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Va in scena l’homo balcanicus, ma la riconciliazione per ora è solo un film

Il cinema è inventiva. Almeno nel caso di Parada, pellicola del regista serbo Srdjan Dragojevic. Perché è altamente improbabile che la storia raccontata in questo lungometraggio si riscontri nella realtà. Il film, del resto, narra la vicenda di un paramilitare serbo che ingaggia alcuni ex combattenti nemici, in Croazia, Bosnia e Kosovo, allo scopo di creare un gruppo di guardie del corpo il cui compito è proteggere i manifestanti di un Gay Pride.
Tutto questo è impossibile, si diceva, sul piano quotidiano. Due i motivi. Il primo: nei Balcani la riconciliazione stenta a decollare. Ci sono senz’altro alcuni casi, virtuosi, di gente che ha combattuto sui diversi lati della barricata e che cerca oggi di instaurare un dialogo e di tendersi la mano. Una struttura che favorisce questa dinamica è il Centar Za Traumu di Novi Sad, che coinvolge i reduci dei vari fronti affidando loro il compito di predicare insieme, sulla base delle loro esperienze, il verbo della pace. Ma è una rara eccezione.
Il secondo motivo: nell’ex Jugoslavia c’è un machismo esagerato. La virilità è ritenuta uno dei valori fondanti dell’homo balcanicus, in ogni quadrante della regione. Basterà ricordare com’è andato a finire il Gay Pride belgradese del 2010. I nazionalisti e gli omofobi misero a ferro e fuoco la capitale serba. Anche a Sarajevo ci sono stati problemi rilevanti. In occasione della parata omosessuale del 2008, la prima nella storia bosniaca, alcuni gruppi di islamici e i soliti esponenti del nazionalismo facinoroso insultarono e assalirono i partecipanti.
Dunque non aspettatevi di imbattervi, nei Balcani, in una storia come quella snocciolata nella sceneggiatura dell’opera di Srdjan Dragojevic. Vale quanto detto in apertura: il cinema è inventiva. Ma Parada non ha la pretesa di narrare fatti possibili. Il suo intento è diverso. Punta piuttosto a prendersi gioco, tramite la cucitura di una buona commedia, a tratti pungente, dello spirito omofobo che attraversa la penisola e al tempo stesso prova a dire che forse, a vent’anni suonati dall’inizio delle guerre che distrussero l’ex patria comune degli slavi del sud, è venuto il momento di riporre animosità, incomprensioni, rabbia e tutti quegli stati d’animo, con il segno negativo davanti, che tengono ancora banco a livello di società politica e a livello di società civile. «La guerra è finita, abbiamo avuto abbastanza violenza. Proviamo a diventare persone migliori, proviamo a comunicare. Questo è il messaggio», ha dichiarato il regista.
Non senza tirare una stoccata, in una precedente intervista, alle massime autorità della Serbia, ree di avere cancellato il Gay Pride dell’anno scorso in quanto timorose della reazione – anche elettorale – del blocco nazionalista-omofobo. «Il presidente serbo [Boris Tadic] ha pensato più ai voti che ai diritti umani e costituzionale».
Presentato nei giorni scorsi al Festival del cinema di Berlino, Parada è stato apprezzato dagli spettatori della kermesse e dalla critica internazionale. Ma già prima che venisse proiettato nella capitale tedesca il film aveva riscosso un insperato successo in Serbia e negli altri paesi balcanici, dove le proiezioni sono iniziate a ottobre. Successo di pubblico, innanzitutto. Sono stati cinquecentomila i biglietti staccati al botteghino. Trecentocinquantamila in Serbia, 120mila in Croazia, 30mila in Bosnia, 25mila in Slovenia e 20mila in Montenegro.
Anche il riscontro della critica è stato positivo. Il quotidiano Danas ha scritto che il merito di Parada è quello di «liberare la cocciuta maggioranza dei serbi dalle proprie fobie nei confronti di una minoranza». L’unica stigmatizzazione degna di rilievo è arrivata dalla Republika Srpska (Rs), l’entità serba della Bosnia-Erzegovina, che ha confermato il suo carattere di patria dei duri e dei puri. Dragojevic è stato accusato di essersi venduto ai gusti e ai capitali del cinema americano. Ma questa demonizzazione è rimasta isolata, fortunatamente, nei confini serbo-bosniaci.
Ultima annotazione. Al Festival di Berlino i francesi hanno già acquisito i diritti. Si spera che i distributori italiani facciano lo stesso o che, magari, l’abbiano già fatto.