Il commento
  • Tour ‘98, l’epo e la dignità perduta

    Dignità. Chissà se il significato di questa parola riuscirà mai a fare breccia nello sport dei dannati dell’epo che l’indagine della Commissione senatoriale francese (ancorché concentrata solo ed esclusivamente sul ciclismo…) ha messo a nudo. Dignità consiste, sia pur ai suoi livelli minimi, nel riconoscere, ammettere, confessare  le proprie manchevolezze o colpe. Specie quando l’evidenza dei fatti è schiacciante. Dignità di non attaccarsi al solito immancabile cavillo per giustificare l’ingiustificabile. Erano gli anni dell’epo quelli al centro dell’inchiesta dei senatori francesi. Epo selvaggia, dove il barrage al 50% di ematocrito era un semplice campanello di allarme, capace al più di provocare – ove superato – uno stop di 15 giorni. A tutela della salute dell’atleta, secondo una formula dell’epoca, la cui ipocrisia è evidente anche ai meno esperti. Senza alcuna squalifica.  Sospensione dall’attività a tutela della salute dell’atleta. Per questo in tanti hanno potuto dire: “Non sono mai stato trovato positivo”. Eppure in molti a ruota delle notizie sul Tour 1998 hanno abbassato il capo: Jalabert e Durand, hanno dignitosamente ammesso e confessato; altri hanno pagato con l’allontanamento da posizioni di prestigio (O’Grady, Blijlevens, Olano, ecc.). Detto di striscio che nessuno degli italiani più o meno citati come coinvolti nella vicenda (Cipollini, Tafi, ecc.) abbia avuto il coraggio di ammettere alcunché, va segnalata l’ennesima battaglia – sbagliata – dell’associazione internazionale dei corridori  (CPA). A proposito dell’inchiesta senatoriale francese l’associazione comunica che:  ”Il CPA si rammarica per la pubblicazione di questi elementi che tornano, nonostante tutte le riserve della Commissione, a screditare gli ex corridori per dei fatti risalenti a più di 15 anni fa. Non lasciando loro alcuna possibilità di difendersi e di contestare la loro messa in causa soprattutto in assenza di possibili contro-perizie, come il CPA affermava già nel suo comunicato stampa del 18 luglio scorso”. E ancora: “: “I risultati di quell’inchiesta non possono in alcun modo valere come riconoscimento di doping. La Commissione stessa sottolinea negli allegati della sua relazione che nessuna sanzione può essere presa sulla base di tali elementi da uno studio a scopo scientifico e pubblicato 15 anni dopo i fatti”.

    Che non sia possibile prendere sanzioni equivale a dire che i corridori sono innocenti, dunque “screditati”? Equivale a dire che i fatti messi in rilievo dalla commissione francese sono tecnicamente discutibili?  Sono  opinabili i risultati di positività dei test? Tecnicamente opinabili? Cioè:  è possibile che i test si siano sbagliati e che l’epo non sia stata rintracciata in quelle analisi visto che manca la (legittima) controprova delle controanalisi? La risposta è nelle 800 pagine della relazione in cui in termini tecnici molto chiari si spiega tutto l’iter tecnico-scientifico seguito; un iter che porta ovviamente a risposte univoche, ottenute dall’applicazione ad ogni campione di ben TRE metodi per ricercare l’epo.  Il risultato è chiaro. E, combinazione, è proprio Olano, campione mondiale del 1995 a Duitama, quello cui è stata ritrovata la più alta percentuale di epo nelle urine: 100%, come riporta la Gazzetta dello sport. Il test del tedesco Ullrich (secondo in quel Tour ’98), del 2 agosto è positivo all’epo al 99,9%. E così via anche per gli altri. Continua »

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  • INTEGRATORI: USO E DIFFUSIONE In collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell`Università del Piemonte Orientale proponiamo la partecipazione attraverso il link qui sotto ad uno studio sociologico sull`uso di integratori e farmaci per migliorare le prestazioni sportive da parte di atlete/i non professioniste/i. Si tratta della prima ricerca sociologica che si pone l`obiettivo di studiare le pratiche di consumo di tali sostanze raccogliendo le informazioni da un campione numeroso ed eterogeneo di atleti/e non professionisti/e. Per questo si chiede la collaborazione degli atleti e delle atlete che praticano differenti sport, sia a livello individuale che di squadra. Se sei un/un`atleta non professionista che pratica un`attività sportiva a livello agonistico, cioè pratica l`attività sportiva sistematicamente e/o continuativamente e prevalentemente in forme organizzate (società sportive, enti di promozione sportiva, federazioni ecc., attività che dunque prevede una qualche forma di `tesseramento`) e sei maggiorenne, puoi partecipare compliando un questionario online. Non ci vorranno più di una ventina di minuti. E` assolutamente garantito l`anonimato. Non sono richiesti dati personali. Tuttavia nel caso si decidesse personalmente di fornirli, essi saranno trattati secondo quanto indicato dalla normativa vigente (D. Lgs.vo n. 196/2003). Ecco il link a cui collegarsi per compilare il questionario: http://survey.unipmn.it/index.php/549614/lang-it
  • Pedalando
    • Il giro delle Gole di San Venanzio nell’Abruzzo dei parchi

      Appena dopo aver gustato una buona colazione preparataci da Chris: giovane e innovativo chef del ristorante Tre Archi, data una “sistematina” alle nostre bici nell’attrezzata officina dell’Hotel Sagittario di Bugnara, proprio vicino a Sulmona, controllata l’acqua delle borracce e riposte con cura alcune barrette energizzanti nelle tasche posteriori della maglia rosa azzurra: proprio come quella della Lampre, alzando gli occhi vediamo che “il cielo era tutto a pecorelle bianche, con qualche golfetto color grigioferro ed in uno di questi stava la luna, smozzicata e trasparente come una caramella lungamente succhiata”[1].

      Partiamo da Bugnara avviandoci verso est in mezzo a campi di grano con le lisce spighe, che ancora non sono proprio bionde, che quasi toccano terra. Percorsi qualche centinaio di metri giriamo a sinistra per imboccare la S.P. Nolfese prima in discesa e poi in salita quando attraversa Torre dei Nolfi (394 m s.l.m.). Arriviamo presto a Campo di Fano dove, nelle vicinanze dell’ufficio postale, prestiamo attenzione a qualche automobile che potrebbe salire in senso inverso perché dobbiamo svoltare bruscamente a sinistra per prendere la S.P. Fanese che, all’inizio, sembra una strada del Far West con le case di recente costruzione ai lati separate dagli orti per diventare, lasciato l’abitato, impegnativa quando corre in salita a scavalcare Colle San Cosimo. Per non imballare le gambe spingiamo il 34/19 alzandoci spesso sui pedali nei tratti in cui la pendenza si fa dura, ma anche per dare sollievo ai glutei. L’ascesa però è breve e la successiva discesa ci permette di recuperare lo sforzo e di aspettare i ritardatari. Al segnale stradale di precedenza alla fine della discesa svoltiamo a sinistra. Abbiamo la possibilità per un po’ di ammirare il borgo medievale di Prezza arrampicato a mezza costa su una delle montagne della catena del Sirente. Al bivio della strada che sale al paese giriamo a destra. Non è possibile sbagliare: basta seguire il profumino accattivante che esce dal forno di Bruno, che è proprio sulla strada. La tentazione di fermarsi ad assaporare qualche dolcetto e scambiare con Bruno, anche lui clicloamatore esemplare e sportivo, qualche battuta è tanta. Ma abbiamo percorso solo una quindicina di chilometri e il giro è ancora lungo! Desistiamo.

      Ci tuffiamo allora nei campi, che sembrano grandi lenzuoli stesi ad asciugare al sole, nella zona ovest della Valle Peligna immersa nel verde dell’erba medica, dei girasoli ancora senza fiori e dei dritti filari delle vigne che producono un cerasuolo che non teme confronti: assolutamente da gustare. Non oggi però! Continua »


      31 luglio 2013

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    Parliamone insieme
    Marco Pantani

    Marco Pantani

    Adesso che la notizia è ufficiale, sarebbe fin troppo facile sparare sul morto. Dopato al Tour 1998, quello della celebrata doppietta con il Giro. Marco Pantani dopato con epo, eritropoietina, l’ormone che – diffuso a livello capillare in tutto lo sport – in quegli anni ha tragicamente trasformato il ciclismo e l’intero panorama delle discipline mondiali. I più attenti lo avevano intuito anche dalle vicissitudini sportive e non che hanno tormentato la vita del Pirata, prima della tragica morte per overdose di cocaina nel febbraio del 2004. Una circostanza, questa, ancora non chiarita abbastanza. Ma fino ad oggi non c’era il crisma della positività ufficiale che a quindici anni di distanza arriva con l’inchiesta del Senato francese. Una positività che non porterà alcuna sanzione, nessun rimpasto di classifica, se l’Uci manterrà fede a quanto anticipato dal presidente McQuaid e di cui, a parte il ristabilimento di una verità storica fin qui solo intuita, non si capisce l’utilità. Erano quelli gli anni dell’epo selvaggia. Lo sapevano e lo sanno tutti. Anni in cui i corridori si dopavano trasformando il proprio sangue in melassa anche semplicemente per arrivare al traguardo.  Anni in cui medici, tecnici, dirigenti sportivi, massaggiatori, suiveurs, atleti vedevano scorrere fiumi di epo sotto i loro occhi senza batter ciglio, senza la minima reazione. Spesso incoraggiando il ricorso alle pratiche più illegali e pericolose. Facendo in taluni casi la formazione in base ai valori ematici: “Tu hai solo 50 di ematocrito, dunque non corri…”. Tanto mi veniva riferito all’epoca da qualche tremebondo ciclista. Il tutto con l’avallo di “media” incoscienti ma ben concentrati nel celebrare la gloria effimera di giganti dai piedi d’argilla. Continua »

    [I]Dal sito della Federciclismo riprendiamo questa interessante intervista a Gianluca Santilli, responsabile del settore amatoriale, che per la prima volta da tanti anni in qua sta cercando di sistemare un settore degradatosi negli anni e ridare dignità a tutto il movimento[/I]
    [X] `Con l`introduzione dell`autocertificazione `etica` abbiamo dato il via ad una vera e propria rivoluzione culturale che era necessaria in un ambiente, quale è quello del ciclismo amatoriale, inquinato da logiche ad esso del tutto estranee che lo stavano negativamente condizionando. Al requisito della salute, attestata dalla certificazione medica che attesta la possibilità di svolgere sport agonistico si aggiunge, dal 1° gennaio 2014, quello dell`etica.
    Chi ha avuto a che fare con il doping, per capirci, non si può più tesserare come amatore.`
    Così esordisce Gianluca Santilli, 56 anni, un passato agonistico nel nuoto e da amatore nella corsa nel triathlon e, da una decina di anni, nel ciclismo.
    Dopo aver ricoperto il ruolo di Procuratore federale nella FCI, dall`inizio di questo quadriennio, l`avv. Santilli è diventato responsabile nazionale del Settore amatoriale. Incarico che affronta con lo stesso spirito che l`ha condotto a vincere battaglie molto dure proprio per affermare la supremazia dell`etica nell`attività sportiva, con particolare riferimento al mondo dei giovani e degli amatori.
    [B]La decisione sicuramente più innovativa, però, riguarda l`istituzione di un nuovo requisito per il tesseramento.[/B]
    `Dobbiamo far comprendere a tutti gli amatori che, per la tutela della propria salute, bisogna riscoprire le logiche che muovono lo sport amatoriale, ovvero quella della passione, divertimento e del benessere fisico. Per questo motivo le decisioni assunte all`unanimità nell`ultimo Consiglio Federale hanno un profondo valore innovativo.`
    L`attenzione dei media e degli operatori di settore si è concentrata in particolare su due decisioni ben precise. La prima stabilisce che il passaggio dall`agonismo all`attività amatoriale sarà graduale: 4 anni per i professionisti, 2 per le donne, 1 per gli Elite e U23. La seconda invece, ha un profondo valore culturale ed introduce, per la prima volta nello sport amatoriale in Italia, un requisito `etico` per chi vorrà svolgere attività amatoriale.
    [B] Perché questo periodo di `decantazione` tra l`attività agonistica e quella amatoriale?[/B]
    `La decisione risponde ad un`esigenza di tutto l`ambiente e risponde a due logiche, quella di rendere meno esasperata l`attività e, al contempo, di aumentare la sicurezza nelle manifestazioni. La presenza in gruppo di atleti particolarmente veloci ha creato in questi anni un pericoloso spirito di emulazione che ha stimolato anche comportamenti e pratiche non lecite, in una assurda logica emulativa. Inoltre, l`eccessivo divario tecnico tra chi ha l`allenamento del professionista e continua ad esser tale anche da amatore e la massa che invece pedala nel tempo libero, faticosamente ritagliato tra lavoro e famiglia, rende la gara molto meno gestibile dal punto di vista della sicurezza. I tutelati, ed è assurdo, sono i pochi che riescono a tenere ritmi appunto da professionisti mentre la maggior parte dei partecipanti è lasciata senza alcuna tutela dalle scorte tecniche.
    [B]Ovviamente la presenza di pro o ex agonisti non è esclusa nel gruppo, anzi è molto apprezzata dal movimento amatoriale, ma solo a fini ludici e fuori dalle classifiche.[/B]
    `Dal primo gennaio del prossimo anno ogni amatore che vorrà tesserarsi dovrà produrre un certificato (il cui modulo sarà presto scaricabile dal sito federale, ndr.) che attesti l`assoluta estraneità, nella propria vita, da vicende legate al doping, sia dal punto di vista sportivo che penale e/o civile. Un`autodichiarazione che riguarderà non soltanto eventuali condanne, ma anche procedimenti e indagini. Si tratta, di fatto, dell`introduzione di un nuovo requisito per potersi tesserare quale amatore.`
    [B]Dal punto di vista pratico come farà la Federazione a controllare?[/B]
    `Come nel caso del certificato medico, l`autocertificazione dovrà essere consegnata al Presidente di società che si preoccuperà di valutarne la veridicità e che, di conseguenza, ne risponderà di fronte alla Federazione quale responsabile legale.`
    [B]Si è vociferato, prima del CF, dell`introduzione di nuovi certificati medici per lo svolgimento dell`attività. Poi invece, non sono state prese decisioni al riguardo. Cosa ci riserverà il futuro?[/B]
    `Insieme alla Commissione Tutela della Salute si sta valutando quali ulteriori analisi e accertamenti introdurre per garantire ancora di più la salute degli amatori. Lo sforzo di una gara amatoriale merita tutta la massima attenzione e gli accertamenti oggi sufficienti per il rilascio del certificato medico agonistico sono considerati non del tutto adeguati per garantire all`atleta certi sforzi senza alcun rischio per la salute; qualsiasi indicazione proveniente dagli esperti, volta ad evitare episodi tragici, saremo pronti a recepirla. Ci tengo a chiarire che è in gioco la salute di ogni praticante e il nostro obiettivo è proprio quello di salvaguardare tutti, in modo che la pratica ciclistica, e sportiva in generale, diventi un momento di serenità e benessere e non il contrario.`
    [B]E` logico domandarsi se tutte queste novità troveranno sponda anche tra gli altri Enti di promozione sportiva.[/B]
    `Il 29 luglio ci sarà un incontro della Consulta finalizzato a deliberare sulla normativa introdotta dalla FCI, che è già stata analizzata e discussa in quella sede e che ha trovato pieno consenso. Credo ci sarà quindi un totale allineamento.` [/X]

    Dal sito della Federciclismo riprendiamo questa interessante intervista a Gianluca Santilli, responsabile del settore amatoriale, che per la prima volta da tanti anni in qua sta cercando di sistemare un settore degradatosi negli anni e ridare dignità a tutto il movimento

    `Con l`introduzione dell`autocertificazione `etica` abbiamo dato il via ad una vera e propria rivoluzione culturale che era necessaria in un ambiente, quale è quello del ciclismo amatoriale, inquinato da logiche ad esso del tutto estranee che lo stavano negativamente condizionando. Al requisito della salute, attestata dalla certificazione medica che attesta la possibilità di svolgere sport agonistico si aggiunge, dal 1° gennaio 2014, quello dell`etica.
    “Chi ha avuto a che fare con il doping, per capirci, non si può più tesserare come amatore.` Continua »

    Ecco fatto. E’ bastata un’intervista al manager della Sky Dave Braildsford e pochi minuti di conferenza stampa di Froome, l’intoccabile maglia gialla di questo Tour; sono bastate poche vaghe dichiarazioni perché i dubbi siano se non proprio svaniti, almeno fortemente frenati. Ci si sono messi d’impegno a Rai Sport per cercare di restituire al keniano bianco la dimensione dell’eroe. E alla sua incredibile preformance sul Ventoux uno straccio di credibilità. “Sono disponibili a far vedere alla Wada come lavorano nella squadra; accettano che vengano tutti i giorni”, cinguetta Beppe Conti, “consultant” ormai stabile di Bulbarelli & C. Dunque bisogna credere ai neri di Sky quando sostengono che loro non barano e che l’imbroglio non è parte della loro cultura. Peccato che la Wada i dati salienti di Froome, li abbia già e che questi non aiutino fino a questo momento a capire meglio il fenomeno del “marziano” che spazia dai 54 chilometri all’ora di media nella crono, alle scalate da imbattibile “grimpeur” e alle violentissime accelerazioni in salita con cui ha stracciato la concorrenza sul Ventoux. Peccato che vedere come opera la squadra serva a nulla per capire come si possano ottenere certe prestazioni.  Ma dal piccolo schermo si preferisce la linea morbida e si sottolineano i “sacrifici” degli atleti come sempre nel passato. Anche se gli anni del doping selvaggio hanno ben rivelato cosa ci fosse dietro tanti “sacrifici”: “Ho visto questi ragazzi fare grandi rinunce: mangiare riso in bianco senza un filo d’olio; dire di no ad un cornetto alla crema; fare diete draconiane”. Ecco spiegato il fenomeno: Froome marcia a 120 pedalate in salita perché mangia riso bianco senza olio e rifugge dai cornetti alla crema. Siamo sul patetico e la specialista è Alessandra De Stefano, grande esperta di “solitudine-del- numero-uno”. Per lei Froome, servito e accudito come un principino in seno alla Sky, è solo; drammaticamente solo e per uscire da quella solitudine non trova di meglio che fare quelle vibranti e incredibili accelerazioni in salita. Però, bontà sua, ammette che “La cultura del sospetto ha una sua ragione di essere”. Peccato che il collega Pancani la smentisca presto: “La cultura del sospetto non ci appartiene”, sentenzia felice di aver trovato una qualche via d’uscita dal rebus del keniano bianco. E poco oltre Davide Cassani smentisce se stesso e la smentita: “La mano sul fuoco non ce le metterei”. Ma siamo in democrazia, dunque tutte le opinioni sarebbero giustificate; se fossimo al bar dello sport non sulla tv di stato. Ma il top lo tocca proprio l’ex corridore quando cerca di darsi una veste tecnica che, francamente, proprio non gli appartiene. “Dire che Froome sia dopato non me la sento – esordisce – tra l’altro ha fatto tre controlli in un giorno”. Come se il fatto di superare controlli antidoping sia una patente di pulizia, quando (e credo che il buon Davide lo sappia molto bene) ai test di controllo sfuggono decine e decine di sostanze nonché numerosissime pratiche dopanti. I casi Armstrong e Marion Jones sono lì a illustrarlo. Ma dove l’ex corridore raggiunge l’acme è quando cerca di spiegare come e perché Froome pedali a frequenze così elevate. “Un esempio: dato un tot, poniamo 100, di energia, solo il 25% viene sfruttato per muovere la bici, il 75% se ne va in calore. Se pedalo più agile questa percentuale aumenta. E pedalare a 100-110 rivoluzioni al minuto è frutto dell’allenamento e aiuta a spendere meno”. Dopo tanti anni nello sport come atleta e come “consultant” Cassani confonde ancora il rendimento meccanico con quello muscolare. Ma tant’è. “Pedalando più agile riesci ad esprimere più potenza  – insiste – perché servono le fibre rosse e non utilizzo quelle bianche”. La fibre bianche sono quelle deputate agli sforzi intensi e accelerare in salita a 120 pedalate al minuto su pendenze sconcianti, come ha fatto Froome sul Ventoux, per l’ingenuo Cassani non farebbe produrre acido lattico. Caso mai ci sarebbe da capire come riesca a smaltirlo così velocemente. Ma, ancora una volta, siamo al pressappoco. Quanto al pedalare agile è chiaro che più elevato è il ritmo, più ossigeno serva nel sangue per irrorare i muscoli e consentir loro di operare senza andare in acido o andando in acido in modo recuperabile. Lo conferma uno dei tecnici più stimati dell’atletica, Sandro Donati,  che pur non essendo specialista di ciclismo, tuttavia conosce molto bene la fisologia avendo allenato per anni campioni (puliti) di grande valore. “Per ogni tipo di atleta e per ogni livello di fatica e per ogni condizione data c’è un ritmo ottimale, ma pedalare a quella frequenza richiede comunque un dispendio energetico enorme. E un enorme consumo di ossigeno. Staccare avversari di livello al termine di una tappa dura e rifilare loro oltre un minuto di distacco potrebbe sembrare un divario normale. Ma è una differenza enorme, perché fatta tutta negli ultimi chilometri (lo scatto con cui Froome ha “bruciato” Contador è avvenuto ai meno otto dall’arrivo). Accelerare così, vuol dire che mentre gli avversari sono al limite dello possibilità lui ha ancora una grande potenza aerobica a disposizione;  ha prodotto pochissimo lattato (acido lattico, n.d.r.) e quindi ha da sfruttare tutta la parte derivante dal più elevato VO2 max (massimo consumo di ossigeno, ovvero la massima quantità di ossigeno che il sangue può trasferire ai muscoli, n.d.r.) e quella della zona in cui vai in debito di ossigeno e produci lattato”.

    Marco Pantani

    Marco Pantani

    Per una volta i dirigenti dell’Uci, la federazione internazionale, l’azzeccano. Dovesse emergere il nome di Pantani dall’inchiesta fatta dal senato francese sulle vicende doping del Tour 1998, quello vinto dal Pirata, non ci sarebbero motivi “Per compiere alcun passo”. Probabilmente messo alle strette da una lettera di diffida della famiglia Pantani il presidente uscente McQuaid  replica precisando che: “poiché le analisi scientifiche svolte dal laboratorio francese nel 2004 non erano conformi agli standard tecnici per le analisi antidoping, tali risultati non possono essere accettati come prova in un contesto antidoping e pertanto non consentirebbero l’apertura di un procedimento disciplinare. Inoltre, non sono stati rispettati i principi dell’anonimato e del previo consenso alle analisi espresso dai ciclisti”. Dunque nessun processo postumo, nessuna inchiesta, nessuna sentenza. Il Tour 1998 resterà negli annali come quello vinto da Pantani. Al di là degli aspetti tecnici, sempre discutibili, riaprire un processo nei confronti di un morto sarebbe stata una tragicommedia insostenibile anche per chi negli anni ha dimostrato di sostenere qualsiasi tesi e teoria, come quella, cara all’ex presidente Verbruggen, che il doping nel ciclismo era solo un’invenzione dei giornalisti. Anzi di “certi” giornalisti, visto che il coro era piuttosto allineato e coperto all’epoca in cui nel plotone si viaggiava con valori ematici da brivido. E qualcuno ci rimetteva anche la pelle. I fatti, purtroppo, hanno dimostrato quanto lontana dalla realtà fosse la dirigenza ciclistica mondiale. Continua »

    Marianne Vos

    Marianne Vos

    Ormai la chiamano tutti “la cannibale in gonnella” e i paragoni con il mitico Eddy Merckx si sprecano. Non vince, stravince, Marianne Vos,  incarnazione ciclistica al femminile del mitico “olandese volante”.  Mondiali, Olimpiadi,  corse di ogni genere, a tappe e di un giorno; su strada e fuori strada. Ma dietro la maschera dell’atleta superdotata c’è, come spesso accade, una donna fragile. Un paradosso se si pensa alla forza e alla determinazione necessarie per emergere nel ciclismo. Dietro il successo sportivo c’è sempre tanta fatica, dedizione, allenamento, volontà. Ma anche qualche rischio. Come quello di imboccare la strada dell’anoressia inavvertitamente, semplicemente inseguendo qualche chilo in meno da sfruttare per pedalare meglio in salita. Problemi, aspirazioni, sogni e programmi futuri: ecco il racconto della campionessa olandese e l’intervista realizzata per “SportPro” da Francesca Golino al Giro d’Italia femminile appena concluso. Continua »

    Marco Pantani

    Marco Pantani

    Parce sepulto (Virgilio, Eneide, III, 41). Perdona il sepolto. Non si può certo pretendere che dirigenti grossolani e concentrati solo sulla poltrona conoscano il latino. Ma  un minimo di “pietas”, cioè di umano sentimento e di comprensione in un mondo – quello dello sport – che vorrebbe essere d’esempio quanto a valori e a regole, ci dovrebbe pure essere. Per un briciolo di decenza. Ma evidentemente all’Uci la decenza non sanno proprio dov’è di casa. Così, addirittura anticipando le conseguenze di notizie ancora da ufficializzare, ecco il presidente McQuaid, l’uomo di fiducia dell’ex numero uno del ciclismo mondiale Hein Verbruggen, “non escludere” che nel caso venga provata la positività di Marco Pantani al Tour de 1998, quel titolo venga revocato. Con quale credibilità parlino e sentenzino uomini che, nella migliore delle ipotesi  hanno messo la testa sotto la sabbia  per anni riguardo al doping dilagante, non è dato sapere. Comunque parlano. Perché? Perché qualcuno li ha “eletti”, li ha votati. E di lì non li smuovi. E questo ricade come pesantissima responsabilità su tutto lo sport del ciclismo, incapace da lustri di esprimere una classe dirigente presentabile.  Ce li hanno messi lì proprio quelli che oggi si lamentano delle loro decisioni assurde e del loro finto rigore. Finto, certo. Perché dopo 15 anni di scandali a getto continuo nel ciclismo (vi risparmio l’elenco…), scandali che hanno minato alla base la stessa esistenza economica dello sport del pedale, nessuno che abbia occupato quegli scranni può dire di non  sapere e di non essersi accorto di nulla. Continua »

    Lance Armstrong

    Lance Armstrong

    Dove mai può andare l’antidoping se i controlli sono pochi, mal distribuiti e soprattutto mal indirizzati? La domanda sorge spontanea dopo l’allarme del numero uno della Wada, l’agenzia globale, John Fahey che ha detto chiaro e tondo che i governi pure aderenti al codice mondiale non pagano e: “Così l’antidoping è destinato a fallire”. Ma, ove ve ne fosse bisogno, ecco la conferma di come le cose nel settore vadano avanti nel marasma più completo. L’agenzia americana, quella che, anche grazie all’apporto delle indagini italiane di Nas di Firenze e Finanza di Padova (l’inchiesta sul medico Ferrari del pm Roberti) ha inchiodato la star del ciclismo Lance Armstrong  costringendolo ad una confessione per la quale ha dovuto restituire le sette maglie gialle vinte al Tour del France dal ’99 al 2005, ha pure messo in rilevo con dati precisi come negli Usa si facciano addirittura più controlli nel modestissimo curling che nel ricchissimo tennis. Continua »

    Se il ciclismo è metafora della vita nulla come un fortunale di pioggia mentre stai pedalando ti può mettere alla prova. Come le crisi che capitano nella vita stessa. E niente come il pedalare nella tormenta ti può aiutare a riscoprire te stesso e ritrovare  la strada di casa. Il bello del ciclismo è anche questo. “Due Giorni della Sabina”: il tempo non è clemente con la Gran Fondo organizzata con grande volontà da Luigi Neri e che ogni anno richiama un gruppo sempre più folto di appassionati. Pioviggina al via e si parte fra mille incertezze. Solo l’impegno preso con l’amico Mario ti convince ad allinearti ai nastri. Si sa che non sarà una bella giornata ma nessuno può immaginare cosa aspetta il plotone scalpitante degli amatori. Continua »

    BRESCIA – Il lampo di Cavendish, il quinto, a celebrare l’en plein nelle tappe destinate ai velocisti, sigilla il Giro di Vincenzo Nibali. Un Giro che è stato bello, combattuto e vivo in quasi tutti i momenti. Pur fra le non poche difficoltà incontrate. Un Giro che l’epica conclusione sulle Tre Cime di Lavaredo, con la maglia rosa all’attacco e vittoriosa nella tormenta, riscatta dai tormenti del doping e dalla povertà di contendenti in cui la sorte lo ha ridotto dopo l’abbandono di Wiggins e Hesjedal, il vincitore dell’ultima edizione. Un Giro che ha messo in mostra oltre alla ferrea determinazione del siciliano, letteralmente trasformato nell’accorta e riflessiva gestione personale della corsa e della squadra, anche giovani di buone speranze. Da Pirazzi, ad Aru, ottimo quinto il giorno della neve sulle Tre Cime, passando per Modolo, ultimo e validissimo antagonista di Cavendish sul traguardo bresciano, da Viviani a Damiano Caruso.

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    Ora che li ha messi tutti (più o meno) dietro sulla dura salita, Nibali ha preso piena coscienza di dove possa arrivare con il suo talento. Il Giro, sfiorato nel 2010 e “sacrificato” nel nome del capitano di allora Ivan Basso, è adesso un obbiettivo possibile. Possibilissimo. Ma come dice lo stesso siciliano, la strada è ancora lunga, la salita e le incognite molte. Perchè il ciclismo è sport di circostanza, dunque dipende da tanti fattori, non tutti legati alla abilità atletica e/o alla forma. Quella per il siciliano c’è e lo ha dimostrato ampiamente. Ora il problema più evidente è rappresentato dai compagni, dalla squadra che lo sostiene. Tutti bravissimi ragazzi, intendiamoci, votati al capitano (anche se qualche incertezza c’è stata…), ma qualcuno non in buona salute come il giovane Aru e/o convalescente come l’esperto Tiralongo; dunque nel complesso un gruppo meno efficiente. E dall’altra parte ci sono veri e propri mastini come Henao, Siutsou, Uran, ecc. Insomma, se Nibali appare il più forte nel complesso in questo momento, ha ragione Uran a dire che la loro è la squadra più dotata. Continua »

    Il primo round va a Nibali, che interpreta al meglio la temuta crono di Saltara, e non solo argina l’assalto di Wiggins, ma addirittura conquista la maglia rosa. Solo 11 secondi dividono i due grandi favoriti della corsa rosa al termine dei 54,8 chilometri lungo il toboga marchigiano che ha strizzato l’occhio più all’azzurro che al nervosissimo baronetto inglese. Il quale, oltretutto, stavolta ha dalla sua la sfortuna. Una foratura nella prima parte del percorso gli ha fatto perdere almeno una quindicina di secondi. Quelli che gli avrebbero consentito di vincere almeno la crono. E tutti sanno quanto la vittoria sia balsamo importante per una formazione che commette incredibili ingenuità da quando il Giro è partito da Napoli e che adesso si trova a dover snaturare le sua naturali strategie. Da “corrazzata” abituata a tenere le redini della corsa da padrona a formazione che dovrà inventarsi qualcosa in attacco. Continua »

    Il Giro ha un suo fascino particolare. Oltre che per le sensazioni che suscita, la grande festa popolare delle due ruote è anche un traguardo ambito. In particolare dai politici che amano far vanto di aver convinto io riottosi organizzatori della corsa rosa a giungere fin nella loro città o paese che sia. Non che ci voglia molto, ai tempi della crisi men che meno. Basta un bel gruzzoletto di euro e il gioco è fatto. Più complicato si fa invece il discorso quando si parla di strutture e iniziative a contorno di una manifestazione che, per quanto non più sulla cresta dell’onda, come ai tempi d’oro è sempre nel cuore della gente. Continua »

    SERRA SAN BRUNO – Com’è il ciclismo e il Giro al tempo della crisi? Piangono in tanti, questa la sensazione da un breve giro di impressioni, ma il carrozzone va avanti. Con le incertezze e le contraddizioni che derivano da una situazione molto variegata che va dai 2 milioni di euro di budget per una squadra non di prima fila ai 12-15 milioni per le più blasonate. E’ un ciclismo diviso nettamente. Da una parte la formazioni delle prime ore di corsa, quello di chi cerca disperatamente di apparire sul piccolo schermo animando fughe dalla distanza e quello delle multi milionarie,poche ma ben nutrite da “sponsor” di peso: magnati come mister Andy Rhys munifico “patron” della svizzera BMC (la formazione di Ballan, Evans, Gilbert) che investono senza alcuna preoccupazione o addirittura interi stati come il Kazakstan che sostiene l’Astana, la formazione di Vincenzo Nibali, il numero uno per le corse a tappe del ciclismo nostrano. Logico che ci sia un ciclismo della prima ora o delle prime ore di corsa e uno del finale. Il primo pieno di volonterosissimi pedalatori il cui unico compito è immolarsi il più a lungo possibile davanti alle telecamere. Se poi viene anche il risultato, ben venga. Altrimenti va bene lo stesso: nell’epoca della comunicazione visiva l’importante è essere visti, appunto. A prescindere dal risultati. Continua »

    ISCHIA – Località, paesaggi, gente stupenda sulle strade del Giro. E’ il bello del ciclismo che ti mette ogni giorno a contatto con la gente, con l’umanità, con la vita. E quandosi dice Ischia, immersa nel sole e nel vento, si dice tutto: ovvero, un intero universo. Un abbraccio caloroso alla corsa rosa; ancorchè minimale. Certo, arrivare fin qui per pubblico e tifosi non è cosa da poco. E certe abitudini approfittatorie (il turista da “spennare”) non sono del tutto dimenticate. Ma siamo sicuri che si sia fatto di tutto perchè ci siano stati i giusti richiami e questa grande carovana abbia alla fine il risalto dovuto? I dubbi si avanzano corposi. E’ “normale” che il giornale che sponsorizza la manifestazione parli del “suo” avvenimento in prima pagina solo alla vigilia del via da Napoli? E che di “spalla” quel giorno ci sia il solito trito e ritrito dilemma da calcio mercato? Va bene: sappiamo quanto pesi il calcio nel nostro paese, ma siamo sicuri che a faccia della corsa più importante del ciclismo mondiale dopo il Tour meriti più attenzione l’interesse della Juve per Ibrahimovic? Cioè una banale notizia di mercato? “Pressing Juve Ibra jo-jo”, titolava la rosea sabato, giorno del via dal “salotto” napoletano di Piazza Plebiscito. Insomma, il dilemma da risolvere è: conta più assecondare le “passioni” dei tifosi (non facevano lo stesso i romani con il Colosseo?) oppure sostenere degnamente una propria iniziativa in nome del tanto decantato marketing? Siamo sicuri che sia stata la scelta giusta? Perchè se neppure il giornale organizzatore crede più di tanto nello sport su cui pure investe fior di euro il ciclismo è ridotto veramente male.

    A dire il vero un certo sforzo si è comunque notato. Per esempio: la prova del percorso sullo splendido tracciato ischitano, una volta “pratica” condotta in forma anonima e liberamente dai corridori e dalle squadre, adesso è regolata come una vera e propria anteprima della gara vera e propria. Con tanto di speaker che descrive abilmente e “lancia” i protagonisti che poco dopo si daranno battaglia. Una sorta di acconto spettacolare che può invogliare lo spettatore distratto. Piccola goccia nel mare, ma il mare è fatto di gocce alla fine. Ovviamente non basta. Perchè ci vuole ben altro per conquistare il pubblico dei giovani, distratti nella migliore delle ipotesi nei confronti di uno sport fatto essenzialmente di sudore e fatica. Ci vorrebbe una strategia a lungo termine. Ma chi ci pensa? Un Giro di spettacolo senza promozione non va molto lontano.

    NAPOLI – Bici, sole, pizza e …lo splendido panorama del Golfo di Napoli. E’ un Giro che parte nel segno del grande favorito per lo sprint, l’inglese Cavendish, vittorioso con una volata da padrone assoluto e nel migliore dei modi quanto ad ambiente. E niente come le bellezze di Napoli richiama con nostalgia alla mente il resto di un’Italia  dimenticata in cui il territorio è spesso compromesso quando non addirittura violentato dall’uomo. E qualcuno ha pensato di sfruttare il richiamo della corsa rosa anche per sensibilizzare il grande pubblico del ciclismo su questo problema. Così con il Giro dei corridori prende il via anche quello dei geologi del servizio ISPRA (Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale) che con la collaborazione del Consiglio nazionale dei Geologi segue la carovana dei tappa per tappa offrendo sul sito della corsa rosa tutte le notizie sulle caratteristiche geo-paesaggistiche del Bel Paese. E’ un’iniziativa che vuole una volta di più attirare l’attenzione sulla necessità di interventi quanto mai urgenti sul territorio nostrano, che è fra quelli a più alto rischio sismico e che si presenta in molte zone disastrato da migliaia di frane in atto e potenziali. Nonchè da zone a forte rischio geologico. “Secondo calcoli approssimativi – spiega Francesca Lugeri, una delle promotrici dell’iniziativa – occorrerebbero circa 40 miliardi di euro per mettere in sicurezza le zone a rischio del Paese. E almeno altri 4 per le coste. Ma prima ancora occorrerebbe concludere la stesura completa della cartografia geologicadi tutte le località, un lavoro ancora non concluso e che richiederebbe ancora almeno una decina di anni e una spesa di circa 10 milioni l’anno per confezionare una precisa mappa di riferimento sull’esistente”. Il problema infatti non riguarda solo i necessari interventi strutturali, ma anche definire con precisione le zone a rischio dove non costruire. “E’ lì con gli insediamenti non controllati – aggiunge la Lugeri – che il pericolo naturale diventa vero e proprio rischio. Occorrerebbe quanto meno evitare di farne di nuovo visto che delocalizzare quelli già presenti nelle zone a rischio è un processo assai difficile da mettere in atto”.

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