La data di fondazione dell’edificio non è nota , benché le sue origini siano da rintracciare all’epoca dell’incastellamento nella nostra regione.
Nell’871 per la prima volta viene menzionata una località chiamata Bazzano che, con la “terra di santo Stefano” – l’attuale chiesa parrocchiale – era di pertinenza dell’Abbazia di Nonantola. Sicuramente sull’altura bazzanese esisteva già un castrum, forse non ancora un castello, ma un edificio probabilmente fortificato con strutture leggere, come una semplice palizzata. Il castrum viene menzionato nel 1038, quando il vescovo di Modena lo concesse in enfiteusi - insieme con la curtis di Bazzano - a Bonifacio di Canossa, padre della celeberrima Matilde, che lo ereditò a sua volta, fino alla sua morte nel 1115.
Nel 1180 Bazzano era già comune rurale ed i suoi consoli – sottomessi al comune di Modena - si impegnarono ad edificare due torri all’interno del castello. Passato nel 1204 con un lodo del Podestà di Bologna al contado bolognese, Bazzano divenne oggetto di contrasto tra i due comuni. Dopo il fallimento di un primo assedio al castello nel 1228, i Bolognesi tentarono nuovamente di espugnarlo nel 1247, questa volta con successo. In tale occasione venne spogliata anche la chiesa di Santo Stefano. Nel 1250 il castello, dopo essere stato svuotato dai suoi abitanti, venne raso al suolo come punizione esemplare per gli oppositori di Bologna.
Parte della struttura attualmente esistente (la torre e l’adiacente palazzo) risale alla fine del ‘200, quando il marchese Azzo VIII d’Este, allora in conflitto con Bologna, lo fece riedificare. I Bolognesi, preso nuovamente possesso di Bazzano, questa volta non distrussero il castello ma lo rafforzarono. Al 1304 risale il termine dei lavori per le mura perimetrali e nel 1310, oltre alla torre – affacciata sul cortile – vennero edificati due casseri, uno dei quali è l’attuale Torre dell’Orologio.
 
Alla metà del ‘400, le nuove tecniche di assedio e soprattutto l’utilizzo delle armi da fuoco resero obsolete strutture come la Rocca di Bazzano, che andò incontro ad un rapido decadimento. Fu allora - nel 1473 - che, per decisione dei Sedici Riformatori dello stato bolognese, l’edificio venne donato a Giovanni II Bentivoglio, signore della città fino al 1506.
A quest’epoca risale l’aspetto attuale della Rocca, che venne trasformata in elegante “delizia”, cioè residenza signorile e luogo di svago in campagna. Al corpo trecentesco vennero aggiunte tre ali a creare un cortile interno. La facciata del castello venne ingentilita da affreschi ora non più conservati, mentre è ancora in più punti visibile la struttura muraria costituita da filari alternati di ciottoli e mattoni. Anche i merli a coda di rondine, posti al disotto della copertura, costituirono un richiamo alla passata funzione di fortezza del palatium.
 
Meglio conservate risultano invece le pitture parietali delle sale, che recenti restauri hanno recuperato sotto gli intonaci moderni. Esse costituiscono un’importante testimonianza della temperie artistica e culturale bolognese di epoca bentivolesca, sopravvissuta alle distruzioni ad opera della furia popolare seguite alla cacciata dei Bentivoglio nel 1506.
 
A piano terra, nelle due sale dell'edificio trecenteco si possono ammirare alcuni stemmi a tempera: sulle pareti campeggia l’arma bentivolesca (la sega rossa a sette denti) entro una cornice vegetale affiancata dalla sigla formata dalle iniziali di Giovanni II Bentivoglio Ms Zo (= Messer Zoano), mentre sulle volte sono dipinti uniti gli emblemi della famiglia Bentivoglio e quelli della famiglia Sforza di Milano (in un caso le onde azzurre e bianche e nell’altro il drago con un uomo in bocca). Giovanni II Bentivoglio infatti aveva sposato Ginevra Sforza, nipote di Ludovico il Moro, signore di Milano ed illustre alleato dei Bentivoglio nelle incerte vicende delle signorie italiane.
 
La Sala dei Giganti, la maggiore fra le sale della Rocca, è posta al primo piano e le sue pareti ne testimoniano la lunga e movimentata storia.
Le originali pitture tardoquattrocentesche presentano una partitura architettonica a colonne con bassorilievi di stile classico entro la quale sono inquadrati paesaggi e grandi figure di personaggi armati. I paesaggi, più che vedute immaginarie, potrebbero essere rappresentazioni di altri castelli e possedimenti dei Bentivoglio, poiché in quel periodo usava mostrare i propri possedimenti terrieri tramite vedute pittoriche sulle pareti delle sale di rappresentanza delle dimore signorili. Le figure armate testimoniano, in alcuni particolari, “ripensamenti” e correzioni dei soggetti che devono essere state effettuate nel giro di pochi anni (uno dei Giganti ha infatti tre gambe e tutti hanno due scudi, con insegne leggermente diverse, che comunque non dovevano essere visibili contemporaneamente).
 
A queste pitture si sovrappongono almeno altri due differenti strati di intonaco novecentesco, l’uno con un centauro meccanico in stile futurista tracciato con grande maestria ma con semplice carboncino nero, e l’altro con vessilli militari fascisti in oro e blu di Prussia.
 
La Sala del Camino, come le altre sale decorate, ha invece una decorazione che crea un effetto “a tappezzeria” con i motivi che continuano anche a cavallo degli spigoli senza interruzione. Qui il motivo decorativo ripetuto, intercalato dalle solite iniziali di Giovanni II Bentivoglio, è costituito dall’arma bentivolesca inquartata con l’ondato azzurro degli Sforza e racchiusa da una collana di perle entro una cornice quadrilobata a nastro.
 
La stessa decorazione è ripresa nell’attigua Sala del Pozzo Casini del museo, dove però le pareti sono state quasi completamente ridipinte dai restauratori intervenuti nella Rocca negli anni Trenta del nostro secolo, i quali hanno cercato di restituire l’originale policromia anche al soffitto ligneo.
 
Procedendo sul ballatoio esterno, dopo il Museo, si accede alle due ultime sale dipinte: la Sala dei Ghepardi e la Sala delle Ghirlande. La prima è decorata dal motivo a tappezzeria del ghepardo, entro una cornice di melograni, che regge un cartiglio con il motto per amore tuto ben volgo soferire, riferito alle millantate origini del capostipite dei Bentivoglio. La leggensa vuole infatti che fosse figlio illegittimo di Re Enzo, prigioniero a Bologna che, alla sua vista, proferì la frase "ben ti voglio".
Nella Sala delle Ghirlande, le pareti presentano lo stemma dei Bentivoglio inquartato con quello primitivo degli Sforza, entro losanghe di rami di ginepro intrecciati. Ginevra era figlia di Alessandro Sforza signore di Pesaro, fratello di Francesco signore di Cotignola. A richiamare tale parentela è il leone rampante in oro su fondo blu, che regge tra le zampe un ramo di mele cotogne. In questa sala, sotto al coronamento a cornice delle pareti, le iniziali di Giovanni Bentivoglio si alternano a quelle MA ZA (Madonna Zinevra) dell’amata moglie Ginevra Sforza dalla quale Giovanni ebbe undici figli.
 
Nella Cantina è oggi allestito il Punto Informativo dei Prodotti della Strada dei Vini e dei Sapori “Città Castelli Ciliegi”.
 
La Rocca divenne successivamente sede del Capitanato della Montagna (notevoli i documenti dell’Archivio dei Capitani e dei Vicari, conservati in Comune) e, nei secoli seguenti, ospitò nei suoi ambienti le più svariate funzioni, da carcere (dove fu rinchiuso nel giugno del 1799 il poeta Ugo Foscolo) a caserma, da scuola ad abitazioni private.
 
La Rocca è utilizzata per svariati eventi pubblici e privati e ospita il locale Centro Musica (Mediateca  Intercomunale), il Museo Crespellani ed è sede della Fondazione Rocca dei Bentivoglio.

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