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Rizzo Giulio Emanuele

 

Giulio Emanuele Rizzo

Archeologo italiano, nasce a Melilli, Siracusa, nel 1869. Studioso stimato di arte e numismatica antica, presta la sua attività presso il museo nazionale di Napoli e in seguito presso il museo nazionale romano; partecipa agli scavi del Foro e del Palatino. Insegna nelle università di Torino, Napoli e Roma. Tra le sue numerose opere, sono di notevole interesse "Teatro Greco" del 1916, "La pittura ellenistico-romana" del 1930, "Prassitele" (del 1932) e "Monete greche della Sicilia" (del 1946). Muore a Roma nel 1950.
 


Giulio Emanuele Rizzo
di Maria Galizia

Se gli amministratori di Siracusa del tempo intitolarono a Giulio Emanuele Rizzo la strada panoramica che circonda il Teatro Greco e dalla quale si gode un superbo paesaggio che unisce all'incomparabile bellezza dei luoghi, l'inestimabile valore storico, un motivo ci sarà stato senz'altro. Del resto, lo stesso Rizzo, ammirandolo più volte dalla sommità del colle, scrisse: "Serena, quasi languida, è la linea del paesaggio; ed ogni luogo ha un suo nome, evoca un ricordo antico, un monumento o una gloria della città scomparsa. Ma correndo sul declivio che in curve di nude rocce cineree rapidamente si stendono alla pianura verde e pingue, l'occhio si ferma in Ortigia sacra, nocciolo e gemma dei discendenti di Archia, e sull'opposto Plemmirio, sede anch'esso di antichissime genti". E alla ricerca di queste "antichissime genti", fonte prima delle nostre radici, questo grande archeologo siracusano, consacrato immortale dalle più prestigiose accademie di Francia, dedicò il meglio delle sue forze e della sua vita, convinto com'era che ad un popolo ignorante del proprio passato niente possa appartenere.
L'illustre archeologo, filologo, storico dell'arte, critico, maestro di una notissima scuola archeologica, numismatico, esteta ed artista, ritenuto dalla critica contemporanea uno dei più importanti e preparati studiosi dell'arte e della cultura classica del nostro tempo, era figlio di Melilli, che gli ha intitolato la sua Scuola Media Statale e un busto marmoreo, nella villetta comunale, opera del siracusano Biagio Poidimani.
Rizzo nacque nell'antico palazzo dei Matera, nel maggio 1865, in via Iblea (dove oggi si trova una lapide marmorea, il cui testo fu a suo tempo dettato dall'Accademia dei Lincei), figlio dell'avvocato Gaetano e da donna Maria Abramo. I genitori erano lontani cugini tra loro, poiché la madre della mamma era una Rizzo. Gli Abramo, di origine israelita, appartenevano a quella borghesia di proprietari terrieri che, qualsiasi siano i sentimenti personali, non vogliono difficoltà con il regime politico del tempo.
Da questa felice unione erano nati ben otto figli, cinque maschi e tre femmine. Uno dei maschi, Vincenzo, morì giovane, mentre studiava a Catania. Il figlio maggiore, Giambattista, divenne poi un grande giurista ed un eccellente avvocato, tanto che lo stesso Giulio lo definì "la testa migliore della famiglia".
All'anagrafe, il nostro archeologo fu registrato come Emanuele Giulio, ma egli riuscì a ribaltare i due nomi, facendosi chiamare, anche negli atti ufficiali Giulio Emanuele. Frequentò le scuole elementari a Melilli, dove si impose subito per la sua precoce e vivace intelligenza, tanto che già allora uno dei suoi zii gli insegnò i primi elementi di greco e di latino. Frequentò poi il ginnasio e il liceo di Catania, ed infine si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, più per imposizione paterna che per sentita vocazione. Infatti, appena laureato, essendosi già delineato chiaramente in lui l'amore profondo per il greco e una naturale - vocazione per la ricerca, si iscrisse alla facoltà di Lettere di Palermo e si laureò discutendo una brillante tesi su Imerio il Sofista, dimostrandosi , degno figlio di questa nostra terra greca, che egli tanto amava e di cui diceva con fierezza: "Io sono sikelios e non sikanos", alludendo così non tanto ad un fattore etnico, quanto ad una tradizione di cultura della Sicilia Orientale e del siracusano in particolare. Su questo, basta leggere cosa scrisse di lui il suo discepolo, Domenico Mustilli, titolare della cattedra di archeologia di Napoli: "un uomo è sempre il prodotto della sua terra , e la cultura classica di Rizzo si formò in primis in Sicilia. Alla sua terra restò sempre spiritualmente legato; nei tardi anni, suo desiderio profondo fu quello di trovare pace nella sua terra nativa di Melilli, in cospetto di quel mare luminoso nel quale si rispetta il perenne azzurro del cielo". Appena laureato, per non essere di peso alla famiglia, decise di dedicarsi all'insegnamento nei licei di Trapani, Messina, Agrigento e Catania, non trascurando mai la strada della ricerca. Nel tempo libero, esplorava le cave che circondano Melilli, scoprendo numerose necropoli e interessanti reperti. Percorse più volte la Sicilia, che descrisse nella sua Siciliae antiquae tabula con un lirismo che solo un grande e profondo amore per la storia delle proprie origini può ispirare. Intanto, gli studi della filologia greca lo indussero a pubblicare nel 1895 un articolo sulla Rivista di Storia antica e Scienze affini sul grande poeta della Sicilia greca Stesicoro. A ventiquattro anni, conobbe Paolo Orsi, che nel 1889, appena trentenne era arrivato a Siracusa, alla Reale Soprintendenza, diretta allora dal Cavallari. Il giovane Giulio, ebbe la fortuna di assistere alla prima grande campagna di scavi, effettuati dall'Orsi a Megera, campagna che durò cinque mesi. Questa esperienza, entusiasmò tanto il giovane melillese, che da quel momento sentì nascere dentro di sé una vera e profonda amicizia, totalmente ricambiata, per l'Orsi, amicizia durata più di mezzo secolo e di cui si trova ampia traccia nei famosi "taccuini neri" di Paolo Orsi, conservati alla Sovrintendenza di Belle Arti di Siracusa.
Assieme all'amicizia, nacque, nell'animo di Giulio, l'interesse e la passione per l'archeologia, per la ricerca tangibile e reale del passaggio di quelle "antichissime genti", a cui si sentiva fortemente unito da atavici legami. Sono di questo periodo importanti sue pubblicazioni come: "Vasi greci della Sicilia" e l'importante monografia del 1916 dedicata al Teatro Greco di Siracusa, che resta ancora oggi un'opera fondamentale per capire le trasformazioni che nel tempo, ha subito questo grande e storico monumento.
Ma malgrado questo amore per la sua terra, per la sua Siracusa, per l'interesse sulla storia e l'archeologia dell'isola, Giulio lasciò definitivamente l'insegnamento nei licei siciliani per entrare nell'amministrazione delle Belle Arti, prima come ispettore del Museo di Napoli, senza dubbio su segnalazione di Paolo Orsi, e appena un anno dopo come ispettore presso gli scavi del Foro Romano e come direttore del Museo Nazionale delle Terme. Iniziò così il periodo romano nella vita di Giulio Emanuele Rizzo, accolto all'Accademia dei Lincei, che ne consacrò le capacità, ed invitato più volte a colazione dal re Vittorio Emanuele III nella sua tenuta di Castel Porziano.
Nel 1907 vinse il concorso per la cattedra di archeologia dell'Università di Torino. Cominciò così una nuova esperienza, quella di professore universitario, conteso dalle tre più prestigiose università del tempo: Torino, Roma, Napoli. Alle doti del maestro, alla sua profonda conoscenza, associava una parola incisiva, precisa, che non mancò di accusare, durante il periodo fascista un regime nemico di ogni libera ricerca. Durante tutto quel periodo, la sua sola consolazione fu la preparazione del volume "Le monete greche in Sicilia", che fu pubblicato solo dopo la guerra, nel 1946, volume che non è soltanto un'opera numismatica, ma un'originale opera d'arte, concepita e realizzata per la prima volta da uno storico dell'arte che era pure numismatico. Rizzo visse gli ultimi anni della sua vita a Roma, con la difficoltà della guerra, tormentato dalla malattia e dalla solitudine in cui lo aveva spinto la morte della sua adorata moglie, nel 1931. Relativa a quegli anni è la foto che riportiamo in questa pagina. Si spense a Roma il 30 febbraio del 1950 nella sua casa di via Palestra, silenziosamente, lui che aveva avuto tutti gli onori accademici, ma che era rimasto sempre un uomo semplice, un uomo per il quale la verità e il rigore scientifico avevano contato più degli onori e di ogni gloria. Sappiamo dai suoi scritti che negli ultimi anni pensò ad un ritorno a Siracusa, probabilmente a Scala Greca, dove potesse vivere con il sollievo degli studi e il conforto degli amici.
Per diversi motivi, il suo sogno non poté realizzarsi, ma egli rimase sempre un siciliano a Roma. La sua sicilianità fu sempre per lui un fattore essenziale, uno stato morale imprescindibile. Figlio della sua terra, legato alla sua terra, venne definito "l'archeologo esteta della Magna Grecia".

 

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