "longa manus" di ANDREOTTI negli ambienti giudiziari romani, ed in particolare nei riguardi del Presidente CARNEVALE, e che, secondo altre plurime testimonianze, raccolte in questo procedimento ed in quello sull'omicidio PECORELLI, era inoltre legato ai cugini Antonino ed Ignazio SALVO. Ma le parole di Raffaele GANCI e di Michelangelo LA BARBERA comportavano la certezza di un interessamento poi effettivamente svolto dall'on. ANDREOTTI per influire sul giudizio della Corte di Cassazione, ovvero soltanto l'ipotesi che l'on. LIMA potesse rivolgersi a tale scopo all'on. ANDREOTTI? In proposito, attraverso la testimonianza del CANCEMI, l'Accusa evidenzierà un ulteriore significativo episodio. Quando la stampa e la televisione diffusero con abbondanza di particolari gli episodi riferiti dai collaboranti sul conto dell'on. ANDREOTTI, ciò costituì ovviamento oggetto di commenti. In particolare, nel periodo in cui i giornali pubblicarono le dichiarazioni rese da Baldassare DI MAGGIO anche sul conto dell'on. ANDREOTTI, si verificò un episodio specifico. Mentre CANCEMI era latitante, ed abitava in una casa vicina alla sua residenza di via Portello. Di quando in quando lo veniva a trovare Raffaele GANCI, egli pure latitante, e si tratteneva per un po'. In una di queste occasioni, CANCEMI e GANCI stavano leggendo su un giornale (probabilmente Il Giornale di Sicilia) un articolo in cui si riferiva l'episodio dell'incontro, avvenuto nell'abitazione di Ignazio SALVO, tra RIINA, l'on. LIMA e l'on. ANDREOTTI; l'episodio in cui, stando alle dichiarazioni del DI MAGGIO, RIINA aveva baciato l'on. ANDREOTTI. Alla lettura dei resoconti giornalistici di quell'episodio, comprensibilmente inclini alla enfatizzazione del dettaglio del bacio, CANCEMI aveva avuto una istintiva reazione di incredulità, pensando che il DI MAGGIO avesse raccontato delle fandonie. Ma il collaborante si era dovuto subito ricredere, di fronte alla serissima risposta di Raffaele GANCI, uno dei capi di Cosa nostra più vicini a Salvatore RIINA, ed egli stesso organizzatore della strage di Capaci. Il GANCI, infatti, aveva confermato - con tono assolutamente serio - che DI MAGGIO diceva la verità, perchè i rapporti con i SALVO e LIMA RIINA li faceva tenere proprio a DI MAGGIO. In effetti - secondo quanto risultava anche a CANCEMI - a RIINA interessava soltanto uno che pigliava l' "ambasciata" e la portava, anche un "cucuzzone" andava bene, purchè fosse una persona assolutamente fidata; e tale era DI MAGGIO. Con riferimento alla motivazione dell'omicidio dell'on. LIMA, attraverso la testimonianza del CANCEMI l'Accusa dimostrerà che: l'on. LIMA era stato ucciso per decisione di RIINA, e proprio perchË non aveva mantenuto le promesse, con particolare riferimento al risultato del maxi-processo; per lungo tempo RIINA aveva rassicurato tutti, dicendo che il processo sarebbe andato bene perchè sarebbe stato annullato in Cassazione; quando il processo andò male, RIINA disse che ciò era avvenuto a causa di un intervento del giudice Giovanni FALCONE; RIINA non spiegò il tipo di intervento del dott. FALCONE; ma di questo intervento parlarono pure Salvatore BIONDINO, Raffaele GANCI e Michelangelo LA BARBERA. Evidentemente, ai capi di Cosa Nostra non mancavano le informazioni, anche se riguardanti vicende delicatissime svolgentisi all'interno delle Istituzioni. Qualcuno ovviamente, nel riferire dette notizie ai tramiti dell'organizzazione, aveva enfatizzato la natura ed i termini dell'intervento del dott. FALCONE, il quale - come risulterà dalle testimonianze dei suoi collaboratori del Ministero(1) - si era limitato a seguire, con doverosa attenzione, le fasi dell'assegnazione del maxi- processo in Cassazione per evitare ritardi ed inconvenienti; ed aveva altresì intrapreso, a seguito di direttiva del Ministro MARTELLI, una attività di verifica (il c.d. "monitoraggio") delle sentenze della Prima Sezione della Corte di Cassazione, che aveva evidenziato serie " anomalie(2)." E tuttavia resta il fatto che - come sostanzialmente era stato recepito all'interno di Cosa Nostra - l'attenzione dimostrata dal Ministro MARTELLI e dal Giudice FALCONE aveva certamente contribuito a frustrare il disegno di "smantellamento" in Cassazione del maxi-processo. Ma chi, in particolare, si accingeva a questo "smantellamento", che avrebbe determinato la vittoria definitiva di Cosa Nostra sul magistrato che l'aveva pi efficacemente combattuta? Anche dalla testimonianza del CANCEMI risulterà che: le aspettative dei capi di Cosa Nostra sul buon esito del maxi- processo erano fondate sulla "fiducia nel giudizio del dott. CARNEVALE"; questa fiducia derivava sia dalla passata giurisprudenza della Corte presieduta dal dott. CARNEVALE, sia dal fatto che si riteneva in Cosa Nostra di potere influenzare in qualche modo il giudice; in Cosa Nostra si diceva che il dott. CARNEVALE era anche un giudice a cui si poteva "arrivare"; e ciò - secondo le affermazioni di RIINA, GANCI e LA BARBERA - grazie all'interessamento dell'on. LIMA e dell'on. ANDREOTTI; quando nel gennaio del 1993 la Cassazione invece confermò le condanne, il RIINA impazzì ; l'omicidio dell'on. LIMA fu la prima conseguenza; successivamente il RIINA, mirando ad una revisione del processo, cominciò a tentare tutte le vie possibili per screditare i pentiti; dopo l'arresto di RIINA, la sua strategia anche su questo specifico fronte è stata proseguita da Bernardo PROVENZANO, con il precipuo scopo di fare abrogare o modificare la legge sui pentiti; in effetti, PROVENZANO ha sempre avuto con esponenti del mondo politico rapporti anche più forti di quelli di Salvatore RIINA ; PROVENZANO è "infilato" dappertutto. Sui rapporti intrattenuti da Cosa Nostra con il sen. ANDREOTTI, principalmente per tramite dei cugini SALVO, attraverso la testimonianza del CANCEMI l'Accusa evidenzierà che: lo stesso tipo di rapporto che avevano con Salvo LIMA, Salvatore RIINA e Bernardo PROVENZANO lo avevano con i cugini Antonino ed Ignazio SALVO, uomini d'onore della famiglia di Salemi; i cugini SALVO avevano rapporti con politici ad altissimo livello, con LIMA e ANDREOTTI, ma non soltanto con questi; i SALVO erano stati addirittura intimi sia con il LIMA, sia con lo stesso ANDREOTTI. Ed ancora, con riferimento alla motivazione dell'omicidio di Ignazio SALVO - identica a quella dell'omicidio dell'on. LIMA, e collegata "alle promesse non mantenute soprattutto in relazione all'esito del maxi- processo" - attraverso la testimonianza del CANCEMI sarà possibile comprendere che: in effetti, Ignazio SALVO era stato egli pure condannato nel maxi- processo, e quindi, non essendo riuscito ad aggiustarlo, era rimasto danneggiato egli stesso; tuttavia, questo non significava niente; la "cordata" era sempre quella (Ignazio SALVO, LIMA, ANDREOTTI), e quella che contava era la responsabilità di tutto questo gruppo, complessivamente coinvolto nell'accordo poi non rispettato, o comunque non saputo mantenere. Ancor più in dettaglio - con riferimento ad un episodio già ricordato, in termini analoghi, da Tommaso BUSCETTA e da Francesco MARINO MANNOIA, il tentativo di aggiustamento del processo RIMI - dalla testimonianza del CANCEMI risulterà confermato che: Gaetano BADALAMENTI si era interessato per una vicenda giudiziaria nella quale era coinvolto suo cognato Filippo RIMI; BADALAMENTI si rivolse all'on. Giulio ANDREOTTI affinchè, attraverso le sue conoscenze ed i suoi poteri, intercedesse a favore di Filippo RIMI; stando alle affermazioni di Giovanni LIPARI, uomo d'onore della famiglia di Porta Nuova, e - soprattutto - dii Pippo CALO', BADALAMENTI conosceva personalmente l'on. ANDREOTTI. Sull'omicidio PECORELLI, attraverso la testimonianza del CANCEMI l'Accusa evidenzierà che: di questo omicidio "si era occupata la decina di Stefano BONTATE "; l'omicidio PECORELLI fu dunque voluto ed organizzato da uomini d'onore di Cosa Nostra; era possibile che fossero state utilizzate, per l'esecuzione, anche persone non combinate, purchè molto "vicine" a Cosa Nostra; Michelangelo LA BARBERA (indicato da altre fonti di prova come uno degli esecutori materiali dell'omicidio), attuale sostituto di Salvatore BUSCEMI nel mandamento di Boccadifalco, aveva assunto un ruolo di rilievo nella famiglia di Boccadifalco già qualche tempo dopo la morte di Salvatore INZERILLO ; per quanto riguarda qualsiasi azione da compiere a Roma, nel suo personale interesse o nell'interesse di Cosa Nostra, Stefano BONTATE poteva ovviamente disporre senza alcun problema di Michelangelo LA BARBERA , visto che quest'ultimo era uomo d'onore della famiglia di Rosario DI MAGGIO , molto amico dello stesso BONTATE; a Roma Pippo CALO' poteva disporre di Danilo ABBRUCIATI, e ne parlava come di un uomo molto "valido", cioË abile nell'esecuzione di omicidi e di altre azioni delittuose. Anzi, quando ABBRUCIATI fu ucciso a Milano, il CALO' era molto "dispiaciuto" di ciò, perché aveva perso appunto un uomo valido a cui teneva molto. Per quanto riguarda, infine, il tema dell'aggiustamento di processi, il CANCEMI potrà dettagliatamente riferire un episodio da lui direttamente vissuto, ed attinente al tentativo di aggiustamento del c.d. maxi-ter, attuato mediante il versamento di una ingente somma di denaro al prof. Giovanni ARICO', considerato uno dei canali più efficaci per arrivare al Presidente Corrado CARNEVALE. V., infra , il Capitolo dedicato ai tentativi di aggiustamento del maxiprocesso. V., infra , sul punto, la deposizione di Gian Nicola SINISI. ESPOSIZIONE INTRODUTTIVA DEL PUBBLICO MINISTERO CAPITOLO 1 L'OGGETTO DELLA PROVA. PARAGRAFO 1 RAPPORTI TRA ANDREOTTI E COSA NOSTRA. Elenco dei principali fatti che verranno dimostrati in dibattimento. PARAGRAFO 2 LA NATURA DELLE CONDOTTE CONTESTATE NEI CAPI DI IMPUTAZIONE. L'ORIGINE E IL FONDAMENTO DEL PATTO DI SCAMBIO TRA ANDREOTTI E COSA NOSTRA. ESPOSIZIONE INTRODUTTIVA DEL PUBBLICO MINISTERO CAPITOLO 2 LE FONTI DI PROVA. LE DICHIARAZIONI DEI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA. INTRODUZIONE LE FONTI DI PROVA. LE DICHIARAZIONI DEI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA. PARAGRAFO 1 LE DICHIARAZIONI DI LEONARDO MESSINA PARAGRAFO 2 LE DICHIARAZIONI DI GASPARE MUTOLO PARAGRAFO 3 LE DICHIARAZIONI DI GIUSEPPE MARCHESE PARAGRAFO 4 LE DICHIARAZIONI DI FRANCESCO MARINO MANNOIA PARAGRAFO 5 LE DICHIARAZIONI DI TOMMASO BUSCETTA PARAGRAFO 6 LE DICHIARAZIONI DI BALDASSARE DI MAGGIO PARAGRAFO 7 LE DICHIARAZIONI DI MARIO SANTO DI MATTEO PARAGRAFO 8 LE DICHIARAZIONI DI GIOACCHINO LA BARBERA PARAGRAFO 9 LE DICHIARAZIONI DI SALVATORE CANCEMI PARAGRAFO 10 LE DICHIARAZIONI DI GIOACCHINO PENNINO PARAGRAFO 11 LE DICHIARAZIONI DI VINCENZO MARSALA PARAGRAFO 12 LE DICHIARAZIONI DI ANTONINO CALDERONE L'esposizione introduttiva è stata interrotta a pagina 132 per ragioni procedurali spiegate nel documento che segue di cui il Pubblico Ministero ha dato lettura in dibattimento. ( in relazione all'ordinanza del Tribunale del 18/10/95 e del 31/10/95) PARAGRAFO 12 Bis. LE DICHIARAZIONI DI ANTONINO CALDERONE PARAGRAFO 13 LE DICHIARAZIONI DI ORLANDO GALATI GIORDANO PARAGRAFO 14 LE DICHIARAZIONI DI GAETANO COSTA PARAGRAFO 15 LE DICHIARAZIONI DI MARINO PULITO E DI SALVATORE ANNACONDIA PARAGRAFO 16 LE "CARTE DI MORO" E IL DELITTO PECORELLI LE DICHIARAZIONI DI ANTONIO MANCINI PARAGRAFO 17 LE DICHIARAZIONI DI FABIOLA MORETTI PARAGRAFO 18 LE DICHIARAZIONI DI MAURIZIO ABBATINO Questo documento non è disponibile in quanto l'esposizione introduttiva è stata interrotta per ragioni procedurali spiegate nel documento che segue di cui il Pubblico Ministero ha dato lettura in dibattimento. ( in relazione all'ordinanza del Tribunale del 18/10/95 e del 31/10/95) L'esposizione introduttiva è stata interrotta a pagina 132 per ragioni procedurali spiegate nel documento che segue di cui il Pubblico Ministero ha dato lettura in dibattimento. Nel prendere doverosamente atto dell'ordinanza del Tribunale, l'Ufficio del P.M. ha adottato una decisione, della quale ritiene necessario illustrare sinteticamente le motivazioni. Fin dal mese di ottobre del 1989, periodo in cui è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale, negli Uffici giudiziari di Palermo e di altre importanti sedi giudiziarie si è via via formata, e poi consolidata una prassi secondo cui l'esposizione introduttiva del P.M. ha le modalità e le finalità istituzionali che sono state delineate ed evidenziate nella memoria depositata da questo Ufficio all'udienza del 24.10.95. Memoria che - quindi- rappresentava e rappresenta la sintesi tecnico- giuridica di una amplissima e variegata esperienza processuale attuata dinanzi ai piu' svariati Collegi di Palermo e di altre sedi giudiziarie. A tal proposito, va ricordata in particolare la decisione della Corte di Assise di Caltanissetta, adottata nel processo per la strage di Capaci; processo nel quale è stato possibile al P.M. svolgere una esposizione introduttiva pienamente conforme al modello teorico ed applicativo risultante dalla prassi dianzi ricordata. L'esposizione introduttiva iniziale di quest'Ufficio, dunque, era stata elaborata in perfetta coerenza con questo modello, secondo una prassi che era apparsa all'Ufficio universalmente consolidata. A seguito della linea almeno parzialmente innovativa emersa in questo processo e manifestata nella 2deg. ordinanza del Tribunale, il P.M. ha rielaborato l'esposizione introduttiva nel doveroso rispetto di questa decisione, naturalmente nei limiti consentiti dalla necessità di garantire la funzione essenziale dell'istituto dell'esposizione. Cio' nonostante si è attuata una linea della Difesa basata su continue interruzioni ed obiezioni; obiezioni e interruzioni che sono andate, di fatto, ben al di là delle prescrizioni contenute nell'ordinanza del Tribunale; poichè la Difesa ha contestato non soltanto l'indicazione. sintetica del contenuto delle "dichiarazioni" dei testi ma anche l'indicazione sintetica di tutte le fonti di prove, intercettazioni, documenti e perfino di atti già contenuti nel fascicolo del dibattimento (int. di BUSCETTA del 6.4.1993), atti ai quali certamente non si riferisce la decisione del Tribunale. Di fatto, dunque, sembra essere stato recepito un modello di esposizione introduttiva che sembrerebbe doversi esaurire nella mera indicazione dei temi e delle fonti di prova; cosa' già fatta nella lista testi, e quindi in una fase giuridicamente del tutto diversa dall'istituto dell'esposizione. Cio' premesso, l'Ufficio del P.M. prende doverosamente atto delle decisioni adottate; Ritiene tuttavia, che a questo punto non sussistano piu' le condizioni indispensabili, perchè il Pubblico Ministero possa assolvere alla funzione istituzionale che il sistema della legge impone di perseguire con l'esposizione introduttiva; e cio' anche perchè si andrebbe altrimenti a determinare una disparità di trattamento a svantaggio degli imputati di altri processi già esauriti o in corso, e si determinerebbe comunque una diversificazione della linea dell'Ufficio, linea che invece deve essere mantenuta coerente ed unitaria nei confronti di tutti i cittadini imputati In conclusione, l'unica possibilita' di conciliare il doveroso rispetto delle decisioni del Tribunale con l'altrettando doveroso obbligo della Procura di Palermo di assolvere alla propria funzione in maniera eguale e coerente in tutti i processi è quella di rinunziare all'ulteriore svolgimento della esposizione introduttiva. Va ancora una volta sottolineato che questa rinunzia non deve essere assolutamente interpetrata come una forma di contestazione della decisione del Tribunale , ma soltanto come espressione dell'esigenza di mantenere una linea unitaria e coerente dell'Ufficio.