“Le spinte e i ritorni”: gli anni delle riforme per lo sviluppo in Sicilia (1947-1967)

Fausto Pietrancosta

Indice

Dopoguerra e ricostruzione: le cifre del divario
La spesa regionale per lo sviluppo
Le riforme economiche: La Regione imprenditrice
Bibliografia

Dopoguerra e ricostruzione: le cifre del divario

La situazione della Sicilia alla fine del secondo conflitto mondiale risultava drammatica; con una popolazione pari al 9,7% di quella italiana la Sicilia contava appena il 7,4% degli attivi totali, e contribuiva con il 6,5% al prodotto netto al costo dei fattori realizzato nel paese, l’analfabetismo riguardava il 40% circa della popolazione e il livello di reddito pro capite, che nel 1939 era di un terzo inferiore a quello nazionale, nel 1945 risultava ulteriormente diminuito. Mentre il settore primario contribuiva col il 49% del valore aggiunto e impiegava il 51% degli attivi, l’industria ne assorbiva il 24% e contribuiva col 16% del valore aggiunto. La struttura manifatturiera in particolare, risultava polverizzata in una miriade di attività artigianali, con scarsa o nulla modernizzazione delle procedure e delle attrezzature di lavoro. Il quadro si completa con i gravissimi danni arrecati alla rete stradale e ferroviaria, oltre che al sistema di interscambio portuale delle principali città costiere siciliane.

Il tessuto sociale ed economico siciliano fu pesantemente danneggiato dalle operazioni belliche del secondo conflitto mondiale[75] e la struttura economica regionale nel suo complesso presentava i caratteri propri di un’area a forte ritardo di sviluppo; le strutture e infrastrutture industriali, così come le attrezzature agricole già depauperate, e in buona parte antiquate, risultavano inutilizzabili. Ma la ripresa economica dell’isola si presentava difficile anche per il crollo degli scambi con il resto del paese e con l’estero, della distribuzione di energia elettrica e per le pessime condizioni di vita di larghi strati della popolazione. L’agricoltura, che rappresentava ancora il principale settore economico, risentiva soprattutto della mancanza di manodopera e della trazione animale, aspetto confermato dalla diminuzione dell’ammasso dei grani calato dagli 813 mila ettari del 1933 ai 600 mila del 1945; il volume di importazioni di grano tornò quindi a salire in quegli anni al 41% del fabbisogno regionale [Butera e Ciaccio 2002, 45-47].

Il decreto Gullo del 1944 in tal senso si rivelò fallimentare non riuscendo a incidere sulla produzione della granicoltura, l’intervento dell’UNRA (United Nations Relief and Rehalibitation Administration) a partire dal 1947 fu essenziale quindi per la ripresa delle condizioni alimentari della popolazione [Butera e Ciaccio 2002, 50-52]. I settori pregiati dell’agricoltura isolana (agrumicoltura e vitivinicoltura) in particolare avevano subìto devastazioni tali, dovute al passaggio delle truppe militari, da impedirne un’autonoma ripresa aggravata dall’impossibilità di collocarne il prodotto. In altri casi il recupero produttivo fu più agevole; è il caso degli oli o di molti altri ortaggi [Castellano 1962]. Contestualmente iniziavano i lavori di ricostruzione delle infrastrutture pubbliche essenziali distrutte che assorbivano quasi per intero l’ammontare delle risorse finanziarie stanziate per la ricostruzione: il 9,8% della spesa nazionale e parte delle risorse del fondo-lire dell’European Recovery Programm [Nonacco 1965; Mirabella 1961].

Il problema dell’arretratezza e della ricostruzione industriale postbellica fu affrontato già da un Comitato di studi tecnici per il potenziamento economico della Sicilia costituito nel 1944; indagini e approfonditi studi ponevano le basi e le premesse per l’emanazione del decreto luogotenenziale costitutivo della Sezione di Credito industriale presso il Banco di Sicilia e dei successivi provvedimenti per lo sviluppo economico, sempre del 1944 è il primo piano di aiuto del governo italiano per riattivare la produzione delle zone del Centro-Sud, nel corso del 1945 il piano venne però esteso alle regioni centro-settentrionali che ne risultarono maggiormente avvantaggiate. Non è casuale che a Catania si costituiva contemporaneamente su iniziativa delle varie associazioni la Federazione degli industriali presieduta da Pietro Frasca Polara; si avvertiva nella classe dirigente e presso le categorie produttive siciliane, e più in generale meridionali, l’esigenza di un impegno fattivo per uno sviluppo reale del sud del paese [Butera 2000a e b].

Molte delle attività industriali rilevate dalla Sottocommissione per l’Industria in Sicilia alla conclusione delle ostilità e spesso sorte in modo approssimativo, se da un lato rappresentavano una testimonianza dell’impegno e dei fermenti delle categorie interessate, dall’altro palesavano nel momento della definizione dei piani di sviluppo a livello nazionale tutta la loro debolezza sul piano strutturale e nella programmazione strategica. Non mancavano comunque le iniziative, soprattutto nel settore agroalimentare, che continuarono e si intensificarono negli anni successivi, anche se sempre in modo disorganico e asistematico a causa delle deficienze di competenze tecniche e soprattutto dei capitali necessari. Gli istituti di credito e le categorie del settore rivestirono in questo senso un ruolo di primo piano avviando quel complesso di ricerche “sul campo” che fino a quel momento non erano state condotte in maniera approfondita; il Centro per l’incremento industriale della Sicilia di Enrico La Loggia si inserisce in questo dibattito  avviato, con le relazioni e gli interventi di Antonio Sellerio (industria elettrica), Rolando Cultrera (industria alimentare), Oreste Incoronato (cantieristica). Il 1947 segna l’avvio di iniziative di ricostruzione industriale più frequenti e diffuse; si impiantarono nell’isola 403 nuove attività che impiegavano una potenza di quasi 10 mila HP, per un investimento di circa 4 miliardi di lire e la creazione di 3.420 nuovi posti di lavoro [Butera e Ciaccio 2002, 64-70].

Quasi la metà del capitale impiegato riguardava la produzione di energia elettrica (47,8%) e un quarto l’industria edile (24,7%), tuttavia i livelli occupazionali rimasero fino alla metà degli anni ’50 al di sotto di quelli del 1937-1939. Dal 1948 e per gli anni successivi il settore industriale si avvalse degli aiuti del piano ERP forniti dagli USA, ma la parte maggiore di questi finì alle già esistenti e diffuse attività industriali settentrionali, in grado di determinare in tempi rapidi la ripresa della produttività e dell’economia come previsto dallo stesso piano, cosicché alle attività delle regioni meridionali veniva destinata un parte ridotta degli investimenti, e alla Sicilia appena il 3,2% [Butera 1998; SVIMEZ 1954; SVIMEZ 1978]. Rimaneva così inascoltata la proposta di Pietro Frasca Polara che in opposizione al presidente di Confindustria Angelo Costa sosteneva la necessità di «un intervento pubblico a favore del sistema economico per risolvere il problema dell’arretratezza meridionale», che nel caso siciliano doveva trovare espressione nella giusta riparazione fulcro delle tesi di Enrico La Loggia e che aveva preso forma nell’articolo 38 dello Statuto regionale siciliano. Veniva eluso quindi un dato fondamentale più volte sottolineato dal Barucci: ogni aiuto all’industrializzazione del Sud avrebbe attivato e favorito la circolazione del denaro e dunque il rafforzamento del mercato interno utile anche alle industrie settentrionali [Zamagni e Sanfilippo 1988].

Il problema dell’energia elettrica si presentava particolarmente grave a causa dei gravi disservizi della distribuzione, il prezzo poi continuava a mantenersi elevato, con un valore triplo rispetto a quello del resto del paese, un divario che raggiungeva livelli maggiori per la produzione industriale, fornendo così un handicap ulteriore allo sviluppo delle industrie isolane. Si collocano in questo quadro le pressioni e gli interventi del ceto politico e delle categorie produttive affinché si prendessero provvedimenti per un incremento degli investimenti nel settore della produzione di energia elettrica; è del gennaio del 1947 il decreto legge del Consiglio dei ministri che, su pressione dell’Alto commissario Giovanni Selvaggi, istituiva l’Ente siciliano di elettricità (ESE) con sede a Catania; esso rappresentava il primo tentativo di rottura del monopolio della produzione e della distribuzione di energia elettrica. Fu avviato così un vasto piano di costruzione di impianti idroelettrici e di una centrale termoelettrica a Palermo, realizzata nel 1953 dalla Società Termoelettrica Siciliana, produzione e consumi poterono così aumentare passando rispettivamente da 334 mila a 551 mila Kwh e da 211 mila a 400 mila Kwh [Saraceno 1980 e 1990].

Il nuovo meridionalismo, che investì anche l’ambito socio-economico e che scaturì in quegli anni sotto la spinta di intellettuali, politici, studiosi, trova espressione nell’ambito della SVIMEZ[76]; industrialismo, idea di piano e «intelligenza tecnica», furono i capisaldi attorno ai quali si mosse l’azione dell’istituto, che spostò l’attenzione dal terreno della speculazione dottrinaria e sociologica a quello della progettualità concreta per condurla, nello specifico, sul piano della moderna economia di sviluppo. Sono anni caratterizzati dal fiorire di studi e indagini che preparavano il terreno alle prime concrete azioni del governo regionale. Il Comitato di studi per il potenziamento economico della Sicilia aveva già affrontato la questione degli strumenti idonei per favorire la creazione di nuove imprese, le stesse tematiche furono riprese nei successivi convegni di operatori e studiosi del settore promossi dal Banco di Sicilia, mentre la Commissione per i problemi della ricostruzione industriale in Sicilia, costituita in seno alla Consulta regionale, auspicava l’emanazione di un piano di collaborazione tra l’iniziativa privata e lo Stato di cui si chiedeva «l’ausilio e il concorso di eccezionali provvedimenti di larga portata atti ad eliminare talune condizioni iniziali di svantaggio in guisa che le imprese vecchie e nuove si possano avviare a tradurre in atto i loro programmi di produzione».

L’Ente per la rinascita industriale della Sicilia, con compiti analoghi a quelli dell’IRI e dell’IMI, ma più nettamente indirizzati verso un sostegno diretto allo sviluppo industriale sul territorio, era stato promosso proprio allo scopo di favorire la rinascita produttiva nell’isola, attraverso partecipazioni azionarie in società già esistenti o tramite l’impianto di nuove aziende e la partecipazione con capitali in nuove aziende costituite in virtù di un “trapianto” da altre regioni d’Italia. Si tratta di un indirizzo che allo stato potremmo definire “embrionale” ma che troverà un formidabile riscontro nelle politiche economiche regionali e dunque nei provvedimenti della seconda metà degli anni ’50 e più marcatamente degli anni ’60 [Butera e Ciaccio 2002, 87-108; Butera 1998; SVIMEZ 1954; SVIMEZ 1978; Zamagni e Sanfilippo 1988].



[75]  Nel settore industriale la distruzione operata dalla guerra venne stimata intorno al 20% dell’intera e già povera, dotazione di impianti.

[76]  Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, costituita nel 1946, iniziò la propria attività nel 1947, intorno a Pasquale Saraceno, Donato Menichella, Francesco Giordani che ne furono promotori e protagonisti.