Invito alla lettura. Brani dalle opere di Pier Paolo Pasolini

"Pagine corsare"
INVITO ALLA LETTURA. BRANI DALLE OPERE DI

Intervista rilasciata da Pier Paolo Pasolini
a Maurizio Ponzi
[Le biografie di alcuni registi citati da Pier Paolo Pasolini nel corso dell'intervista]




Kenji MizoguchiKenji Mizoguchi 
Mizoguchi nasce a Tokyo il 16 maggio 1898 come figlio di un carpentiere. Le condizioni iniziali della famiglia erano precarie e la sorella maggiore fu venduta come geisha, evento che lo influenzò molto. Mantenne una fiera resistenza contro il padre, violento contro la madre e la sorella. All'età di 13 anni smise di frequentare la scuola ed entrò all'istituto per la ricerca sulla pittura occidentale. Successivamente si trasferisce a Kobe, dove lavora come illustratore presso il giornale Matha Shinpo. Ritornato a Tokyo, comincia a lavorare nel settore cinematografico nella casa di produzione Nikkatsu come assistente di registi come Oguchi, Suzuki e Tanaka. Nel 1922 inizia la sua carriera come regista, realizzando Ai ni Yomihaeru Hi mentre nel 1930 gira il suo primo film sonoro. Dopo aver realizzato oltre 47 film (di cui se ne sono conservati solo 2) lascia la Nikkatsu nel 1932 e nel 1934 contribuisce alla fondazione della Daiichi Eiga di Kyoto. Negli anni '30 lavora per varie case di produzione e ha uno dei suoi maggiori successi, Naniwa Hika e Gion no Shimai, film che dovevano far parte di una trilogia sul realismo sociale purtroppo mai completata. Nel 1939 inizia a lavorare alla Shochiku di Kyoto, realizzando una trilogia del genere geido mono (film sulla vita degli attori di teatro), ma soprattutto Genroku Chushingura, tratto da un classico della letteratura giapponese.

Nonostante abbia avuto una vita privata abbastanza travagliata a causa della malattia mentale della moglie, la sua scalata nel mondo del cinema aumenta: negli anni '40 realizza oltre un film all'anno, ricopre alcune cariche istituzionali nel mondo del cinema giapponese e nel 1951 passerà alla Daiei, per la quale resterà fedele (tranne un paio di eccezioni) fino alla morte, lavorando anche come direttore generale.

Negli anni '50 inizia ad essere conosciuto anche in occidente grazie al successo di Rashomon, diretto da Akira Kurosawa e prodotto dalla Daiei. In questo periodo gira alcuni suoi capolavori, regolarmente ospitati dalla Mostra del cinema di Venezia, dove vince per tre volte il Leone d’argento con Saikaku Ichidai Onna nel 1952, Ugetsu Monogatari nel 1953 (anno del suo primo viaggio in Europa) e Sansho Dayu nel 1954. Mizoguchi muore a Kyoto il 24 agosto 1956 di leucemia all'età di 58 anni.
 

Ejzenštein, Sergej Michajlovic
Regista e teorico del cinema, nato a Riga (Lettonia) il 22 gennaio 1898 e morto a Mosca l’11 febbraio 1948. Nato in un’agiata famiglia di origine ebreo-tedesca per parte paterna e slava per parte materna, fu assai precoce nell’apprendimento delle lingue e nella lettura, ed eccezionalmente dotato per il disegno. Nel 1915 entrò nell’Istituto di ingegneria civile di San Pietroburgo (all’epoca Pietrogrado), dove aveva raggiunto la madre già da alcuni anni separata. Qui gli capitò di assistere, nel febbraio del 1917, alla messa in scena di Maskarad di M.J. Lermontov per la regia di V.E. Mejerchol’d: un incontro determinante sul cui significato sarebbe in seguito tornato molte volte nell’immenso corpus dei suoi Memuary (Memorie). Nel 1918, dopo aver passato alcuni mesi al fronte come allievo ufficiale, entrò nell’Armata rossa e fu impegnato nell’organizzazione di spettacoli teatrali itineranti lavorando, soprattutto come scenografo, nei "treni di agitazione", uno dei luoghi in cui si rappresentavano azioni drammatiche tipiche del cosiddetto teatro di agitazione. Nel 1920, a Mosca, aderì alla sezione teatrale del Proletkul’t (un gruppo dell’avanguardia attestato su posizioni radicali) di cui avrebbe assunto di lì a poco la direzione; contemporaneamente frequentava la scuola di teatro di Mejerchol’d ed entrava in contatto con Lev V. Kulešov e con i registi della FEKS (Fabrika Ekscentriceskogo Aktëra, Fabbrica dell’attore eccentrico).

In questo contesto vanno collocate le sue prime esperienze teatrali autonome, caratterizzate dal furore iconoclasta tipico della ricerca teatrale che interpretò in chiave di intervento politico diretto la poetica del futurismo russo: Meksikanec (1921, Il messicano) e soprattutto Na vsjakogo mudreca dovol’no prostoty (1923, Anche il più saggio sbaglia). Quest’ultimo, in particolare, fu uno spettacolo decisivo: liberamente tratto da A.N. Ostrovskij, l’allestimento prevedeva, tra gli altri ‘numeri’, la proiezione di un breve filmato, Dnevnik Glumova (Il diario di Glumov). Ejzenštein ha sempre indicato in questa esperienza teatrale la cellula germinale del suo pensiero estetico: e del resto essa fu il referente di un importante testo teorico, pubblicato nel 1923 con il titolo Montaž attrakcionov (trad. it. Il montaggio delle attrazioni, in Il montaggio, 1986) sul terzo numero della rivista «Lef» (lo stesso in cui comparve il manifesto programmatico dei Kinoki, Cineocchi, di Dziga Vertov). Vi si teorizzava la totale indipendenza dei singoli elementi della forma teatrale e, insieme, il movimento compositivo complesso (il «montaggio») grazie al quale la loro eterogeneità avrebbe dovuto riorganizzarsi in funzione di un potente e unitario coinvolgimento, emozionale e ideale, dello spettatore. Lo spettacolo teatrale successivo, Protivogazy (1923-24, Maschere antigas), allestito in un’autentica fabbrica, avrebbe convinto Ejzenštein che solo il cinema poteva pienamente corrispondere a quella totale rigenerazione dello spazio drammaturgico che il giovane regista e teorico si era già risolutamente posto come l’obiettivo (epocale) da raggiungere. Si convinse, in particolare, che mentre il teatro non era in grado di esprimere compiutamente le esigenze di senso provenienti da una realtà in trasformazione, il cinema avrebbe potuto non solo raccogliere quelle esigenze, ma addirittura farsene suggerire i principi costruttivi essenziali: non i contenuti, ma la forma stessa.

A partire da questa premessa (in seguito esplicitata in due notevoli saggi del 1925: K voprosu o materialisti eskom podchode k forme, trad. it. L’atteggiamento materialista nei confronti della forma, in Teoria del cinema rivoluzionario, a cura di P. Bertetto, 1975 e Montaž kino-attrakcionov, trad. it. Il montaggio delle attrazioni cinematografiche, in Il montaggio, 1986, 1992) il primo film di Ejzenštein, Stanka (1925; Sciopero), nacque come un esperimento che, senza ricorrere a un impianto narrativo classico, si proponeva di ricavare la sua configurazione drammatica complessiva dalle strutture costitutive di un fenomeno tipico della modernità: lo sciopero in quanto forma della lotta di classe. In questa stessa prospettiva vanno inquadrati anche i due film successivi, Bronenosec Potëmkin (1925; La corazzata Potëmkin) e Oktjabr’ (1927; Ottobre). Ejzenštein oscillò a lungo, in quegli anni, tra una concezione sensoriale e una concezione razionale degli effetti di senso imputabili al montaggio: il suo quarto film – Staroe i novoe (1929; Il vecchio e il nuovo) – raggiunse un mirabile equilibrio tra le due direttrici. Il lavoro per questo film - iniziato già nel 1926 con un diverso titolo, General’naja linija (La linea generale) - subì diverse interruzioni non solo per le riprese di Oktjabr’ (che doveva essere pronto per il decimo anniversario della Rivoluzione) ma anche per la richiesta, che fu comunicata a Eisenstein dallo stesso Stalin, di apportarvi modifiche sostanziali, soprattutto nel finale. 

Dopo il successo, anche internazionale, di Bronenosec Potëmkin, la seconda metà degli anni Venti fu per Ejzenštein densa di eventi non solo creativi e teorici ma anche istituzionali (nel 1928 entrò come docente nell’Istituto statale di cinematografia) e politici: emergeva infatti con crescente evidenza la sua essenziale eterodossia rispetto alla linea culturale che, nel giro di pochi anni, avrebbe portato alla liquidazione di tutti i raggruppamenti dell’avanguardia e alla proclamazione del realismo socialista come unica poetica ufficiale. Tra il 1926 e il 1932 fu ripetutamente all’estero: a Berlino, a Parigi e a Londra. Nel 1930 partì per gli Stati Uniti, con l’operatore Eduard K. Tissé, in seguito alla stipula di un contratto con la Paramount. Dopo alcuni progetti andati a vuoto (Sutter’s gold, An American tragedy), Ejzenštein e Tissé si trasferirono in Messico e iniziarono le riprese, che si protrassero per circa un anno, di un nuovo film, ¡Qué viva México!. Il contratto fu tuttavia sciolto nel gennaio 1932 dal committente americano (anche, come solo più tardi si è appreso, per intervento dell’autorità sovietica) che trattenne i materiali girati e in seguito consentì che ne venissero ricavati diversi montaggi non autorizzati dall’autore e dunque da considerare a tutti gli effetti come apocrifi (Thunder over Mexico, 1933, Lampi sul Messico, realizzato da Sol Lesser; Death day, 1933; e Time in the sun, 1939, realizzato da Marie Seton). Solo nel 1955, per conto della Film Library del Museum of Modern Art di New York, Jay Leyda poté ricostruire senza interventi la sequenza cronologica dei pezzi girati da Ejzenštein e Tissé raccogliendo 8000 metri di pellicola sotto il titolo Eisenstein’s Mexican project; altri tentativi di rimontaggio furono fatti in seguito anche in Unione Sovietica  (in particolare, nel 1979, da Grigorij V. Aleksandrov, amico e collaboratore di Ejzenštein), ma l’edizione di Leyda resta, con quella analoga del Gosfil’m di Mosca realizzata nel 1998, l’unico riferimento affidabile.

Rientrato a Mosca nel maggio 1932, sempre più isolato, Ejzenštein si dedicò a un intenso lavoro teorico e all’insegnamento all’Istituto statale di cinematografia. Dopo alcune esperienze soprattutto letterarie, fu solo nel 1935 che Ejzenštein poté progettare un’intera parte sonora per il suo nuovo film, Bežin lug (Il prato di Bežin). La lavorazione del film fu tuttavia interrotta una prima volta nel 1936 per l’intervento della direzione centrale della cinematografia che impose delle modifiche alla sceneggiatura (elaborata con Isaak Babel’), e una seconda volta, definitivamente, nel marzo 1937. Mentre Ejzenštein fu indotto a scrivere una severa autocritica, il film fu di fatto sequestrato e durante la guerra l’unica copia esistente andò distrutta: se ne conservano diverse centinaia di fotogrammi visibili in due versioni, nessuna delle quali, a quanto si può constatare, comprende tutto il materiale conservatosi. Quasi nulla si sa, invece, del progetto audiovisivo interno a Bežin lug, anche se i suoi caratteri fondamentali si possono ricostruire partendo dall’intenso sforzo di chiarimento teorico effettuato in quegli anni da Ejzenštein sul problema della forma audiovisiva e sistematizzato nel grande trattato incompiuto (e mai pubblicato dall’autore) noto dapprima come Montaž ’37 e poi, nella traduzione italiana (la prima a presentarlo integralmente), come Teoria generale del montaggio (1985, 1992). Quegli anni furono i più difficili per Ejzenštein: gli attacchi dei burocrati della cultura e di molti cineasti allineati divennero sempre più violenti e diretti, fino a configurare il rischio di una deportazione. Così, il film che riuscì a realizzare nel 1938, Aleksandr Nevskij, va inquadrato in questo clima e, nonostante l’eccezionale qualità visiva e la prestigiosa collaborazione con Sergej S. Prokof’ev che ne compose le musiche, resta senz’altro l’opera di Ejzenštein più vicina ai canoni del realismo socialista.

Nello stesso periodo si impegnò nel grande lavoro di sistemazione che avrebbe prodotto i suoi testi teorici più importanti: Montaž 1938 (trad. it. in Il montaggio, 1992), i tre grandi saggi sul Vertikal’njy montaž (trad. it. Montaggio verticale, in Il montaggio, 1992), il trattato di estetica intitolato Neravnodušnaja priroda (trad. it. La natura non indifferente, 1981, 1992), l’enorme corpus di appunti frammentari e di saggi più o meno compiuti che sarebbe dovuto confluire in Metod. Molti furono anche i progetti non realizzati, tra i quali va almeno ricordato quello per un film a colori su A.S. Puškin. Risale al 1940 la realizzazione per il teatro Bol’šoj di un memorabile allestimento di Die Walküre di R. Wagner, che fu accompagnato da un ampio saggio intitolato Voplošenie mifa (trad. it. L’incarnazione del mito, in Il movimento espressivo: scritti sul teatro, 1998). Il suo ultimo film è Ivan Groznyj (la cui prima parte, nota in Italia come Ivan il terribile, terminata nel 1944, fu presentata al pubblico con ampi consensi nel 1945, mentre la seconda parte, nota in Italia come La congiura dei boiardi, fu terminata nel 1946, condannata dal Comitato centrale del Partito comunista e presentata al pubblico solo nel 1958, a dieci anni dalla morte dell’autore; la terza parte del film restò invece sulla carta, con l’eccezione di una breve sequenza). 

Il 2 febbraio 1946, meno di un’ora dopo aver ricevuto la notizia della condanna della seconda parte di Ivan Groznyj, Ejzenštein fu vittima di un grave infarto che lo costrinse a una lunga degenza (durante la quale avrebbe scritto gran parte dei suoi Memuary). Egli stesso definì come un «tempo in prestito» gli anni che gli sarebbero restati. Nella notte tra il 10 e l’11 febbraio del 1948 morì, colpito da un secondo infarto.
 

Carl Theodor Dreyer
Nacque a Copenhagen il 3 febbraio 1889 come figlio illegittimo e divenne ben presto orfano. I suoi genitori adottivi erano rigidi luterani e i loro insegnamenti influenzarono i temi di parecchi suoi film.

Da giovane lavorò come giornalista, probabilmente trovò la sua vocazione scrivendo i sottotitoli dei film muti e scrivendo poi sceneggiature. Il suo debutto come regista ebbe un successo limitato. La fama arrivò grazie al film Il padrone di casa, anche noto come L'angelo del focolare, nel 1925. Il successo in patria divenne trionfo in Francia, dove la Société Genérale des Films gli affidò la realizzazione di un lungometraggio sull'eroina nazionale: Giovanna d'Arco. Il film La passione di Giovanna d'Arco, a cui lavorò anche sul montaggio, uscì nelle sale nel 1928, e fu il suo primo grande classico. Con l'aiuto di Michel Champion scrisse la sceneggiatura, che nasceva da studi diretti sulle trascrizioni originali del processo. Dreyer creò in questo modo un capolavoro di emozione che si divide equamente tra realismo e espressionismo.

Il film successivo fu Vampyr - il vampiro (1932), una meditazione surreale sulla paura. La logica cede il passo alle emozioni e all'atmosfera in questa storia dove un uomo protegge due sorelle da un vampiro. Il film contiene molte immagini indelebili come l'eroe che sogna la propria sepoltura e l'animale assetato di sangue sul volto di una delle sorelle, mentre si trova rapita dall'incantesimo del vampiro. Il film era originariamente muto, ma vi sono stati aggiunti in seguito i dialoghi mediante doppiaggio. Entrambi i film non ebbero successo ai botteghini e Dreyer non girò altri film fino al 1943. In questa data si ha Dies Irae, un film sull'ipocrisia di chi aveva condannato le streghe. Con questo film Dreyer stabilì lo stile che avrebbe contraddistinto i suoi film sonori: composizioni accurate, cruda fotografia in bianco e nero e riprese molto lunghe.

Nel 1955 girò Ordet, tratto dall'omonima opera teatrale di Kaj Munk. Sullo sfondo di una società che ha un rapporto controverso con la religione, Dreyer volle esaltare la fede dei semplici. Il film gli valse il Leone d'Oro alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 1955.

L'ultimo film di Dreyer fu Gertrud (1964). Sebbene sia stato inferiore a quelli precedenti, suona come un testamento artistico dell'autore in quanto egli narra di una donna che, attraverso gli alti e bassi della sua vita, non biasima mai le scelte fatte. Carl Theodor Dreyer morì a Copenhagen il 20 marzo 1968
 

Luis Buñuel Portolés
Nato il 22 febbraio 1900 a Calanda, un piccolo paese dell'Aragona, dove trascorre i primi anni di vita, viene presto mandato a Saragozza, presso un collegio di gesuiti per proseguire gli studi, dove entra in contatto con le ferree regole dell'educazione religiosa. Sarà proprio questo ambiente a suscitare in lui le idee anticlericali che avranno ampio riscontro nella sue opere. Studia poi letteratura e filosofia all'Università di Madrid, dove conosce Federico García Lorca, Salvador Dalí, Rafael Alberti e Ramón Gómez de la Serna, giungendo alla laurea in Lettere nel 1924.

L'anno seguente si trasferisce a Parigi, dove comincia a frequentare il gruppo surrealista. Qui lavora al suo primo esperimento cinematografico, il cortometraggio diretto assieme all'amico Salvador Dalí, Un chien andalou (1928). Le caratteristiche del cinema di Buñuel, il brutale impatto visivo e lo spirito antiborghese e anticlericale, in esso emergono già con forza, per sfociare nel 1930 nel lungometraggio surrealista, L'âge d'or, dove l'esaltazione del rapporto blasfemo fra Cristo ed il Marchese de Sade provoca feroci reazioni di protesta. Il film, vietato subito dopo l'uscita, potrà uscire nuovamente solo nel 1980 a New York e nel 1981 a Parigi.

Tornato in Spagna gira Terra senza pane (1932), documentario di denuncia delle miserabili condizioni di vita della popolazione di una zona dell'Estremadura, conosciuta come Las Hurdes. Subito dopo la guerra civile e la sconfitta della Repubblica (1939) il cineasta emigra a New York. Qui trova lavoro al Museum of Modern Art e si occupa della direzione del doppiaggio in spagnolo di film americani.

Nel 1940 si trasferisce in Messico e nel 1948 riceve la cittadinanza messicana. Lavora a numerosi film tra cui Gran Casino (1947), Il grande teschio (1949), e I figli della violenza (1950) che gli vale il gran premio della giuria al festival di Cannes nel 1951. Nel circuito del cinema commerciale messicano dirige una lunga serie di film brillanti, realizzati con minime possibilità tecniche ed economiche: Adolescenza torbida (1950), La figlia dell'inganno (1951), Il bruto (1952).

Tornato a temi più impegnativi negli anni fra il 1952 ed il 1960 con film come Lui (1952), L'illusione viaggia in tranvai (1953), La selva dei dannati (1956), Violenza per una giovane (1960), riconferma il successo a Cannes con Nazarin (1958), e nel (1961) riceve la Palma d'Oro per Viridiana, ma il film, considerato troppo spregiudicato, viene accusato di blasfemia. Proprio a causa della furiosa censura seguita a questa opera, che porta, tra l'altro alla destituzione del direttore generale del cinema di Spagna ad opera del Consiglio dei ministri, dopo un breve periodo trascorso nella Spagna del dittatore Francisco Franco è costretto di nuovo a trasferirsi all'estero.

Gira in Messico L'angelo sterminatore (1962); in Francia Il diario di una cameriera (1964); nuovamente in Messico il cortometraggio Intolleranza: Simon del deserto (1965), di nuovo in Francia il magistrale Bella di giorno (1967), suo maggior successo di pubblico per il quale vince il Leone d'Oro al Festival di Venezia, e La via lattea (1968), uno sguardo surrealista sulle eresie della chiesa cattolica. Nel 1970 torna in Spagna dove dirige Tristana.

Segue poi l'Oscar per il miglior film straniero (insieme alla nomination per la sceneggiatura) per Il fascino discreto della borghesia (1972), uno dei suoi film più famosi. Seguiranno Il fantasma della libertà (1974) e Quell'oscuro oggetto del desiderio (1977), sua ultima fatica. Pubblica Obra literaria, una raccolta di scritti letterari e nel 1981 scrive la sua autobiografia Mon dernier soupir (Dei miei sospiri estremi nella traduzione di Dianella Selvatico Estense per la SE editrice in Italia) coadiuvato dall'amico e co-sceneggiatore dei suoi ultimi film: Jean-Claude Carrière. Verrà pubblicata postuma. Muore a Città del Messico il 29 luglio 1983
 

Roberto Rossellini
Nato a Roma nel 1906, si avvicina al cinema verso la metà degli anni '30, realizzando sia come montatore che come regista alcuni cortometraggi per l'Istituto Luce, da Daphne (1936) a Fantasia sottomarina (1939) sino a Il ruscello di Ripasottile (1941). Nel '38 collabora alla sceneggiatura di Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini e nel '41 esordisce dietro la macchina da presa con La nave bianca, segmento iniziale di una "trilogia della guerra" più tardi completata da Un pilota ritorna (1942) e da L'uomo dalla croce (1943).

Con la fine del regime fascista nel 1943, a soli due mesi dalla liberazione di Roma, Rossellini stava già preparando Roma città aperta su un soggetto di Franco Amidei (con Fellini che lo assisteva alla sceneggiatura e Fabrizi che recitava nella parte del sacerdote), che egli autoprodusse (gran parte dei soldi provenivano da crediti e prestiti). Questo film drammatico non ebbe un successo immediato in Italia, anzi fù un successo di ritorno dagli Stati Uniti e dalla Francia. Rossellini aveva così iniziato la sua cosiddetta Trilogia della guerra antifascista, il secondo titolo della quale fu Paisà, girato con attori non-professionisti a Maiori in Costiera Amalfitana (dove oggi si tiene il Premio Rossellini), in un convento sull'Appennino e nel Delta del Po. Terzo film della Trilogia Neorealista fu Germania anno zero (1946), sponsorizzato da un produttore francese e girato nel settore francese di Berlino. Anche qui, Rossellini preferì degli attori non-professionisti, ma non fu in grado di trovare una faccia che ritenesse "interessante". Rossellini posizionò una cinepresa nel centro di una piazza, come aveva già fatto per Paisà, ma fu sorpreso del fatto che nessuno si avvicinasse per guardare.

Come dichiarò in un intervista: "Al fine di creare realmente il personaggio che uno ha in mente, è necessario che il regista si impegni in una battaglia con i suoi attori, che normalmente finisce con la sottomissione ai loro desideri. Siccome non voglio sprecare le mie energie in questo tipo di battaglia, io uso attori professionisti solo occasionalmente". Si è supposto che uno dei motivi del suo successo, sia il fatto che Rossellini riscrisse i copioni in base ai sentimenti e alle storie degli attori non-professionisti. L'accento regionale, il dialetto, e i costumi venivano mostrati nel film come se fossero nella vita reale.

Dopo la Trilogia Neorealista, Rossellini produsse due film oggi classificati come "di transizione": L'Amore (con Anna Magnani) e La macchina ammazzacattivi entrambi girati a Maiori in Costiera Amalfitana, sulla capacità del cinema di ritrarre realtà e verità (che richiama alla Commedia dell'Arte).

Il 1948 è l'anno dell'amore: Rossellini riceve una lettera da una attrice straniera che gli si propone per lavorare con lui: si trattava di Ingrid Bergman. Con tale lettera ebbe inizio una delle più popolari storie d'amore del mondo del cinema, fra Ingrid Bergman e Rossellini, entrambi all'apice della loro popolarità. Iniziarono a lavorare assieme l'anno seguente in Stromboli terra di Dio (girato sull'isola di Stromboli, il cui vulcano eruttò durante le riprese), e nel 1950 in Europa '51. Nel 1953 il film Viaggio in Italia, aspramente attaccato dalla critica italiana, gli diede l'occasione di entrare in contatto con i giovani cinefili francesi che avrebbero poi dato vita alla Nouvelle Vague. Fu proprio François Truffaut a contattare Rossellini informandolo che in Francia il film era distibuito in una versione completamente rimaneggiata; a partire da quel primo contatto Rossellini strinse profonde relazioni con François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol e Eric Rohmer, allora tutti critici della rivista Cahiers du cinéma e la sua influenza fu fondamentale nel loro passaggio dietro la macchina da presa.

La relazione con la Bergman causò grande scandalo nell'ambiente del cinema (Rossellini e la Bergman erano entrambi sposati con altre persone); in particolare Hollywood non perdonava al regista italiano di aver sottratto all'industria cinematografica americana la sua più grande diva. Lo scandalo si intensificò alla nascita del loro primo figlio, Robertino, e in seguito delle due gemelle (Isabella e Ingrid). Il tumultuoso matrimonio con Ingrid Bergman si concluse nel 1959, anno in cui Rossellini compì un lungo viaggio in India dal quale tornò con un film per il cinema, India Matri Buhmi, un documentario per la televisione, L'India vista da Rossellini, e una nuova compagna, Sonali Das Gupta.

Nel periodo immediatamente successivo al viaggio in India Rossellini ritonò sui temi della Seconda Guerra Mondiale con i film Il generale Della Rovere (grazie al quale si aggiudicò il Leone d'Oro al miglior film al Festival di Venezia) ed Era notte a Roma. Ma gli interessi dell'autore in quegli anni si erano definitivamente focalizzati: Rossellini iniziò infatti a concepire un grande progetto didattico-umanistico per l'utilizzo dei mass media audiovisivi. Ne è un esempio in embrione Viva l'Italia!, film sul Risorgimento girato nel 1961 in cui Rossellini si sforzava di raccontare la storia in modo obiettivo, con la massima aderenza ai documenti. 

In quegli anni l'autore giunse a formalizzare il suo progetto alla cui realizzaione avrebbe dedicato il resto della sua carriera e della sua vita: un'enciclopedia di stampo scientifico e didattico costruita sfruttando le potenzialità offerte dallo sviluppo tecnologico, in particolare le capacità narrative dei mezzi audiovisivi e il potenziale comunicativo del broadcast televisivo. Il suo progetto enciclopedico si fondava sugli studi vastissimi che Rossellini aveva compiuto e continuò a compiere su autori, filosofi e scienziati come Leon Battista Alberti, Socrate, Cartesio, Comenio, che negli anni sarebbero stati i personaggi che avrebbe messo in scena nei suoi film. Il primo vero esperimento nella realizzazione del suo progetto didattico fu L'età del ferro, serie televisiva in sei puntate mandata in onda dalla RAI nel 1964. Dopo questa prima esperienza Rossellini faticò a trovare finanziatori fino al 1966, anno in cui venne chiamato dalla televisione francese a dirigere La prise de pouvoir par Louis XIV, film che riscosse un ampio quanto sorprendente successo di pubblico e di critica.

Fra il 1968 e il 1974 Rossellini fu impegnatissimo nel portare il più avanti possibile il suo progetto didattico e realizzò una serie impressionate di film cercando di coprire in modo enciclopedico i momenti chiave della storia dell'evoluzione della civiltà occidentale attraverso il racconto delle idee e degli uomini che la hanno guidata. La grande esperienza di regista e il suo inimitabile metodo di lavoro permisero a Rossellini in soli 5 anni di realizzare per la televisione (dal 1969 al 1974, anno di uscita di Cartesius) film per una durata complessiva di oltre 30 ore. I suoi ultimi due film (anch'essi facenti parte del progetto enciclopedico) tornò a realizzarli per il cinema. Il 3 giugno 1977 Roberto Rossellini si spegne a Roma.
 

Jean-Luc Godard 
Nato a Parigi il 3 dicembre 1930 è uno degli esponenti più importanti della Nouvelle Vague. La sua carriera è contraddistinta da una grande prolificità, ma soprattutto per le grandi innovazioni linguistiche apportate al mezzo cinematografico. Nasce da una famiglia protestante di origine svizzera che appartiene alla borghesia (il padre faceva il medico e la madre era figlia di banchieri) e compie i suoi studi nella città natale dove, dopo il liceo, frequenta la Sorbona ottenendo, nel 1949, un diploma in Etnologia.

Nei primi anni cinquanta si distingue per le sue radicali critiche cinematografiche su riviste come Arts e Cahiers du cinéma.

Risale al 1950 il suo primo articolo sulla "Gazette du Cinéma" dal titolo "Joseph Mankiewicz" e nel 1952 giunge ai "Cahiers du cinéma" con lo pseudonimo di Hans Lucas dove pubblica tre articoli: una breve recensione su Rudolph Maté, una più impegnata recensione su L'altro uomo di Alfred Hitchcock e un saggio dal titolo Difesa e illustrazione del "découpage" classico che dimostra la sua visione totalizzante delle arti come la letteratura, il cinema e la pittura.

Tra il 1953 e il 1955 Godard, che ha abbandonato l'attività di critico, compie numerosi viaggi nelle Americhe e in seguito assume un impiego nella costruzione della diga della Grande Dixence in Svizzera. Da questa esperienza nascerà l'idea per un primo cortometraggio, Opération béton, che verrà realizzato nel 1955 con il finanziamento della ditta appaltatrice.

Ritornato a Parigi inizia a cimentarsi nei cortometraggi a soggetto. Nel suo terzo cortometraggio dal titolo Charlotte et son Jules del 1958 doppia la voce di Jean-Paul Belmondo e nel quarto, Une histoire d'eau dello stesso anno, collabora con il regista François Truffaut che l'anno seguente gli fornirà il soggetto per il suo primo lungometraggio.

L'esordio di Godard nel lungometraggio avviene nel 1959 con un film che diviene immediatamente il vessillo della nouvelle vague francese: Fino all'ultimo respiro. Il film, che viene girato in sole quattro settimane con un budget limitato e il ricorso all'utilizzo della cinepresa a mano, ottiene il premio Jean Vigo e dà inizio al primo periodo della filmografia godardiana. All'interno di questa sua prima opera sono già presenti quelle "trasgressioni" ai modelli narrativi tradizionali che la nouvelle vague utilizzerà per distanziarsi dal cosiddetto "cinema de papà": montaggio sconnesso, attori che si rivolgono direttamente al pubblico, sguardi in macchina. Evidente risulta anche la cinefilia di Godard, che cita ossessivamente i film americani di genere degli anni cinquanta.

Il "primo periodo" dell'attività godardania va dal 1960 al 1967 e viene caratterizzato da una grande vena creativa che porta Godard a realizzare ben ventidue film, tra cortometraggi e lungometraggi, con un attivismo senza limiti che culminerà nell'esperienza del "Sessantotto" vissuta dal regista in prima persona. Nel corso di questi anni, Godard rivolge la propria attenzione ai contenuti erotici dell'immagine contemporanea: manifesti di attori, pubblicità, fumetti, riviste patinate. In quest'ottica nascono film come Agente Lemmy Caution, missione Alphaville, Il bandito delle ore undici, Due o tre cose che so di lei.

A partire dal 1966 Godard sposa definitivamente le teorie marxiste: il cinema diviene il luogo in cui mettere in atto una severa critica della civiltà dei consumi e della mercificazione dei rapporti umani, ma anche in cui si possa riflettere sullo stesso statuto dell'immagine come portatrice "naturale" di un'ideologia. Il problema della prassi diviene una costante della fase "politica" di Godard, nei film La cinese e Week-end, un uomo e una donna dal sabato alla domenica.

Dopo aver esaminato la possibilità di mettere in pratica un cinema realmente rivoluzionario (La gaia scienza, 1968), Godard fonda nel 1969 con altri cineasti il Gruppo Dziga Vertov, sperimentando un cinema collettivo e rifiutando il ruolo di autore nella convinzione che esso sottintenda un'ideologia autoritaria e gerarchica. Nello stesso anno dirige Lotte in Italia, un film per la televisione italiana che si interroga sui rapporti tra film, rappresentazione e ideologia attraverso il racconto di una ragazza borghese che milita in un gruppo extraparlamentare pur rimanendo legata all'ideologia della sua classe d'origine. L'attività di Godard, che fino a quel momento era stata frenetica, è costretta a interrompersi sia per un incidente stradale che lo costringe in ospedale per alcuni mesi, sia per il nascere delle prime discordanze all'interno del gruppo e soprattutto per l'intuizione che il momento dell'eversione fosse ormai alla fine. Nel tentativo di recuperare la propria identità artistica e politica Godard rimane per diversi mesi chiuso in se stesso senza lasciarsi intervistare dalla stampa e solo nel 1972 realizza, insieme a Jean-Pierre Gorin, Crepa padrone, tutto va bene, un'indagine sullo stato degli intellettuali nella stagione del riflusso post-sessantottesco.

La fine del movimento segna per Godard una pausa di ripensamento. Dopo alcune conferenze tenute presso l'Università di Montréal e all'opera "Introduction à une véritable histoire du cinéma", che verrà pubblicata nel 1980, si ritira a Grenoble, dove lavora per alcuni anni ai laboratori di Sonimage sperimentando tecniche cinematografiche a basso costo (super 8, videoregistratori, ecc). Dopo l'approdo alle tecnologie elettroniche e al video inizia il terzo periodo, quello dell'ultimo Godard, improntato ad una nuova e intensa sperimentazione in cui il video, che convive strettamente con il cinema, viene usato per una critica nuova fatta per immagini alle stesse immagini, anche le proprie.

Nel 1975 con Numéro deux Godard riparte utilizzando la nuova strumentazione video e mettendo in scena non un irrequieto rapporto di coppia, ma un irrequieto rapporto familiare, mescolando la documentazione reale con la fiction, la vita con la sua rappresentazione.

Nasce un'attenzione più viva per le tematiche del privato, soprattutto quella familiare, che vengono ripresi con toni maggiormente intimistici come in Si salvi chi può (la vita). In questo periodo Godard riesce a valorizzare la pura immagine a scapito del racconto utilizzando serie di sequenze autonome simili a quadri staccati dalla trama e godibili per la loro sola bellezza come in Passion (1981) che può essere preso ad esempio della sua nuova concezione estetica dell'immagine.

Così, nei successivi Prénom Carmen,(1983) che vinse il Leone d'oro a Venezia, e Je vous salue, Marie (1984) si vede come il testo sia solo un pretesto per un libero assemblaggio fatto di giochi di parole, citazioni disparate, brani di musica, ripresa di scenari naturali, come le onde del Lago Lemano in Prénom Carmen che diventano uno dei principali leitmotiv visivi del regista. Nelle opere di questo terzo periodo si affianca alla compostezza dell'immagine il motivo ricorrente della musica classica, soprattutto di Mozart e Beethoven che già erano presenti nei film del primo periodo.

Nel 1988 per Canal Plus, viene ideato il progetto "Histoire(s) du cinéma" che durerà fino al 1997 e dalla cui esperienza nasceranno quattro volumi con tutti i materiali interpretativi e iconografici che verranno pubblicati nel 1998.

Con il film Nouvelle Vague del 1990 e con Hélas pour moi del 1993, Godard riesce a scrivere l'intera sceneggiatura senza usare una sua parola ma facendo dire ai personaggi frasi di altri per poter lasciare libero spazio alle immagini che, con la loro musica interna, creano una perfetta geometria.

Nel film Allemagne 90 neuf zéro, che si modella su Germania anno zero di Rossellini, Godard si diverte a giocare con le lingue (il francese e il tedesco), come già aveva fatto nei film del primo periodo (Fino all'ultimo respiro dove aveva utilizzato l'inglese e il francese e in Il disprezzo (l'inglese, l'italiano e il francese).

Eloge de l'amour del 2001 è un insieme di motti di spirito, gag paradossali, detti celebri, inversioni di struttura come il colore della seconda parte del film in contrasto con il bianco e nero della prima parte i cui avvenimenti accadono due anni dopo.
 

François Truffaut
Nasce a Parigi, vicino Place Pigalle, il 6 febbraio 1932. La madre è Jeanine de Montferrand, all'epoca appena diciottenne. Il padre è Roland Truffaut, un architetto-decoratore che lo riconobbe come suo pur non essendone il genitore biologico. Il futuro regista nel 1945, leggendo il diario di Roland, scopre la verità anche se per scoprire la vera identità del padre naturale dovrà aspettare la fine degli anni '60 - quando, per la realizzazione del film Baci rubati (1968), il regista contatta un investigatore privato, Albert Duchenne dell'agenzia Dubly, e ne approfitta per affidargli il compito di individuare il suo padre biologico. Viene così a sapere che si tratta di un dentista ebreo, divorziato, che viveva a Belfort. Esita a lungo ma poi decide «di non allacciare i rapporti con il padre ritrovato: era davvero troppo tardi, e poi non voleva creare dei problemi al padre legale Roland Truffaut».

Le circostanze in cui avvenne il concepimento segnarono l'infanzia del regista. La madre, appena diciottenne, quando scopre di essere incinta vorrebbe abortire ma la famiglia (di militari conservatori) si oppone e, per il periodo della gravidanza, la manda in «una sorta di convitto per "traviate"». Dopo la nascita il bambino viene dapprima messo a balia e poi mandato in campagna dalla nonna presso la quale trascorrerà i suoi primi anni di vita. Dopo il parto la madre trova un lavoro di segretaria al giornale L'Illustration in cui lavora anche il nonno del futuro regista, l'ex ufficiale Jean de Monferrand. Appassionata di montagna, Jeanine conosce al Club Alpino Francese, di cui il padre è socio onorario, un designer industriale, Roland Truffaut. Nel novembre 1933 si sposano e Roland riconosce il bambino che però andrà a vivere con loro solo alcuni anni più tardi, alla morte della nonna materna. Il rapporto con la nonna è stato fondamentale per la nascita di una delle grandi passioni del futuro regista, quella per la lettura. Di salute gracile, il piccolo François non frequenta la scuola materna ed è la nonna, autrice di un libro sul bigottismo (mai pubblicato) e appassionata lettrice, che lo introduce nel mondo dei libri. È lei che dapprima legge per lui e, poi, gli insegna a leggere. L'amore per la letteratura e per i libri è una delle costanti della vita del regista fin da allora. Lui stesso dirà: «mia madre (...) non sopportava i rumori e m'impediva di muovermi e parlare per ore e ore. Allora io leggevo: era la sola occupazione a cui potessi dedicarmi senza disturbarla. Durante l'occupazione tedesca ho letto moltissimo e poiché stavo spesso solo, mi misi a leggere i libri degli adulti (...). Arrivato a tredici o quattordici anni comprai, a cinquanta centesimi al pezzo, quattrocentocinquanta volumetti grigiastri, Les Classiques Fayard, e mi misi a leggerli in ordine alfabetico (...), senza saltare un titolo, un volume, una pagina».

Alla passione per la lettura non corrisponde però un buon rapporto con le istituzioni scolastiche. Fino al 1941 frequenta il Lycée Rollin in cui, secondo le sue parole, si sente un estraneo. Il fallimento dell'esame di ammissione al sesto anno è l'inizio di un lungo peregrinare tra numerose scuole: «avevo una pessima condotta, più ero punito più diventavo turbolento. A quel tempo venivo espulso molto di frequente e passavo da una scuola all'altra». Ed è proprio in una delle numerose scuole che frequenta per brevi periodi, quella sita al n. 5 di rue Milton, che il dodicenne Truffaut conosce Robert Lachenay di un anno e mezzo più grande. Ne nasce, anche grazie alla comune passione per la letteratura e per il cinema, un'amicizia che durerà tutta la vita. Lachenay nel numero speciale che i Cahiers du cinéma dedicheranno al regista nel dicembre 1984, scrive «l'incomprensione che i suoi genitori manifestavano per lui era simile a quella dei miei. Ciascuno di noi non aveva che l'altro a far le veci della famiglia (...) Se non ci fossimo incontrati e sostenuti a vicenda, certamente ci saremmo avviati entrambi su una brutta strada».

Il primo film che il giovanissimo François Truffaut vede è Paradiso perduto di Abel Gance, che gli comunica una forte emozione. Da allora frequenta assiduamente i cinema, spesso durante le ore di lezione con conseguenze facilmente prevedibili sulla sua resa scolastica. Bocciato più volte, lascia presto la scuola e, poco prima della liberazione di Parigi, fugge dalla colonia in cui lo avevano mandato e trova un lavoro come magazziniere. Dopo aver perduto il lavoro, fonda un cineclub in concorrenza con quello di André Bazin che conosce in quest'occasione. Sarà una figura fondamentale per il futuro di Truffaut.

Lo stesso Truffaut ha raccontato: «Mio padre ritrovò le mie tracce e mi consegnò alla polizia. Sono stato ospite per molto tempo del riformatorio di Villejuif da cui mi fece uscire André Bazin. Sono stato manovale in un'officina, poi mi sono arruolato per la guerra d'Indocina. Ho approfittato di una licenza per disertare. Ma, dietro consiglio di Bazin, ho raggiunto il mio reparto. In seguito sono stato riformato per instabilità di carattere». Bazin sarà per François Truffaut quell'autentica figura paterna che gli era mancata.

Sarà sempre Bazin a trovargli lavoro presso il servizio cinematografico del Ministero dell'agricoltura e, poi, lo assumerà come critico cinematografico presso una rivista da poco fondata: Cahiers du cinéma.

La filmografia di Truffaut comprende: 
Une visite, cortometraggio (1955)
Les mistons, cortometraggio (1957)
Une histoire d'eau, cortometraggio realizzato insieme a Jean-Luc Godard, 1958
I quattrocento colpi (Les quatre-cents coups) (1959)
Tirate sul pianista (Tirez sur le pianiste) (1960)
Jules e Jim (Jules et Jim) (1962)
Antoine e Colette (Antoine et Colette) episodio de L'amore a vent'anni (L'amour à vingt ans) (1962)
La calda amante (La peau douce) (1964)
Fahrenheit 451 (Fahrenheit 451) (1966)
La sposa in nero (La mariée était en noir) (1968)
Baci rubati (Baisers volés) (1968)
La mia droga si chiama Julie (La sirène du Mississippi) (1969)
Il ragazzo selvaggio (L'enfant sauvage) (1970)
Non drammatizziamo... è solo questione di corna (Domicile conjugal) (1970)
Le due inglesi (Les deux anglaises et le continent) (1971)
Mica scema la ragazza! (Une belle fille comme moi) (1972)
Effetto notte (La nuit américaine) (1973)
Adèle H., una storia d'amore (L'histoire d'Adèle H.) (1975)
Gli anni in tasca (L'argent de poche) (1976)
L'uomo che amava le donne (L'homme qui aimait les femmes) (1977)
La camera verde (La chambre verte) (1978)
L'amore fugge (L'amour en fuite) (1978)
L'ultimo metrò (Le dernier métro) (1980)
La signora della porta accanto (La femme d'à côté) (1981)
Finalmente domenica! (Vivement dimanche!) (1983)

François Truffaut muore a Parigi il 21 ottobre 1984.
 

Sir Alfred Joseph Hitchcock
Nato a Leytonstone il 13 agosto 1899 è conosciuto, grazie ai suoi capolavori gialli, come maestro del brivido. Terzogenito di William, il piccolo Alfred è un bambino pauroso e solitario, con pochi amici: questi elementi, assieme alla avversione per la polizia (maturata in seguito ad un episodio della sua infanzia che lo vede rinchiuso per punizione in un commissariato) saranno molto presenti nei suoi film. Riceve una rigida educazione religiosa, e viene mandato a frequentare il Collegio Cattolico di Saint Ignatius, proseguendo gli studi presso la scuola di Ingegneria e Navigazione che abbandona per motivi economici nel 1914, alla morte del padre.

Da giovane Hitchcock è attratto molto dal mondo del crimine: risulta che collezionava saggi ed articoli e che usava visitare continuamente il museo del crimine di Scotland Yard. Trova il suo primo lavoro nel 1915 come disegnatore presso la Henley telegraph and cable Company. Ma il suo primo lavoro nel mondo del cinema lo ha nel 1920 presso un nuovo studio londinese, dove disegna i titoli dei film per i due anni successivi.

Nel 1923 Hitchcock è assunto dalla Gainsborough Pictures dove si occupa di tutto, dalla sceneggiatura, ai disegni, dai titoli alle scenografie fino al montaggio e all'aiuto regia. Finalmente nel 1925 gli viene affidato il suo primo film da regista: The Pleasure Garden girato in parte sul Lago di Como.

Nel 1926, Hitchcock, sposa Alma Reville. La moglie collaborerà come sceneggiatrice a molti dei suoi film. Alma e Alfred ebbero una figlia, Patricia (1928) che appare in alcuni dei film del padre. Nello stesso anno gira il suo secondo film The Mountain Eagle, oggi purtroppo perduto. Il suo primo vero film di successo è Il pensionante dove affronta per la prima volta una delle sue tematiche ricorrenti: l'innocente accusato ingiustamente di un crimine.

Nel 1929, Hitchcock dirige Ricatto, il primo film sonoro inglese. Negli anni successivi dirige una serie di film di successo come L'uomo che sapeva troppo, Il club dei trentanove, Giovane e innocente e La signora scompare.

Diventato ormai il regista di punta del cinema inglese nel 1940 viene chiamato a Hollywood da David O. Selznick, il produttore di Via col vento. Inizialmente Hitchcock deve dirigere un film sulla tragedia del Titanic ma sceglie un altro soggetto tratto dal bestseller di Daphne Du Maurier, Rebecca, la prima moglie che vince l'Oscar come miglior film dell'anno. Nel giro di pochi anni dirige una serie di film indimenticabili da Il sospetto a L'ombra del dubbio, da Io ti salverò a Notorius, l'amante perduta. All'inizio degli anni cinquanta passa alla Warner con cui gira Delitto per delitto e La finestra sul cortile. Nel 1955 inizia a produrre e a girare alcuni episodi del famoso telefilm Alfred Hitchcock presenta. Dopodiché una serie ininterrotta di capolavori: Caccia al ladro, L'uomo che sapeva troppo, La donna che visse due volte, Intrigo internazionale, Psyco e Gli uccelli. Nel 1976 gira il suo ultimo film Complotto di famiglia

Muore a Los Angeles il 29 aprile 1980 mentre lavora ad un nuovo film che avrebbe dovuto chiamarsi La notte breve (The Short Night).
 


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INVITO ALLA LETTURA:
BRANI DI PIER PAOLO PASOLINI


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A "PAGINE CORSARE" 
DA OTTOBRE 1998









 


Intervista rilasciata da Pier Paolo Pasolini
a Maurizio Ponzi: le biografie di alcuni registi citati da Pier Paolo Pasolini nel corso dell'intervista

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