Milano, 25 aprile 2014 - 18:32

Addio a Tito Vilanova, l’erede (sfortunato) di Guardiola

È morto a 45 anni l’ex allenatore del Barcellona, colpito da un tumore alla ghiandola parotide nel 2011, poco prima di diventare allenatore blaugrana

di Tommaso Pellizzari

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Tito Vilanova  (Ansa/Olive) Tito Vilanova (Ansa/Olive)
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Poche vicende come quella di Tito Vilanova, morto a 45 anni per le conseguenze di un tumore alla ghiandola parotide (l’annuncio sul sito del Barcellona), costringono ciascuno di noi a riconsiderare in modo consistente i concetti di fortuna, sfortuna e privilegio. Era una promessa del centrocampo nelle giovanili del Barcellona, ma fu il suo amico Pep Guardiola a diventare un centrocampista di fama mondiale. E quando, poi, allo stesso Guardiola nel 2007 fu offerta la panchina del Barcellona B, lui volle Tito come vice, così come l’anno dopo sulla panchina della prima squadra: «Ho bisogno del tuo aiuto, della tua visione tattica, della tua bravura con le tecnologie», gli disse Pep. Ne nacque la squadra più bella di tutti i tempi, e molti sapevano che - davvero - il merito era di Guardiola ma anche del suo silenzioso vice, quello che ai tempi delle giovanili chiamavano il Marchese perché aveva iniziato presto a non rinunciare mai alla giacca.

Fama involontaria

Tutti perciò sapevano che, quando Guardiola avrebbe lasciato, sarebbe toccato a lui, che nel frattempo era diventato famoso nel mondo per il dito nell’occhio che Mourinho gli aveva infilato in un accenno di rissa al termine della finale di Supercoppa spagnola - una delle 10 partite più belle della storia del calcio. Tito aveva ricambiato con una spintarella e tutto era finito lì. Ma se si riparlò di Vilanova fu perché, tre mesi dopo, arrivò la prima operazione per un tumore alla ghiandola parotide. Una malattia grave (da cui nacque la pace con Mourinho) ma di cui nessuno allora arrivò a immaginare il peggiore degli esiti possibili. Tanto che la nomina di Vilanova al posto di Guardiola non evitò amarezze, incomprensioni e brutte polemiche. Tipiche di quando nessuno prende in considerazione il peggio.

Le incomprensioni

Agosto 2011: il celebre dito nell?occhio di Mourinho a Vilanova
Agosto 2011: il celebre dito nell’occhio di Mourinho a Vilanova

Pep si offese perché il Barcellona annunciò l’arrivo di Tito nella stessa conferenza stampa del suo addio, sottraendogli dunque un po’ di luce dei riflettori. Poco più di un anno dopo, nell’estate del 2013, da neoallenatore del Bayern Monaco, Guardiola accusò il suo vecchio club di avere usato la malattia di Vilanova contro di lui, ed era una replica indiretta a Tito, che aveva parlato di rapporto più freddo col suo vecchio amico della Masia, il mitico centro giovanile del Barcellona. E la prova era stata che, quando Vilanova era a New York per curarsi e Guardiola nella stessa città per un anno sabbatico, i due non si videro mai: «E non per colpa mia», disse Tito. «È stato lui a decidere che era meglio non incontrarsi. Pep è mio amico e avevo bisogno di lui. In quel momento chi era solo ero io. Chi stava vivendo un brutto momento ero io. Chi aveva bisogno di aiuto ero io. Lui ha fatto una scelta, io senza dubbio avrei agito in maniera diversa da quella scelta da Pep».

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Barcellona (e la Spagna) piangono: è morto Tito Vilanova

I saluti

Una storia triste, che sembrava assomigliare molto a quella del Soccombente, il celebre romanzo di Thomas Bernhard (se non l’avete mai letto, rimediate il prima possibile). Sembrava, visto che si parla di un uomo che alla sua prima stagione in panchina vinse la Liga eguagliando il record di 100 punti stabilito l’anno prima da chi gli aveva messo un dito nell’occhio. Ma non c’era molto da gioire, e non c’entra il fatto che in Champions il Barcellona fosse stato eliminato in malo modo da un Bayern imbattibile (e adesso sappiamo che Tito di colpe ne aveva davvero poche). A dicembre il tumore si era ripresentato, costringendo Vilanova a sei settimane di cura, replicate poi fra febbraio e marzo. Al suo posto, in panchina, era andato Jordi Roura, che con Guardiola, Vilanova e Aureli Altimira (diventato preparatore atletico) formava il gruppo detto dei Ghiottoni, perché nel loro armadietto alla Masia non mancavano mai formaggio, prosciutto, peperoni e sardine forniti dalle mamme e divorati al termine degli allenamenti (lo ha raccontato Paolo Condò sulla Gazzetta dello Sport) . Vilanova tornò in tempo per festeggiare la vittoria in Liga, ma anche per salutare.

La pace

Non si poteva dire, ma eravamo tutti troppo esperti del mondo per non avere capito che il suo addio non era solo alla panchina del Barcellona, su cui è poi arrivato il «Tata» Martino. Puoi guadagnare 7 milioni di euro l’anno ed essere l’ottavo allenatore più pagato al mondo ma, come disse una volta Alessandro Del Piero a proposito della morte del padre, è terribile avere denaro per pagare la cura più costosa dell'universo, ma il problema è che quella cura ancora non esiste. Dev’essere anche per questo che, nello scorso ottobre, senza dirlo a nessuno, Pep Guardiola ha preso un aereo per andare in giornata da Monaco a Barcellona, e passare qualche ora a parlare e a far pace col suo antico amico. Senza il quale, per la prima volta da quando allena ha perso contro il Real al Bernabeu. Sembra, ma purtroppo non è solo una banale questione di calcio.

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